Copertina
Autore Vittorio Marchis
Titolo Smell: vizi e virtù nel mondo degli odori
EdizioneUTET Libreria, Torino, 2006 , pag. 286, cop.fle., dim. 15x23x2,4 cm , Isbn 978-88-02-07258-6
LettoreGiovanna Bacci, 2007
Classe storia sociale , storia letteraria , sensi
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Indice

VII Note di testa
  3 Geografia linguistica degli odori

  9 Capitolo 1: Essere / Non Essere

  9 Parole
 12 Sensazioni
 20 Memorie
 23 Cataloghi
 29 Congetture
 33 Spiriti
 40 Utopie

 45 Capitolo 2: Avere / Non avere

 45 Ricordo
 46 Fragranza
 51 Viaggio
 58 Dimora
 67 Potere
 69 Esperienza
 72 Pensiero

 75 Capitolo 3: Desiderare / Detestare

 75 Fetido
 82 Profumato
 86 Olistico
 89 Scritto
 95 Esotico
101 Entropico
105 Nostalgico

107 Capitolo 4: Odiare / Amare

107 Persone
113 Animali
117 Mostri
123 Essenze
131 Istinti
135 Cose
143 Piante

151 Capitolo 5: Consumare / Conservare

151 Cucine
160 Montagne
163 Cantine
165 Campagne
170 Mercati
178 Magazzini
183 Giardini

189 Capitolo 6: Godere / Soffrire

189 Fantasmi
194 Dolori
199 Estasi
201 Salubrità
209 Seduzioni
216 Sinestesie
221 Piaceri

225 Capitolo 7: Oziare / Lavorare

225 Produrre
234 Fiutare
237 Ascoltare
240 Ricercare
246 Guardare
250 Cantare
254 Serie benzoica
255 Proteggere

261 Note di fondo
271 Riferimenti bibliografici
277 Indice dei nomi

 

 

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Pagina VII

Prologo


Questo libro non vuole essere una Summa della scienza olfattiva, della botanica odorosa, della chimica degli aromi, dell'antropologia dell'olfatto, della infinità varietà delle fragranze che affollano le riviste patinate e alla moda, ma non vuole nemmeno ripercorrere la strada che è possibile seguire leggendo altri libri o saggi a cui si farà un fugace riferimento, non perché essi contengano cose sorpassate, ma perché non si è ritenuto bene riscrivere ciò che altri hanno già fatto in maniera eccellente. Ciò che hanno scritto Septimus Piesse e Alain Corbin, Annik Leguérér o Luca Turin, solo per fare alcuni nomi, resta di fondamentale importanza nella letteratura degli odori e ciò è sufficiente.

Nel mondo degli odori e dei profumi la bibliografia, come la webografia (se così la si può chiamare) è sterminata: i titoli dei libri che sono stati oggetto di citazioni dirette sono riportati direttamente a seguire i passi scelti, scegliendo la forma più agile per non appesantire la lettura. Per tale motivo, non si sono volute preparare note né a pié di pagina né tanto meno alla fine di ogni capitolo. Questo è un libro da leggere, o meglio da curiosare e i riferimenti servono solo come punto di partenza per nuove avventure olfattive.

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Pagina 3

Note di testa


Geografia linguistica degli odori

Profumare in provenzale è perfumar, esattamente come in veneziano; in ebraico è reyach. I Veneziani che del Mediterraneo furono signori furono tra i primi a usare il termine pucia, per puzza, che compare già in un documento del XIII secolo; ma le origini sono assai lontane: pűy-è significa imputridisco, in sanscrito. E rimanendo a Venezia perché non dimenticare la spussa de freschin, il classico odore che resta sulle mani e sui piatti dopo che si è lavato il pesce o si è sbattuto un uovo?

Per i Portoghesi l' odor, l' aroma e la fragrăncia sono più gradevoli e profumati del cheiro e dell' hálito.

