Autore Antonio Castronuovo
Titolo Dizionario del bibliomane
EdizioneSellerio, Palermo, 2021, La memoria 1214 , pag. 510, cop.fle., dim. 12x16,7x2,5 cm , Isbn 978-88-389-4267-9
LettoreRenato di Stefano, 2021
Classe libri , collezionismo , scrittura-lettura , psichiatria , salute












 

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Indice


Premessa                        9

A
AAA                            15
Abbigliamento                  18
Accudire tarli                 20
Altarini di cenere             23
Anti-biblioteca                25
Apatia libraria                26
ARC                            27
Arcadia                        29
Arredamento                    31
Arte della memoria             33
Attrazione monografica         35

B
Bancarellista                  39
Bandella                       41
Barbe                          45
Bella e fedele                 48
Biblioclastia                  49
Biblioclastia culinaria        51
Biblioclastia poetica          52
Bibliofabulator gloriosus      53
Bibliofobia                    55
Bibliorrea                     57
Bibliotafia 1                  59
Bibliotafia 2                  62
Burla                          65

C
Calde pergamene                69
Calpestare libri               71


[...]


T
Taglierini                    447
Tanto Migne                   448
Tascabili                     450
Temibili faville              452
Teste calde                   454
Ti dico cosa leggere          455
Timbri                        457
Topolino                      458
Tutto il pubblicato           461

U
Uffiziuoli                    465
Ulisse frollato               467
Umidi amori                   469
Unghia femminile              471
Uovo di Colombo               473
Utensili                      475

V
Vendere autografi             481
Venuta la sera                483
Virtuoso                      485
Volubili e invidiosi          487
Volumi d'arte                 491

Z
Zyklon                        497


 

 

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Pagina 9

Premessa



                                       Una tale insaziabilità è sintomo evidente
                                       di uno spirito malato.

                                        LOUIS BOLLIOUD-MERMET, Sulla bibliomania



Questo libro racconta una nutrita serie di fatti inerenti all'amore per i libri, e tutti comprovano che si tratta di un mondo zeppo di ossessioni, frenesie, capricci e irragionevoli stramberie. Dire che chi acquista e accumula libri, forse anche chi li scrive, sia un invasato è quasi un pleonasmo: quel che segue ne è la prova.

La schedatura dei morbi librari si è finora ridotta a poche tipologie: l'amore illuminato ma stravagante della bibliofilia; la passione eccessiva della bibliomania; la debordante insania della bibliolatria; la psicosi conclamata della bibliofagia. Si tratta di quadri la cui condizione patologica affiora già solo nel porsi il quesito cardine sul primo grado, la bibliofilia: che senso ha affastellare libri che costituiscono un pesante problema di conservazione e pulizia? Che senso ha se ognuno di quei libri sarà toccato sì e no ogni quindici anni, in molti casi soltanto consultato e nemmeno letto? Atto vieppiù insensato se si osserva che non appena il collezionista passa a miglior vita, apatici eredi ne disperderanno la biblioteca.

E tuttavia, il cerchio delle potenzialità patologiche non si chiude con le citate, basilari tipologie. Ci sono decine di altri morbi: fenomeni curiosi, in qualche modo anche inquietanti o repellenti. Il compito che il libro si propone è di tentarne una prima enunciazione, ancorché sommaria. Non solo: siamo convinti che queste pagine possano concorrere a fondare la figura accademica del biblio-patologo, colui che studia le varie sindromi correlate alla fruizione del libro.

La definizione di bibliofilia che troviamo nelle enciclopedie novecentesche invita a reputarla un dolce piacere del vivere, un bonheur interamente votato ai libri. Ne cito una a caso: «L'amore illuminato e intelligente del libro, inteso come oggetto di umana civiltà, di bellezza, di rarità, di squisito diletto; il bibliofilo ama perciò, insieme al contenuto, l'eleganza della stampa, delle rilegature, e tutte quelle caratteristiche relative all'antichità, all'origine e alle vicende che possono rendere interessante un libro». La soavità del lemma e il dolce ductus della sua prosa nulla fanno sospettare quanto di morbosamente ossessivo ci sia tra le quinte, quale verminaio brulichi nel retroscena: un orizzonte di patimenti, affanni, spasmi e incubi. Un lazzaretto in cui qualcuno è andato a curiosare, ma senza fermarsi a ogni giaciglio. E allora vale la pena svelare le malattie ignote o poco indagate che negli ultimi tempi sono emerse all'attenzione, rendendo anche utile, addirittura conveniente, che chiunque frequenti i libri cominci ad avere dimestichezza con i propri malanni.

Un tema scottante è: bisogna vergognarsi della propria malattia? Eserciti di psicologi hanno studiato la questione in relazione ai casi del corpo. Ma come comportarsi se il morbo è librario? L'attrazione per i libri - in qualunque forma patologica s'avveri - è una condizione imbarazzante? Sembra di sì, visto che i contagiati, per una sorta di intimo rispetto nei riguardi del libro, sono persone che a fatica narrano piaceri e calamità della propria passione. Chi smania, che so, per la preparazione di manicaretti non esita a manifestare vittorie e insuccessi. Nel caso della seduzione esercitata dal libro, il fatto che sia oggetto morto ma fertile muove a occultare le liturgie morbose che l'amatore gli dedica, induce a tenere nascoste le umiliazioni o le soddisfazioni che se ne traggono.

