Autore Noam Chomsky
Titolo Capire il potere
Edizioneil Saggiatore, Milano, 2017 [2003], La Cultura 1076 , pag. 601, cop.fle., dim. 15,4x21,5x5,2 cm , Isbn 978-88-428-2335-3
OriginaleUnderstanding Power [2002]
CuratorePeter R. Mitchell, John Schoeffel
TraduttoreS. Accardi, G. Carlotti, P. Modola, C. Salmaggi, L. Sgorbati Buosi, G. Carini
LettoreRiccardo Terzi, 2017
Classe politica , storia contemporanea , paesi: USA , movimenti , guerra-pace












 

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Indice


Prefazione dei curatori                                           9

Sugli avvenimenti dell'11 settembre 2001                         11


1.  Seminario: seduta inaugurale

I risultati raggiunti dalla dissidenza interna 13;
La rete di stati terroristi al servizio degli Stati Uniti 16;
Rovesciare governi nel Terzo mondo 19;
Segretezza governativa 24;
I media: un'analisi istituzionale 27;
Il "modello della propaganda" messo alla prova 30;
I media e l'opinione dell'élite 34;
Il filtraggio delle notizie 41;
Onesta subordinazione 48;
"Battetevi meglio": i media e la guerra del Vietnam 50


2.  Seminario: dopo il caffè                                     57

Il "contenimento" dell'Unione Sovietica durante la Guerra fredda 57;
Il mondo di Orwell e il nostro 62;
La povertà contemporanea 66;
Il fanatismo religioso 73;
"Il vero antisemitismo" 75;
Ronald Reagan e il futuro della democrazia 77;
Due nuovi fattori negli affari mondiali 83;
La democrazia sotto il capitalismo 86;
L'impero 90;
Mutamento e futuro 94


3.  Seminario: sera                                              97

Il complesso militare-industriale 97;
L'economia di guerra permanente 100;
Terrorismo libico e terrorismo americano 105;
Gli USA e l'ONU 113;
Affari, apartheid e razzismo 117;
Vincere la guerra del Vietnam 120;
"Genocidio": gli Stati Uniti e Pol Pot 122;
Eroi e antieroi 124;
"Anti-intellettualismo" 126;
Sport spettacolo 129;
L'attivismo in Europa occidentale e in Canada 132;
Abbandonare le illusioni 134


4.  Colloquio                                                   137

La tendenza totalitaria 137;
Una Lituania ipotetica 140;
Lavaggio del cervello in libertà 142;
Giornalismo alla LeMoyne: un esempio di comportamento cinico 147;
Ripensare il Watergate 149;
Sfuggire all'indottrinamento 152;
Capire il conflitto in Medio Oriente 156;
Il pericolo della pace 159;
L'acqua e i territori occupati 162;
Ambizioni imperiali e minaccia araba 164;
Prospettive per i palestinesi 167;
Legittimazione storica 168;
Requisiti per parlare degli affari del mondo;
    una campagna presidenziale 170


5.  Governare il mondo                                          175

Soviet contro sviluppo economico occidentale 175;
Sostenere il terrore 179;
"Repubbliche democratiche socialiste popolari" 180;
Il traffico di organi 182;
Il vero delitto di Cuba 184;
Panama e le invasioni popolari 187;
Musulmani e politica estera degli Stati Uniti 190;
Haiti: disordini in una base per le esportazioni 191;
La Texaco e la rivoluzione spagnola 195;
Impedire la democrazia in Italia 196;
Pubbliche relazioni in Somalia 199;
La guerra del Golfo 201;
Bosnia: domande sull'intervento 208;
Trastullarsi con l'India 209;
Gli accordi di Oslo e il ritorno dell'imperialismo 211


6.  Gli attivisti nelle comunità                                215

Dibattito 215;
Il primo movimento per la pace e
    il cambiamento degli anni settanta 219;
Il movimento per il congelamento delle armi nucleari 223;
Presa di coscienza e azione 225;
Leader e movimenti 226;
Livelli di cambiamento 228;
Non violenza 231;
Superare il capitalismo 233;
L'esperimento dei kibbutz 234;
"Anarchia" e "libertarismo" 237;
Precisazioni 239;
La creazione dei "bisogni" 241;
I dissidenti: ignorati o denigrati 243;
Insegnare la resistenza 249;
Isolamento 250;
La scienza e la natura umana 252;
I ciarlatani della scienza 255;
Adam Smith: vero e falso 259;
Il computer e la mazza 260


7.  Gli intellettuali e il mutamento sociale                    263

L'intellighenzia leninista-capitalista 263;
"Teoria" marxista e mistificazioni intellettuali 266;
Il controllo ideologico nella scienza e nelle scienze umane 270;
La funzione della scuola 271;
Metodi di controllo sottili 277;
Metodi di controllo più rozzi 281;
Il destino di un intellettuale onesto 282;
La costruzione della cultura della classe lavoratrice 286;
La truffa dell'economia moderna 288;
Il "vero" mercato 292;
L'automazione 296;
Un mutamento rivoluzionario dei valori morali 298


8.  La lotta popolare                                           305

Scoprire nuove forme di oppressione 305;
Libertà di parola 306;
Libertà positive e negative 311;
Cyberspazio e attivismo 315;
Accordi sul "libero scambio" 319;
Finanziamenti del ministero della Difesa e "soldi puliti" 324;
Stati favoriti e stati nemici 326;
I media canadesi 328;
Il Québec dovrebbe separarsi dal Canada? 331;
Decifrare la "Cina" 332;
I campi di sterminio in Indonesia:
    il genocidio a Timor Est spalleggiato dagli Stati Uniti 335;
I massacratori a Harvard 338;
Cambiamenti in Indonesia 340;
La proliferazione nucleare e la Corea del Nord 342;
L'opzione Sansone 344;
La sorte dei palestinesi 346;
Le ambizioni dell'OLP 352;
Il sistema degli stati nazionali 355


9.  Organizzare il movimento                                    359

Il film "La fabbrica del consenso" 359;
Attivismo mediatico 364;
L'autodistruzione della sinistra americana 368;
Educazione popolare 373;
La politica del terzo partito 375;
Boicottaggi 380;
"Una prassi" 381;
La guerra contro i sindacati 382;
Istruzione pubblica 385;
Difendere il welfare state 386;
I fondi pensione e la legge 389;
Teorie del complotto 391;
La decisione di impegnarsi 394;
"La natura umana è corrotta" 399;
Scoprire la moralità 400;
Aborto 402;
Valori morali 402


10. La svolta                                                   407

Aprire gli occhi sul Terzo mondo 407;
Welfare: il granello di sabbia e la montagna 411;
Controllo del crimine e persone "superflue" 415;
Violenza e repressione 418;
Il capitale internazionale: la nuova età imperiale 422;
Un'economia da favola 427;
Costruire sindacati internazionali 428;
Mosse iniziali e crisi incipiente 433;
La pianificazione sfugge di mano alle élite 436;
Scontento tra la popolazione disagiata 442;
Sull'orlo del fascismo 445;
Il futuro della storia 447


Note                                                            449
Indice analitico                                                585


 

 

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Pagina 126

"Anti-intellettualismo" [1989]


UNA DONNA : Noam, mi sono accorta che nella società americana c'è in generale una forte propensione all'anti-intellettualismo.

