Copertina
Autore Paolo Ferri
Titolo La scuola digitale
SottotitoloCome le nuove tecnologie cambiano la formazione
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2008, Testi e pretesti , pag. 180, cop.fle., dim. 10,3x17x1,4 cm , Isbn 978-88-424-2042-2
LettoreElisabetta Cavalli, 2008
Classe scuola , informatica: reti
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Indice


 IX Premessa

  1 1.   I nuovi ambienti digitali per l'apprendimento
  3 1.1. Caso
         Il Web 2.0 e i nuovi strumenti del comunicare
 10 1.2. Che cos'è la nuova rivoluzione digitale:
         la società della conoscenza e della formazione
 14 1.3. La società informazionale e il capitalismo culturale
 18 1.4. La rivoluzione crossmediale e la formazione
 19 1.5. Da Gutenberg al digitale:
         la formazione oltre il libro e oltre l'aula
 25 1.6. Quale nuova alfabetizzazione per l'ambiente digitale
         esteso della formazione?

 31 2.   Reinventare la scuola per i digital native.
         Il megacambiamento tecnologico
 32 2.1. Caso
         Da Wikipedia a Wikiversity: come la tecnologia cambia
         gli strumenti e il modo della formazione
 41 2.2. I "new millennium learner": come studiarli
 57 2.3. Gutenberg native e digital native
 60 2.4. La differenza nelle modalità di rappresentare,
         conoscere e apprendere il mondo
 73 Appendice

 77 3.   Lo spazio fisico dell'apprendimento:
         come la tecnologia può trasformare
         gli spazi della scuola
 78 3.1. Caso
         Snæfellsnes Comprehensive Upper Secondary School:
         nuovi spazi per una nuova scuola
 87 3.2. La leva tecnologica come strumento per abbattere i muri
 96 3.3. Abbattere i muri: le trasformazioni degli spazi
         cognitivi architettonici e fisici della scuola

112 4.   Cambiare le politiche scolastiche e la formazione
         degli insegnanti
113 4.1. Caso
         Il consorzio IUL per la formazione in servizio
         degli insegnanti
119 4.2. La multimedialità nella scuola italiana:
         genesi, storia e sviluppo di un'incomprensione

145 Note

159 Bibliografia

175 Indice dei nomi


 

 

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Pagina IX

Premessa


La scuola digitale si propone di analizzare, attraverso la presentazione di una serie di esperienze europee e internazionali, il megacambiamento che il rapporto tra scuola, formazione e Information and Communication Technology sta generando. Una "rivoluzione" che coinvolge tutti gli aspetti del sistema formazione e del sistema scuola, tanto da rischiare di rendere, per certi versi, obsoleto il modo di intendere e praticare l'insegnamento e l'apprendimento propri della scuola italiana. I dati dell'indagine OCSE-PISA raccolti tra il 2003 e il 2006 mettono in rilievo, per esempio, come l'infrastrutturazione tecnologica della scuola vada a incidere in maniera rilevante tanto sulle modalità di apprendimento quanto sulle modalità di insegnamento. La questione supera, e di molto, sia il problema della diffusione dei computer nelle classi sia quello dell'addestramento degli insegnanti e dei formatori al loro uso. La formazione e la scuola digitali, infatti, ridisegnano i propri spazi fisici oltre che pedagogici, epistemologici e relazionali. In tutta Europa, purtroppo non in Italia, cadono i muri, le classi vengono ridisegnate o abolite, nascono open space e laboratori per i lavori di piccolo gruppo, la didattica prosegue fuori dallo spazio della scuola all'interno delle classi virtuali, le enciclopedie analogiche vengono sostituite da Wikipedia. In una parola, lo spazio fisico dell'apprendere si rimodella sulle nuove opportunità offerte dalla tecnologia. Anche lo spazio sociale della scuola si trasforma, il suo carattere di "medium sociale" assume nella nuova prospettiva digitale un volto nuovo. La comunicazione digitale sta infatti tessendo attorno ai luoghi fisici della formazione una struttura di relazioni formative "fuori le mura", che diventa lo strumento per la costruzione di una comunità di pratiche tra i soggetti coinvolti nel sistema (allievi, insegnanti, genitori, imprese, università), capaci di ideare e realizzare una nuova modalità d'interazione formativa e di comunicazione educativa. Lo spazio dell'apprendere e la tipologia di oggetti culturali che costituiscono il mix formativo vengono ridefiniti: non più lezioni frontali e libri, ma Internet, iPod, lavagne digitali e classi virtuali si affiancano e trasformano le modalità "gutenberghiane" dell'apprendimento. I giovani, infatti, ricevono dagli ambienti soprattutto extrascolastici importanti stimoli e sollecitazioni all'uso dei nuovi media (si pensi al cellulare o al Pc che in larga misura usano a casa), che rappresentano un serbatoio di esperienze e conoscenze per la scuola stessa, e che modificano radicalmente il rapporto fra educazione formale e informale. Alla luce di questa premessa, emergono molte domande che chiedono alle politiche scolastiche e della formazione una risposta urgente: come colmare il divario che si è aperto in questo come in altri campi tra l'Italia e i paesi più avanzati d'Europa? Come trasformare la dimensione mediale di un ambiente educativo e formativo come la scuola? In che modo può funzionare concretamente una scuola senza classi in termini di orario, programmazione, attività, ruolo dei docenti, organizzazione? Come si organizzano gli studenti (rispetto all'età, alle promozioni o bocciature, alle capacità)? Come si organizzano le discipline? Come utilizzare i contenuti digitali nella didattica?