Ragion per cui era necessario che qualcuno cominciasse a svelare lo sfaccettato cosmo dei morbi che affliggono chi ama i libri. Mi sono assunto quest'incarico, che non è - né mai sarà - compiuto. Troppa è la follia che si coagula attorno a quella cosa, amata e detestata, che si chiama libro.

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Pagina 15

AAA



All'origine di ogni morbo librario sta l'ingordigia: arriva il primo, poi ne entrano dieci, trenta e dopo i cento non ci si ferma più. Voraci e smaniosi si compie l'irreparabile: se ne accumulano tanti, troppi infine. E non è possibile fare altrimenti, specie se incalzati dalle sagaci norme di un bibliomane schietto come Giuseppe Pontiggia. Tra i punti di un suo licenzioso decalogo si protendono esortazioni che trillano dolcissime all'udito dei viziosi e di qualche più rara viziosa, creature degenerate che null'altro anelano se non sentirsi dire: non frenarti, coltiva dissoluto la perversione. Sobilla, Pontiggia, a essere dissipati: vanno acquistati i libri che si ha voglia la sera non necessariamente di leggere, anche solo di sfogliare. Se un libro attira, occorre non badare al costo: nulla può sanare l'angoscia di un acquisto mancato. È cosa triviale fare i moderati coi libri, conviene al contrario stilare progetti di spesa più elevati di quel che è ragionevole pensare. I libri vanno scelti anche per sollevare piacere e invidia negli altri. Mai indugiare nell'acquisto, se non rischiando di confrontarsi poi con l'esaurimento di quel titolo. E soprattutto, quando il prezzo è alto vale pensare al magico termine "investimento", «alibi di tutti gli affari irreali».

E se questo è il decalogo della frenesia, ne esiste anche uno della furbizia, perché chi acquista libri deve anche apprendere a farsi astuto, sia per garantirsi i pezzi che cerca e sia per non pagarli oltre ciò che valgono. È quel Decalogo del bouguineur con cui il grande libraio romano Roberto Palazzi metteva in guardia l'acquirente dai colleghi, e vale essere edotti su alcuni suoi punti. Errore spropositato è ad esempio dire, in presenza del libraio, «che bello questo libro, sono secoli che lo cerco, sono proprio fortunato ad averlo trovato», soprattutto se l'articolo non porta l'etichetta del costo. Dai piccoli venditori che ammassano libri senza prezzarli, quello desiderato - specie se di rilievo - va fatto nascostamente scivolare in una pila di vecchi gialli e va estratto poco dopo, come non valesse nulla e lo si acquistasse giusto per sfogliarlo in autobus. Mai parlare di libri con il libraio: è una spugna che assorbe dati, e se si parla di una certa edizione, la sua quotazione s'innalzerà come per miracolo. Merita sempre acquistare in luoghi non deputati al genere che si cerca: un raro titolo futurista va colto, se lo si trova, da chi vende fumetti e così via. Occorre non credere mai alla dichiarazione del libraio che la tale edizione è rarissima: quasi tutti i libri, prima o poi si trovano - altrimenti non esisterebbero i librai antiquari, né s'incrocerebbe per strada la morbosa genia dei bibliomani.


Giuseppe Pontiggia, Sull'acquisto dei libri, in Le sabbie immobili, Bologna, il Mulino, 1991, pp. 94-96.

Roberto Palazzi, Decalogo del bouguineur, volantino allegato a La pigrizia svelata dell'autore del «Catalogo delle librerie antiquarie e dell'usato in Roma & Programma delle sue edizioni future», Roma, 1978.

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Pagina 25

Anti-biblioteca



La nostra biblioteca è formata soprattutto di libri che non abbiamo letto e che ne costituiscono, in generale, la parte più cospicua: chi possiede migliaia di libri ne ha letti sì e no un decimo, anche se li ha distrattamente sfogliati tutti. La biblioteca privata è infatti uno strumento di ricerca, tale per cui i libri accumulati valgono più di quelli letti: è facile convenire sul fatto che una biblioteca serve se contiene la massa di ciò che non sappiamo, che è ben maggiore di quel che invece sappiamo. E dato che col passare degli anni aumentano le conoscenze, s'ingrossa anche il numero di libri da leggere, che si accumulano sempre più sugli scaffali.

Certo, la massa di libri è nemica dell'età senile, e chi soggiace al verbo dell'inutilità di ogni cosa man mano che l'età avanza, ha perso la battaglia con i libri. Tuttavia sono pochi i bibliofili che la perdono: i più combattono fino all'ultimo giorno, pur di serbare la loro anti-biblioteca di libri non letti, vale a dire il grosso della loro collezione. Ne discende che la domanda ricorrente «Li ha letti tutti?» non solo è priva di fondamento, ma anche sciocca nella sua essenza.

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Pagina 57

Bibliorrea



Per le sue tante modalità di manifestazione, la bibliorrea è patologia complessa. Il problema sta nel fatto che con lo stesso nome vengono indicati morbi distinti, e ciò crea una certa confusione.

