Copertina
Autore Patrick Conty
Titolo Labirinti
EdizionePiemme, Casale Monferrato, 2003 [1997], Pocket , pag. 256, dim. 120x199x16 mm , Isbn 978-88-384-7869-7
OriginaleL'esprit du labyrinthe [1996]
TraduttoreDaniele Ballarini
LettoreCorrado Leonardo, 2003
Classe filosofia , semiotica , miti , storia antica
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice

Prefazione                                    7
Introduzione - Il labirinto di Gotland        9

PARTE PRIMA - L'ENIGMA DEL LABIRINTO

I.    L'enigma                               13
II.   Il labirinto non è un dedalo           26
III.  L'equazione e la soluzione             30
IV.   Il senso e la via del mito             33
V.    La cosa intermedia                     37
VI.   L'intreccio del mito                   47
VII.  L'eterno ritorno                       54
VIII. La fisica e l'antropologia             58

PARTE SECONDA - LA SOLUZIONE: IL NODO

IX.   Enea e Malekula                        67
X.    I vivi e i morti                       76
XI.   Il puzzle dei miti                     79
XII.  I tracciati nahal                      86
XIII. Il tempio dei nodi                     92
XIV.  A proposito dei nodi                   98
XV.   L'origine della lingua dei Dogon      107
XVI.  La lingua occulta della natura        114

PARTE TERZA - LA TECNICA E IL CAMMINO

XVII. Il filo e la tecnica di Arianna       123
      La tecnica                            125
      I quipu e i nodi a quattro incroci    128
      Si ottiene la via del labirinto
      partendo da un nodo di cravatta       130
      Significato dell'incrocio             134
XVIII.L'incrocio                            146
      Prima interpretazione: girare attorno
      al nodo o alla corda                  148
      Seconda interpretazione: un movimento
      giroscopico del nodo                  150
      Terza interpretazione: il cammino del
      labirinto rappresenta il nodo che si
      rinserra                              152
      Quarta interpretazione: un salto
      all'interno del nodo                  156
      La sostituzione della struttura nodale
      con un sistema di anelli              159
XIX.  Il tempo                              166
      Il tempo e l'eternità, l'incrinatura  166
      Il tempo nell'antica Grecia: l'uno e
      le altre cose                         170
      Il tempo ciclico e i sistemi di anelli175
XX.   L'asse e il recinto                   180
      La realtà e la polarità               182
      Gli assi: cause o effetti             184
      Il centro                             187
XXI.  Il secondo labirinto degli Hopi       190
XXII. Il vero dedalo è un nodo a quattro
      dimensioni                            196
      Perché un nodo a quattro dimensioni?  201
      Diversi aspetti della realtà          204

PARTE QUARTA - L'IMMAGINE DEL MITO

XXIII.L'immagine, il tutto, l'aspetto
      mutevole                              211
XXIV. La Gestalt                            221
XXV.  La palla da tennis e il cammino
      della Grande Madre                    226
XXVI. L'inversione                          233
XXVII.Il labirinto nella pittura            239

Epilogo                                     247
 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 13

Capitolo Primo
L'ENIGMA



   «[...] quelle cose che non sono mai accadute
                    ma che esistono da sempre.»
                                      Sallustio



Chi non conosce il mito greco in cui si racconta di come Arianna si innamorò dell'audace e valoroso Teseo? Tradendo suo padre (il re Minosse) e il suo fratellastro (il Minotauro), ella gli diede un gomitolo di filo affinché lo usasse, facendolo scorrere dietro di sé, per orientarsi nel labirinto edificato da Dedalo per rinchiudere il Minotauro. In questo modo, Teseo ritrovò la strada nell'inestricabile labirinto e, dopo aver ucciso il mostro e liberato i suoi compagni, fece vela verso Atene con Arianna, che poi abbandonò durante il viaggio, per motivi rimasti oscuri, nell'isola di Nasso.