In sintesi il volume prova a offrire alcune risposte ricavate dall'analisi di casi internazionali e pone ai decisori politico-istituzionali, così come ai protagonisti del sistema scuola, il problema concreto e urgente della trasformazione organizzativa e didattica di tutta la scuola italiana.

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Pagina 1

1. I nuovi ambienti digitali per l'apprendimento


Avviamo il nostro ragionamento dedicato alle trasformazioni che le tecnologie digitali introducono nei contesti formativi analizzando uno degli elementi più rilevanti ed eclatanti della "rivoluzione digitale" in atto. Si tratta del passaggio in corso dalla prima forma di Internet, il Web 1.0, alla sua evoluzione, il Web 2.0.

Wikipedia, l'enciclopedia on-line che simboleggia, insieme a Google e YouTube, questa transizione, prefigura la nuova forma che Internet sta acquisendo in questi termini: «una seconda generazione di servizi web-based – come siti di social networking, Wiki e strumenti di condivisione di file, audio e video – che enfatizzano la dimensione della cooperazione e della condivisione tra gli utenti della rete». La nuova forma che Internet sta assumendo è caratterizzata proprio dall'aumento della possibilità per gli utenti di interagire e rendere disponibili contenuti, conversare e creare conoscenza attraverso la rete. Nella definizione di Web 2.0 è possibile, inoltre, leggere una prevalenza dei "servizi" sui prodotti, unita alla possibilità concessa agli utenti di decretare il successo e la popolarità dell'informazione e dei contenuti che fruiscono (tagging e folksonomy), così come la possibilità da parte degli utenti di costruire cooperativamente i contenuti dell'apprendimento. Se Netscape può essere considerato l'archetipo del Web 1.0, Google è certamente l'archetipo del Web 2.0. Questo perché, sintetizzando la questione, se Netscape si limitava a essere sostanzialmente un web browser, offrendo dunque un "prodotto", Google ha raggiunto il successo attuale posizionandosi come "servizio" nello spazio compreso tra il browser, il motore di ricerca e il server di destinazione dei contenuti, divenendo quindi uno strumento o un intermediario tra l'utilizzatore e la sua esperienza on-line. La "nuova Internet", insomma, si fonda sul protagonismo degli utenti, e in questo, come vedremo, può fornire alle scienze della formazione un potente strumento per trasformare i modelli di insegnamento/apprendimento nella scuola, con l'obiettivo di mettere finalmente in pratica un modello di didattica e di scuola che consideri gli studenti non "vasi da riempire" ma talenti di cui favorire la crescita e le potenzialità.