In Spagna oler, olfatear vuol dire odorare, e olor e perfume sono facilmente comprensibili; a partire dal mal olor incominciano invece le puzze e si arriva così al hedor, alla hediondez e alla peste, al pestazo. Per definire un odore intenso e profumatissimo si parla di ambar y algalia: l'accoppiata dell'ambra e dell' ambarina, il secreto delle ghiandole del gato de algalia, lo zibetto (la Civettictis civetta, in arabo zabad).

In turco odorare si dice kokmak, in serbocroato mirisati e in greco moderno si dice mirizein. Ŕroma è il profumo greco, oggi come al tempo di Omero e fa diretto riferimento alle erbe aromatiche (timo, maggiorana, rosmarino, ecc.) che crescevano in quelle regioni: aromatopolìo è la profumeria, che si chiama anche miropolio. Ma il profumo oggi in Grecia è anche evodhia: genericamente l'odore diventa mirodhia e la puzza, vroma. Al verbo si collegano mirìzein e anche miros in rumeno e mirisati in serbocroato.

Se ritorniamo indietro nel tempo, nella Grecia classica, se come già detto àroma sono le erbe aromatiche, bròma è la puzza, il fetore, e da questa parola deriva il nome del Bromo, elemento volatile e dallo sgradevole odore pungente. Osme, -es è l'odore che se gradevole diventa un profumo: thumiama. Ozo e osfainomai significano «io odoro» e l'aggettivo profumato diventa ododos.

Gli arabi hanno dato il nome ai profumi come a tante altre cose: al-anbar è l'ambra, che diventa al-mablu se è grigia, di provenienza ittica, detta anche «ambra a pesce», mentre l'ambra «a becco», che è estratta dal becco di particolari volatili, si chiama al-manak iri. Il muschio, che è un profumo estratto dalle ghiandole sessuali di alcuni mustelidi si dice al-misk e diventa al-zabad quando è estratto dallo zibetto. Buhur è l'incenso.

[...]

La parola parfum apparve in Francia per la prima volta scritta in un testo solo nel 1528. Prima gli unguenti, le tragranze, i balsami appunto si chiamavano baume, un termine che appare per la prima vola in une scritto di San Bernardo da Chiaravalle (1190) e con lo stesso termine veniva designato il profumo, che nel francese medievale è balme, besme a sua volta derivato dal latino balsamum: il profumiere era il baumier.

Così si ritorna alle origini e poiché la ricchezza della lingua latina richiede una particolare attenzione, solo un glossario odoroso potrà iniziare a mettere ordine in un lessico che ha generato gran parte della terminologia olfattiva della nostra società: verbi, sostantivi e aggettivi sono riportati in ordine rigorosamente alfabetico, omettendo ogni aspetto che non emana odore.


ACUTUS, agg., (dell'odore) pungente.
ACOR, m., acidità, asprezza al gusto e all'odore.
ACRIMONIA, f., acidità, sapore aspro, odore acre.
AMARUS, agg., (dell'odore) acre, sgradevole, irritante.
AROMA, n., odore.
ARGUTUS, agg., (del sapore e dell'odore) acre, piccante, pungente.
AURA, f., fragranza, odore, profumo.
AUSTERUS, agg., (dell'odore) forte, acuto.
BENEOLENTIA, f., (p. cl.) buon odore.
CAPER, m., puzza, odore ascellare.
CARIES, f., (detto di cibi) rancidezza, cattivo odore o sapore.
CYPRUS o CYPROS, f., ligustro, la pianta, l'olio e il profumo
che se ne ricava.
EXHALO, intr., odorare, profumare.
FOETEO o FETEO, intr., puzzare, avere un odore fetido.
FOETOR o FETOR, m., fetore, puzza, cattivo odore.
FRAGRANTIA, f., fragranza, profumo.
[...]

