Copertina
Autore Nicolao Merker
Titolo Atlante storico della filosofia
EdizioneEditori Riuniti, Roma, 2002 , pag. 318, dim. 140x210x17 mm , Isbn 978-88-359-5154-4
LettoreRenato di Stefano, 2002
Classe filosofia
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Indice


     Atlante storico della filosofia

 11  Di questo libro

     Prima parte.  Filosofia e storia della filosofia


 17  0.   I problemi di una scienza storica

     0.1. Quale filosofia?, p. 17
     0.2. Un oggetto misterioso, p. 19
     0.3. Il mondo degli oggetti e dei soggetti, p. 21
     0.4. Filosofia, senso comune e ideologia, p. 22
     0.5. Come periodizzare tre millenni di storia?, p. 24
     0.6. La nozione di contesto storico, p. 25
     0.7. La terminologia, p. 27
     0.8. Il rapporto passato-presente, p, 29
     0.9. Lo studio e la ricerca, p. 32

 37     I GRANDI CONTESTI

 37  1. La nascita greca dei concetti filosofici
 44  2. La filosofia classica greca
 48  3. La rivoluzione ellenistica, ovvero il fascino di
        un'epoca di transizione
 53  4. Il pensiero medievale, un patrimonio da riscoprire
 60  5. Le rivoluzioni culturali dopo il Mille
 65  6. Gli inizi dell'epoca moderna
 76  7. Filosofia e rivoluzioni borghesi
 85  8. Un cambiamento di ottiche filosofiche: la cosiddetta
        «filosofia classica tedesca»
 93  9. Filosofia e rivoluzione industriale
 98 10. Una pluralità di modelli di pensiero: ovvero le
        filosofie delle grandi culture nazionali
100 11. Scienze umane e filosofia dall'Ottocento al
        Novecento

    Seconda parte.  I filosofi nella storia


117 a.    ANTICHITÀ E MEDIOEVO

117       Da Talete a Democrito
117 a.1.  Dal mito religioso alla filosofia
119 a.2.  La spiegazione razionale del cosmo
120 a.3.  Parmenide ed Eraclito
121 a.4.  Le filosofie della «pólis»
123       La grande stagione della filosofia classica greca
123 a.5.  Sviluppo delle filosofie della «pólis»
126 a.6.  Platone
128 a.7.  Aristotele
132       La rivoluzione ellenistico-romana
132 a.8.  L'universo ellenistico e la diffusione del sapere
133 a.9.  Il formarsi di nuove concezioni del mondo
136       La filosofia nella città di Dio
136 a.10. Dalla cultura imperiale alla religione cristiana
139 a.11. Neoplatonismo e crisi del paganesimo
141 a.12. Il vescovo Agostino
143 a.13. Le ultime filosofie sistematiche e l'eredità
          classica
145 a.14. Dalla «rinascita carolingia» ad Anselmo d'Aosta
147       La città di Dio dopo il Mille
147 a.15. Le città e le cattedrali
150 a.16. La rifondazione del sapere cristiano
152 a.17. Dove sono gli universali?

155 b.    L'EPOCA DELLA BORGHESIA

155       L'ascesa della borghesia
155 b.1.  Umanesimo e Rinascimento
157 b.2.  Come utilizzare la tradizione?
159 b.3.  Tra magismo e riflessione scientifica
161 b.4.  Utopisti e riformatori
164 b.5.  Cartesio e il cartesianismo
167 b.6.  La rivoluzione scientifica del Seicento
170       La filosofia nell'età delle rivoluzioni borghesi:
          1642-1789
170 b.7.  Filosofia e libertà borghesi
172 b.8.  Spinoza tra metafisica e antropologia
174 b.9.  L'Inghilterra di Hobbes
177 b.10. Illuminismo in Gran Bretagna: Locke e Berkeley
179 b.11. Illuminismo in Gran Bretagna: Hume e
          l'utilitarismo
182 b.12. I «pbilosophes» in Francia
186 b.13. Da Rousseau alla Rivoluzione francese
188 b.14. Il Settecento in Germania
190 b.15. Le scoperte di Kant
194 b.16. Il Settecento in Italia