A noi, come a Teseo, la leggenda presenta esplicitamente un problema specifico: come scoprire il cammino che conduce dall'entrata al centro del dedalo? È noto che Teseo non si limitò a lasciare scorrere il filo mentre avanzava nel labirinto così come Pollicino abbandonava dietro di sé una serie di sassolini per ritrovare la strada.

L'impresa infatti è legata a un problema geometrico e topologico simile o complementare a quello costituito dal nodo gordiano, che bisogna sciogliere senza poter scorgere le estremità della corda.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 16

In generale, la tradizione considera il labirinto come la rappresentazione del mondo che ci tiene in schiavitù, mentre il filo di Arianna simboleggia la nostra liberazione; tale emancipazione potrebbe essere quella che promettono tutte le religioni mondiali e la cui chiave si trova proprio negli antichi misteri. L'immagine del labirinto appare inoltre come la riproposizione della domanda: «Chi sei tu?», che Dio fece ad Adamo dopo l'errore che causò la sua cacciata dal Paradiso. In essa, ritroviamo anche, sotto un altro aspetto, un complicato problema topologico e il labirinto risponderebbe alla domanda posta implicitamente dalla Sfinge: «Chi sei? Da dove vieni? Dove vai?», o dal famoso «Quo vadis?» udito da Pietro che si allontanava da Roma. Esso può altresì simbolizzare il centro o il castello primordiale di cui parlano i mistici e dove si localizzerebbe lo spirito:

"Vi è nell'anima una fortezza ove non può penetrare neppure lo sguardo trinitario di Dio perché quello è il luogo della pura unità». (Meister Eckhart)

Questa definizione della fortezza inespugnabile sembrerebbe contrastare con quella di una prigione inestricabile, ma quando appare il percorso che conduce all'uscita dal labirinto, si nota che esso è anche quello che, inversamente, conduce dall'uscita al centro. Scoprire il cammino liberatorio, quindi, significa anche conoscere il percorso che porta al centro, e il centro finisce per simboleggiare l'unità assoluta e l'emancipazione, protette da un cammino difficile da scoprire. Come disse Flaubert, «tutto ciò che sembrava esterno è invece interno».

Due immagini invertite si giustappongono come in un oscuro palinsesto e si sostituiscono reciprocamente in relazione alla comparsa, o meno, del cammino.

In effetti, quando si cerca di comprendere il senso ultimo della vita, si nota spesso come essa si svolga futilmente e segua un corso casuale in un groviglio di strade che non portano da nessuna parte; inoltre, allorché cerchiamo di sondarne la profondità, di evitare dei punti morti, di scorgere una via d'uscita o una ragion d'essere, o di trovare un'armonia più soddisfacente, finiamo per scoprire soltanto nuovi cappi di un nodo gordiano senza testa né coda che ci stringe e che i nostri sforzi non fanno altro che rinserrare. Allora, se noi ci riconosciamo nel passato, come in uno specchio, vediamo bene come esso assomigli a un Minotauro. E se abbiamo la tendenza a deviare o a svoltare circolarmente allontanandoci dai nostri desideri essenziali, è facile supporre di vivere in un dedalo e, come il personaggio di Robert Pirsig, disperare di potervi sfuggire:

«Di tanto in tanto usano parole rare, il più possibile stentate, come "ciò", o "tutto ciò", o la frase "non vi si può sfuggire". E se domandassi "a che cosa?", la risposta potrebbe essere "a tutto l'affare", "al sistema" o "all'intera organizzazione della cosa". Una volta, Silvia mi disse, sulla difensiva: "Bene, tu sai come sbrigartela", il che provocò una tale espansione del mio ego che al momento mi sentii imbarazzato e non le chiesi: "a far che?", restando piuttosto perplesso», (R. Pirsig, Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta)

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 36

Ciononostante, ora possiamo riconoscere che, quando parliamo della via mitica o labirintica, ci riferiamo a tre aspetti:

1. Una via che è una ricerca dell'uomo e che descrive contemporaneamente una possibile trasformazione della sua psiche e una trasformazione del mondo.

2. Una via del linguaggio con cui il mito trasmette un messaggio implicito.

3. Una via geometrica.

I tre aspetti sono inseparabili e si definiscono a vicenda. Ognuno di essi trova un senso genuino solo nell'insieme.