Quando dice "anti-intellettualismo", che cosa intende esattamente? Vuol dire che secondo la gente Henry Kissinger non dovrebbe essere consigliere per la sicurezza nazionale?


UNA DONNA : Be', mi sembra che ci sia un comune sentire in base al quale sei screditato se ti occupi di idee. Per esempio, io tornerò a casa e dirò ai miei colleghi di aver passato l'intero weekend ad ascoltare uno che parlava di politica estera, e loro non lo considereranno in modo positivo.

Già, perché avresti dovuto andare in giro a fare soldi, o guardare sport o roba del genere. Ma non lo definisco un comportamento "anti-intellettuale", è solo spoliticizzato: che cosa c'è di così "intellettuale" nell'interessarsi al mondo? Se avessimo sindacati che funzionano, la classe operaia si interesserebbe al mondo. In realtà in molti posti è così: i contadini salvadoregni si preoccupano del mondo e non sono "intellettuali".

Certo, queste sono parole singolari. Voglio dire che, nell'uso corrente, essere un "intellettuale" non ha praticamente nulla a che vedere con il lavoro della mente: sono due cose diverse. Ho il sospetto che molte persone nelle loro botteghe artigiane, nelle loro officine di autoriparazioni e così via facciano altrettanto - se non più - lavoro intellettuale di molta gente che sta all'università. Nel mondo universitario esistono vaste aree in cui il lavoro definito "erudito" non è altro che lavoro impiegatizio; e non credo che il lavoro impiegatizio sia intellettualmente molto più impegnativo che riparare il motore di un'automobile. A dire il vero penso il contrario: io sono in grado di fare un lavoro impiegatizio, ma non saprei mai riparare il motore di un'automobile.

Perciò, se con "intellettuale" ci riferiamo a chi usa la sua mente, allora si tratta dell'intera società. Se con "intellettuale" ci riferiamo a chi appartiene a quella particolare classe che si occupa di imporre i pensieri, di preparare le idee per chi ha il potere, di dire a tutti che cosa devono credere e così via, be', allora il discorso cambia. Queste persone sono chiamate "intellettuali", ma in realtà somigliano di più a una sorta di sacerdoti laici, il cui compito è preservare le verità dottrinarie della società. Da questo punto di vista, la popolazione deve essere anti-intellettuale: credo che sia una reazione sana.

Se infatti confrontiamo gli Stati Uniti con la Francia - o con gran parte dell'Europa, sotto questo aspetto - penso che una delle cose sane degli Stati Uniti sia proprio questa: c'è pochissimo rispetto per gli intellettuali in quanto tali. E non deve esserci. Che cosa c'è da rispettare? Voglio dire che in Francia, se appartenete all'élite culturale e vi capita di tossire, esce un articolo in prima pagina su Le Monde. Ecco perché la cultura intellettuale francese è tanto farsesca: è come Hollywood. Siete sempre davanti alle telecamere e dovete sempre fare qualcosa di nuovo per restare voi al centro dell'attenzione, e non il tipo al tavolo accanto; e la gente non ha idee tanto buone, così deve uscirsene con un mucchio di sciocchezze e gli intellettuali diventano tutti pomposi e pieni di sé. Ricordo che durante la guerra del Vietnam c'erano grandi campagne internazionali contro la guerra e qualche volta mi chiesero di firmare lettere, per esempio, con Jean-Paul Sartre. Io firmai qualche dichiarazione e in Francia questo finì sulle prime pagine. Qui da noi nessuno ne parlò. I francesi lo trovarono scandaloso, io invece lo trovai magnifico: perché diavolo qualcuno avrebbe dovuto parlarne? Che differenza fa se due tipi casualmente famosi firmano insieme una dichiarazione? Perciò credo che la reazione americana sia molto più sana, da questo punto di vista.


UNA DONNA : Sì, però lei ci ha parlato di un certo numero di libri che sostengono alcune sue argomentazioni: non potrebbe conoscere tutte queste cose se non li avesse letti.

Lei ha ragione, ma vede, quello è il riflesso di un privilegio, non il riflesso di una vita intellettuale. Il fatto è che chi lavora nell'università gode di molti privilegi. Tanto per cominciare, contrariamente a quanto dicono molti, non si lavora così duramente. E poi si è padroni del proprio lavoro. Voglio dire che puoi decidere di lavorare ottanta ore alla settimana, ma sei tu a decidere quali. Questa è una differenza enorme: è uno dei pochi settori in cui puoi controllare il tuo lavoro. Disponi inoltre di tantissime risorse: sei stato istruito, sai come utilizzare una biblioteca, segui la pubblicità dei libri, così sai quali vale probabilmente la pena di leggere, sai che ci sono documenti declassificati perché lo hai appreso da qualche parte a scuola, e sai come trovarli perché sei capace di utilizzare una biblioteca di consultazione. E questo insieme di abilità e privilegi ti consente di accedere a moltissime informazioni. Ma non ha nulla a che fare con l'essere "intellettuali": nelle università ci sono moltissime persone che hanno tutto questo, che usano tutto questo e tuttavia svolgono un lavoro impiegatizio. Cosa del tutto possibile: puoi ottenere documenti declassificati, puoi copiarli, confrontarli, poi prendere un appunto su qualche nota a piè di pagina che fa riferimento a qualcos'altro. Gran parte delle ricerche in questi settori è proprio di questo tipo. Date un'occhiata alle monografie, ogni tanto: certa gente non ha neppure un'idea in testa. Penso che ci sia meno lavoro intellettuale in molte facoltà universitarie di quanto non ce ne sia nel tentativo di scoprire che cosa non va nella mia automobile, che richiede una certa creatività.


UNA DONNA : D'accordo, accettiamo che il meccanico dell'officina sia un intellettuale; allora, seguendo il processo inverso, credo che dovremo accettare anche che chi lavora correttamente con i libri e non è un impiegato, è un intellettuale.

Be', se con "intellettuale" si riferisce a coloro che usano la propria mente, d'accordo. Non credo però che la gente sia anti-intellettuale in quel senso. Per esempio, lei porta la sua auto da un meccanico veramente bravo, il solo in città a poter scoprire il guasto: quelli della fabbrica non saprebbero mai farlo, ma questo tipo è proprio portato per le automobili; osserva la sua macchina, poi comincia a smontarla... Lei non guarderà dall'alto in basso quella persona. Nessuno guarda dall'alto in basso quella persona. La si ammira.


UNA DONNA : Ma la gente disprezza chi legge i libri.

Vede, questo tipo può aver letto libri; forse ha letto il manuale. I manuali non sono di facile lettura; credo che in realtà siano più difficili della maggior parte dei libri accademici.

Non sto tentando di contraddirla, penso solo che dovremmo considerare diversamente la cosa. Esiste il lavoro intellettuale, svolto da moltissime persone; poi c'è quella che si chiama "vita intellettuale", un'attività particolare che non richiede molto pensiero - in realtà è meglio se non si pensa troppo - e che consiste nell'essere uno stimato intellettuale. La gente ha ragione a disprezzarla, perché non ha nulla di speciale. È un'attività poco interessante, e di solito esercitata non troppo bene.