197 c.    LA SOCIETÀ INDUSTRIALE MODERNA

197       Romanticismo e Restaurazione in Europa
197 c.1.  La filosofia della Rivoluzione in Germania
199 c.2.  Dalla Rivoluzione alla Restaurazione
201 c.3.  Hegel e lo hegelismo
204 c.4.  La cultura della Restaurazione
206 c.5.  Le reazioni all'idealismo
209       Le filosofie della rivoluzione industriale
209 c.6.  Rivoluzione industriale e organizzazione sociale
212 c.7.  Positivismo e scienze della società
214 c.8.  Filosofia e unità nazionale in Italia
216 c.9.  Filosofi tra liberalismo e idee sociali
219 c.10. Filosofia e movimento operaio
220 c.11. Pragmatismo, strumentalismo, «New Deal»
223       Le filosofie delle grandi culture nazionali
          dall'Ottocento al Novecento
223 c.12. Irrazionalismo, antiscientismo, spiritualismo
226 c.13. Il marxismo dopo Marx
229 c.14. Lo storicismo
231 c.15. Scienza e filosofia nell'Ottocento e Novecento
233 c.16. Le grandi correnti epistemologiche
236 c.17. Istanze critico-sociali nella cultura filosofica
          del Novecento
239       Filosofia e scienze umane dall'Ottocento al
          Novecento
239 c.18. Sociologia e antropologia
242 c.19. Linguistica e psicanalisi
244 c.20. L'avventura delle scienze cognitive

249 Per chi vuole saperne di piú
253 Indice tematico, con glossario di alcuni termini
303 Indice dei nomi
 

 

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Pagina 12

Questo libro vuole fare il tentativo di soddisfare (spero) qualcuna delle curiosità legate alla filosofia affidandone la risposta alle affascinanti perché complicate vicende di quel particolare viaggio che è la storia del pensiero filosofico. Ricorrendo al criterio che se io in una qualsiasi circostanza voglio orientarmi circa una qualsiasi cosa e un qualsiasi luogo, ho bisogno di avere delle coordinate. Devo aver chiaro in quale stazione della rete ferroviaria o stradale mi trovo oggi, quali nozioni di viaggio io abbia acquisito ieri, in quale direzione intendo andare nel futuro e dove voglio fermarmi, quale ambiente e magari possibilità di coincidenze ho intorno a me, e di quali treni e tipi di strada posso servirmi per arrivare in quanto tempo. Il «prima», il «dopo» e l'«accanto» sono le coordinate con cui ognuno, quotidianamente, si costruisce il proprio orizzonte.

Le coordinate del «prima», del «dopo» e dell'«accanto» sono anche quelle che danno senso e significato a un concetto filosofico, a un nome di filosofo, a un riferimento che appartiene all'area della filosofia (o a ogni e qualunque area, se è per questo: come, appunto, mi serve un orario ferroviario o una carta stradale per avere le coordinate che mi consentono di muovermi nella rete dei treni e delle strade possibili). Nella prima parte del libro, «Filosofia e storia della filosofia», la sezione «I problemi di una scienza storica» tenta di spiegare i motivi per cui nulla si riesce a fare senza coordinate, sicché la prima e generale regola del comportamento intellettuale è quella di rintracciare per ogni cosa reale e concettuale il contesto in cui essa si trova. Il contesto è l'unico vero filo di Arianna. Nella successiva sezione, «I grandi contesti», si guarda alla storia della filosofia secondo scansioni insieme cronologiche e di problemi, caratterizzate dal fatto che ognuna si manifesta come un insieme di contesti omogenei. Il criterio del contesto è filo di Arianna anche per la periodizzazione.

Alla seconda parte del libro, «I filosofi nella storia», può rivolgersi chi ha bisogno di primissime indicazioni di massima su dove si collochi questo o quel tema o filosofo, quali ne siano gli antecedenti e i conseguenti, il «prima» e il «dopo» e quel che vi sta intorno. È una specie di atlante a scala né troppo grande né troppo piccola: con indicazioni, io spero, sufficienti sia a soddisfare una breve curiosità subito, sia a far decollare nella giusta direzione ricerche successive. D'altra parte le notizie e informazioni che il lettore qui trova, sono inevitabilmente il frutto di una scelta, di una selezione. La quale, come tutte le scelte, è soggettiva. Il criterio è stato comunque di dare - come fanno nell'orario ferroviario i quadri delle lunghe percorrenze o nelle mappe stradali gli itinerari segnati in rosso, o negli atlanti i quadri d'insieme - indicazioni sulle grandi linee che percorrono la storia del pensiero filosofico e sui grandi snodi verso cui certe linee e vie confluiscono e dai quali altre si dipartono. Sicuramente le linee si sarebbero potute individuare ed esporre anche in una maniera diversa. Ma che qualcosa sia «soggettivo» è poi davvero un connotato cosí deteriore e negativo? Perché, in proposito, non dare intanto un'occhiata alla voce «Soggetto» che, insieme ad altre di ordine filosofico, si trova alla fine del libro, nel Glossario? Alla fine del libro c'è anche un rapido prontuario bibliografico, e un Indice dei nomi che di ogni autore dice chi è e ne registra le date di vita.

