Copertina
Autore Alberto Castoldi
Titolo Bibliofollia
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2004, Ricerca , pag. 90, cop.fle., dim. 145x210x7 mm , Isbn 978-88-424-9171-2
LettoreRenato di Stefano, 2004
Classe libri , storia sociale , collezionismo
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Indice


 1 Il lutto della scrittura

 7 Lo scrittore assassino

11 I libri mai nati

17 La biblioteca come rifugio

29 Le biblioteche distrutte

39 Il culto dei libri

43 Bibliofilia/Bibliomania

53 Bibliofagi

57 Libricité

63 I falsari

70 Il libro che uccide

85 Strategie di lettura

 

 

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Pagina 1

Il lutto della scrittura

                                        In angulo, cum libello
                 Si hortum cum bibliotheca habes, nihil deerit
    Nullus est liber tam malus, qui non ex aliqua parte prosit

                        When I have nothing else to do, I read
                                                 Charlie Brown



Mallarmé riteneva che all'intellettuale, e al poeta in specie, non restasse ormai altro da fare che scolpire il proprio nome sulla tomba, celebrando così un lutto che, iniziato agli esordi stessi della scrittura (per via del suo stesso statuto che la vuole inesorabilmente postuma), rinvia poi alla consapevolezza, questa sì tutta mallarmeana, del "gioco insensato di scrivere". L'intellettuale si scopre abitante da sempre di un cimitero, quello della letteratura, ma al tempo stesso custode di questo mondo defunto, e quindi in una condizione di liminalità, sospeso fra vita e morte: si nutre vampiristicamente della scrittura defunta, e la riattiva facendola propria, pur sapendo in questa operazione di consegnare a sua volta se stesso a questo universo di morte. "Sottrarre" all'assenza la scrittura, farla nascere, significa esattamente come per gli esseri viventi, consegnarla alla morte, riaffidarla all'assenza: l'intellettuale fa da tramite fra due assenze.

La scrittura tuttavia, e questa era già stata l'inquietudine di Platone, agisce anche se postuma (una lettera, un testamento, un decreto), anche in assenza dell'emittente, rappresenta una sorta di energia, di volontà autonoma, che si dispiega proprio grazie all'assenza originaria. Di qui la pluralità delle valenze che può assumere, e degli effetti che può produrre.