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Pagina 101

Entropico

«Ho intenzione di scrivere una grande, imperitura opera epica, degna di questo mondo eterno e arduo, quasi scolpito nella pietra.» Sono le parole con cui Tadeus Borowski termina il suo racconto Il mondo di pietra che segna l'inizio di una raccolta dal medesimo titolo e subito, evocati dalla desolazione di un paese appena uscito dalla guerra e in piena ricostruzione, si affollano i ricordi di un mondo di lager e di aguzzini che saranno oggetto dei racconti successivi. Il contrasto tra le sensazioni immediate che si percepiscono nelle «solitarie passeggiate nei quartieri operai» e «il soffocante tanfo di sudore si mischiavano nell'aria il profumo del cibo e il fumo e il vapore liberato dall'acqua che, gocciolando dalle assi del tetto, cadeva sugli uomini, sugli attrezzi e sul cibo con la stessa monotonia» dell'orrore nazista è intenzionalmente costruito per spiazzare il lettore.

Da qualche tempo nei pomeriggi torridi esco con piacere da casa per lunghe, solitarie passeggiate nei quartieri operai della mia città. Mi piace inalare a profonde boccate la maleodorante polvere delle rovine, secca come il pan grattato; con malcelata ironia, chinando — com'è mia abitudine — un po' la testa sulla spalla destra, mi metto a guardare le donnette di campagna accoccolate accanto alle loro mercanzie, al piedi dei muri degli edifici distrutti; contemplo i ragazzini sporchi che fino a notte rincorrono, fra le pozzanghere, una palla di stracci tenuta insieme dal fango, e pure gli operai coperti di polvere e puzzolenti di sudore che, dall'alba a notte fonda, nella strada deserta imbullonano in fretta le rotaie del tram [...] Quando, dopo una rovente giornata di polvere e puzza di benzina, cala finalmente il rinfrescante crepuscolo, trasformando le rovine tubercolotiche in una ingenua scenografia, sempre più scura sullo sfondo del cielo che si addensa, faccio ritorno, passando sotto ai lampioni piantati da poco, al mio appartamento odoroso di calce fresca.

Nell' Entropia di Thomas Pynchon le sinestesie sono solamente un segnale della complessità del mondo, anche quando lo si vorrebbe ridurre solamente a schemi come per esempio quelli indicati dai cinque sensi. Ma sono proprio cinque?

Aubade: metà francese e metà annamita, viveva sul suo pianeta strano e solitario dove le nuvole, l'odore delle poinciane, l'amaro del vino, le dita casuali sulle reni morbide o sul seno, le giungevano inevitabilmente trasposti in termini sonori: una musica che emergeva ad intervalli da un'oscurità urlante di discordanze.

E di fronte a queste osservazioni non si poteva rimanere indifferenti né con la mente né con le sensazioni piu immediate e dirette. Le elucubrazioni di chi cerca nella scienza la formula risolutrice del mondo sono destinate presto a naufragare di fronte ai dilemmi che ancor prima del la «storia» hanno arrovellato i perché dell'uomo.

Callisto si trovava adesso nelle stesse condizioni rispetto alla Termodinamica, la vita interiore di quell'energia, e si rendeva conto, come il suo possessore, che la Vergine e la dinamo rappresentano sia l'amore che l'energia; anzi, che sono identici; e che l'amore quindi non solo fa girare il mondo, ma fa anche rotolare le bocce e provoca la precessione delle nebulose.

Anche in queste situazioni che si mescolano con i ricordi banali che danno il senso alla nostra vita animale, è difficile ricostruire le mappe della conoscenza del mondo e il filo d'Arianna spesso si lega a segnali che difficilmente trovano una tassonomia scientificamente rigorosa. Una tassonomia degli odori proprio non esiste, ma i ricordi odorosi restano vivi e duri a morire.

Tornato a Nizza dopo la seconda guerra aveva scoperto che quel caffè era stato sostituito da una profumeria per turisti americani. E niente vestigia segrete di lei, né nei ciottoli né nella vecchia pensione dietro l'angolo; nessun profumo che somigliasse al suo alito, appesantito da quel vino dolce spagnolo che lei beveva sempre.

«Nel fumo che pungeva gli occhi ancora per un bel po', l'odore acuto della polvere dello zolfo ci restava come per uccidere le cimici e le pulci della terra intera.» Siamo in una trincea delle Fiandre e chi scrive è Céline nel suo Viaggio al termine della notte. L'orrore della guerra, di questa Grande Guerra, che è ancora combattuta corpo a corpo, ma che già è oltraggiata dalle nuove tecnologie, si sente anche dal puzzo e dal fetore di morte.