Soltanto un simbolo può riconnettere tre aspetti così apparentemente diversi. Molto probabilmente, l'oggetto che tentiamo di scoprire per spiegare lo schema del labirinto si nasconderà quindi dietro un altro simbolo che collega implicitamente quegli aspetti.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 56

[...] Secondo la definizione di Feynmann, la scienza è diventata un sistema completo diretto a perfezionare un'armonia e una simmetria fra tutte le leggi e sembra che debba progredire partendo da dati concreti e perseguendo questo concetto di armonia in evoluzione. È proprio questo aspetto che scopriamo nel mito senza poter scorgere esattamente un sistema di leggi su cui si fonda l'armonia. Più la scienza penetra il cosmo e più scopre il pensiero o lo spirito, e la fine della teoria riduzionista. (Come afferma Bohr: «È falso credere che il compito della fisica sia scoprire come sia fatta la natura. La fisica riguarda soltanto ciò che si può dire sulla natura»).

A sua volta, quando la filosofia studia lo spirito e il pensiero, essa finisce per scoprire il linguaggio e la "fine della filosofia". Infine, più si comprende la lingua del mito e più si scopre il cosmo e il limite di ogni interpretazione. Questo circuito sembra indicare e proteggere una zona centrale in cui la scienza antica e quella moderna si potrebbero incontrare.

Un altro rilievo che si può fare alla teoria delle "supercorde" è che essa non giunge a fornire una vera rappresentazione dell'universo. Implicando sette dimensioni, è impossibile produrre immagini geometriche direttamente corrispondenti. La geometria si svolge per le vie traverse dell'algebra e diventa inaccessibile per i nostri sensi. Ma non si sa più nemmeno come interpretare gli ornamenti dell'arte primitiva né come essi possano corrispondere a una completa nozione spazio-temporale. Nel mito, come nella fisica dei quanti, l'identità degli oggetti descritti è inerente al modo in cui essi sono interrelati e dipende quindi dalla struttura che li collega. Sembra che il legame che abbiamo suggerito fra i nuovi modelli della fisica e i motivi dell'arte antica possa fondarsi su una vaga rassomiglianza, ma è appunto questo carattere superficiale, a cui siamo costretti, a rivelare quanto i nostri strumenti siano inadeguati per scoprire una scienza che sta dietro al mito e all'arte che vi si associano. Se anche il mito presenta un sistema a sette o più dimensioni, esso dovrà per forza combinare e connettere immagini a due dimensioni in un modo preciso e complesso.

Siccome Émile Malle riteneva che l'arte medievale fosse «al contempo un testo, un calculus e un codice simbolico», a fortiori si può interpretare allo stesso modo l'arte più antica o primitiva. Ma queste parole restano vaghe e prive di senso se non si capisce come il testo si accordi al calculus, o se non si comprende di che calcolo si tratti. In effetti, è in gran parte grazie al progresso della cosmologia e delle matematiche moderne che si guarda l'arte antica con una nuova prospettiva e che si sospetta un significato complesso che ci sfugge. In precedenza, ci si serviva della teologia per esplorare tale complessità; oggi, la scienza ci offre un nuovo approccio, dato che i modelli che propone chiedono di essere interpretati.

I progressi della topologia, che invade e influenza tutte le scienze moderne, sembrano segnare la nostra epoca e suggerire la chiusura di un anello o di un ciclo grazie a un rovesciamento. In tale inversione, antichi e moderni, est e ovest, anche se non si riuniranno, appaiono come il dritto e il rovescio della stessa medaglia, o come la possibile tesi e antitesi di una futura sintesi.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 62

Questo accostamento della tradizione a fianco del mito è il procedimento che abbiamo seguito fin dall'inizio e che ci ha permesso di rintracciare il significato corrispondente al filo di Arianna. Questo senso sopravvive nella tradizione che lo utilizza come teoria che porta a un'esperienza. Come afferma Einstein: «È la teoria a decidere ciò che si può osservare». Analogamente, il mito e il rituale corrispondono a un'esperienza che trasforma colui che la prova e il mondo che egli percepisce. Il significato offerto dalla tradizione corrisponderebbe a questo aspetto teorico che sostituisce una descrizione fatta nel mito di cose vissute soggettivamente.