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Pagina 3

1.1. Caso

Il Web 2.0 e i nuovi strumenti del comunicare'


Il Web 2.0, secondo l'inventore di questo termine, Tim O'Reilly (2005), implica innanzitutto un nuovo modo di considerare il web come una piattaforma priva di confini rigidi, dotata al contrario di una strutturale essenza interattiva e sociale. Ma di che cosa si tratta? Per comprenderlo riprendiamo la descrizione della nascita del termine "Web 2.0" durante una discussione: «Quando Dale Dougherty venne fuori durante una sessione di brainstorming con il termine "Web 2.0" capimmo di avere il titolo per il nostro convegno. Quello che non capimmo era il fatto che l'industria avrebbe molto rapidamente incluso il "meme" Web 2.0 fino a farlo diventare il termine che identifica il nuovo web. Web 2.0 significa molto di più che creare una nuova interfaccia utente per l'uso sociale del web» (O'Reilly, 2005). Si tratta di un nuovo modo di pensare, di una nuova prospettiva che riorienta la nostra visione di tutto il mondo del software, dalla sua concezione fino all'utilizzo che ne fa l'utente finale, passando per il marketing e l'assistenza ai clienti. Il Web 2.0 porta con sé una serie di comportamenti sociali concatenati legati alle pratiche d'uso dei software stessi che si espandono come onde in un lago e s'intersecano con altre onde, determinando nuove interferenze sociali e modalità di interazione on-line che a loro volta producono innovazioni tecnologiche basate su queste pratiche. Sono gli utenti che determinano e danno senso, con il loro contributo, ai data base delle applicazioni del Web 2.0 (Wikipedia, YouTube ecc.), i quali diventano sempre più ricchi di contenuti e significativi a mano a mano che essi vi aggiungono nuovi contenuti, nuovi modi d'uso e vi fanno nuove esperienze, le stesse applicazioni software diventano più brillanti e usabili man mano che gli utenti inventano nuovi modi per utilizzarle socialmente. Questo mercato dell'innovazione sociale e tecnologica è fatto di storie, delle narrazioni e delle esperienze degli user, «è un mercato fatto di conversazioni» (Levine, Locke, Searls, Weinberger, 2000) che si confrontano e interagiscono tra di loro attraverso le nuove piattaforme del "social networking".

È proprio la potenza degli utenti, la loro attiva partecipazione, a rappresentare la chiave interpretativa necessaria a comprendere la fase attuale del web. Un principio, questo, che sembra avvicinare l'interpretazione di O'Reilly alla concezione di intelligenza collettiva formulata da Pierre Lévy. In questi termini, le applicazioni del Web 2.0 non sarebbero altro che l'attualizzazione operativa di un inedito "spazio del sapere sociale" caratterizzato da «un'intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta a una mobilitazione effettiva delle competenze» (Lévy 1994, p. 34). L' hyperlinking e la generazione di nuovi contenuti da parte degli utenti (user generated content) sono gli strumenti adibiti a questa mobilitazione effettiva di competenze:

Quando gli utenti aggiungono nuovi concetti e nuovi siti, questi vengono integrati alla struttura del web dagli altri utenti che ne scoprono il contenuto e creano link. Così come le sinapsi si formano nel cervello, con le associazioni che diventano più forti attraverso la ripetizione o l'intensità, le connessioni nel web crescono organicamente come risultato dell'attività collettiva di tutti gli utenti del web (O'Reilly, 2005).

L'aumentare delle sinapsi del web: la metafora biologica e neurale utilizzata da O'Reilly è molto simile alla lettura degli effetti delle nuove tecnologie sulla mente sviluppata da Derrick De Kerckhove, il principale allievo del fondatore degli studi sui media Marshall McLuhan. De Kerckhove introduce a questo proposito la nozione di brainframe. La tesi è la seguente: ogni tecnologia della rappresentazione della conoscenza (Internet in questo caso) produce un peculiare riorientamento e una trasformazione delle nostre modalità di apprendere, conoscere e creare nuova conoscenza ( De Kerckhove, 1991). L'evoluzione di strumenti che supportano la mente, come in questo caso Internet, avverrebbe dunque secondo processi "naturali" non dissimili da quelli biologici ( Dyson, 1999), con ripercussioni capaci di modificare non soltanto la tecnologia, ma anche le capacità intellettive dell'essere umano sempre più abituato a ragionare secondo modalità "computazionali" (Kurzweil, 1999).