Nei fienili, per l'odore che gli usciva dalle ferite, puzzava così tanto, che si restava soffocati. [...] Passammo per cominciare, come tutti i feriti dell'epoca, per il controllo, al Val-de-Gràce, cittadella panciuta, così nobile fronzuta d'alberi, e che puzzava dannatamente d'omnibus per i corridori, odore oggi e certo per sempre scomparso, un misto di piedi, paglia e lampade a petrolio.

Nel suo Viaggio, il protagonista si sposterà nell'Africa coloniale, in un ospedale da campo e successivamente approderà nelle grandi metropoli industriali di oltre oceano.

Nel grande abbandono molle che circonda la città, là dove la menzogna del suo lusso viene a trasudare e finire in marciume, la città mostra a chi vuol vedere il suo grande deretano nelle casse dei rifiuti. Ci sono fabbriche che uno evita quando passeggia, che sanno di tutti gli odori, di quelli incredibili e dove l'aria intorno si rifiuta di puzzare di più. Lì vicino, ammuffisce il piccolo parco giochi, tra due alte ciminiere ineguali.

E se si entra con Céline nei luoghi del lavoro, ben al di là di quella «organizzazione scientifica» teorizzata da Friedrich Winslow Taylor largamente adottata da Henry Ford, c'è lo sconquassamento dei cinque sensi, e l'odore, il tanfo si mescolano al rumore assordante delle macchine.

Gli operai ricurvi preoccupati di fare tutto il piacere che possono alle macchine ci demoralizzano, a passargli bulloni al calibro e ancora bulloni, invece di finirla una volta per tutte, con quell'odore d'olio, quello poi che brucia i timpani e l'interno delle orecchie attraverso la gola. Non è la vergogna che gli fa abbassare la testa. Ci si arrende al rumore come ci si arrende alla guerra... quando alle sei tutto si ferma ti porti rumore nella testa, ne avevo ancora per la notte intera di rumore odore d'olio proprio come se mi avessero messo un naso nuovo, un cervello nuovo per sempre.

Nei suoi «weekend postmoderni» Pier Vittorio Tondelli sente e vede il modo come accade alla nuova generazione dei media radiotelevisivi, poco spazio dedica agli altri sensi e l'olfatto fa capolino solamene in situazioni improvvise, immediate, proprio nel senso etimologico del termine: senza «media».

Arrivato a Barcellona trova la metropoli e la sua movida. «Barcellona è un città in cui i sapidi odori della cugina spagnola si mischiano a quelli delle diverse razze degli uomini venuti dal mare, in particolare dal continente africano. Gli odori di Barcellona, i suoi profumi, gli aromi della sua cucina, delle spezie, dello zafferano, del pepe, dei fasci di cannella. Odori coloniali come quando inaspettatamente trovi sulla strada uno spaccio di pimientos, intatto nell'arredo e nella struttura del secolo scorso, interno scuro e buio, pavimento sterrato, grandi sacchi di juta pieni di spezie di ogni colore: gialli purissimi, rossi, arancione...». E subito dagli odori si passa ai colori e di qui al rimando letterario di un Pepe Carvalho che Manuel Vasquez Montalbàn non dimentica mai di celebrare nella sua eroica cucina.

Pochi odori, si è detto: e spesso nei posti più strani. Indizio di situazioni che la ragione dei sensi distali forse non riesce a pre-vedere come invece accade con il naso. Siamo a Vienna, «la mia ben nata e ben informata dama di compagnia è attratta da un piccolo albergo: L'hotel Oriente. Luci rosse e arancioni, portale floreale, profumo intenso di incensi e spezie fin sulla strada». I due entrano, l'ingresso è «ridottissimo» che quasi non ci si muove e «di fronte all'entrata c'è un ascensore art nouveau, bellissimo, in quercia, ferro battuto e ottone». Il profumo degli incensi diventa «sempre più intenso». Pier Vittorio incomincia a nutrire qualche dubbio, che scompare definitivamente alla vista di una cameriera in ridottissimo grembiulino nero sadomaso chic. «Mai messo piede in un bordello in vita mia. Facciamo anche questa.»

