Autore Erling Kagge
Titolo Camminare
SottotitoloUn gesto sovversivo
EdizioneEinaudi, Torino, 2018, Stile Libero Extra , pag. 140, cop.fle., dim. 12,7x19,8x1,2 cm , Isbn 978-88-06-23829-2
OriginaleÅ GÅ - ett skritt av gangen
TraduttoreSara Culeddu
LettoreElisabetta Cavalli, 2019
Classe sport , salute












 

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Indice


     5   Uno

    15   Due

   121   Annotazioni dell'autore


   130   Ringraziamenti

   131   Bibliografia
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Pagina 12

Mi è impossibile tenere il conto delle camminate che ho fatto.

Ne ho fatte di corte e di lunghe. Ho camminato per lasciare una città o per entrarvi. Ho camminato di notte e di giorno, lasciando fidanzate o andando incontro ad amici. Ho camminato per boschi e montagne, su superfici ghiacciate e in paesaggi trasformati dall'uomo. Ho camminato annoiandomi e ho camminato per fuggire l'inquietudine. Ho camminato nel dolore e nella gioia. Ma a prescindere dai dove e dai perché, ho camminato tanto. Ho camminato fino alla fine del mondo, letteralmente.

Ogni camminata è stata diversa dalle altre, ma guardandomi indietro posso individuare un tratto comune: il silenzio interiore. Il camminare e il silenzio sono collegati. Il silenzio è astratto, il camminare concreto.


Finché non ho avuto una famiglia, una casa e un lavoro, non mi sono mai chiesto perché fosse cosí importante camminare. Invece i bambini volevano una risposta: perché bisogna camminare se si fa prima in macchina? Molti adulti con cui mi sono trovato a parlare si chiedevano la stessa cosa: qual è il senso di muoversi lentamente da un posto a un altro?


Seppure io e te camminassimo a fianco, avremmo due esperienze diverse. Finora mi sono sempre limitato a fornire la spiegazione semplificata, quella a cui si ricorre perché è immediata ma, in quanto tale, contraria all'essenza stessa del camminare: ho risposto che chi cammina vive piú a lungo. E ha una memoria migliore. La pressione sanguigna piú bassa. Si ammala piú raramente. Ogni volta che mi sono trovato a raccontare queste cose, però, ero cosciente di dire solo metà della verità. Camminare, ,infatti, è molto di più che una lista di benefici per la salute degna di una pubblicità sulle vitamine. E allora, in cosa consiste l'altra metà della verità?


Perché camminiamo? Perché cammino? Da dove mi sto allontanando a piedi e verso cosa mi sto dirigendo?

Siccome le risposte sono piuttosto misteriose, alla fine ho sentito il desiderio di districare un po' la matassa. Mi sono messo le scarpe, ho lasciato vagare un po' i pensieri e ora di una cosa sono sicuro: mettere un piede davanti all'altro è tra le azioni piú importanti che compiamo.


E allora andiamo.

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Pagina 17

Se vai verso una montagna in macchina e lasci che i laghetti, le colline, le pietre, il muschio e gli alberi ti sfreccino accanto, la vita si fa piú corta. Non puoi sentire il vento, gli odori, il tempo atmosferico o i cambiamenti di luce. I piedi non ti fanno male. Tutto si amalgama.

Quando aumenti il ritmo, non è solo il tempo a ridursi, ma anche la percezione dello spazio.

[...]

Ecco un segreto che condividono tutti i camminatori: la vita dura di più quando cammini. Camminare dilata ogni attimo.

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Pagina 31

«C'è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio», scrive Milan Kundera nel romanzo La lentezza. Quando leggo questa frase, mi ci riconosco. Kundera prende come esempio un uomo che cammina per strada cercando di ricordare un evento che sa di aver dimenticato. In quel frangente rallenta il passo. Un altro, che cerca di dimenticare un episodio imbarazzante che ha appena vissuto, fa esattamente il contrario e aumenta la velocità senza riflettere, come se volesse sbrigarsi ad allontanarsi da qualcosa di vicino nel tempo. Kundera traduce i suoi esempi in matematica esistenziale e crea due equazioni: «Il grado di lentezza è direttamente proporzionale all'intensità della memoria; il grado di velocità è direttamente proporzionale all'intensità dell'oblio».

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Pagina 34

Lo schiavo Esopo, quello delle favole, già duemilacinquecento anni fa ridicolizzava il bisogno umano di fare piú cose contemporaneamente. Secondo il saggista Michel de Montaigne , una volta Esopo vide il suo padrone orinare mentre camminava e commentò: «E che dunque, dovremo cacare correndo?» Che Esopo sia stato il primo a mettere in discussione l'efficacia del multitasking? Non saprei. Quel che so è che, pur mettendone in dubbio l'efficacia, cerco ancora di fare due o piú cose contemporaneamente. Aveva ragione Montaigne quando, in seguito, scrisse: «Amministriamo il tempo, ce ne resta ancora molto di ozioso e mal impiegato».