Non si tratta di abbandonare il metodo formale e strutturalista per ritrovare un antico metodo ermeneutico, ma di considerare una rete completa in cui senso e strutture si corrispondano. L'interpretazione del senso mitologico pone un problema simile a quello suscitato dall'interpretazione delle teorie della fisica quantica:

«[...] Che cosa vuoi dire interpretare? A un primo livello, sarebbe la riconciliazione armoniosa del formalismo con la concretezza sperimentale. Deve essere anche il dire come si conciliano nello stesso mondo il puro caso e il determinismo. Infine, è la prospettiva di una rifondazione, al di là dei principi filosofici del passato, del processo che chiamiamo comprendere». (R. Omnes, in La Recherche, n. 280)

Quindi, per riuscire a interpretare il mito si giunge infine a giocare su tre registri:

1. Una logica della concretezza che si trova nel mito. Essa crea dei simboli, come quello del filo di Arianna, "mai percepiti con nettezza", che collegano gli oggetti a una pluralità di significati o li definiscono per mezzo di relazioni. Ma il mito costituisce una zona intermedia dove non si trova un "oggetto reale" o un "senso definitivo".

2. Una geometria che forma simboli precisi a partire da immagini o da oggetti. Tuttavia, in sé le immagini di questi simboli utilizzate nei rituali non sono altro che segni che conducono ad altri segni.

3. Un senso più o meno ermetico legato ai simboli e a un'esperienza e perpetuato dalla tradizione.

La connessione fra questi registri dovrebbe condurre a ciò che potremmo chiamare "un senso della geometria" o "una geometria del senso".

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 79

Capitolo Undicesimo
IL PUZZLE DEI MITI



                «Anche il beverone si decompone
                          se non viene smosso.»
                              Eraclito, fr. 125



Non è solo l'anima a essere nascosta, anche il Logos lo è. Le due situazioni dipendono una dall'altra. Come l'uomo si indurisce, si sviluppa disarmonicamente e in modo incompleto chiudendo l'anima in una conchiglia, così il mito cinge e racchiude il suo Logos. Analogamente, come afferma Olivier Clément: «Il trascendente si collega al linguaggio, logorandolo». Questi processi hanno i loro momenti di prominenza e di evoluzione e il conflitto che si instaura fra di essi produce qualche cosa!... (Qualcosa piuttosto che nulla... oppure una forza che anima e struttura un vuoto, uno spazio intermedio).

Al pari delle scritture sacre di certi gruppi etnici, i miti esprimono sempre un rapporto mentale di correlazione, più o meno esplicita, con una religione (religare). La religione, a sua volta, interpreta sistematicamente la coesione evocata dai miti e funge da base per l'ordine sociale. Dopo che se ne sono appropriati certi gruppi sociali, religione e tradizione si sedimentano, subiscono delle variazioni, si dogmatizzano e divengono dominio esclusivo di una casta o di un'élite. La religione egizia diventa alienante per i Cretesi, mentre quella dei Cretesi lo diviene per gli Ateniesi. Si verifica cioè un'inversione: ciò che univa diviene ciò che separa ed esclude. Il contenuto del mito deve essere tradotto in altri linguaggi, percepito con altre prospettive e adattato a un nuovo contesto etnico. Deve camuffarsi in una nuova mitologia che, quindi, finisce per fungere da legame fra la storia dei popoli, degli uomini e del Logos. Così, l'ordine simbolico cretese viene dislocato o rovesciato dai Greci, che tuttavia conservano la traccia del cammino del Logos, arricchendo il puzzle (l'enigma) rappresentato dall'insieme dei miti e questo per far sì che tutto il sistema di interrelazioni mantenga il ricordo di un'unità essenziale espressa in modo relativo. L'incrocio vita-morte si associa a un incrocio di verità-finzione, realtà-illusione, parola-segno. La lingua del mito produce nuove metafore, nuove immagini meravigliose o fantastiche, mentre si trasformano i simboli geometrici.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 88