Nell'accezione primaria la bibliorrea è Ia malattia sofferta da quegli scrittori che per esprimere un semplice pensiero usano almeno tre pagine, Proust in testa, ma a seguire Balzac e Dickens, per tacere di alcuni torrenziali contemporanei. Trattasi dunque dello scorrimento incontinente delle pagine, al modo della diarrea. Va tuttavia registrato che in medicina si classifica anche la gonorrea (flusso purulento dai canali sessuali per rapporto infetto), e infatti esiste una forma sporadica di bibliorrea che si rischia praticando una bibliocopula non protetta con pagine contaminate.

Non basta: la bibliorrea può anche manifestarsi come vera dissenteria. La può contrarre il bibliofago che ingerisce pagine contagiate da muffe o germi patogeni. Egli infatti è uno che non va tanto per il sottile, un po' come l'erotomane la cui sola preoccupazione è afferrare quel che capita «purché respiri». Fortunatamente, questa bibliorrea è spesso una forma lieve, sanabile assumendo un semplice farmaco contro le coliche.

Non sono però mancati casi gravi che si sono conclusi con l' exitus del bibliofago negligente. Pare che nell'enorme ventre di un grande cimitero nazionale si possa leggere una lapide con questa epigrafe: «L. B. 1880-1937. Nacque bibliofilo, divenne bibliofago, spirò bibliorroico». La notizia non è confermata, ma il caso è certamente singolare.

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Pagina 71

Calpestare libri



Tra le prime attestazioni d'amore per i libri sta un piccolo testo del 1344: Philobiblon di Riccardo di Bury, il cui titolo enuncia quella filobiblìa che null'altro è se non il diffuso morbo della bibliofilia. Breve lode della lettura e dei libri, l'opera fu stilata come guida per istituire una raccolta all'Università di Oxford. Erano decenni in cui pochi potevano beneficiare di libri la cui produzione implicava scriverli a mano. Accadde a Petrarca, che avviò con essi un rapporto filologico; e accadde a Riccardo di Bury, che in una società in cui la passione per i libri era sospetta, chiamò a testimoni i Padri della Chiesa, come facevano i buoni teologi.

Ma se anche il testo si chinava al dovere di citare le auctoritates, Riccardo era comunque un maniaco, come svela il suo biografo William de Chambre: «Aveva più libri lui di tutti gli altri vescovi inglesi messi insieme. Aveva una libreria in ognuna delle sue residenze e, dovunque si trovasse, nella sua camera da letto c'erano libri dappertutto, tanto che era difficile non calpestarli, quando ci si spostava o anche soltanto stando in piedi». E ammassare libri nelle proprie camere, al punto di doverli calpestare per passare da una all'altra, è uno dei sintomi peggiori della bibliomania.


William de Chambre, Continuatio historiae dunelmensis, in Anglia Sacra sive Collectio Historiarum de Archiepiscopis & Episcopis Angliae, Londini, Richardi Chiswel, 1691, p. 765.

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Pagina 97

Comprare la verità



Nel rapporto tra danaro e libri, una sola norma: se si possiede il danaro sufficiente, nessuna ristrettezza deve impedire l'acquisto di libri. Tanto più se si pensa alle origini del rapporto tra libro e uomo, quando il libro era appunto una venerata fonte di sapienza. La loro quotazione è determinata dalla saggezza che erogano, tesoro infinito per gli uomini: non è certamente caro il prezzo di un libro quando ciò che si acquista è un bene infinito. Riccardo di Bury ne conclude: «Perciò i libri bisogna comprarli con piacere e venderli malvolentieri, come ci esorta Salomone, sole degli uomini, in Proverbi XXIII: "La verità comprala" dice "e la sapienza non venderla"». E poiché non bisogna badare a spese per acquistare la verità, i primi a mettere in atto la regola sono i portatori della saggezza, i filosofi, come già narra Aulo Gellio: pur avendo un modesto patrimonio, Platone comprò tre libri del pitagorico Filolao per diecimila denari (e mai acquisto fu più fecondo: ne trasse il Timeo). Per parte sua, Aristotele acquistò alla morte di Speusippo alcuni suoi libri per tre talenti attici, vale a dire settantaduemila sesterzi. Insomma, il filosofo deve dare il buon esempio e spendere tanto, tutto, in libri.


Riccardo di Bury, Philobiblon, III, 13-15.

Aulo Gellio, Notti attiche, III, 17.

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Pagina 119

Darsi fuoco



Nel valutare la vicenda del dottor Peter Kien, grande sinologo protagonista del romanzo di Elias Canetti Auto da fé , incliniamo a catalogarla nei casi di "decesso per incendio di biblioteca". Quando invero l'incendio non è che l'evento terminale di una storia di squisita bibliotafia: Kien è uno che vive isolato dal mondo, un pedante, uno «studioso sepolto tra i suoi libri» secondo la definizione che Kant dà nell' Antropologia a questo genere d'uomo. È un bibliomane i cui scaffali occupano tutte le camere di casa, dal pavimento al soffitto, un malato di bibliolatria che nutre una passione talmente smisurata per i libri da svilupparla in maniera miserevole cedendo alla bramosia del possesso: è un topo di biblioteca che alla fine non incappa in un incendio ma lo provoca dandosi fuoco da sé.