A mio parere è sbagliato che una società abbia queste differenziazioni. Il mio primo retroterra culturale è stato un ambiente operaio ebraico, in cui la gente non riceveva un'istruzione regolare e tutti lavoravano - chi era commesso, chi cucitrice e così via - ma erano tutti istruiti: io li chiamerei intellettuali. Non erano "intellettuali" nel senso comunemente usato, ma tutti avevano alle spalle buone letture, pensavano alle cose, discutevano sulle cose: non c'è alcuna ragione per non farlo quando si è cucitrici.

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Pagina 129

Sport spettacolo [1989]


UNA DONNA : Può dirci qualcosa di più sul ruolo sociale svolto dallo sport nello spoliticizzare la gente? Mi sembra più importante di quanto non si creda comunemente.

In effetti è un argomento interessante. Personalmente non ne so molto, ma anche solo osservando il fenomeno dall'esterno è ovvio che gli sport professionistici, e in generale gli sport che non comportano partecipazione, svolgono un ruolo enorme. Per esempio è fuori di dubbio che attirino una quantità spaventosa di attenzione.

Quando guido, ho l'abitudine di accendere la radio e di sintonizzarmi sui programmi con interventi del pubblico: quelli dedicati allo sport sono impressionanti. Ci sono gruppi di giornalisti sportivi o di esperti, che formano una sorta di commissione, e la gente chiama per discutere con loro. Innanzitutto il pubblico dedica ovviamente un'enorme quantità di tempo a tutto questo. Ma la cosa più impressionante è che chi chiama è molto competente, conosce tutto nei minimi dettagli e sostiene discussioni assai complicate. E non ha alcun timore reverenziale verso gli esperti, cosa che trovo un po' insolita. Per lo più nella nostra società siamo incoraggiati a rimetterci agli esperti: tutti lo facciamo più di quanto dovremmo. In questo campo, però, sembra che la gente non lo faccia: sono felicissimi di avere una disputa con l'allenatore dei Boston Celtics, di dirgli quello che avrebbe dovuto fare, di addentrarsi con lui in grandi discussioni e così via. Il fatto è che in questo campo la gente si sente in un modo o nell'altro sicura di sé ed è molto competente; in tutto questo entra ovviamente in ballo una grande quantità d'intelligenza.

In effetti questo mi ricorda in qualche modo quanto si può scoprire nelle culture prive di istruzione o non tecnologiche - quelle che definiamo "primitive" - dove, per esempio, si trovano elaboratissimi sistemi di parentela. Alcuni antropologi credono che tali sistemi siano in relazione con i tabù dell'incesto e cose del genere, ma è improbabile, perché sono complicati molto oltre qualsiasi utilità funzionale. E quando osserviamo le loro strutture, esse sembrano avere caratteristiche matematiche. È come se volessero elaborare problemi matematici e, non disponendo di analisi matematica e aritmetica, facessero ricorso ad altre strutture. Una delle strutture comuni a tutti questi gruppi è quella dei rapporti di parentela: perciò elaborano le loro complesse strutture intorno ad essa e creano esperti, teorie e quant'altro. Un'altra cosa riscontrabile qualche volta nelle culture prive di istruzione è lo sviluppo di sistemi linguistici straordinari: spesso hanno un linguaggio molto sofisticato e la gente lo utilizza per ogni tipo di giochi. Così ci sono riti della pubertà in cui le persone che attraversano lo stesso periodo di iniziazione sviluppano il loro proprio linguaggio, che è di solito una modificazione della lingua normale, differenziata attraverso operazioni mentali alquanto complesse: rimane allora il loro linguaggio per sempre, diverso da quello degli altri. Sembra che alla base di tutto questo ci sia il fatto che la gente vuole utilizzare in qualche modo la propria intelligenza e, quando non possiede tecnologie o cose simili, lo fa in altri modi.

Bene, nella nostra società abbiamo cose sulle quali potremmo usare la nostra intelligenza, come la politica, ma in realtà la gente non vi si può impegnare molto seriamente, perciò si dedica a cose come lo sport. Sei addestrato a essere ubbidiente, hai un lavoro che non ti interessa, in giro non c'è un lavoro creativo per te, in campo culturale sei uno spettatore passivo di roba solitamente di cattivo gusto, la vita politica e sociale è al di là della tua portata ed è nelle mani dei ricchi. Cosa rimane? Be', resta lo sport, per esempio: così metti un sacco di intelligenza, di pensiero e di fiducia in te stesso nello sport. Credo anche che questa sia una delle sue funzioni fondamentali nella società in generale: tiene la popolazione occupata e la scoraggia dal provare a impegnarsi nelle cose davvero importanti. Suppongo infatti che in parte sia questa la ragione per cui le istituzioni dominanti sostengono così tanto lo sport spettacolo.

Lo sport spettacolo ha anche altre utili funzioni. Tanto per cominciare, costituisce un metodo eccellente per far crescere lo sciovinismo: si comincia molto presto nella vita a sviluppare questo tipo di lealtà totalmente irrazionale, che poi si trasferisce molto facilmente in altri campi. Ricordo benissimo che al liceo ebbi una sorta di Erlebnis, un'intuizione improvvisa, sapete, e mi chiesi: «Perché dovrebbe importarmi della vittoria della squadra di football del mio liceo? Non conosco nessuno della squadra e loro non conoscono me. Se li incontrassi non saprei cosa dire. Perché dovrebbe importarmi? Perché quando la squadra vince sono tutto eccitato e mi deprimo quando perde?». È proprio così: dove stavo io vi insegnavano fin da bambini che dovevate interessarvi ai Philadelphia Phillies. In realtà sembra che ci sia un fenomeno psicologico di mancanza di fiducia in se stessi o qualcos'altro del genere che colpisce i ragazzi della mia età cresciuti a Filadelfia, perché ogni squadra era sempre ultima in classifica e questo è un duro colpo per il tuo ego, e la gente te lo fa sempre pesare.

Il fatto è che un tale sentimento di lealtà irrazionale verso qualche tipo di comunità priva di senso rappresenta una preparazione alla subordinazione al potere e allo sciovinismo. Naturalmente stiamo guardando dei gladiatori, gente che fa cose probabilmente impossibili per noi: non possiamo saltare oltre cinque metri con l'asta o compiere le imprese folli degli atleti. Però è un modello al quale siamo tenuti a ispirarci. Sono gladiatori e combattono per la nostra causa, così dobbiamo tifare per loro e dobbiamo essere felici quando l'attaccante avversario è trasportato via dal campo fuori combattimento. Tutta questa roba incoraggia aspetti tra i più antisociali della psicologia umana, aspetti che indubbiamente sono già presenti, ma che vengono accentuati, esagerati e portati allo scoperto dallo sport spettacolo: la competitività irrazionale, la lealtà irrazionale ai sistemi di potere, l'acquiescenza passiva a valori piuttosto spaventosi, ecco di che cosa si tratta. Effettivamente è difficile immaginare qualcosa di più adatto a favorire atteggiamenti autoritari, oltre al fatto che impegna un sacco di intelligenza e distoglie la gente da altre cose.