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Pagina 26

La filosofia di un'epoca appare perciò come un insieme logico-storico che ha due componenti. La prima componente è costituita dalle istanze storico-materiali ovvero dalle storiche esigenze oggettive collegate all'«essere sociale» di quell'epoca, che gli intellettuali si trovano a problematizzare. La seconda componente è la soggettiva attività storico-razionale con cui la coscienza dell'epoca, riflettendo su quelle istanze ed esigenze, eventualmente produce soluzioni. Non è detto che gli strumenti concettuali, le idee con cui operano gli uomini, corrispondano sempre agli interessi concreti dell'epoca. Questi interessi, quello che si può chiamare il reale «essere sociale» di un'epoca, giungono alla coscienza (e quindi anche alla coscienza del filosofo) attraverso una griglia costituita da parecchi elementi.

Ci sono gli schemi concettuali preesistenti, le filosofie precedenti a cui un filosofo si richiama. C'è inoltre un patrimonio culturale non specificamente filosofico, ma sedimentato nella piú ampia sfera della coscienza sociale di un'epoca. A esso appartengono anche le idee e convinzioni che in un'epoca sono diffuse a livello di senso comune. C'è infine la storia personale del singolo intellettuale, la sua formazione culturale individuale. Essa gioca un ruolo importante nel determinare l'ottica concettuale particolare con cui egli utilizza il patrimonio del passato e recepisce le idee della propria epoca.

Le mutevoli condizioni storiche dell'«essere sociale», la variabilità degli oggetti sui quali si esercita la riflessione di secondo grado, le differenziate stratificazioni d'esperienza (da quelle del senso comune a quelle degli «specialisti»), nonché infine i variabili patrimoni culturali che influiscono sugli strumenti della riflessione tramandati da un'epoca all'altra: tutti questi fattori, interagenti tra loro in modo cosí complesso, consentono difficilmente (come si fa invece comunemente per biologia, matematica, chimica ecc.) di parlare, al singolare, di una «filosofia». Sembra scientificamente piú corretto che si parli, al plurale, di «filosofie». Nel senso che in ogni epoca è «filosofia» precisamente ciò che ogni epoca, per le motivazioni risultanti dall'intreccio di tutti quei fattori, ha ritenuto che fosse filosofia. La cosa è particolarmente visibile nel modo in cui, con il variare dei contesti socio-culturali, è stato ad esempio via via concepito il rapporto tra filosofia e religione, o quello tra filosofia e scienze della natura.

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Pagina 103

10.6. Un tema che ricorre nel pensiero filosofico contemporaneo è quello del rapporto tra le cosiddette «due culture»: vista l'una come l'insieme delle istanze e dei problemi delle scienze naturali, e l'altra come l'insieme delle istanze e dei problemi delle scienze umane. Oggi lo si vede spesso come un rapporto di opposizione tra cultura scientifica e cultura umanistica, e si finisce con l'esaltare o con lo svilire una di queste due aree nei confronti dell'altra.

È un atteggiamento analogo a quello di chi è convinto che la filosofia esista soltanto al singolare: sicché concepisce al singolare anche la cultura. Il filosofo tradizionale direbbe (e dice) che, se le culture fossero due, dovrebbero essere l'un l'altra contrapposte in antitesi irriducibile, anzi essere «vera» l'una e «falsa» l'altra. Con un privilegiamento dell'«umanismo» da parte di chi per vecchio pregiudizio di «anfiscientismo» (ad esempio il neoidealista Croce) rifiutava che nelle scienze umane potessero entrare metodi di indagine sperimentale propri delle scienze naturali, anzi respingeva l'idea stessa che qualcosa di appartenente alle basse scienze empiriche fosse applicabile all'unica dimensione umana vera, quella che la tradizione dell'idealismo filosofico identificava con il concetto di Spirito.