Immanuel Kant, Antropologia pragmatica , Roma-Bari, Laterza, 1985, p. 97.

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Pagina 130

Disporre libri



Molti gli ordini scelti per la propria collezione libraria, tutti possibili, tutti specchio della propria follia, dal grado zero della semplice disposizione fatta a caso all'ordine specialistico di chi, con i libri, ci lavora. Alla fine, l'ordine che il maniaco sceglie è una sorta di combinazione irrazionale di più forme di schedatura razionale, quelle elencate da Georges Perec quando parlò di come catalogare i propri libri:
    per ordine alfabetico,
    per continente o paese,
    per colore,
    per data di acquisto,
    per data di pubblicazione,
    per formato,
    per genere,
    per grandi periodi letterari,
    per lingua,
    per priorità di lettura,
    per tipo e forma della rilegatura,
    per collane.



Sono tutte configurazioni che presentano qualche falla, come ha ben visto Jacques Bonnet. Se si sceglie l'ordine alfabetico, dove collocare le opere collettive e quella anonime? E dove i doppi autori (Fruttero e Lucentini vanno alla F o alla L)? Nel criterio del paese d'origine, la letteratura di lingua basca va ordinata in maniera autonoma? E per restare al caso della Spagna, vi ricade anche la letteratura catalana di Barcellona? Quando Ivo Andric vinse il Nobel nel 1961 era un letterato serbo-croato, ma poi pubblicò solo da autore serbo: dove collocarlo?

L'ordine per colori equivarrebbe a un immenso caos contenutistico e non merita commento. Se poi l'ordine è per rilegature e per formati, è intuibile dove si va a parare: un ordine piacevole, ma senza possibilità di ritrovare alcunché. La stessa cosa accadrebbe nell'ordine per data d'acquisto: dopo un po' ci si perderebbe. Non parliamo della data di pubblicazione: è quella della prima edizione o della ventunesima?

Se uno vuole ordinare la propria biblioteca per lingue come dovrà collocare Nabokov che scrisse in russo, francese e inglese? Come fare per la lingua spagnola? Dovrà ricomprendere anche scrittori dell'America Latina? E come comportarsi con le lingue dei paesi baltici, indoeuropee in Lituania e Lettonia, di ceppo ugro-finnico in Estonia?

Interessante l'ordine per priorità di lettura: è quello che fatalmente si forma quando gli occhi sono stanchi e si tengono a portata di mano i libri che si vorrebbero davvero leggere, ma che non si riuscirà a farlo. Bonnet conclude presentando il proprio ordine: per generi e sottogeneri, e alfabetico all'interno di ogni sottogenere. [...]

Per cui la morale diventa: ognuno disponga i propri libri come vuole, ne sortirà sempre un labirinto in cui si faranno tante più scoperte quanto più ci si perderà.


Jacques Bonnet, I fantasmi delle biblioteche, Palermo, Sellerio, 2009, pp. 43-47.

Georges Perec , Brevi note sull'arte e il modo di riordinare i propri libri, Milano, Henry Beyle, 2010.

Umberto Eco, De bibliotheca, in Sette anni di desiderio, Milano, Bompiani, 1983, p. 244.

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Pagina 135

Divorzio librario



Il luogo di raccolta per il bibliomane è l'abitazione in cui vive, che viene pian piano invasa. All'inizio i libri stanno nel luogo a loro consono: una camera detta "studio", ma presto devono conquistare nuovi spazi, e sorgono allora le scaffalature collocate alle pareti o sopra le porte dei corridoi. Quando i libri raggiungono la cucina o la camera coniugale cominciano i problemi seri. Non è caso raro che l'arrivo dei libri in camera da letto getti le basi di un divorzio.

Il bibliomane David Scott Mitchell, collezionista esagerato e specializzato in edizioni australiane, occupò l'intera casa in Darlinghurst Road 17 a Sydney, compresa la camera della domestica. E non è bello per una domestica dover vivere tra i vizi del padrone, un po' come essere fatte bersaglio di attenzioni fisiche.

Terminato lo spazio normale di un'abitazione, si passa a quello speciale. Il noto italianista bolognese Ezio Raimondi possedeva migliaia di libri, e un giorno confessò che non avendo più spazio ne accumulava anche in una vasca da bagno inutilizzata. Libri dentro una vasca da bagno, oppure su scaffali posizionati al gabinetto sopra la vasca da bagno, ne ho visti anche altrove, ad esempio nell'abitazione di un editore toscano. La collana di tascabili Penguin dello storico dell'editoria Nicolas Barker (nato nel 1932) è collocata nel gabinetto di casa sua a Londra.

Non è raro che una casa non sia sufficiente, e allora chi se lo può permettere ne acquista un'altra, semmai utilizzata esclusivamente per accumulo librario. L'autore di queste pagine ha conosciuto un accumulatore di edizioni futuriste che possedeva due appartamenti su un medesimo pianerottolo di condominio, e uno serviva ad ammassare i soli libri. Anche l'ultimo direttore della rivista «Belfagor» possedeva a Bari due appartamenti contigui, di cui uno utilizzato come biblioteca.