Considerando il fenomeno nel suo insieme, mi sembra che svolga un ruolo sociale sostanziale. Non credo che sia l'unico ad avere questo tipo di effetti: le soap opera, per esempio, lo fanno in un altro campo, insegnando un altro genere di passività e di assurdità. Di fatto, se si vuole realmente condurre una seria critica generale dei media, questo è il tipo di cose che ne occupano la maggior parte, dopo tutto: l'occupazione prevalente dei media non è fornire notizie sul Salvador a persone politicamente preparate, ma distogliere la popolazione dalle cose davvero importanti.

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Pagina 167

Prospettive per i palestinesi [1990]


UNA DONNA : C'è qualche speranza di giustizia per le centinaia e centinaia di migliaia di palestinesi che sono stati cacciati in questi anni dalla loro patria, e per quelli che stanno ancora in Israele e nei territori?


La realtà è che quasi tutti i profughi palestinesi non torneranno mai in Palestina, è un dato assodato, come dire che gli indiani d'America non riavranno mai le terre che possedevano nel continente americano. Quindi sotto questo aspetto non ci sarà mai giustizia. E non c'è via d'uscita: se mai ci fosse la possibilità che un gran numero di palestinesi rientri in quella che era la Palestina, Israele farebbe saltare in aria il pianeta, è capace di farlo. Quindi non succederà mai.

Allora l'unica domanda da porsi è: quale forma limitata di giustizia si può ottenere? Una domanda spinosa. Se Israele non riesce a soffocare l'Intifada a un prezzo ragionevole, gli Stati Uniti e lo stato ebraico potrebbero cambiare la loro posizione iniziando ad accettare qualche genere di autodeterminazione palestinese. In questo caso ci sarà da considerare seriamente che cosa s'intende per "accordo a due stati", e la realtà è che non è tanto facile da immaginare per alcune delle ragioni che ho già citato: ci sono i problemi delle risorse, quelli dell'integrazione tra le diverse zone, della definizione dei confini. Ricordate che la risoluzione dell'ONU che spartiva la Palestina [nel 1947] non invocava specificamente due stati, chiedeva una federazione economica, una scelta abbastanza realistica. Tutti quelli che sono stati da quelle parti sanno che due stati non avrebbero molto senso, perché si tratta di regioni troppo integrate, i confini sono di fantasia, e se ci pensate seriamente capite che non funzionerebbe. Perciò l'unica scelta sensata sarebbe una specie di federazione. Però è facile prevedere che cosa succederà: ci saranno due stati, solo che ne esisterà per davvero soltanto uno, e l'altro raccoglierà la spazzatura.

Infatti sospetto che sarà questa la prossima proposta, e arriverà sotto la bandiera dell'"accordo a due stati"; sarà molto più difficile eccepire perché allora la gente dovrà guardare davvero oltre i titoli di testa per capire che cosa sta succedendo. Tuttavia arrivare a una confederazione decente tra israeliani e palestinesi, con una sovranità realmente divisa, sarà estremamente difficile, questo dobbiamo ammetterlo. E credo che sia più o meno l'unica soluzione sensata, è l'unica forma limitata di giustizia che vedo.


UN UOMO : C'è anche da tenere presente la diversa mentalità di ebrei e arabi, non crede? Non sarà sempre un ostacolo per la pace?

Sono la stessa gente, hanno la medesima mentalità. Sanguinano quando si tagliano, piangono quando i loro figli vengono uccisi. Non noto alcuna differenza.




Legittimazione storica


UNA DONNA: Crede che il passare del tempo legittimerà Israele, anche se forse è partito con il piede sbagliato sloggiando la popolazione autoctona con metodi razzisti?

Mah, sì, la risposta generale alla sua domanda dev'essere un sì. Altrimenti dovremmo tornare ai tempi delle tribù di cacciatori-raccoglitori, perché tutta la storia è stata illegittima.

Voglio dire, prendiamo un caso simile a quello dei palestinesi, su cui noi americani dovremmo riflettere, prendiamo gli Stati Uniti. Credo che non sia stato bello come gli israeliani hanno trattato i palestinesi, ma se lo confrontiamo con il trattamento che i nostri antenati riservarono alle popolazioni indigene è un paradiso.

Qui negli Stati Uniti abbiamo commesso un genocidio, punto e basta. Un genocidio vero e proprio. E non solo negli Stati Uniti, in tutto l'emisfero. Le attuali stime dicono che, quando arrivò Colombo, a nord del Rio Grande vivevano dai dodici ai quindici milioni di nativi americani, qualcosa del genere. Quando gli europei arrivarono ai confini continentali degli Stati Uniti ne erano rimasti circa duecentomila. Cos'è se non un genocidio di massa? Nell'intero emisfero occidentale, il declino della popolazione fu probabilmente nell'ordine che va dai cento milioni di persone ai circa cinque. È una faccenda molto grave, fu una cosa orrenda sin dall'inizio del Seicento, poi peggiorò dopo la nascita degli Stati Uniti e continuò fino a quando le popolazioni indigene furono rinchiuse in piccole riserve. La storia delle violazioni di trattati da parte degli Stati Uniti è grottesca: i trattati con le nazioni indiane hanno per legge lo stesso statuto di quelli fra stati sovrani, ma nel corso della nostra storia nessuno vi ha mai prestato la minima attenzione; appena volevi altra terra ti scordavi il trattato e te la prendevi. È una storia schifosa. In effetti Hitler ha preso a modello il trattamento dei nativi americani, per sua stessa ammissione. Disse che avrebbero fatto la stessa cosa con gli ebrei.

Di recente è uscito in Germania un libro che s'intitola Il Reich dei cinquecento anni, e fa parte di un grosso sforzo intrapreso in vari paesi per fare in modo che il 1992 sia l'anno della memoria del genocidio invece che della celebrazione del cinquecentesimo anniversario della cosiddetta "scoperta" dell'America da parte di Colombo. E in Germania la gente capisce immediatamente che cosa significa quel titolo: Hitler voleva instaurare un "Reich millenario", e questo libro intende dimostrare che la colonizzazione dell'emisfero occidentale è stata nella sua essenza hitleriana, e dura da mezzo millennio.

Dovrei aggiungere che per tutta la storia americana questo genocidio è stato giudicato perfettamente legittimo. Così, per esempio, c'erano persone che parlavano a favore dei neri e si opponevano allo schiavismo, gli abolizionisti e il movimento dei diritti civili, ma non era possibile trovare paladini degli indiani d'America. Altrettanto vale per gli intellettuali: per esempio, la biografia di Colombo di Samuel Eliot Morison, autorevole storico di Harvard, si dilunga a ripetere che grand'uomo era Colombo, che persona fantastica era eccetera, poi c'è una frasetta che ammette che naturalmente Colombo avviò quello che viene definito un "genocidio assoluto" ed era egli stesso un assassino di massa, ma l'autore aggiunge che era un difetto trascurabile, Colombo era un grande uomo di mare, e questo e quello e quell'altro.