Tuttavia, seguendo questo modello, resta enigmatico il modo in cui emerge il senso dalla lingua. Esso dipende da un rapporto misterioso fra lo svolgersi delle parole e un campo delimitato da tale movimento. Occorre pertanto distinguere:

1. un cammino di parole all'interno della lingua che crea un senso relativo;

2. un percorso di nomi che forma una struttura linguistica fondamentale;

3. un cammino del Logos che rivelerebbe il collegamento di ogni cosa o il modo in cui tutte le cose sono "contemporaneamente unite e divise".

Resta da scoprire come tale nodo possa trasformarsi in labirinto. Il rapporto bipolare fra mito greco e mito di Malekula dovrebbe offrire una soluzione al problema geometrico posto dal filo di Arianna. La maniera in cui lo spettro risolve il problema postogli deve evocare inoltre una tecnica polare e simmetrica per l'uso del filo di Arianna o per scoprire ciò in un dedalo. Con i nahal abbiamo capito che le categorie della rete, dell'intreccio, del macramé e dei giochi di cordicella si riassumono tutte in quella del nodo. Inoltre, si deve dedurre che questo nodo sia proiettato in modo da presentare una simmetria. Bisogna restaurare tale "tragica simmetria", che Lévi-Strauss ritiene sia il tratto essenziale della struttura mitica, per scoprire una via d'uscita. Se ne deduce che il cammino del labirinto è indicato da un asse attorno al quale si sviluppa il disegno di un falso nodo (un nodo sciolto) che può costituire un dedalo. Il dedalo è una specie di proiezione di un nodo diviso in due. Invertendo queste informazioni affinché corrispondano alla polarità dei miti, la soluzione che si offre a Teseo potrebbe presentarsi sotto forma di un asse che si trova in un nodo e che permetterebbe di raddoppiare e sciogliere il nodo.

È evidente che questa definizione appare ancora un rebus particolarmente difficile. A questo punto dell'indagine, non è possibile applicare l'insieme delle informazioni contenute, ma in seguito vedremo che esse alludono a un preciso processo geometrico. Per il momento, converrà ricordare che il dedalo è un nodo. L'ipotesi di partenza sarà che la cosa, l'oggetto che cercavamo per giungere a una trasformazione geometrica che avrebbe portato al labirinto, è un nodo. Del resto, tutto sembrava indicare questa possibilità fin dall'inizio. Il dedalo è come un nodo gordiano e il labirinto offre la soluzione per scioglierlo o per sfuggire al suo cappio. È questo il primo dato che occorre verificare; in seguito, si vedrà in che modo esso conduca a una soluzione.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 105

Per concludere, il nodo non è solo un dedalo che rappresenta la struttura del linguaggio o il nodo della parola originaria che ingloba tutti i fenomeni, esso è anche l'elemento fondamentale della prima scrittura.

Nel periodo in cui furono redatti l' I Ching e il Tao te ching, in Cina ci si riferiva a un sistema di nodi per formulare le leggi di governo e di comportamento. La creazione di tale sistema di scrittura, precedente agli ideogrammi, è attribuita a Fu Xi, l'avo degli avi, il demiurgo che avrebbe emanato le leggi fondamentali. Confucio si duole della perdita di tale scrittura e linguaggio e ritiene che la sostituzione con gli ideogrammi abbia rappresentato un deplorevole regresso. Il tempo in cui c'erano solo i nodi viene reputato l'epoca essenziale, quando gli uomini partecipavano più direttamente alla vita del mondo.

Gli Inca e gli Africani possedevano un sistema analogo e i pastori del Perù adoperano ancora i quipu (serie di nodi fatti a una funicella) per tenere il conto delle greggi. Tale sistema ha lasciato un'impronta profonda anche sulle figure annodate e involute dei geroglifici maya e aztechi, a tal punto che sembra che esse lo abbiano incorporato. Stessa origine potrebbe avere l'alfabeto celtico, detto ogamico, composto da linee oblique o perpendicolari su una linea di base.