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Pagina 261

Note di fondo


Sette

Ogni organizzazione della conoscenza e del sapere richiede uno schema a cui ricondurre la mole di materiali che spesso si affastella senza alcun ordine sul tavolo di ogni cercatore curioso. Quando non si tratta di scrivere un trattato, dove la sistematica è automaticamente imposta dalle regole e dai protocolli di una disciplina, e neppure di compilare un dizionario enciclopedico, dove l'ordine alfabetico quasi si impone come obbligatorio, allora la sola soluzione risiede nello scegliere uno schema semplice, ma al tempo stesso rigido, da tenere a mente e al tempo stesso onnicomprensivo dei campi oggetto delle indagini e delle osservazioni.

Nel caso delle pagine di questo libro, essendosi voluto prendere in esame il senso dell'olfatto e le sensazioni odorose che ad esso si accompagnano, chi scrive, dopo aver sperimentato una dimensione narrativa che, sulla scia delle ben più importanti cosmografie medievali, riportava gli «odori del mondo» a una serie di situazioni, o topoi, volendo approfondire temi che oscillavano dai campi della scienza a quelli della narrazione, dalle argomentazioni filosofiche sino alle retoriche della pubblicità, ha ritenuto che la scelta di una chiave di lettura già vagliata dalla «sapienza degli antichi» avrebbe offerto quelle prime indispensabili strutture di fondo per costruire un apparato senza ricadere in una Turris Babel.

Allorché si è pensato di riorganizzare in un libro la grandissima mole di note che erano state raccolte prima, durante e dopo la trasmissione radiofonica Gli odori del mondo, sensazioni e memorie che avevano costituito i risultati di una ricerca più che decennale, si è avuta la sensazione che il numero «sette» avrebbe potuto giocare un ruolo assai importante.

Persino nella filmografia il sette ha un ruolo essenziale: chi non ricorda The Seven Year Itch (1955) di Billy Wilder con Marilyn Monroe? Purtroppo nella traduzione il titolo è diventato in italiano Quando la moglie è in vacanza, ma quali sensazioni odorose aleggiano diurante la crisi del settimo anno? Ma forse è meglio non precorrere i tempi e rimanendo intorno al numero sette chi non ricorda Le sette probabilità (1925) di Buster Keaton, Biancaneve e i sette nani (1937) di David Hand per la Walt Disney Production, La taverna dei sette peccati (1940) di Tay Garnett, I sette samurai (1954) di Akira Kurosawa, le Sette spose per sette fratelli (1954) di Stanley Donen, I sette assassini (1956) di Budd Boetticher, I magnifici sette (1960) di John Sturges, Le sette spade del vendicatore (1962) di Riccardo Freda, fino a Se7en (1995) di David Fincher? Proprio quest'ultima pellicola ha suggerito la scelta delle categorie da associare al numero sette. Ma facciamo ancora un passo indietro.

Sette è un numero che ricorre con elevata frequenza nei testi dell'antichità e si potrebbe quasi affermare che il suo successo ha abbracciato un po' tutti i campi del sapere. Nella Bibbia le ricorrenze del numero 7 sono ben 390 contro le 195 del numero 5 le sole 36 del numero 8, ma ben poco varrebbero queste statistiche che interessano solamente i linguisti strutturali, se ad esse non si accompagnassero ben più profonde considerazioni, al tempo stesso esoteriche e razionali.

Dio fece il mondo in sei giorni e il settimo si riposò, dicono le Sacre scritture; sette sono i bracci del candelabro sacro, la Menorah; sette sono i sapienti dell'antichità e sette furono le piaghe d'Egitto. Nel Corano il Mondo è retto da sette colonne che si fondano sulle spalle di un gigante sostenuto da un'aquila, posata su una balena che nuota nel Mare Eterno.