[...]

Quei filosofi che ritengono artificiosa la cesura tra le «due culture» propongono insomma che si costruisca un'aggiornata metodologia delle relazioni tra i diversi campi del sapere e agire umano, la quale constati e salvaguardi sí l'autonomia dei contenuti e degli strumenti scientifici propri di ciascun campo, ma allo stesso tempo affronti con ottica aperta il problema della collaborazione tra tutti i campi, facendo tesoro dei contributi che ognuno di essi offre. Elasticità mentale dunque, e rifiuto di soluzioni prefabbricate: può diventare, per la filosofia o, meglio, per le «filosofie», anche un modo proficuo di ripensare i grandi problemi del mondo e dello sviluppo delle realtà sociopolitiche nazionali.

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Pagina 113

11.6. Le terminologie usate in sociologia, antropologia, linguistica e psicanalisi pongono problemi e difficoltà a chi vi si accosta. Dipendono dal fatto che anche sulla formazione della terminologia influisce quel fenomeno molto complesso che è, ormai, l'interazione tra diversi e molteplici campi del sapere. Può non riuscire di facile comprensione, ad esempio, il pensiero linguistico di Hjelmslev. La difficoltà sta nel fatto che la cosiddetta «glossematica» (o studio dei glossemi intesi come gli elementi piú elementari cui arriva l'analisi linguistica), di cui Hjelmslev è il rappresentante piú noto, si serve di una terminologia che deve molto alla logica moderna formale, cioè alle considerazioni che questa svolge circa le connessioni tra le «parti» di un sistema di concetti e l'«insieme» del sistema medesimo. È un ulteriore esempio delle interazioni e degli agganci che ormai si instaurano tra i molti pluralistici modelli di sapere nelle scienze umane particolari da un lato, e dall'altro gli altrettanto pluralistici modelli di pensiero che, dalla fine dell'Ottocento, vengono svolgendosi nel campo dell'epistemologia.

In particolare non c'è ambito scientifico - dall'archeologia preistorica alle scienze matematiche, dall'antropologia culturale alla neurologia - che non produca strumenti e stimoli per esplorare un fenomeno complesso e centrale nella vita umana quale è il linguaggio. Ma a loro volta tutti gli studi, in ogni campo delle nuove scienze umane, interagiscono tra di loro: la filosofia del linguaggio con la psicanalisi, la psicanalisi con la sociologia, con la filosofia dei linguaggio e con l'antropologia, l'antropologia a sua volta con la linguistica. Basterebbe, per quanto riguarda le connessioni tra linguistica e antropologia, pensare al fatto che l'antropologo Malinowski, per capire qualcosa nell'ambito dei suoi studi etnografici, dovette mettersi a imparare la lingua degli indigeni delle isole Trobriand, dove negli anni '20 del Novecento conduceva ricerche sul campo.

Infine nelle cosiddette «scienze cognitive» chiamate anche «cognitivismo» - una corrente di ricerche sulle operazioni della mente nata nell'area anglosassone e che ha cominciato a circolare dalla fine degli anni '50 del Novecento - la necessità che molte discipline concorrano all'obiettivo di sondare i segreti degli atti mentali è addirittura un programma esplicito e teorizzato. Filosofia, linguistica, antropologia, neuroscienza, psicologia e studi sull'intelligenza artificiale non solo vengono messi dai cognitivisti in una correlazione globale, ma vengono anche istituiti rapporti bi- e trilaterali tra le singole aree, a seconda di quel che per una determinata ricerca appare funzionale.

Non sono quindi una parola vuota né il connotato di interdisciplinarità che caratterizza le nuove scienze umane, né il rapporto di interdipendenza che dunque si instaura tra esse, né la loro relazione con una pluralità di modelli di pensiero filosofico. Tutti questi elementi sono confermati dalla situazione reale sia di quelle scienze, sia della filosofia. Le une e l'altra vanno viste, ormai, come un laboratorio che non può dare né soluzioni definitive ai problemi, né posizioni di privilegio da assegnare a questo o a quel campo del sapere. Restano invece aperti affascinanti viaggi d'esplorazione, in ogni ambito. Il guadagno non è poco. Ci sono, insomma, tante carte nautiche tutte da scrivere: sulle quali, oltre a fondali infidi e secche da evitare, vanno segnate anche numerose rotte possibili di navigazione.