Australian Book Collectors, sv. Mitchell, David Scott, Bendigo, Bread Street Press, 2010, pp. 175-178.

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Pagina 143

Ebookmania e altro



Esistono patologie librarie poco studiate, che obbligano a creare nuove categorie.

Si può definire biblioaforismìa la propensione alla lettura frammentata. Affligge tutti coloro che non riescono a leggere un romanzo per intero e prediligono gli elzeviri, le prose brevi e i diari. Si tratta di soggetti turbati che custodiscono solo opere di Cecchi, Praz e Macchia.

Se oltre a essere frammentata, la lettura è anche compiuta frettolosamente e non dà alcun giovamento, il quadro è definito bibliopepsia.

Alla medesima categoria appartiene la bibliorfanìa, compulsiva inclinazione ad abbandonare il libro dopo averne letto poche pagine, se non una sola. Si tratta a volte di patologia indotta, la cui responsabilità è da ascrivere più alla qualità del libro che al lettore.

Appartiene alla famiglia anche il contagio che da qualche tempo sta infettando l'Occidente, la ebookmania, cioè la progressiva incapacità di leggere libri di carta a favore di quelli elettronici. Tale lettura avviene a spizzichi e bocconi: conosco rare persone che abbiano letto un intero libro elettronico, solo qualche facciata iniziale e poi videate qua e là, secondo una miseranda pratica epigrafica. In ogni caso, la ebookmania è di prognosi infausta: gli infermi non hanno speranza di guarigione e in genere finiscono i loro giorni in maniera meschina, balbettando frasi davanti a un blog.

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Pagina 157

Fame atrabiliare



È Jean Clair , già direttore del Museo Picasso di Parigi, a ricordare nel suo Diario atrabiliare di essere nato povero, e di aver fatto la fame da bambino. Poi la vita lo portò verso una carriera scintillante, ma il rifiuto di gettare il cibo - ad esempio il pane vecchio - gli rimase per sempre: idea insopportabile, effetto del ricordo della pancia vuota. Per una sorta di riflesso la stessa cosa accade oggi con i libri: fatica a decidere di buttarne via. Sarà l'incanto senza fine delle parole, sarà quella sorta di trascendenza che fa superare alla carta stampata il livello meramente profano: sta di fatto che Jean Clair i libri se li tiene tutti, a costo di imbottire l'appartamento. Non riesce insomma a buttar via un libro, così come non riesce a gettare un tozzo secco di baguette: «Entrambi sono preziosi, simboli di pace, di appagamento, segni che la vita è rientrata nell'ordine e che i bisogni saranno soddisfatti».

Che i bisogni saranno soddisfatti... sentire questo è come cogliere una delle maggiori verità inerenti al libro: appagatore di bisogni, proprio come per il pane.

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Pagina 205

Ghigliottina



Durante il Terrore, un condannato alla ghigliottina percorse a Parigi l'ultimo chilometro sulla carretta con un libro aperto e, poco prima di salire sul patibolo, tracciò un segno sull'ultima pagina che aveva letto, come se potesse continuare a farlo il giorno dopo. Quel condannato incarna il senso paradigmatico della lettura: se si è autentici lettori, affamati di pagine, si legge anche durante il viaggio estremo. Possiamo presumere che il tale avesse nella sua abitazione, prima dell'arresto giacobino, una certa quantità di libri, forse ne aveva addirittura troppi, come sembra attestare la passione manifestata sulla carretta.

Al netto delle ovvietà (leggere fa bene; leggere è utile; leggere sviluppa lo spirito critico; leggere ci apre le porte della storia e dei costumi degli altri, moltiplicando la nostra realtà fatalmente limitata), la fame di lettura è infatti complice dell'accumulo. Un'esperienza che Bonnet così descrive:


Ho passato l'infanzia a leggere tutto quello che mi capitava sottomano: tutti i libri e non solo quelli, ma anche i manifesti, le inserzioni, le réclame, i brandelli di giornale e, a tavola, le scritte sulle etichette delle bottiglie e delle scatole, fino a diventare uno specialista dei "fornitori esclusivi della Real Casa d'Inghilterra" e dei vincitori di medaglie alle fiere e ai concorsi di gastronomia. Una curiosità insaziabile mi spingeva a scoprire quello che si nascondeva dietro le parole e le frasi, la realtà sconosciuta alla quale esse davano accesso [...]. Il lettore insaziabile non è solo irrequieto: è anche curioso. E non è forse vero che la curiosità umana - che certi Padri della Chiesa condannano come inutile dopo la venuta del Cristo e addirittura empia da quando abbiamo i Vangeli - costituisce un fattore determinante delle nostre azioni? Non è un elemento fondamentale nell'esplorazione dei saperi, nelle scoperte scientifiche, nel progresso tecnico? Non è la molla essenziale del divenire umano? Ma la curiosità non ha limiti, è senza confini. Si nutre di se stessa, non si accontenta mai di ciò che trova, va sempre avanti e si spegne solo col nostro ultimo respiro.


Jacques Bonnet, I fantasmi delle biblioteche , Palermo, Sellerio, 2009, pp. 34-35.