Già nell' Anthologia graeca, come ricorda Robert Curtius nel suo celebre Letteratura europea e Medio Evo latino, la scrittura e il libro sono al centro di tutta una serie di procedimenti letterari volti alla loro tematizzazione in chiave metaforica: esistevano epigrammi sulle tavolette scrittorie, sulla cera spalmata sulle tavolette, sulla penna, e si metteva in guardia contro i tarli del libro. La vita stessa è paragonata a un volume che si srotola; d'altronde nell' Apocalisse si prediceva che «il cielo si arrotolerà su di sé come un papiro». Nel Medioevo il martirio di san Cassiano, maestro di scuola, si traduce non metaforicamente nell'aggressione dei suoi allievi che gli spezzano le tavolette scrittorie sul capo e lo trapassano con le punte degli stili. Arrigo da Settimello paragona il volto umano a un libro: «Il volto è il libro e la pagina della realtà interna» (Internique status liber est et pagina vultus); e ancora: «Il cielo sia la pagina, le fronde lo scrivano, e l'onda / l'inchiostro: non potranno raccontare le mie pene» (Pagina sit celum, sint frondes scriba, sit unda / Incaustrum: mala non nostra referre queant). Il tema sarà ricorrente in Shakespeare («leggi sul volume della faccia del giovane Paride, / e trova la delizia che in esso ha scritto la penna della / bellezza», è detto nel Romeo e Giulietta). Ildeberto paragona invece il cuore a un libro, modellandosi su esempi collaudati: «Nel libro del cuore leggi tutto quel che vi hai di sporco; / non puoi leggerlo altrove così bene come là» (In libro cordis lege quicquid habes ibi sordis; / Non legis hoc alibi tam bene sicut ibi). Dante nelle Rime parla di «libro della mente» e di «libro della mia memoria». Ugo di Fouilloi di «libro della ragione»; Bernardo Silvestre del «testo del tempo» (Gottfried Keller riprenderà l'immagine in termini suggestivi: «È una pergamena bianca / il tempo, e ciascuno vi scrive / con il suo sangue rosso, finché la corrente se lo porta via»). Bonaventura parla del «libro interiore»; Niccolò Cusano della mente come di «un libro intellettuale». Poi verrà il «libro mondo»; nel Cinquecento in Spagna Luis de Granada vede le creature del «mirabile libro dell'universo» sotto forma di «lettere viventi» (letras vivas). La metafora avrà poi grande successo: John Owen afferma: «Questo libro è il mondo»; per Francis Quarles negli Emblems (1635): «Il mondo è un libro in folio, tutto stampato / con le grandi opere di Dio a lettere maiuscole». E analogamente John Donne, Milton, Vaughan, Herbert, Crashaw. In Francia sarà Cartesio a parlare del «gran libro del mondo» (le grand livre du monde); Diderot dirà d'aver attinto le sue conoscenze davvero importanti dal «libro del mondo»; Rousseau, tramite Lord Edouard inviterà Wolmar nella Nouvelle Héloïse a leggere nel libro «della natura»; con Goethe avremo invece il «libro vivente» caro allo Sturm und Drang: «Guarda: un libro vivente è la Natura, / non mai compreso, ma non incomprensibile».

Proprio per il suo carattere conoscitivo la scrittura svolge anche un ruolo sorprendentemente vampirizzante che lascia sgomento Senancour, ad esempio, quando si rende conto, nel romanzo giovanile Oberman (1804), del paradosso di un discorso che, mentre cresce e accresce, al tempo stesso sottrae e diminuisce. Quanto più frequentiamo i testi, tanto più questi ipotecano la nostra esperienza, procurandoci un sapere e delle sensazioni fittizi, destinati a condizionare il nostro futuro: avremo già appreso tutto prima di aver sperimentato qualsiasi cosa, e quanto più avremo saputo, tanto meno potremo sperimentare in modo autonomo, consegnati per sempre all'inautentico.

[...]

La scrittura può sottrarre o aggiungere esistenza, può pregiudicare le esperienze come incrementarle fino a stravolgere l'identità personale. È il caso di Don Chisciotte, il paradigma di ogni follia letteraria. La vicenda nasce in una biblioteca, sono i libri a dare forma all'esistenza: i romanzi cavallereschi fanno di Alonso Quixano il cavaliere errante Don Chisciotte, di una contadina Dulcinea del Toboso, di un ronzino un cavallo da battaglia, Rossinante.

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Pagina 4

La rivoluzione della lettura, che avviene alla fine del XVIII secolo, comporta un'anarchia nell'approccio ai testi che genera inquietudine; nel 1799 ad Hannover, ad esempio, le società di lettura vengono poste sotto tutela poliziesca: «Disordine, sregolatezza, tradimenti e mali di altro genere insorgono in alcune famiglie, se al liceale è concesso di studiare liberamente e a buon mercato il suo Portier des chartreux, alla fanciulla non ancora in età da marito il Sopha e l' Ecumoire, alla giovane moglie le Relazioni pericolose e così via».

Stendhal poteva a sua volta constatare che il pubblico femminile era ormai il più assiduo lettore dei romanzi, cambiando radicalmente la prospettiva fino ad allora accreditata: «Non ci sono donne di provincia che non leggano i loro cinque o sei volumi al mese; molte ne leggono quindici o venti; e non vi è piccola città che non disponga di due o tre gabinetti di lettura».

[...]