Permettetemi di raccontare un aneddoto personale per dimostrare quanto questa versione sia lontana dalla verità. Qualche anno fa, il giorno del Ringraziamento, sono andato a fare una passeggiata assieme ad amici e familiari al National Park, dove abbiamo trovato una lapide lungo il sentiero che diceva: «Qui giace una donna indiana, una wampanoag, la cui famiglia e la cui tribù hanno rinunciato alla propria vita e alla propria terra perché questa grande nazione potesse nascere e prosperare». Altro che «rinunciato alla propria vita e alla propria terra»: furono assassinati, dispersi, gli rubammo la terra su cui adesso ci troviamo. Sapete, non potrebbe esserci nulla di più illegittimo, l'intera storia di questo paese è illegittima. I nostri antenati rubarono circa un terzo del Messico in una guerra in cui sostennero di essere stati aggrediti dai messicani, ma se andate a controllare scoprirete che questo "attacco" avvenne in territorio messicano [gli Stati Uniti acquisirono la regione fra il Texas e la California dopo la guerra del 1848 contro il Messico]. E via di questo passo. Allora cosa può essere legittimo?

Prendiamo lo sviluppo dell'assetto statale in Europa. Il sistema degli stati europei è stato fissato nel 1945 come esito di guerre sanguinose, massacri e atrocità che sono durati per secoli. Anzi, la peste della civiltà europea è riuscita a diffondersi nel mondo nell'ultimo mezzo millennio soprattutto perché gli europei erano molto più cattivi e feroci degli altri, perché erano più pratici di omicidi, perciò quando arrivavano in un posto sapevano come fare, ed erano in gamba. Il sistema statale europeo ha continuato fino a oggi a essere estremamente cruento e brutale. Ci sono guerre in tutto il Terzo mondo soltanto perché i confini nazionali imposti dagli invasori europei non significano nulla, se non il punto fino al quale una potenza europea aveva potuto espandersi a spese di altre potenze europee.

Allora se qualcosa è illegittimo è proprio questo. Però è il nostro sistema di stati nazionali, e dobbiamo usarlo, dobbiamo cominciare da qua. Voglio dire, c'è, e ha una qualche legittimità, non direi che è "legittimo" però esiste e dobbiamo ammettere che esiste, e uno stato deve vedersi riconosciuti i diritti che sono ammessi nel sistema internazionale. Però diritti del genere devono essere concessi come minimo anche alle popolazioni indigene, secondo me. Perciò quando denuncio gli apologeti dell'oppressione israeliana non si tratta di una critica specifica contro Israele; in realtà ritengo che Israele sia uno stato cattivo quanto gli altri. L'unica differenza è che Israele gode negli Stati Uniti di un'immagine artefatta, viene visto come se avesse doti morali uniche e c'è tutto un immaginario sulla purezza delle armi e sui nobili intenti. È mitologia, sono pure invenzioni: Israele è un paese come tutti gli altri, dovremmo ammetterlo e smetterla con queste idiozie. Parlare di legittimazione è ridicolo, questo termine non può essere usato per la loro storia né per quella di nessun altro.

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Impedire la democrazia in Italia [1990]


UN UOMO : Noam, visto che ha parlato di come gli USA hanno osteggiato le democrazie popolari e sostenuto organizzazioni di tipo fascista in Spagna e ad Haiti, vorrei ricordare che è successo anche in Italia, Francia, Grecia e altri paesi occidentali nostri alleati dopo la guerra. Negli ultimi cinquant'anni c'è stata una lunga storia di sabotaggi americani alla democrazia e di aiuto agli elementi fascisti anche nelle ricche società europee.

Esatto, infatti è stato questo il primo grande impegno postbellico degli Stati Uniti: distruggere la resistenza antifascista in tutto il mondo per rimettere al potere organizzazioni più o meno fasciste, e anche molti collaboratori del fascismo. È successo dappertutto: da paesi europei come Italia, Francia e Grecia fino a posti come la Corea e la Thailandia. È il primo capitolo della storia del dopoguerra: come abbiamo frantumato i sindacati italiani, francesi e giapponesi e sventato la concretissima minaccia della democrazia popolare che stava crescendo in tutto il mondo alla fine della guerra.

Il primo grosso intervento americano fu in Italia nel 1948, quando interferimmo nelle elezioni, e si trattò di un'operazione di rilievo. Vedete, gli strateghi statunitensi temevano che le elezioni democratiche sfociassero in una vittoria del movimento antifascista, e questa possibilità doveva essere scongiurata per la solita ragione: gli interessi degli Stati Uniti non vogliono al governo gente con il tipo sbagliato di priorità. E nel caso dell'Italia fecero un enorme sforzo per impedire che le forze democratiche popolari che avevano condotto la resistenza antifascista vincessero le elezioni dopo la guerra. L'opposizione americana alla democrazia italiana è giunta al punto di sponsorizzare un colpo di stato militare verso la fine degli anni sessanta per tenere fuori i comunisti (cioè i partiti operai) dal governo. Ed è probabile che quando tutti i documenti interni americani saranno rivelati al pubblico scopriremo che l'Italia è stata il bersaglio principale delle operazioni della CIA per anni. A quanto pare, lo è stata fino al 1975 circa, cioè fin dove arrivano i documenti declassificati.

Stessa storia in Francia e in tutta Europa. A ben pensarci, il principale motivo per la divisione della Germania in una parte occidentale e una orientale (non dimenticate che è partita dall'Occidente) è stato spiegato abbastanza bene da George Kennan [del dipartimento di Stato americano], uno dei principali architetti del mondo postbellico. Nel 1946 Kennan disse: dobbiamo "murare" la Germania Ovest (bella espressione) dalla zona orientale a causa del pericolo che si sviluppi un movimento comunista tedesco troppo forte. La Germania è un paese importante, potente, e visto che allora il mondo era abbastanza spostato verso la socialdemocrazia un movimento socialista unificato in un posto come la Germania o il Giappone sarebbe stato assolutamente intollerabile. Così ci è toccato murare la Germania Ovest dalla parte orientale per impedire che accadesse.

L'Italia era un problema particolarmente spinoso perché lì la resistenza antifascista era fortissima, estremamente popolare e rispettata. La Francia aveva un sistema di propaganda molto migliore dell'Italia, perciò sappiamo molto più della resistenza francese rispetto a quella italiana, ma in realtà la resistenza italiana fu di gran lunga più significativa di quella francese. La gente che si impegnò nella resistenza francese era coraggiosissima e lodevolissima, ma costituiva un settore limitato della società: durante l'occupazione nazista la Francia nel suo complesso era stata per lo più collaborazionista. Invece l'Italia era un caso diverso: la resistenza italiana era talmente forte che in pratica aveva liberato da sola l'Italia del Nord e teneva bloccate sei o sette divisioni tedesche; il movimento operaio era molto organizzato, con un forte appoggio da parte della popolazione. Quando gli eserciti americano e britannico arrivarono al Nord, furono costretti a rovesciare il governo che era già stato insediato dalla resistenza in quelle regioni e a sabotare i numerosi progressi fatti verso il controllo operaio delle industrie. E rimisero al posto di comando i vecchi padroni, dal momento che la rimozione di questi collaboratori del fascismo era stata una «destituzione arbitraria» dei legittimi proprietari: usarono proprio questa espressione. Quindi sabotammo anche le procedure democratiche perché era evidente che le elezioni successive sarebbero state vinte dalla resistenza e non dagli screditati conservatori. In Italia c'era il pericolo che vincesse la democrazia - il governo statunitense la definiva tecnicamente "comunismo" - e come al solito bisognava impedirlo.