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Pagina 233

c.16. Le grandi correnti epistemologicbe

Le prime conseguenze filosofiche della rivoluzione nelle scienze tra Ottocento e Novecento vengono tratte dal cosiddetto «convenzionalismo», una teoria secondo cui le verità di una dottrina sono «convenzioni» nate da un accordo tra i ricercatori di quel campo. Al convenzionalismo accedono Poincaré e Mach; ma anche il francese Duhem (1861-1916) e l'inglese Eddington (1882-1944) i quali ultimi lo piegano a valenze spiritualistiche dove le verità della scienza sono governate dalla fede rivelata. Chi, come Vaihinger (1852-1933) e Dingler (1881-1954), non accetta la tutela della fede, si rifugia in una concezione neutralistica della scienza. Sul versante dei kantiani il piú significativo interprete della versione einsteiniana delle scienze fisiche, da lui inserite in un sistema generale di ricostruzione della cultura, è il neocriticista Cassirer (1874-1945).

A superare il pericolo di scetticismo insito nella moltiplicazione delle teorie sulla matematica si era intanto adoperato nel decennio 1891-1901 Husserl 1859-1938), fondatore successivamente, con le Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica (1913) e altri scritti che vanno fino al 1936, del cosiddetto «metodo fenomenologico», di derivazione kantiana. Incentrato su un ritorno ai dati della coscienza, il metodo husserliano afferma che sono immediatamente intuibili non solo le qualità sensibili dei fenomeni, ma anche i significati piú generali del reale, ch'egli chiama le essenze logiche. Per una via d'approccio molto diversa, di analisi delle componenti logico-linguistiche elementari dei concetti usati dalle scienze (la teoria del cosiddetto «atomismo logico»), Russell intende partire dall'esattezza formale di essi per ricostruire la filosofia.

Da analoghe esigenze di utilizzare per una ricostruzione della filosofia le acquisizioni delle scienze, e di farlo attraverso un'analisi logica del loro linguaggio, muove il neopositivismo nella sua fase iniziale europea e poi in quella americana. L'una è caratterizzata dai filosofi-scienziati, matematici, sociologi e fisici, raccolti nel Circolo di Vienna (1929) e poi nel Circolo di Berlino (1928-38), parecchi dei quali continuarono la loro opera negli Stati Uniti dove dovettero emigrare a causa delle persecuzioni razziali naziste.

Le idee dei circolisti sono dapprima legate alla fase iniziale del pensiero del viennese Wittgenstein (1891-1951) che ne anticipò talune tesi nel Tractatus logico-philosophicus (1922). Il significato (cioè la verità o falsità) di una proposizione complessa emerge quando la si riduce alle proposizioni elementari che la costituiscono e che denominano fatti del mondo. Ogni enunciato non riducibile a questi significati linguistici concreti è propriamente «ineffabile», cioè a rigore non si lascia «dire» perché appartiene a una metafisica insensata. A indagare con strumenti logico-linguistici le basi empiriche d'esperienza rispettivamente nelle scienze fisico-matematiche e umane-sociali si dedicano i circolisti Carnap (1891-1970) e Neurath (1882-1945) che poi nel 1938 daranno vita a Chicago a un grande progetto di neoilluministica Enciclopedia internazionale della scienza unificata. Fruttuosi sviluppi, in direzione di una cosiddetta «liberalizzazione» che non assume piú il linguaggio della matematica come unico modello perfetto, avvengono nella fase americana di Carnap soprattutto con il semiologo Morris (1901-79) i cui Lineamenti di una teoria dei segni (1938) sono un libro classico della filosofia del linguaggio contemporanea, e con il logico polacco Tarski (1902-83), anch'egli esule negli Stati Uniti.

Negli anni '30 del Novecento pure Wittgenstein, che nel frattempo è all'università di Cambridge, comincia a rivedere alcune sue posizioni, all'idea del linguaggio matematico-logico come unico modello sostituendo adesso la tesi, consegnata nelle Ricerche filosofiche (1936-47, ma pubblicate postume), di una molteplicità di tipi di linguaggio (tra cui rientrano anche i cosiddetti «giochi linguistici») che hanno regole liberamente costruite, ma necessarie non appena vengono assunte dalla comunità degli utenti del linguaggio. Scuole di analisi del linguaggio che contro le metafisiche idealistiche mobilitano, in formulazioni rigorose, le istanze che emergono tanto dal senso comune quanto dalla pluralità dei linguaggi, nascono a Cambridge intorno a Wittgenstein, Russell e Moore (1873-1958), e a Oxford con Ryle (1900-76) e Austin (1911-60).