Da questi e altri punti di vista, il Web 2.0 è la più evidente manifestazione della transizione in atto da una modalità gutenberghiana di trasmissione del sapere e di apprendimento alla nuova "intelligenza connettiva", che caratterizza il modo di comunicare e apprendere nelle "società informazionali" contemporanee. Le tante "tracce" e i nuovi contenuti che gli utenti integrano nella struttura "connettiva" e aperta del Web 2.0, nel corso delle proprie esperienze di navigazione sono gli esempi più evidenti di tale processo. Si tratta dei commenti di eBay, delle recensioni di Amazon o dei fenomeni di social tagging e social bookmarking. Il Web 2.0 è un "web incrementale", o "live web", dove i contenuti sono fluidi e modificabili dai "navigatori".

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Pagina 34

Wikipedia: la mass cooperation al lavoro

Anche nel caso di Wikipedia si tratta di un gruppo di volontari che non fa capo ad alcun organismo centrale: chiunque sia interessato a contribuire volontariamente è il benvenuto. Ma, nella progettazione di Wikipedia, Jim Wales e Larry Sanger si spinsero oltre la logica dell'open source. Nelle comunità del free software le parti di codice che vengono liberamente create e messe a disposizione degli altri utenti non sono integrate nel sistema, ma vengono valutate ex ante dai membri esperti della comunità, prima di essere integrate nel software che sarà reso disponibile on-line. Una determinata funzionalità aggiuntiva viene inserita, per esempio nella nuova versione del sistema operativo Linux, solo dopo un'attenta verifica della sua efficienza e compatibilità con il sistema. La comunità Linux agisce ancora in modo pseudogerarchico, così come agiva il team di esperti e la redazione della prima versione dell'enciclopedia di Wales e Sanger, Nupedia. Wikipedia rovescia questa modalità di lavoro e, grazie alla logica della mass cooperation, prevede non solo la possibilita per tutti gli utenti di Internet di contribuire al progetto, integrando e modificando le voci, ma anche la possibilità di inserire direttamente on-line i contributi personali nell'enciclopedia. Viene cioè lasciato al "potere dello sciame", alla moltitudine degli utenti di Internet, la valutazione ex post della qualità del contributo. Si può, per così dire, permettere un "grado di libertà" molto maggiore agli utenti-autori di Wikipedia (Bolter, 1996). La radicalizzazione della logica dell'open source promossa da Wales e Sanger, cioè, consiste nel fatto che nel caso di Wikipedia ogni utente registrato – oggi sono più di un milione, di cui centomila hanno redatto oltre il 50% delle voci – può direttamente pubblicare on-line il suo contributo a una voce già esistente o addirittura può editare una nuova voce dell'enciclopedia, e la correzione o la revisione della voce medesima viene fatta direttamente on-line, dagli altri utenti. Lo strumento che a livello tecnologico ha reso possibile questa innovazione e, come vedremo, il clamoroso successo di Wikipedia è anch'esso un software open source. Si tratta di un programma per la scrittura cooperativa on-line ideato da Ward Cunningham nel 1995 e che prende il nome da un termine hawaiano che significa "veloce", il Wiki. Attraverso questo semplice software di rete è possibile aggiungere direttamente e velocemente un contributo al data base on-line di Wikipedia. In particolare, fu di Sanger l'idea di implementare le voci originarie di Nupedia all'interno di un'interfaccia Wiki, ma nessuno poteva prevedere il successo e la crescita esponenziale di credibilità e di contenuti che la nuova logica organizzativa garantì a Wikipedia. I risultati della radicalizzazione dell'etica haker ( Himanen, 2001) e della mass cooperation al lavoro furono stupefacenti anche per gli stessi Wales e Sanger. Nel primo mese di messa on-line di Wikipedia – che originariamente conteneva solo le voci realizzate per il progetto Nupedia – i nuovi articoli realizzati dagli utenti furono 200, e ben 80000 durante il primo anno di vita della versione inglese dell'enciclopedia!

Ma la pioggia si è presto trasformata in un uragano. Oggi Wikipedia conta edizioni in 22 lingue e le voci totali sono più di 4 milioni, mentre quelle della versione inglese sono a oggi più di 1,1 milioni e crescono all'impressionante numero di 2000 al giorno, per un totale di oltre 730000 nuove voci all'anno (Tapscott, Williams, 2006). Se il tasso di crescita si mantiene su questi ritmi, secondo una stima abbastanza prudente nel 2010 le voci di Wikipedia in inglese saranno più di 5 milioni, tanto da far affermare, un po' paradossalmente, a Wales che «l' Encyclopedia Britannica crollerà e sarà costretta a chiudere nell'arco dei prossimi cinque anni [...] come possono competere? Il nostro modello dei costi è semplicemente migliore» (Goetz, 2003).