La stessa cosa successe in quegli anni anche altrove, e in alcuni paesi con maggiore uso della violenza. Perciò per distruggere la resistenza antinazista in Grecia e rimettere al potere i complici dei nazisti c'è voluta una guerra in cui sono morte forse centosessantamila persone e ottocentomila sono scappate dalle loro case, tanto che il paese non si è ancora ripreso da quel trauma. In Corea furono uccise centomila persone alla fine degli anni quaranta, ancor prima che cominciasse la vera e propria guerra di Corea. Invece in Italia fu sufficiente organizzare forme di sovversione, compito che gli Stati Uniti presero molto sul serio. Così abbiamo fondato logge massoniche di estrema destra e gruppi paramilitari terroristici, abbiamo riportato i crumiri e la polizia fascista, gli abbiamo tolto il cibo, abbiamo fatto in modo che la loro economia non funzionasse. Il primo memorandum del Consiglio di sicurezza nazionale, NSC 1, parla dell'Italia e delle elezioni italiane e afferma che se i comunisti prendono il potere con le elezioni in maniera legittima e democratica gli Stati Uniti devono dichiarare l'emergenza nazionale, la Sesta flotta nel Mediterraneo dev'essere messa in stato d'allerta e si devono avviare attività sovversive in Italia allo scopo di rovesciare il governo e piani di contingenza in vista di un intervento militare diretto: ripeto, se la resistenza avesse vinto elezioni democratiche legali.

E non era tanto per ridere, niente affatto, c'era gente ai massimi livelli del governo statunitense che assumeva posizioni anche più estreme di queste. Per esempio, il già citato George Kennan, che viene reputato un grande spirito umanitario, riteneva che dovessimo invadere l'Italia ancora prima delle elezioni senza nemmeno permettere che succedesse una cosa del genere, ma poi fu trattenuto da altri che sostenevano che forse potevamo influenzare le elezioni minacciando di farli morire di fame e con ampio utilizzo di terrorismo e sovversione, una tattica che alla fine si è rivelata efficace.

Una politica simile era seguita dagli Stati Uniti ancora negli anni settanta, quando si fermano i documenti che sono stati declassificati. La documentazione di cui disponiamo finora arriva fino al 1975, quando il rapporto della commissione Pike della Camera fornì parecchie informazioni sulle attività sovversive americane, ma chissà se tali attività non sono continuate anche dopo. Quasi tutti gli studi al riguardo sono italiani, ma c'è anche qualcosa in inglese, per esempio Ed Herman e Frank Brodhead hanno scritto un eccellente libro sulla manovra di disinformazione relativa al cosiddetto "piano per assassinare il papa" con un'interessante analisi di alcuni materiali italiani più recenti, e ve ne sono anche altri. Come dicevo, politiche del genere sono state messe in atto in Francia, Germania, Giappone e altrove.

Gli Stati Uniti hanno anche resuscitato la mafia come parte dello sforzo per spaccare il movimento dei lavoratori europei dopo la guerra. La mafia era stata praticamente eliminata dai fascisti, che in genere non accettano alcuna concorrenza e sono molto rigidi. Hitler e Mussolini avevano praticamente eliminato la mafia, ma quando l'esercito di liberazione americano attraversò la Sicilia e l'Italia del Sud fino alla Francia la resuscitò come strumento per impedire gli scioperi. Vedete, gli Stati Uniti avevano bisogno di gorilla per spezzare le ginocchia agli scioperanti: e dove la trovate gente del genere? La risposta fu: nella mafia. In Francia la CIA, in collaborazione tra l'altro con i capi del movimento sindacale americano, fece risorgere la mafia corsa. E i mafiosi non lo fanno solo per divertirsi, sapete: forse se la spassano anche, ma vogliono qualcosa in cambio. In cambio della repressione del movimento sindacale francese hanno ottenuto il permesso di far ripartire il traffico di eroina, che sotto i fascisti era stato ridotto praticamente a zero. Ecco l'origine della famosa "French Connection", la principale struttura del narcotraffico nel dopoguerra.

In quel periodo ci furono anche operazioni clandestine che coinvolgevano il Vaticano, il dipartimento di Stato americano e i servizi segreti britannici e americani, operazioni tese a salvare e utilizzare molti dei peggiori criminali di guerra nazisti, impiegandoli esattamente nello stesso genere di attività per cui li usavano i nazisti, contro la resistenza in Europa occidentale e poi all'Est. Per esempio, il tipo che aveva inventato le camere a gas, Walter Rauff, fu fatto entrare in clandestinità in Cile per organizzare le attività anti-insurrezionali. Il capo dei servizi segreti nazisti sul fronte orientale, Reinhard Gehlen, si unì ai servizi americani per fare lo stesso lavoro nell'Europa dell'Est. Il "macellaio di Lione", Klaus Barbie, lavorò per gli americani spiando i francesi fino a quando non furono costretti a evacuarlo attraverso la "rotta dei topi", gestita dal Vaticano, verso l'America Latina, dove finì la sua carriera. Anche questo faceva parte del complessivo sforzo postbellico degli Stati Uniti per distruggere ogni prospettiva di democrazia indipendente, ed è andata come speravano.

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Adam Smith: vero e falso [1989]


UN UOMO: Cosa intende dire quando afferma che il liberalismo classico era anticapitalista?

Il principio fondamentale su cui si basano le teorie di Adam Smith e degli altri liberali classici è quello della libertà degli individui, che non devono essere sottoposti al controllo di istituzioni autoritarie e non devono essere assoggettati a una rigida divisione del lavoro. Prendiamo Adam Smith: perché era favorevole al mercato? Smith ne ha dato una spiegazione complessa che però partiva dall'idea che il mercato favorisce l'eguaglianza in condizioni di totale libertà. Da liberale classico qual era, era favorevole al mercato perché credeva che le persone dovessero essere completamente uguali, era convinto che gli esseri umani fossero naturalmente portati alla solidarietà e alla benevolenza, e che avessero il diritto di controllare il proprio lavoro. L'esatto opposto del capitalismo.

Non ci sono due punti di vista tanto antitetici come quello del liberalismo classico e quello del capitalismo. Questo è il motivo per cui, quando l'università di Chicago ha pubblicato le opere complete di Smith per il suo bicentenario, ne ha distorto il testo per adattarlo alle idiozie che si vanno dicendo oggi in suo nome.

Se si legge l'introduzione di George Stigler all'edizione del bicentenario della Ricchezza delle nazioni - un'edizione erudita, sapete, pubblicata dalla University of Chicago Press - si nota che dice cose diametralmente opposte al testo di Smith. Stigler suppone che Smith abbia detto che la divisione del lavoro è un'ottima cosa, mentre ha detto il contrario: per Smith la divisione del lavoro è una cosa orribile, tanto che in ogni società civile i governi dovrebbero proibirla perché distrugge gli individui. Se cercate questo passo nell'indice analitico, alla voce "divisione del lavoro", non ne trovate traccia, perché il brano in questa edizione è sparito.