Che si tratti di un balbettio di scrittura, di un semplice sistema mnemonico o di un complesso di combinazioni e di divinazioni simile agli esagrammi dell' I Ching, cioè di un sistema matematico intrinseco al linguaggio? Si tratta di un sotto-linguaggio o di un meta-linguaggio, o di entrambi?

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 113

Il mito del labirinto implica la possibilità umana di scoprire il cammino del Logos nel nodo del linguaggio. Per scoprire se stesso, l'uomo deve adoperare la lingua, le sue tecniche, i suoi rapporti e comportamenti come estensione di sé. Nelle sue attività, per emanciparsi deve scoprire una tecnica. Per contro, una lingua e una tecnica che non fossero più estensioni dell'uomo alla ricerca di se stesso diventerebbero alienanti e complicherebbero il dedalo.

Il fatto che sia possibile concepire tale scienza dei nodi dimostra come essi possano costituire l'elemento originario della scrittura primitiva di cui si trovano le tracce nell'arte che adorna gli antichi templi (maya o egizi), anch'essi assimilati ai nodi nei racconti mitici. Nei templi, si abbinano architettura e decorazione che vengono inoltre coniugate con dei rituali, o con delle danze, che evocano dei nodi: in questo modo il tempio presenta un linguaggio completo. Parallelamente, nel mito il linguaggio unisce dei nodi e assomiglia così a un tempio. Come dice Heidegger, «la lingua è la dimora dell'essere».

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 116

Se l'esistenza dei nodi, la cui essenza sfugge ai matematici, può essere colta all'interno della fisica quantistica, ciò è dovuto alla complessità dell'algebra. Gli scienziati diranno che Dio è un matematico, e cercheranno nelle matematiche l'essenza di un nodo che lega tutte le cose; ma è senz'altro verosimile che il concetto del numero o dell'antica matematica sia nato dall'osservazione di un nodo.

Possiamo ritrovare i nodi o la loro traccia in cosmologia, nelle teorie che si oppongono a quella delle supercorde e in tutte le scienze all'avanguardia. Gli attrattori strani nella teoria del caos sono dei nodi. Anche la teoria delle catastrofi formulata da René Thom - che se ne è servito per abbozzare pure una teoria del linguaggio - è topologica e associata indirettamente ai nodi. Inoltre i calcolatori elettronici nascono dalle schede perforate usate per i telai Jacquard: pertanto, esiste una connessione, senza dubbio fragile ma storicamente significativa, fra la tecnica, il linguaggio dei calcolatori (dove si parla di "strani anelli") e la tecnica della tessitura. Nella scienza come nella lingua descritta dai miti dogon, si trovano spesso dei nodi, o degli schemi e tecniche dal significato affine, senza che si possa definire con precisione la geometria che li accomuna. Lo stesso progetto della scienza diventa perciò quello di esplorare e interpretare una rete, o un nodo, che essa crea quanto più si sviluppa, e che si fa altrettanto interessante di quella formato dall'universo.

«[...] Le scienze sono arrivate al punto che prevedeva Leibnitz: "Esse formano o tendono a formare un 'corpo unico come l'oceano', che è sbagliato dividere in mare Etiopico, Caledoniano ecc.". Questo continuum è sede di scambi e movimenti: metodi, modelli e risultati circolano ovunque al suo interno, esportati o importati in ogni luogo, incessantemente e secondo linee di percorso spesso regolate, altre volte capricciose - una rete nel mare. Lo spirito nuovo si fissava nella filosofia del nome; lo spirito nuovissimo si sviluppa nella filosofia del trasporto: intersezioni, interventi, intercettazioni [...] Se ogni regione è un'intersezione, un nodo di relazioni, essa finisce per includere, almeno occultamente, un'interpretazione dei campi che mobilita, in un modo o in un altro.» (M. Serres, L'intérference)

La rete di nodi che si trovava intrecciata per definire sia l'universo sia il linguaggio mitologico e che evocava un significato ineffabile si ritrova oggi nella lingua di una scienza divenuta intraducibile nel linguaggio comune.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 118

Anche la struttura del linguaggio viene oggi presentata in forma di nodo, e precisamente il "nodo borromeo", di Lacan. Esso è composto dall'intreccio di tre cerchi che rappresentano, rispettivamente, il reale, l'immaginario e il simbolico (figura 24).