Con Gide si arriverà poi a una sorta di elogio dell'auto annientamento con la protagonista della Porte étroite. Il percorso di ascesi intrapreso da Alissa comporta una serie di negazioni sempre più gravi, fra cui, prima di rinunciare alla persona amata, il rifiuto della musica e della lettura proprio perché fonte di piacere: i testi più stimolanti, Malebranche, Leibniz, Shelley, Keats, Baudelaire, verranno abbandonati e rimpiazzati da una intensa attività di cucito: «Dichiarò immediatamente che nessun altra attività le sembrava altrettanto piacevole, che da tempo non ne aveva fatto altre...». Il pericolo viene dal piacere del testo, sorta di droga cui è doloroso rinunciare, ma il piacere derivante dalla sofferenza della rinuncia è anche piu intenso, nella prospettiva di una totale regressione narcisistica.

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Pagina 24

Ogni biblioteca è, naturalmente una pluralità di cose: «Maison d'artiste» come nel caso di Edmond de Goncourt o «Casa della vita», ma anche, in quanto prodotto dispiegato nel tempo di una serie di scelte che hanno presieduto alla collezione, una sorta di narrazione virtuale, destinata a racchiudere oltre a una serie di testi esemplari, anche la storia del loro collezionista, prigioniero delle sue scelte.

[...]

Altre volte ancora il libro è il risultato di una sequenza di citazioni di testi diversi, come awiene nella singolare biografia di Winckelmann, Collectanea zu meinem Leben, in cui, un anno prima della morte, ripercorre la propria esistenza avvalendosi per l'appunto di citazioni da Aristotele, Sofocle, Plutarco ecc.: le citazioni non solo dicono la vita, ma divengono la vita stessa dell'autore. Il modello sono gli Essais di Montaigne, singolare libro che si nutre di altri testi. La biblioteca, comunque concepita, costituisce un universo a parte, consente al bibliofilo di stabilire un confine, un diaframma fra sé ed il resto della società, ma in modo affermativo: il bibliofilo coincide con la sua biblioteca, lo si può leggere e dunque possedere; lì è percorribile e dunque vulnerabile.

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Pagina 27

L'isolamento della lettura, reale o mentale che sia, ne fa un rito anarchico per eccellenza, cui si accompagna una modalità di approccio non meno anarchica, la discrezionalità della lettura, ciò che la rende presso l'opinione pubblica sette-ottocentesca così pericolosa: si va dalla lettura ad alta voce a quella mentale, dalla lettura "selvaggia" di Rimbaud che non taglia neppure le pagine dei libri, a quella dispiegatamente arbitraria di Hans Magnus Enzensberger: «Fa parte di questa libertà sfogliare il libro da una parte e dall'altra, saltare interi passi, leggere le frasi alla rovescia, travisarle, rielaborarle, continuare a tesserle e a migliorarle con tutte le possibili associazioni, ricavare dal testo conclusioni che il testo ignora, arrabbiarsi e rallegrarsi con lui, dimenticarlo, plagiarlo, ed a un certo punto gettare il libro in un angolo».

La biblioteca può configurarsi, paradossalmente, anche senza libri, come operazione tutta mentale, e quindi massimamente inaccessibile, tutta privata, quando è consegnata alla pittura. È il caso della Scuola d'Atene di Raffaello, in cui i grandi del passato, ormai defunti, continuano a dialogare fra di loro, in una disposizione gerarchica che parte dalla Grecia classica con Platone, che tiene sotto il braccio il Timeo, ad Aristotele con l' Etica Nicomachea, e la "modernità" s'inserisce nella tradizione dandole un volto: Platone ha i tratti di Leonardo, Eraclito quelli di Michelangelo. Verrà in seguito l' Apothéose d'Homère (1827) di Ingres, che sostituisce la poesia alla filosofia, e ancora una volta la Grecia è all'origine dell'identità europea con la figura di Omero.

Il presupposto implicito in queste grandiose rappresentazioni è che l'universo sia ancora pensabile e quindi inseribile in una biblioteca.