Questo dà la misura di cosa sia davvero l'erudizione accademica: sopprimere completamente la verità e distorcere il pensiero. Tanto, pensano i curatori, nessuno andrà mai a controllare questo o quel paragrafo, visto che non lo hanno fatto neanche loro.

I liberali classici del XVIII secolo avevano una precisa idea della natura degli esseri umani. Ritenevano che il tipo di lavoro che si fa e il controllo che se ne ha, la creatività che si esplica e la possibilità di operare le proprie scelte sono i fattori che determinano che tipo di creatura si è. E su questi argomenti ci sono state osservazioni davvero illuminate. Per esempio, uno dei fondatori del liberalismo classico, Wilhelm von Humboldt (tanto ammirato dai cosiddetti "conservatori" attuali, per il semplice motivo che non l'hanno letto), afferma che se un lavoratore produce a comando un oggetto bellissimo, si può «ammirare ciò che il lavoratore ha fatto, ma si disprezza ciò che lui è»: questo perché il lavoratore si è comportato non da essere umano ma da macchina. Ecco i veri princìpi del liberalismo classico. E ancora mezzo secolo dopo Alexis de Tocqueville affermò che un sistema in cui «l'arte progredisce e l'artigiano regredisce» è un sistema inumano, perché ciò che davvero interessa è l'artigiano, la persona, e affinché gli individui possano condurre una vita piena e soddisfacente è necessario che abbiano il controllo del proprio lavoro, anche se tutto ciò sembra economicamente poco efficiente.

È evidente che negli ultimi due secoli l'atteggiamento intellettuale è notevolmente cambiato. Ma penso che questi concetti del liberalismo classico debbano essere ripresi e divulgati.

Nel XVIII secolo le fonti del potere e dell'autorità a cui si poteva fare riferimento erano diverse da quelle attuali. Erano il sistema feudale, la chiesa e lo stato assolutista. Certo non ci si poteva riferire al potere delle grandi imprese perché non esistevano. Ma se si prendono i princìpi del liberalismo classico e li si applica all'epoca attuale, ci si avvicina ai princìpi che animavano la Barcellona rivoluzionaria della fine degli anni trenta, quelli dell'"anarcosindacalismo". Penso che quello sia stato il periodo in cui gli esseri umani hanno fatto gli sforzi maggiori per realizzare i princìpi libertari che a mio avviso bisognerebbe perseguire. Non voglio dire che tutto ciò che è stato fatto durante quella rivoluzione fosse corretto, ma quella rivoluzione, per il suo carattere e il suo spirito, si è mossa nella direzione che porta allo sviluppo del genere di società descritta da Orwell in quello che ritengo il suo libro migliore, Omaggio alla Catalogna. E per me è la direzione giusta.

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Pagina 342

La proliferazione nucleare e la Corea del Nord [1989]


UN UOMO : A proposito di proliferazione atomica, di che natura era il problema con la Corea del Nord? Sembra che volesse costruire un proprio arsenale nucleare e sia i nostri media sia l'amministrazione Clinton la definirono una prospettiva terribile. Ritiene che fosse davvero questa ipotesi a preoccuparli?

È molto interessante mettere questa vicenda in relazione con quella della Corte internazionale. A quanto pare, il nostro problema con la Corea del Nord è dovuto in parte al fatto che se questo paese entrerà in possesso di armi atomiche metterà in crisi il Trattato di non proliferazione nucleare. Ma se fossimo davvero tanto preoccupati della proliferazione nucleare, la decisione della Corte internazionale che con tanta energia abbiamo cercato di bloccare sarebbe stata una boccata d'ossigeno. Questo ci dice qualcosa sulla nostra posizione. Riguardo alla Corea del Nord, la nostra obiezione in realtà è che i tizi sbagliati diventerebbero troppo potenti con le armi nucleari.

Attenzione, nessuno con un po' di sale in zucca vorrebbe che la Corea del Nord avesse un arsenale nucleare. Ma d'altro canto i coreani non possono fare granché con queste armi, salvo difendersi da un attacco. Di certo non possono invadere nessuno, non è neppure immaginabile: se solo fanno una mossa, il loro paese viene distrutto in un attimo. Quindi l'unico ruolo che il nucleare può giocare per loro è quello di deterrente, e non è un'idea totalmente campata in aria.

La Corea del Nord è un paese piuttosto folle. Non c'è molto di buono, anzi non c'è niente di buono da dire sul suo governo. Ma indipendentemente da quello che sono, anche se fossero il Mahatma Gandhi, sarebbero giustamente preoccupati da un possibile attacco. Almeno a partire dagli anni sessanta gli Stati Uniti minacciano la Corea del Nord con le armi nucleari. Ricordiamoci che quel paese noi lo abbiamo spianato: forse la gente qui non sa bene quello che gli abbiamo combinato, ma loro lo sanno.

Verso la fine di quella che chiamiamo "guerra di Corea", che in realtà è stata soltanto una fase di una lotta molto più lunga [iniziata alla fine degli anni quaranta, quando gli Stati Uniti distrussero il movimento nazionalista coreano], gli Stati Uniti esaurirono i possibili bersagli da bombardare. Avevamo il controllo totale dello spazio aereo, ma non c'era più niente su cui sganciare bombe, perché tutto era già stato distrutto. Allora abbiamo cominciato a occuparci delle dighe. Si tratta di uno dei più gravi crimini di guerra. Se date un'occhiata ai documenti ufficiali dell'aeronautica militare americana sulla guerra di Corea troverete cose da matti, che sembrano tolte da un archivio nazista. Questi tizi non nascondono affatto la loro euforia ed esprimono senza problemi i loro sentimenti di entusiasmo: abbiamo bombardato le dighe, un'enorme massa d'acqua ha inondato le valli, scavandosi un cammino di distruzione e compiendo una strage tra la popolazione! E dicevano, tra le risate: noi non possiamo nemmeno immaginare quanto sia importante il riso per gli asiatici, e quindi quelli erano fuori di sé dalla rabbia! Non riesco nemmeno a darne un'idea, bisogna leggere gli originali per capire. E i coreani vivevano dall'altra parte della barricata.

Anche il modo in cui abbiamo trattato i prigionieri di guerra coreani è assurdo: ci siamo comportati come i nazisti. Ormai è tutto documentato anche in Occidente, e naturalmente loro lo sanno bene. I coreani hanno tante cose da ricordare e di cui avere paura: ciò non giustifica il loro desiderio di possedere armi nucleari, ma fornisce un contesto indispensabile per capirlo.

Bisogna aggiungere che attualmente la Corea del Nord è in una situazione disperata: sono accerchiati politicamente e stanno lottando per rompere il loro totale isolamento, organizzando per esempio zone di libero mercato e cercando di integrarsi nel sistema economico internazionale. Evidentemente anche il nucleare è uno dei modi in cui cercano di risolvere il loro problema. È una scelta non intelligente e neppure giustificabile, ma è ciò che li spinge e dovremmo per lo meno cercare di capirli.

È ovvio che la preoccupazione dell'Occidente nei confronti delle armi nucleari è molto selettiva: a nessuno importa che gli Stati Uniti possiedano un arsenale nucleare, a nessuno importa che ce l'abbia anche Israele, l'importante è che non ce l'abbiano i paesi che non possiamo controllare, come la Corea del Nord. E credo che sia questo il vero motivo di tanta agitazione.