La sapienza degli antichi a cui si è fatto riferimento è una scappatoia non nuova, ma tra l'altro dichiaratamente mutuata dall'omonima opera, De Veterum Sapientia di Francis Bacon, che ancora oggi riesce a stimolare con la suggestione della mitologia una discussione critica ai problemi etici ed estetici dei più attuali. Fiabe, come quella di Biancaneve (e i sette nani) oppure quella di Simbad (e la leggenda dei sette mari), entrambe trasposte sullo schermo da famosi cartoni animati, il primo per Walt Disney e il secondo nel 2003 per la regia di Tim Johnson e Patrik Gilmore, celano al loro interno verità molto profonde. I sette sapienti: Cleobulo, Pittaco, Solone, Pariandro, Talete, Chilone e Biante rimandano ai sette illuminati Veda dell'India, ma come si vedrà la filosofia nei tempi più recenti anch'essa ha rimosso il senso dell'olfatto. Che dire delle sette meraviglie del mondo, di cui si è dimenticato completamente il profumo? Sette erano considerati gli aromi base del mondo, ma queste sono soltanto impressioni sfumate e annebbiate dalla lontananza del tempo.

Con queste premesse, che arrivando alle Tradizioni cabalistiche e alchemiche, sino alla simbologia esoterica e massonica, non si potevano neppure dimenticare i sette colori dell'iride, le sette note musicali, i sette chakra, e le sette stelle dell'Orsa Maggiore. Sempre questo numero, che non solo indica una quantità, ma anche un ordine, regola le tassonomie e descrive gli interi orizzonti. Ma forse sono proprio i sette vizi capitali a rappresentare quella totalità di atteggiamenti, che nelle loro facce positive e negative, riescono a completare il quadro in cui la nostra società di umani si cerca di muovere dall'inizio della storia.

Volendosi ora tracciare una mappa dell'olfatto, questo nostro «senso» dimenticato e rimosso, ecco che proprio i sette vizi capitali possono diventare la chiave per l'organizzazione di un complesso sistema che è ancora oggi così fortemente legato alla nostra dimensione animale. Si assumono come capisaldi per questa sistematica i sette «vizi» tenendo in ogni caso presente che in essi sono invero innestate le più importanti e primitive pulsioni dell'uomo, senza le quali probabilmente la nostra specie si sarebbe già da molto tempo estinta. Se non esistesse la potenzialità della trasgressione, quella tensione essenziale che ha contrassegnato l'umanità sin dal suo peccato d'origine, forse molte curiosità svanirebbero e la vita probabilmente sarebbe molto più noiosa e banale. Ma qui piuttosto che di vizi e del numero sette bisogna ritornare con la nostra attenzione agli odori, siano essi gradevoli o ripugnanti, ai profumi e alle puzze: questo è il tema.

In tutti i «sette vizi capitali» si scoprirà che l'olfatto, e in particolare le sensazioni odorose, giocano un ruolo nascosto ma essenziale: e così facendo un po' di attenzione si sentirà parlare di odore di santità, di puzza di bruciato, di odore dei soldi e ancora di fumus persecutionis: queste «sensazioni» non sono solo argute metafore...

La trasversalità di una classificazione, che le permette di attraversare diagonalmente tutti i saperi, senza legarsi in maniera univoca a un'unica disciplina, permetterà così di scivolare lungo sentieri che difficilmente trovano propri spazi epistemologici.

Questo saggio, che forse proprio «saggio» non è, assume in questo modo un carattere leggermente ambiguo e dissacrante nei confronti dei saperi codificati e, a dispetto delle Lezioni americane di Italo Calvino, si presenta piuttosto come un elogio dell'entropia, dove leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e consistenza lasciano il posto alla pesantezza, alla lentezza, all'imprecisione, all'oscurità, alla singolarità e all'inconsistenza. E questo non è né vorrebbe mai essere un segno di dissenso nei confronti di questo grande pensatore, che ha saputo amalgamare nei suoi scritti rigorose argomentazioni, bizzarre fantasie e memorie storiche. Il suo racconto Il nome, il naso apparso nella raccolta postuma intitolata Sotto il sole giaguaro, dimostra che la complessità, figlia del Kaos, è oggi come ieri più che mai attuale.

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