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Pagina 42

Dal 1948 al 1959 scrittore Vladimir Nabokov tenne lezioni agli studenti della Cornell University sull' Ulisse di Joyce. In breve, il romanzo narra la storia di Stephen Dedalus e Leopold Bloom che, in un giorno «qualunque», il 16 giugno 1904, camminano per le strade di Dublino, entrando e uscendo da case e salendo e scendendo scale per settecentotrentasei pagine. Ci sono anche avvenimenti piú significativi del vagare in sé, come il fatto che Rudy, il figlio di Bloom, muore da neonato, o che la moglie dal momento della tragedia non vuole più fare sesso con lui, o anche il suicidio del padre, ma funzionano apparentemente come storie secondarie nelle pieghe del racconto.

Nabokov sosteneva che per poter comprendere il romanzo e apprezzare la scrittura di Joyce non bastasse sapere che i personaggi vagano per le strade di Dublino, che cosa pensano e che cosa fanno. Per riuscire a capire quel libro gli studenti dovevano essere a conoscenza dei luoghi frequentati dai personaggi e delle ore del giorno in cui camminavano. «Invece di perpetuare la pretenziosa assurdità dei titoli omerici, cromatici e viscerali dei diversi capitoli, gli insegnanti farebbero meglio a preparare delle cartine di Dublino su cui siano indicati chiaramente gli itinerari intrecciati di Bloom e di Stephen».

Mi piace questo consiglio. Bloom descrive ogni strada cosí dettagliatamente che è come se invitasse il lettore a posare il libro e farsi un giro in città. Nabokov mise in pratica le sue parole e disegnò una mappa con vie, frecce, numeri e nomi. Io l'ho studiata e ho seguito lo stesso percorso della trama. Ha ragione. Davy Byrne's, un pub menzionato nel romanzo, è tutta un'altra cosa dopo che si è passeggiato per le stesse strade di Bloom, si è entrati e si è bevuto il suo bicchiere preferito, un Burgunder.

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Pagina 52

Quando sono stanco o giú di corda, cammino con la schiena piú curva e i passi si fanno piú pesanti. Nel romanzo Austerlitz , lo scrittore W. G. Sebald racconta che gli abitanti di Praga cambiarono andatura il mattino in cui i soldati tedeschi occuparono la città: «A partire da quel giorno la gente prese a far vita ritirata, a camminare con passo piú lento, come nel sonno, quasi non sapesse piú in quale direzione volgersi». Mi piace che Sebald enfatizzi così. Anche se i cechi non camminavano davvero come sonnambuli durante l'occupazione, lo scrittore riesce a creare un'immagine che rende piú facile immaginare come, a modo suo, quel giorno la città abbia sofferto una specie di morte collettiva.

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Pagina 67

Ippocrate, il padre della medicina moderna, aveva le idee altrettanto chiare duemilaquattrocento anni fa. Metteva in guardia contro la fallibilità delle cure farmacologiche e sosteneva che nessuna medicina ha un raggio d'azione tanto ampio quanto il mettere un piede davanti all'altro. «Camminare è la migliore medicina per l'uomo». Credo che la pratica del camminare abbia avuto, nella salute dei popoli, un ruolo maggiore di tutte le medicine assunte nella storia.

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Pagina 81

Fare una passeggiata in un parco o in un bosco, trovare un posto tranquillo e sdraiarmi quando sono stanco, per me sono le esperienze più belle al mondo. Guardare gli alberi che si innalzano intorno a me e rilassarmi. Nel 1982, in Giappone, diedero un nome a questa sensazione: Shinrin-yoku. «Bagno di bosco». Una terapia, una bosco-terapia, per calmarsi. Tutti e cinque i sensi possono essere soddisfatti: il suono degli uccelli, l'odore dell'aria buona, la vista delle foglie verdi, la vicinanza fisica di alberi, piante, muschio ed erba, il sapore di bacche e funghi.

[...]

Henry David Thoreau anticipò lo Shinrin-yoku nel suo libro Camminare , centocinquantuno anni prima che il termine fosse coniato. «Penso che non riuscirei a mantenermi in buona salute, sia nel corpo che nello spirito, se non trascorressi almeno quattro ore al giorno - e generalmente sono di più - vagabondando per i boschi, per le colline e per i campi, totalmente libero da ogni preoccupazione terrena». Per di piú dichiarò di essersi innamorato di una quercia. Ottima scelta, se uno è orientato sugli alberi. «Alla fine si levò una dolce musica. Mi innamorai di una quercia».

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Pagina 111

[...] Camminare può significare vedere sé stessi, amare la terra e lasciare che il corpo si muova al ritmo dell'anima.


Quando cammino in un bosco, sento di diventare gradualmente un tutt'uno con l'ambiente che mi circonda. Come se il corpo non finisse con le punte delle dita. Col passare delle ore si espande sempre di piú nell'erba, l'erica, gli alberi e l'aria.

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