Siccome la tesi sostenuta da Lacan interpreta fedelmente l'insegnamento freudiano, si può dire che "l'inconscio è strutturato come il linguaggio", e che il nodo borromeo rappresenta quindi anche la struttura della psiche.

Indipendentemente dall'analisi scientifica del mondo, anche la maniera con cui percepiamo la realtà direttamente coi sensi dipende dalla topologia. Lo sguardo col quale esaminiamo e decifriamo un quadro o un paesaggio costruisce una specie di nodo che unisce, sintetizza e scopre il senso. Il labirinto dell'orecchio assimila e ricostruisce in modo analogo il suono ascoltato. Come ha notato Piaget, i bambini piccoli usano intuitivamente il linguaggio della topologia per i loro disegni e scarabocchi, che assomigliano tanto a certi graffiti preistorici o primitivi. Le mani seguono il solco dello sguardo. Misteriosamente, noi decodifichiamo i nodi occulti della natura disegnando nuovi nodi.

Scoprendo le proprie radici, il linguaggio si rende conto che esse sono altrettanto profonde di quelle della natura: vi è una corrispondenza che continua a sfuggirci fra i nodi linguistici e quelli che la scienza rileva nel mondo. Come disse Walter Benjamin: «Nella misura in cui si comunica da sé, tutta la natura si comunica nella lingua e infine nell'uomo. L'uomo è l'oratore; mediante il verbo, egli è legato al linguaggio delle cose».

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 164

Come nella fisica dei quanti, è l'osservazione a decidere dell'aspetto delle parti, dei loro rapporti e sviluppi. Il cammino labirintico rappresenta un flusso della coscienza che realizza un progetto latente nel mondo mentre lo contempla. Esso non è una struttura della materia, dello spazio o dello spirito, ma dello spirito-spazio-tempo-materia. Tale cammino permette di creare del senso, ma tale senso è incomprensibile per un uomo incompleto. Il cammino corrisponde anche alla saggezza come la definisce Eraclito:

«Perché è una cosa sola quanto è sapiente: intendere il concetto quale quello ch'è giunto a governare tutte le cose attraverso tutte». (Eraclito, fr. 41)

«Quanto è unico e solo sapiente non vuole e vuole esser detto col nome di Zeus». (Eraclito, fr. 32)

L'interdipendenza fra i miti e i simboli implica che le trasformazioni che causano la corrispondenza fra i miti siano analoghe a quelle geometriche. Le difficoltà a cogliere il senso finale del mito sono le stesse che incontriamo nella definizione del simbolo geometrico. Osservando dei tropi metaforici o delle inversioni, possiamo comprendere solo in che modo veniamo colpiti da una nuova immagine, ma non sappiamo cogliere contemporaneamente la complessità e il significato della trasformazione in corso. Anche ogni tropo o mutamento metaforico corrisponde a una geometria e a un'algebra, che rispecchiano avvenimenti del gioco cosmico, biologico e psicologico. Tuttavia, così come non possiamo cogliere allo stesso tempo quanto percepiamo, il fenomeno percettivo e la corrispondenza fra la percezione e la complessa reazione neuronale alla gamma di stimoli, analogamente non siamo in grado di comprendere in che modo veniamo influenzati dal processo linguistico del mito: la connessione si realizza a nostra insaputa. È possibile percepire una dimensione mitica alla volta ma, ciononostante, attraverso il mito noi penetriamo in maniera subconscia e radicale nella natura del tutto e nella nostra natura in quanto parte del tutto. Il mito è esemplare per la sua capacità di mantenere in equilibrio il collegamento fra tutti i significati possibili. Esso occulta il significato del tutto.

| << |  <  |