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Pagina 60

2.4. La differenza nelle modalità di rappresentare, conoscere e apprendere il mondo

Per ciò che riguarda la rappresentazione, la conoscenza e l'esperienza del mondo possiamo affermare che i digital native contemporanei stanno sviluppando differenti schemi d'interpretazione della realtà che li circonda. Questo tema, ancora agli albori rispetto a una sua trattazione scintifica, è stato affrontato per la prima volta dallo scrittore russo Viktor Pelevin nel suo romanzo Generation P (1999). Riprendendo la fortunata e giustamente ambigua metafora dell' homo zappiens, Wim Veen, studioso di nuovi media e di tecnologie didattiche (Veen, 2003; Veen, Vrakking, 2006), a più riprese nei suoi saggi ha provato a sintetizzare gli effetti sui paradigmi dell'apprendimento che caratterizzano i digital native. In particolare, Veen sostiene come dall' homo sapiens si stia passando all' homo zappiens.

Homo zappiens identifica una generazione che ha avuto nel mouse, nel Pc e nello schermo una finestra di accesso al mondo. Questa generazione mostra comportamenti di apprendimento differenti dalle generazioni precedenti; in particolare, apprendere attraverso schermi, icone, suoni, giochi, "navigazioni" virtuali e in costante contatto telematico con il gruppo dei pari significa sviluppare comportamenti di apprendimento non lineari, come quelli alfabetici e gutenberghiani.

Secondo Veen, per esempio, i valori che orientano gli stili e i comportamenti di apprendimento dei digital native sono:

– l'espressione di sé;

– la personalizzazione;

– la condivisione costante di informazione (sharing);

– il riferimento costante ai coetanei.

I digital native sono molto più avvezzi di noi ad ambienti digitali di apprendimento. Per esempio, per quanto riguarda i videogiochi. Alcuni di questi non hanno nulla a che fare con l'apprendimento poiché si limitano ad attivare funzioni neurali di tipo motorio-percettivo, azioni automatiche e di stimolo-risposta, che nel tempo lungo danneggiano le capacità di apprendimento. Tuttavia altri, soprattutto quelli che richiedono strategia, riflessione e costruzione di mondi possibili (quali SimCity, il cui fine è costruire e amministrare una città, o Age of Empires, nel quale si deve addirittura costruire un impero), sviluppano l'attenzione selettiva, la "riserva cognitiva" e l'intelligenza secondo una modalità nuova. "Videogiocare", per esempio ai Sims o a SimCity, implica una costante attenzione proattiva, la ricerca incessante di soluzioni a problemi che via via si manifestano, lo sperimentare ruoli differenti all'interno del contesto del gioco, e quindi rappresenta una modalità di attivare apprendimenti ed esperienze anche sociali, perché ormai si gioca on-line con altri "umani" e non solo contro la macchina. Ma questi videogiochi sono solo la punta di un iceberg. I digital native hanno a disposizione una grande quantità di strumenti di apprendimento e comunicazione formativa e sociale: da MSN Messenger al telefono cellulare, dalle chat di Internet ai siti di scambio e condivisione di contenuti on-line. Inoltre, un comportamento di appropriazione mediale molto frequente presso i digital native è il multitasking: studiano mentre ascoltano musica, e nello stesso tempo si mantengono in contatto con il gruppo di pari attraverso MSN Messenger, mentre il televisore è acceso con il suo sottofondo di immagini e parole. Il problema del sovraccarico cognitivo che questo comporta è spesso risolto attraverso il continuo passaggio da un media a un altro, tramite uno zapping consapevole tra le differenti fonti di apprendimento e di comunicazione. Questo comportamento non è solo foriero di disattenzione e di disorientamento cognitivo. I digital native hanno e stanno imparando a "navigare" e a muoversi in maniera non lineare tra le fonti d'informazione e comunicazione, a esplorare i contesti di conoscenza, così come i videogiochi, cercando di dare significato al nuovo campo semantico attraverso ricognizioni non lineari e molto disinibite. Noi adulti cerchiamo sempre un "manuale" o abbiamo bisogno di strumenti per inquadrare concettualmente un oggetto di studio prima di dedicarci a esso. I digital native no; non è detto che sia un fattore positivo ma è un fatto. Apprendono per esperienza e successive approssimazioni secondo una logica che è più vicina a quella "abduttiva" di Peirce, che non alla logica induttiva di Galileo o a quella deduttiva di Aristotele, che caratterizzavano il modo di apprendimento gutenberghiano. I digital native procedono attraverso una progressiva scoperta del senso dell'oggetto culturale che esplorano e costruendosi a mano a mano gli strumenti adatti per quella determinata area di esplorazione del sapere o del mondo.