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Pagina 29

Le biblioteche distrutte


Borges, evocando in Altre Inquisizioni la distruzione di tutte le biblioteche da parte dell'imperatore Shih-Huang-Ti (II sec. a.C.), il fondatore della dinastia Ch'in, che fece costruire la muraglia cinese, crede di poter scorgere in questi due eventi una sorta di specularità: «L'incendio delle biblioteche e la costruzione della muraglia sono forse delle operazioni in cui segretamente, ognuna si annulla da sola»; ed effettivamente v'è in entrambe le imprese una sfida smisurata, che tende all'infinito, facendo appello ad una componente di fascinazione che è verosimilmente alla base anche del "mito" relativo alla distruzione della biblioteca di Alessandria: ci vollero sei mesi, secondo Eutichio, per bruciarne i rotoli in base alle disposizioni dell'emiro Amr ibn al As, che agì per ordine del califfo Omar (642), ma la distruzione dei volumi comportava anche la fine di uno sconfinato sogno di egemonia fondato sul sapere. Alessandria ingaggia numerosi dotti in grado di tradurre in greco i testi più diversi: «La traduzione dei testi iranici attribuiti a Zoroastro, oltre due milioni di versi - scrive Luciano Canfora -, fu ricordata ancora secoli dopo come un'impresa memorabile. Al tempo di Callimaco, che compilava i cataloghi degli autori greci divisi per armadi, Ermippo, suo scolaro, pensò di emularlo, e forse in cuor suo di superarlo, confezionando gli indici di questo paio di milioni di versi, rispetto ai quali le poche decine di migliaia di esametri dell'Iliade e dell'Odissea facevano la figura di minuscoli breviari. Quei dotti furono gli unici che godettero, in un certo periodo della storia della biblioteca, della visione abbagliante, poi sogno di scrittori fantastici, dei libri di tutto il mondo».

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Pagina 39

Il culto dei libri


La risonanza avuta dalla distruzione della Biblioteca di Alessandria - un evento che forse non si è mai realmente verificato, ma che costituisce un lutto non sanabile del nostro immaginario - sta a segnalare il ruolo centrale svolto dal libro nella definizione di un'identità culturale, e non solo per la somma di saperi che racchiude, ma per la molteplicità delle valenze che catalizza, in particolare quando confluisce in una biblioteca: superiorità, come idea magnificata di sé per il possessore, potere (la Chiesa gestisce gli scriptoria, la monarchia conferisce i privilegi, l'università concede l'imprimatur alle tesi), ricchezza, piacere (ci si può isolare, si può assecondare la propria curiosità, ci si può confrontare con l'universo delle trasgressioni), seduzione (si possono fare incontri sorprendenti: Julien Sorel vi incontra Mathilde che vuole prendere un libro) ecc.

Fin dai tempi più antichi la biblioteca interpreta quell'idea di «dépense-potlach» di cui parla Bataille, quella spesa apparentemente improduttiva attorno alla quale ruota tanta parte dell'agire umano, al prezzo stesso della propria vita: è il caso d'altronde di santa Wilborada, protettrice dei bibliofili, vissuta nel monastero di San Gallo, dove si prendeva cura della biblioteca tessendo preziose stoffe per le legature dei codici; da un lato è lei a raccomandare nel 925 di mettere al riparo tutti i libri in un luogo fortificato, in previsione di un'imminente invasione degli Ungari, e dall'altro rifiuta poi di lasciare la propria cella dove verrà uccisa.

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Pagina 48

L'Ottocento istituisce però una netta distinzione fra bibliofilia e bibliomania. Paul Lacroix, Bibliophile Jacob come si fece chiamare in ricordo di un monaco del Seicento, si dimostra particolarmente attento a questa distinzione: «Se i vecchi libri fanno vivere molte persone non è soltanto per via del guadagno pecuniario, ma anche per il piacere che procurano: vi sono da una parte i voluttuosi, dall'altro i mercanti del piacere: questa seconda categoria, numerosa e varia, comprende i bouquinistes, gli étalagistes, i bottegai; la prima raccoglie una collezione di tipi singolari sotto le denominazioni di bibliomani, bibliofili e bouquineurs».