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Pagina 207

Giaciglio



Scrittrice, sceneggiatrice, giornalista, attrice, ballerina e venditrice di cosmetici, Colette viveva praticamente a letto, luogo che amava sopra ogni altro. Scriveva a letto; mangiava a letto; telefonava stando a letto. Riceveva anche gli amici restandosene a letto. Ma il letto, assieme al canapè, fu luogo essenziale di creazione anche per Truman Capote , che riusciva a scrivere solo con le gambe allungate, col caffè e le sigarette sul comodino, e per tale ragione si definiva «autore orizzontale». Per parte sua Edith Wharton scriveva su un tavolino a gambe corte poggiato sul letto, solo dopo che su quel tavolino aveva consumato la colazione del mattino: a mano a mano che finiva un foglio manoscritto, lo gettava al suolo; una segretaria li raccoglieva, a uno a uno, e andava nell'altra camera a batterli a macchina.

Ma se questi sono esempi di scrittori immortalati nella loro pigrizia, il letto condivide in italiano con la coniugazione al passato del verbo leggere l'identità della forma. Anche chi ha molti libri e decide di leggerne qualcuno, non disdegna infatti la posizione orizzontale. Che solo il letto, o il canapè, donano in maniera molle e carezzevole.

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Pagina 211

Grado zero



La bibliofilia risiede in un primo momento a un livello pressoché inavvertito. Un tale s'interroga dove trovare la felicità e intuisce infine, dopo anni di vago sentore, che la sente ovunque ci siano libri: si profila il grado zero della bibliofilia. A quel livello l'uomo felice sente di amare i libri, con una devozione per il loro semplice "essere libri" che pian piano si consolida. Non si cura ancora di possederli: ciò a cui aspira - e che poi riuscirà progressivamente a soddisfare in minima misura rispetto alla quantità del desiderio - è di assorbire il testo e collocarlo in un canto della mente. La forma esteriore non è per lui di capitale importanza, anche se apprezza i gioielli usciti dalle tipografie, le fini pergamene, le rare edizioni: una volta aperto il libro, quel che tuttavia lo attrae è la sostanza. Il suo amore è paziente e sapiente, ma quando scorge una bancarella di vecchi libri comincia a esserne catturato. Non è detto che questo grado debba degenerare nei fastidi del bibliomane che mira a possedere e a toccare. Ma spesso degenera: il grado zero è l'inizio della malattia. Passerà poco tempo e, di libri, ne avrà già troppi. Provenendo dal paradiso del grado zero, si propone di leggere tutti quelli che comincia ad allineare sugli scaffali, e che poco dopo infilerà in cassetti ancora vuoti, ammucchierà sulle sedie o di fianco alla biancheria. Spera fino all'ultimo di goderseli tutti: accumula desideri, e si sente sempre giovane. La sua estrema illusione la riporrà negli eredi: la speranza che essi non li disperdano ma li vendano all'asta. In tal modo ogni titolo troverà almeno il proprio appassionato, sarà conservato e potrà concedere un attimo di felicità o anche accendere una luce. Per poi finire di nuovo nella ruota della speranza.

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Letti tutti?



Tipica del visitatore che ti entra in casa e riscontra la vastità della collezione libraria è la domanda: «Quanti libri! Li ha letti tutti?». È un quesito che può avere due cause: provenire da chi in salotto ha solo dieci libri non letti e fatica a concepire che nella vita se ne possano leggere mille; provenire da persone che considerano una biblioteca privata non uno strumento di lavoro o di piacere ma un deposito di libri letti.

Cosa rispondere a una domanda così insidiosa?

Si può impietosamente agire secondo l'uso di Roberto Leydi, che gelava l'ospite facendolo piombare in una condizione di stuporosa venerazione: «Molti di più, signore, molti di più».

Oppure, come ricorda Umberto Eco , adottare una risposta sprezzante: «Non ne ho letto nessuno, altrimenti perché li terrei qui?», rendendosi presto conto della pericolosità di quella sentenza, che poteva incitare come reazione l'ulteriore domanda: «E dove mette quelli che ha letto?». Rischio che lo aveva guidato a mettere a punto una nuova risposta: «No, questi sono quelli che debbo leggere entro il mese prossimo, gli altri li tengo all'università», frase che, al cospetto dei cinquantarnila volumi di Eco, induceva il visitatore ad anticipare il commiato, con la scusa di un impegno inderogabile.

Alla domanda, Alberto Manguel rispondeva invece che se proprio non li aveva letti, di sicuro li aveva aperti tutti, svelando in maniera definitiva una delle cause della patologia dell'accumulo: il fatto appunto che una biblioteca privata può anche essere, oltre che un affastellamento bibliofilo, uno strumento di lavoro. Conclude Manguel: «Il fatto è che una biblioteca, di qualunque dimensione essa sia, non ha bisogno di essere letta interamente per essere utile; ogni lettore beneficia di un giusto equilibrio tra conoscenza e ignoranza, ricordo e oblio».


Umberto Eco, Il secondo diario minimo, Milano, Bompiani, 1992, p. 134.

Alberto Manguel, La biblioteca di notte, Milano, Archinto, 2007, p. 211.