Un riforma metodologica stimolata dalle idee dei circolisti rivisitate criticamente, anima l'epistemologo viennese Popper (1902-94), anch'egli costretto all'emigrazione (1937) per motivi razziali. Nella sua Logica della scoperta scientifica (1934) afferma che non alle verificazioni di enunciati, care all'atteggiamento degli induttivisti, si deve badare nel procedimento scientifico, bensí all'importanza che nei confronti delle ipotesi ha la «falsificazione» ovvero smentita di esse, la quale avviene quando tra i dati di fatto osservati anche un solo caso negativo le contraddice. Nell'accusa di non-scientificità, perché non prendono in considerazione il metodo della falsificazione, egli con Che cosa è la dialettica (1940) e La società aperta e i suoi nemici (1945) coinvolge in blocco quelle che chiama le «teorie dialettiche», da Platone a Hegel e Marx. Senza distinguere i caratteri specifici di esse, in realtà molto diversificati tra loro, le condanna tutte come deteriori apriorismi. L'affermazione di una sostanziale unità di metodo tra scienze naturali e storico-sociali sostenuta da Popper fin dal saggio Miseria dello storicismo (1944), ha dato l'avvio, spesso con contestazioni di questa tesi, al dibattito epistemologico degli anni '50 del Novecento. Vi si sono segnalati Kuhn (1922-96), Lakatos (1922- 74) e Feyerabend (1924-94) che da varie angolature, e anche con accenti radicali (Feyerabend), hanno rilevato la pluralità dei possibili modelli di spiegazione scientifica, sottolineando come questo pluralismo di criteri emerga e venga confermato dalla storia delle idee.

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Pagina 242

c.19. Linguistica e psicanalisi

Un analogo ampliarsi del quadro complessivo e un differenziarsi dei metodi si ha in tre secoli di riflessioni sulla linguistica e filosofia del linguaggio, dal Settecento al Novecento. Da descrittive come sono nel Settecento, dedicate ad accurate analisi delle varie parti delle grandi lingue di cultura europee, nell'Ottocento le scienze del linguaggio si orientano invece verso una linguistica comparata che assodi parentele e linee di discendenza storica tra le lingue, caratterizzata piú da ricerche tecniche sui fonemi che da uno studio filosofico dei significati delle parole. La «semantica», ovvero lo studio scientifico dei significati, viene accantonata anche da Bloomfield (1887-1949) e Chomsky (n. 1928), i caposcuola della linguistica americana.

Una svolta che fa epoca risale all'indirizzo di cui è iniziatore il ginevrino Saussure (1857-1913). Nel suo Corso di linguistica generale (i cui appunti, redatti da allievi, furono pubblicati postumi nel 1916) egli istituisce, poggiando su esperienze del lavoro concreto dei linguisti, una complessa teoria che nel «segno» linguistico distingue tra il «significante», cioè l'elemento o mezzo fonico, e il «significato» o concetto che con esso si vuole esprimere. La correlazione tra questi due lati, cioè il nesso tra il ensiero concettuale (significati) e i fonemi (significanti) non è qualcosa di fisso, di predeterminato da un'immutabile unità metafisica che li connette. Il modo con cui i «significati» vengono espressi dai «significanti» fonici cambia a seconda di come sono diversi tra loro i vari sistemi linguistici, cioè cambia da lingua a lingua; ma anche l'organizzazione dei significati, il loro esser forniti di senso per gli utenti di una comunità linguistica, non ha un valore assoluto, bensí dipende dalle norme di «struttura», rispondenti ai bisogni storico-sociali, con cui un determinato sistema linguistico è stato costruito. Questa cosiddetta «arbitrarietà» del segno linguistico, unita all'idea della lingua come sistema che obbedisce a una sua struttura interna, ha influenzato e stimolato molti autori, dal danese Hjelmslev (1899-1965) all'italiano Pagliaro (1898-1973).

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