Ciò che accomuna gli amanti del libro è il piacere della ricerca («Il fatto è che si prova una felicità incomparabile nel cercare, trovare»), ma essa si svolge con modalità differenti: i bouquineurs si dilettano a scovare opere di pregio nei posti più impensati: retrobottega, le stanze sordide del bancarellista, mentre i bibliomani, la figura più malata e complessa, presentano varie tipologie: gli esclusivi, i volubili, gli invidiosi, i vanitosi e i tesaurizzatori: [...]

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Pagina 50

Charles Nodier, altro sommo bibliofilo dell'epoca romantica, autore fra l'altro di vari saggi sulla bibliofilia, distingue anch'egli nettamente in L'amateur de livres fra varie tipologie di collezionisti. Al vertice troviamo ancora una volta il bibliofilo: «Il bibliofilo è un uomo dotato di un certo ingegno e di qualche gusto, che apprezza le opere frutto della genialità, dell'immaginazione e del sentimento. [...] I bibliofili si atteggiano a re. Un tempo i re erano bibliofili. [...] il bibliofilo della nostra epoca è lo studioso, illetterato, l'artista, il piccolo proprietario dalle modiche risorse o anche agiato, che combatte con il commercio dei libri la noia del commercio degli uomini...». Nonostante la svalutazione sociale del bibliofilo in conformità ai mutamenti sociali in atto (il borghese che si sostituisce all'aristocratico), resta pur sempre chiara la differenza rispetto al bibliomane: «Il bibliofilo sa scegliere i libri; il bibliomane li accumula. Il bibliofilo aggiunge libro a libro, dopo averlo sottoposto a tutte le investigazioni dei suoi sensi e della sua intelligenza; il bibliomane accumula i libri gli uni sugli altri senza guardarli». Netta anche la distinzione fra bibliofilo e bouquiniste, anche se il primo può, di tanto in tanto, assumere l'identità del secondo, quando va a caccia di libri rari: «il bibliofilo non disdegna di frequentare talvolta i bouquinistes», mentre il bibliomane «non sceglie proprio, compra».

Il vero nemico del bibliophile, però, non è il bibliomane e tanto meno il bouquiniste, ma il bibliofobo: «I nostri grandi signori della politica, i nostri grandi signori della banca, i nostri grandi uomini di Stato, i nostri grandi uomini di lettere sono generalmente bibliofobi.

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Pagina 60

Klaas Huizing nel romanzo dedicato alla figura del bibliomane Johann Tinius, Il Mangialibri, propone una singolare equivalenza, nell'ordine del piacere, fra libri e amanti: «Se ci si può sfogare con i libri, allora essi non sono forse anche innamorate, anzi, amanti?». Inutile dire che questa prospettiva presuppone che la bibliomania sia una caratteristica essenzialmente maschile. Ecco alcuni degli enunciati:

Libri e prostitute si possono portare a letto.

Libri e prostitute: entrambi hanno un loro genere di uomini che vivono di loro e li maltrattano. I libri, i critici.

[...]

Ai giorni nostri Annie François descrivendo la propria passione per i libri si sofferma invece sugli odori: «Infatti esistono biblioteche altrettanto deliziose che esalano un odor di cantina, di muffa, di funghi, di muschio, di felci. Libri che odorano d'autunno, altri d'estate. Che profumano di gariga o di sottobosco. Deliziosi ma inquietanti profumi: troppo umidi o troppo secchi. [...] C'è soprattutto, quel discreto odor di polvere. I libri l'amano e la calamitano. Essa li avvolge, li velluta. Inutile darle la caccia».

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