UNA DONNA : Potrebbe dirci qualcosa sull'origine della guerra di Corea? Se ho ben capito, lei non accetta la versione standard secondo cui tutto ebbe inizio quando gli Stati Uniti si mossero per bloccare un'invasione espansionistica dei comunisti.

La questione è che la guerra di Corea è molto più complessa di come viene presentata al grande pubblico. In questo caso però gli studi sono più approfonditi del solito e se esaminate la letteratura specialistica sull'argomento troverete una posizione diversa da quella che sentiamo di solito.

L'attacco contro il Sud che nel 1950 venne sferrato dalla Corea del Nord era in realtà la coda di una lunga guerra. Tendiamo infatti a scordare che prima di quell'attacco erano già stati uccisi circa centomila coreani. In sostanza, in Corea successe questo: quando le forze americane sbarcarono nel 1945, alla fine della Seconda guerra mondiale, trovarono insediato un governo locale già funzionante. C'era stata la resistenza contro i giapponesi, erano state istituite amministrazioni locali, comitati popolari e così via, sia nella Corea del Nord sia in quella del Sud. Quando gli Stati Uniti arrivarono nella Corea del Sud smantellarono tutto, distruggendolo con la forza; a questo scopo utilizzarono i coreani che avevano collaborato con i giapponesi e richiamarono persino la polizia giapponese [il Giappone aveva occupato la Corea per trentacinque anni fino alla sconfitta nella Seconda guerra mondiale]. Ciò provocò un serio conflitto nel Sud, un conflitto aspro che andò avanti per quattro o cinque anni e provocò parecchi morti e diverse scaramucce di confine (da entrambe le parti). Poi si ebbe una sorta di tregua, e a quel punto partì l'attacco alla Corea del Sud da parte dei nordcoreani. Ma quell'intervento giunse dopo che gli Stati Uniti avevano represso il movimento di resistenza contro i giapponesi scatenando una guerra civile.

Tutto ciò getta una luce diversa sulla versione che siamo abituati a sentire. Proviamo a immaginare, per esempio, che un altro paese conquisti la parte occidentale degli Stati Uniti, che si crei un movimento di resistenza contro gli invasori, che questa resistenza venga annientata provocando centomila morti e che a questo punto la parte orientale degli Stati Uniti "invada" quella occidentale: non sarebbe esattamente un'invasione. In Corea è successo qualcosa di simile.

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Pagina 399

"La natura umana è corrotta" [1993]


UN UOMO : Noam, un motivo che ho spesso riscontrato alla radice della reticenza a impegnarsi in attività politiche nasce dall'idea che la natura umana è corrotta, egoista, egocentrica, antisociale e così via, quindi, come risultato, nella società ci saranno sempre oppressori e oppressi, ci saranno sempre una gerarchia, lo sfruttamento dell'altro, la spinta dell'interesse personale eccetera. Scopro spesso gente disposta ad ammettere che il sistema è inumano, che la guerra è ingiusta, gente magari d'accordo su certe politiche, ma poi non disposta a partecipare più attivamente perché si sente impotente data la sua opinione della natura umana. Può darsi che si tratti soltanto di una scusa, di un'ultima difesa contro il coinvolgimento, ma un attivista deve saper affrontare questo tipo di convinzione. Sono curioso di sapere cosa ne pensa.

Per un certo verso questa affermazione è sicuramente vera. Prima di tutto, non sappiamo molto della natura umana: è indubbiamente complessa, in gran parte determinata a livello genetico, come tutto il resto, però non la conosciamo esattamente. Tuttavia ci sono riscontri sufficienti nella storia, e nella nostra stessa esperienza, per poter affermare che la natura umana è coerente con tutto quanto ha ricordato. Per definizione è così. Quindi sappiamo che la natura umana, inclusa la nostra, la sua e la mia, può facilmente portare le persone a essere efficienti torturatori, assassini di massa e schiavisti. Lo sappiamo, non abbiamo bisogno di cercare le prove. Ma cosa comporta tutto ciò? Che non bisogna nemmeno cercare di fermare le torture? Se vediamo un bambino che viene picchiato a sangue dobbiamo dire: «Che ci vuoi fare, è la natura umana»? Anche se lo è, di fatto, visto che in alcune situazioni le persone agiscono in quel modo.

Nella misura in cui questa affermazione è vera - e lo è - è anche irrilevante: la natura umana possiede anche capacità di altruismo, di cooperazione e di sacrificio, di sostegno e di solidarietà, sa anche essere estremamente coraggiosa e così via.

In genere ho la sensazione che nel corso del tempo si possa notare un progresso, non enorme ma significativo, a volte quasi sensazionale. Nel corso della storia credo ci sia stato un chiaro allargamento della moralità; in campi sempre più estesi la persona è stata riconosciuta come agente morale, ovvero come titolare di diritti. Siamo esseri coscienti, non pietre, e possiamo raggiungere una migliore comprensione della nostra natura, possiamo capirla sempre di più, non attraverso la lettura di un libro sull'argomento, visto che nessuno ne sa davvero qualcosa, ma attraverso l'esperienza, compresa quella storica, che fa parte della nostra esperienza personale perché fa parte della nostra cultura.




Scoprire la moralità


Consideriamo il modo in cui vengono trattati i bambini. Nel Medioevo era considerato quasi lecito ucciderli, buttarli fuori di casa o trattarli con brutalità. Ovviamente succede ancora oggi, ma comportamenti del genere vengono considerati patologici, non giusti. Ciò non significa che possediamo una capacità morale assente invece nel Medioevo, ma soltanto che la situazione è cambiata: abbiamo opportunità di riflessione che non c'erano in una società dal livello di produzione materiale basso come quella medievale. Quindi abbiamo arricchito la nostra conoscenza del senso morale in quel campo.

Ritengo che faccia parte del progresso morale riuscire ad affrontare situazioni che un tempo non venivano prese in considerazione. Ho la stessa sensazione rispetto, per esempio, al nostro rapporto con gli animali. Sono questioni difficili. In gran parte si tratta di esplorare le nostre intuizioni morali, che altrimenti restano sconosciute. Prendiamo l'aborto, un altro tema morale complesso. Come il femminismo, come la schiavitù. Alcuni di questi problemi ci sembrano semplici, adesso, perché li abbiamo risolti e su di essi c'è una sorta di consenso comune. Ma credo sia opportuno, ai nostri giorni, interrogarsi, per esempio, sui diritti degli animali. Penso siano in ballo questioni serie. Fino a che punto abbiamo il diritto di compiere sperimentazioni sugli animali, magari torturandoli? È chiaro che ricorriamo a questo tipo di sperimentazione per curare le malattie dell'uomo. Ma dov'è il punto di equilibrio, a quale soglia bisogna fermarsi? Ci dev'essere un punto oltre il quale non si può andare. Concordiamo sul fatto che torturare eccessivamente gli animali per trovare la cura di una malattia non è ammissibile. Ma quali sono i princìpi da cui traiamo queste conclusioni? Non è una domanda banale.


UN UOMO : E quando li mangiamo, allora?

Stessa questione.

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