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Librorum avidum



Impossibile rinunciare ai libri per uno che parla così:

Non so saziarmi di libri. Probabilmente ne possiedo più del necessario ma con i libri succede come con le altre cose: riuscire ad avere ciò che si cerca stimola ulteriormente il desiderio. Nei libri c'è anzi un fascino particolare. L'oro, l'argento, le pietre preziose, le vesti di porpora, i palazzi di marmo, i campi ben coltivati, i dipinti, i palafreni con splendidi finimenti e tutte le altre cose di questo genere danno un piacere muto e superficiale, mentre i libri ci offrono un godimento molto profondo: ci parlano, ci danno consigli e, vorrei dire, vivono insieme a noi con una loro viva e penetrante familiarità.


È la celebre lettera, collocabile negli anni 1336-1340, che Petrarca scrive a Giovanni dell'Incisa (alias Giovanni Anchiseo), teologo e priore del convento di San Marco a Firenze. Vi confessa quel piacere dei libri che nasce dalla loro ricerca, dal possesso, dalla convivenza e da quella lettura che instaura un dialogo tra noi e loro. Anni dopo Petrarca rincara la dose scrivendo a Boccaccio il 28 maggio 1362, quando confessa di essere avido di libri (librorum avidum) e pronto a portarsi a casa tutti i libri dell'amico.

Il fatto è che tempo prima Pietro da Siena, predicatore capace di disseminare attorno a sé inquietudini e terrori, aveva dichiarato a Boccaccio e Petrarca di essere stato visitato da Cristo, che gli aveva lanciato uno spaventoso messaggio: se i due letterati volevano evitare la pena eterna dell'Inferno dovevano da quel momento dedicarsi solo ai fatti dello spirito, abbandonare la letteratura e rinunciare al possesso di libri. Ma mentre Boccaccio ne rimase sconvolto, Petrarca ne uscì ben più sereno ed esortò l'amico a non abbandonare la consolazione dei libri: se proprio non ce l'avesse fatta, orbene, lui, Francesco, si diceva pronto a custodire tutti i libri di Boccaccio.

Quella sua passione era più forte della minaccia di una dannazione eterna. Ma soprattutto: quella minaccia diventava occasione per portarsi a casa, se possibile, dei libri...


Francesco Petrarca, Lettere familiari, III, 18.

Francesco Petrarca, Lettere senili, I, 5.

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Pagina 293

Monomania



Ogni fenomeno patologico ha il proprio contrario, sempre patologico: e così come esiste la bulimia, esiste l'anoressia. Stessa cosa per i libri: a chi ne accumula troppi si contrappone chi - ugualmente malato - passa la vita con un solo libro. E se l'esempio del bulimico non va seguito, altrettanto dicasi per l'anoressico, colui che ha davanti agli occhi sempre lo stesso titolo. Da quest'uomo è bene guardarsi, come ebbe a dire Tommaso d'Aquino , che espresse così il proprio timore: «Timeo hominem unius libri». La cosa non meraviglia in chi soffrì in vita una insaziabile sete di conoscenza, riflessa in una straordinaria grafomania. Guardarsi insomma dal fanatismo, dalla esiziale monotonia dello specialismo che affossa l'esistenza su una sola materia, un solo libro. Per quanto incontrollabile e grave, nel mondo della carta è più piacevole la patologia bulimica.

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Pagina 332

Paper passion



Se non emana un certo aroma, un libro piace meno e ciò ha indotto un'azienda americana a produrre uno spray da nebulizzare sul lettore di e-book in modo da riprodurre la fragranza del libro nuovo appena comperato in libreria. Ben diversa l'invenzione dello stilista bibliofolle Karl Lagerfeld che, alcuni anni addietro, mise in commercio Paper passion: parfume for booklovers, un'essenza creata da Geza Schön e dedicata ad amatrici di libri. II prodotto appare come un libro con pagine rosse, al cui centro è stata ricavata una nicchia sagomata che accoglie la boccetta del profumo dedicato a donne bibliofile e, perché no?, anche a bibliofili di sesso maschile. A cosa debba infine servire non è chiaro, ma di certo il suo impiego migliora le relazioni.

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Pagina 333

Paradisi



Accade sovente che i malati della carta equiparino la biblioteca al Paradiso, provando in maniera definitiva che si tratta di gnostici, più o meno dichiarati.

Già gli arabi custodiscono nella loro millenaria cultura questo proverbio: «Il paradiso terrestre si trova tra i seni di una donna, a dorso di un cavallo, tra le pagine di un libro». Borges raccontò un giorno che una biblioteca era uno spazio interminabile di cose belle, dunque metafora del Paradiso, e argomentò citando un motto: «La Biblioteca è una sfera il cui centro esatto è qualsiasi esagono, e la cui circonferenza è inaccessibile». Anche Bachelard si chiese un giorno se per caso il Paradiso non fosse davvero un'immensa biblioteca; ed Eco per parte sua dichiarò qualcosa di ancor più radicale: che la forma di una biblioteca l'avrebbe concepita addirittura Dio, se esistesse.