Da questo punto di vista i digital native hanno un approccio molto più personalizzato, esperienziale e meno dogmatico del nostro. Un approccio che entra nei differenti campi di esperienza per prove ed errori, imparando dagli errori, più che un approccio storico o sistematico e sequenziale alla conoscenza come il nostro. Inoltre, la condivisione con i pari, la cooperazione, l'utilizzo di differenti approcci al problema dato e di molteplici codici e piani di interpretazione per risolverlo li differenziano radicalmente rispetto a noi. Si tratta di un approccio open source e cooperativo agli oggetti culturali che è ben rappresentato dal modo in cui i giovani condividono la musica, il sapere e le esperienze on-line attraverso i più diversi strumenti di comunicazione tecnologica (MSN Messenger, Wikipedia, Skype, iPod e podcasting, blog). Si sta costruendo, secondo le regole dell' "etica hacker" — condivisione, gratuità, cooperazione — (Castells, Himanen, 2002) un universo di senso nuovo, un nuovo stile di apprendimento collaborativo. Per trovare la soluzione a un problema o apprendere il significato di un concetto i digital native utilizzano un nuovo approccio: piuttosto che interpretare, configurano; piuttosto che concentrarsi su oggetti statici, vedono il sapere come un processo dinamico; piuttosto che essere spettatori, sono attori e autori delle trame multiple e delle molteplici conclusioni che danno alle storie che essi stessi costruiscono in cooperazione con i loro pari. Lo stesso apprendimento è per loro un processo attivo e sociale da condividere con i pari. L'approccio dei digital native alla conoscenza può, seguendo le ipotesi di Veen (2003) e di Prensky (2001), essere descritto nel modo seguente: basato sulla ricerca e la scoperta, a rete, esperienziale, collaborativo, attivo, autorganizzato, centrato sul problem solving e sulla condivisione dei saperi.

Essere digitali (Negroponte, 1995) o divenire digitali significa infatti subire e nello stesso tempo essere attori di un peculiare riorientamento gestaltico dei nostri tradizionali quadri concettuali; significa, cioè, vivere ed esperire il tempo al di fuori del paradigma moderno del "tempo dell'orologio" e affacciarsi a una nuova dimensione: per usare le parole di Derrick De Kerckhove, la cyberception del tempo. Di che cosa si tratta? Dell'immersione a 360° delle nostre funzioni cognitive all'interno di un tempo/spazio della comunicazione tridimensionale.

De Kerckhove, in particolare, analizza il passaggio in atto nel mondo della comunicazione e della trasmissione dei saperi, dal brainframe gutenberghiano, dal paradigma del libro, alla nuova frontiera della multicodicalità digitale, che egli identifica con il paradigma della cyberception. Prendiamo in considerazione in primo luogo la definizione che De Kerckhove fornisce del vecchio paradigma:

È stato l'alfabeto a creare tempo e spazio. Non esistevano prima dell'alfabeto. Tutti noi pensiamo che lo spazio sia infinito, e che il tempo cominci qui e che finirà da qualche altra parte. Questa è la visione del tempo unilineare, irreversibile, storico. È qualcosa di neurologico, è una struttura neurofisiologica. Quando siamo ancora bambini, e impariamo a leggere, viene generata un'interazione tra la struttura della nostra mente e la struttura della scrittura. Cominciamo a imparare, e integriamo queste strutture.