In tema paradisiaco, la carta è d'altra parte la materia su cui si è inteso misurare il divino, come accade nella patafisica, la cui più singolare conquista scientifica è il calcolo della superficie di Dio. La sua dimostrazione occupa l'ultimo capitolo delle Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico di Alfred Jarry e parte da una corretta affermazione di metodo:

Dio è inesteso per definizione, ma ci è permesso, per la chiarezza dell'enunciato, attribuirgli un qualsiasi numero di dimensioni più grande di zero. [...] Ci accontenteremo di due dimensioni affinché si possano agevolmente rappresentare figure di geometria piana su un foglio di carta.


Un più analitico sviluppo fu realizzato da Boris Vian quando, nel brano Calcoli vari riguardanti Dio alcuni dei quali sono falsi, si lanciò nella complessa rivelazione matematica che Dio e Zero si equivalgono.


Jorge Luis Borges, Finzioni. La biblioteca di Babele, in Tutte le opere, Milano, Mondadori, 1984, vol. I, p. 681.

Alfred Jarry, Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico, cap. XLI Della superficie di Dio, Milano, Adelphi, 1984, p. 138.

Boris Vian, Calcoli vari riguardanti Dio alcuni dei quali sono falsi, in Enrico Baj, Patafisica. La scienza delle soluzioni immaginarie, Milano, Bompiani, 1982, pp. 107-111.

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Pagina 355

Peso della cultura



Chi è malato di libri ne raccoglie ben più di quelli che potrà mai leggere, facendo della propria biblioteca un organismo smisurato. E mai si avverte quanto pesa la cultura come quando si cambia casa e bisogna portarsi appresso gli amati libri.


[...] solo che a ogni trasloco i libri erano sempre di più: duemila, tremila, cinquemila... troppi, ma pur occupando troppo spazio nessuno di loro merita di essere buttato via. Non c'è stata volta nella quale abbia deciso di rinunciare a un libro, a una plaquette, a una garzantina. Mai durante un trasloco: sarebbe stato come infierire su una creatura in difficoltà.

Sono tutti qui, e non più in ordinata schiera: ammassati invece, a file sovrapposte, a pile, a mucchi. A testimoniare che il peso della cultura è davvero notevole.

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Pagina 368

Posture congrue



Il lettore legge seduto, in piedi (camminando o no) oppure sdraiato. La posizione sdraiata è quella che concede ai lettori accaniti di assimilare meglio il testo, come se la posizione del sonno sia quella che permette di far entrare le parole nell'immaginario, nel mondo stesso in cui fluttuano i sogni.

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Pagina 383

Realtà compiuta



Tipico del malato di libri è osservare la realtà ma non intenderla compiutamente se non leggendo poi un libro che ne parli. Capita spesso, e semmai il paziente non se ne accorge: visita un luogo e reputa che non sia ben visto se non prolunga il sapere con un libro che prontamente si procura. Accade anche sempre con le mostre d'arte: si acquista il catalogo perché si ha la sensazione che visitare la mostra non sia sufficiente. La patologia è tipicamente umana, intra-specifica, ma fatalmente grave.

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Pagina 485

Virtuoso



In uno snello saggio viene introdotta una categoria patologica importante: quella del bibliomane virtuoso. Sottolinea l'autore quanto tiene a distinguersi «dai bibliomani non virtuosi, conosciuti anche come bibliomani ignoranti o vani, povere anime affette da un morbo che li costringe a circondarsi di oggetti che non utilizzano, o utilizzano solo di contorno, magari stipati frettolosamente in una libreria o abbandonati su improvvisati ripiani, quasi a suggello di una delusione ricevuta, o impilati a terra - torri vacue e vacillanti, simboli vuoti, tristi monumenti dedicati alla Babele che inesorabilmente li attanaglia e li imprigiona».

Lui invece compulsivamente legge e gode tutti i libri che si procura: li annusa, li sfoglia, li pulisce, li riveste, li sistema in spazi adeguati, li custodisce con tutte le attenzioni. Ma soprattutto li legge voracemente, perché la bibliomania virtuosa si caratterizza soprattutto per questo carattere: la lettura di tutti i libri che, per acquisto o altre vie, entrano in una raccolta privata. E tuttavia il bibliomane virtuoso porta in sé una diversa forma di follia: bisogna essere pazzi per leggere tutti i libri acquistati. E poi il non-virtuoso, lasciandoli intonsi, è colui che alla dipartita - nel momento in cui la sua collezione si disperderà - assicura la trasmissione di buoni libri e fa la gioia di altri bibliomani.


Giacomo Marcacci, Bibliomania, Bologna, Pendragon, 2018, p. 7.

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Pagina 487

Volubili e invidiosi



Facile definire il bibliomane: è colui che, invaso dal furore di possedere libri, ne compra masse a casaccio oppure dà la caccia alle rarità al solo scopo di possederle. Se valutiamo il termine come variazione di "bibliofilo", il confine tra i due termini è sottile. In via generale il bibliofilo possiede i libri, il bibliomane ne è invece posseduto: il desiderio insaziabile di libri lo getta nell'angoscia; a loro si consacra e gli dedica ogni risorsa terrena e spirituale. Se dunque una definizione è possibile, complicato invece catalogarne le famiglie.

[...]


Paul Lacroix, I cultori di vecchi libri in Anatole France e Paul Lacroix, Libri da morire: perché non desiderare i libri d'altri, Roma, Robin edizioni, 2014, pp.210,212

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