Si tratta ora di valutare in che modo e in quali maniere la natura intrinsecamente interattiva dei media digitali generi una particolare ridefinizione del nostro apparato cognitivo-percettivo. Prosegue De Kerckhove:

Il cervello cibernetico accentua l'interazione cibernetica permanente del cervello umano con il mondo esterno. Noi cambiamo il mondo e il mondo cambia noi. Abbiamo sempre usato così il nostro cervello. Il problema è che, fino a oggi, ci voleva del tempo perché la reazione cibernetica del mondo retroagisse sul cervello. Non si poteva semplicemente pensare una cosa e vedersela realizzata davanti agli occhi come per magia [...]. Oggi, la velocità di interazione è aumentata fino all'immediatezza.

Questa trasformazione implica anche un radicale ripensamento delle funzioni cognitive della mente, così come delle sue modalità di apprendimento, dei rischi, dei pericoli e delle opportunità che analizzeremo nel prosieguo di questo lavoro.

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4.2.3. Come evitare il generational gap tra scuola e studenti

Le linee guida degli ultimi anni non hanno contribuito a fare chiarezza e a sviluppare le buone intenzioni della stagione 1996-2001, ma è pur vero che quella stagione ha cambiato la scuola in maniera per fortuna irreversibile. Gli insegnanti sono in Italia tra i maggiori utenti del computer, le iniziative di INDIRE sono proseguite e hanno formato a oggi più di quattrocentomila docenti, la consapevolezza della necessità di un cambiamento, che allinei l'Italia ai livelli europei d'integrazione della tecnologia nella scuola, è avvertita chiaramente alla periferia se non al centro. Inoltre, alcune regioni (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Calabria, Sicilia, e cito solo quelle dove ho potuto collaborare a progetti concreti di formazione degli insegnanti) hanno sviluppato autonomamente buone pratiche nel campo dell'educazione con i media. Quel che resta da fare è molto – ma il terreno, nonostante i balbettamenti della politica, è già dissodato – e soprattutto è piuttosto chiaro.

In primo luogo, occorrerà spingere per la definizione istituzionale di una formazione degli insegnanti alla tecnologia integrata con le pratiche didattiche e con il contesto territoriale di riferimento e non fine a se stessa o semplicemente orientata all'alfabetizzazione tecnologica.

In secondo luogo, sarà necessario portare gli insegnanti a riflettere sulle potenzialità di utilizzo del computer e delle tecnologie, in modo tale da riuscire a proporre a bambini e adolescenti un approccio all'uso del computer che privilegi l'idea di un'educazione "con i media", rispetto alla pur necessaria educazione "ai media" (Ferri, Mantovani, 2006).

In terzo luogo, sarà necessario riflettere facendo tesoro anche delle esperienze internazionali (vedi capitolo 3) sull'allestimento di spazi idonei ad accogliere i computer nella scuola, dal momento che, come abbiamo visto, non è irrilevante la decisione di collocarli in classe, in laboratorio o in altri luoghi.

In quarto luogo, ma forse è il punto più importante, è necessario che l'istituzione scuola, ma anche l'istruzione universitaria, comincino a parlare la lingua dei digital native. Che cosa significa questo? Significa intersecare le nostre competenze con gli stili cognitivi dei ragazzi e dei bambini: per esempio, se ci rendiamo conto che un videogioco o uno strumento informatico, come il Logo di Papert (1993) o il linguaggio Flash, rende più efficace e più piacevole l'apprendimento della geometria, non dobbiamo aver paura di delegare a questo nuovo "attrezzo" il nostro vecchio armamentario di dimostrazioni e postulati; potremo poi procedere a derivare questi ultimi dall'esperienza grafico-geometrica che i bambini hanno avuto attraverso il videogioco. Lo stesso vale per l'apprendimento della lingua, ma anche della letteratura nella propria madrelingua: anche in questo caso, se la costruzione cooperativa del plot e la realizzazione di un video da pubblicare su YouTube rendono più interessante e stimolante la trama dei Promessi sposi e invogliano gli studenti alla lettura, non dobbiamo aver paura a utilizzare questo modo di "rimediare" in digitale la letteratura. Il sistema scolastico deve essere in grado, perciò, di formare e selezionare gli insegnanti, non solamente per la loro capacità di trattare una certa materia, ma anche e forse soprattutto per la loro capacità metodologica di sviluppare strategie e abilità nel parlare la nuova lingua dei digital native.

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