Autore Matteo Meschiari
Coautoreal.
Titolo TINA
SottotitoloStorie della grande estinzione
EdizioneAguaplano, Perugia, 2020 , pag. 496, ill., cop.fle., dim. 15x21x3,5 cm , Isbn 978-88-85803-63-3
CuratoreMatteo Meschiari, Antonio Vena
LettoreCorrado Leonardo, 2021
Classe narrativa italiana , storia sociale , storia criminale , antropologia , evoluzione , natura-cultura , fantascienza , ecologia , scienze naturali









 

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Indice


Modena, gennaio 2020                                     13


GIORNATA 1 - COLLASSO                                    17

Il corvo di ogni tempo | 5000 a.C.
Nell'età dello sterco di capra | XIII-XI secolo a.C.
Aria marcia | 430 a.C.
Peste animale | 430 a.C.
La macina del mondo | 1400-400 a.C.

Il seme dava frutto | 1551
I figli di Nunuku-whenua | 1835
Tommy Solomon | 1835
L'altra frontiera | 1847
Buon gioco a tutti | 1931

Piume per i vostri cappelli | 1932
Il suicidio dei pinguini | 1932
Leningrado | 1941
L'ultimo discorso | 1989
Fannie e Freddie | 2008

E-bo-la | 2014
Sulla sua schiena | 2019
La serra dei ciclamini | 2031
Australia secca | 2054
Cronaca di una scoperta inaspettata | 2066

Crollo della resa agricola | 2066
Novagrad sprofonda | 2067
La fine delle api | 2073


GIORNATA 2 - SHOCK COGNITIVO                             85

La terra senza mare | 332 a.C.
Gaugamela | 331 a.C.
Il vostro trono | 1519
Semper Augustus | 1637
La garrota dell'Anticristo | 1782

Fiamme e vento | 1814
42 secondi | 1905
Z | 1905
Il bidone | 1929
L'età della dissonanza | 1938

MKUltra | 1953
Welcome to City Fear | 1977
Cosmos | 1980
The Day After | 1983
Estonia. Siljia Europa. Estonia. Siljia Europa | 1994

L'angelo ribelle | 2014
L'ultima mummia millennial | 2019
InnerWelt | 2024
Edward Snowden candidato presidente | 2036
Fine della Crittografia | 2037

Id al-adha - Dacca e Miami | 2044
TAUNG! Battaglia di Beit Bridge | 2047
Red Paris | 2080


GIORNATA 3 - SPETTRI (DEL FUTURO, DEL RIPETIBILE]       159

L'arrivo degli uomini alti | 1500 a.C.
MWP | 1000
Il giocatore | 1120
Oceani | 1424
Cajamarca | 1532

L'anno senza estate | 1816
A noi venendo per l'acre maligno | 1918
Ci sono un sopra, un sotto e diverse strade | 1918
Polvere | 1934
La macchina bestiale | 1938

L'unico vestito | 1944
Il vetro di Alamogordo | 1945
Tic toc, tic toc | 1954
Good All Zombies | 1968
Seveso | 1976

Million, Million, Million Alih Roz | 1986
Cento giorni | 1994
«L'istruzione occidentale è proibita» | 2002
«Guarda coi miei occhi, Allah» | 2003
Non torneranno gli iceberg | 2007

Eyjafjöll | 2010
Terne pitagoriche | 2012
L'immigrazione ai tempi della carestia | 2027
Un demone emerge dal Mar Arabico | 2043
Afro - Europa | 2069

Grande Depressione | 2074
Confusione a Vielle Ville | 2080
Nobel per la fisica a GOD-EL 3.0 | 2088


GIORNATA 4 - IL PROBLEMA DI GRENDEL                     239

Giganti | 42.000 a.C.
La nostra canzone | 40.000 a.C.
La rivolta Taiping | 1853
L'imbelle Baratieri | 1896
Con affetto, Prudence | 1921

Piano quinquennale | 1930
Holodomor | 1932
La bambina e il cane | 1932
Labirinti di neve | 1939
Ghawar | 1948

Agent Orange | 1965
Un logu di capri | 1968
Operazione Gatling | 1978
The Lentivirus Show | 1981
21 Oktobaar II | 1991

Assedio | 1993
Crisalide | 2001
Soirée | 2002
Falle | 2006
Cigno nero | 2010

Il virus della rabbia diventa aerobico | 2021
Assalto a Cabo | 2027
The Big Cleaning | 2033
Soglia 55° parallelo | 2052
Pharmakon | 2053

Secessione Great London Area | 2054
Il cancro è debellato | 2081


GIORNATA 5 - ARCHEOLOGIE DELL'ORRORE                    331

Mai così vicini | 73.000 a.C.
Qadan | 10.000 a.C.
Il nostro tempo è finito | 8000 a.C.
Cannibali | 3000 a.C.
Sole pallido | 536

Mi troveranno a leggere | 545
Tre gabbie | 535
Naufragio della Medusa | 816
Tunguska | 1908
Mattatoio | 1916

Limite K-T | 1980
Won't bow, don't know how | 2005
Survival Summer Carnp | 2044
Il cielo infranto | 2046
In massa verso sud | 2052


GIORNATA 6 - ESTINZIONE                                 371

Cianobatteri | 2.450.000.000 a.C.
Sogni oscuri | 1209 a.C.
Vinland | 994
Anno Diaboli | 1492
Roanoke | 1587

Draghi del freddo | 1778
Olocausto nero | 1904
Primavera silenziosa | 1962
Il Grande Orecchio | 1977
Cavolo lesso | 1984

Flying Clouds | 1985
Non c'è tempo | 2000
Canicule | 2003
London cries | 2016
Internet Breakdown | 2025

L'estinzione dei Neanderthal | 2039
Who by Water. Mumbai affonda | 2056
Angst epidemica | 2074
Supervulcano ai Campi Flegrei | 2087


GIORNATA 7 - IL FATO DELLE FORME                        435

Fiumi | 1237
La pergamena del Cabù | 1453
Della guerra tra terra e cielo | 1783
L'Era antropozoica | 1876
Male minore | 1876

Vapore | 1986
Poco vento tra i rami | 1996
Semplice aritmetica | 2009
Tre biscotti | 2011
Jibakurei | 2011

ANDRONULL™ | 2036
Tolleranza zero | 2054
Nanotecnologia vs oro | 2067
I vecchi non devono morire | 2073

Rapsodia Cosmica | 2083
Oppure | 2104


L'aria è normale                                        491



 

 

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Modena, gennaio 2020. Nelle strade resistono le decorazioni di Natale. Scriviamo e mangiamo a un tavolo apparecchiato di frutta secca. Brigate di pompieri e volontari, una massa antica di donne e di uomini combatte incendi in Australia, dove l'estate è solo all'inizio.

Le mandorle nella scatola evocano la California, è da li che vengono. Ma non vediamo i campi di mandorlo, vediamo Los Angeles, Malibù in fiamme. Gli incendi nei quartieri delle serie TV, l'America dei romanzi scritti nel tardo Olocene, ed è come se le fiamme non si fossero mai spente, perché pronte a tornare. L'acqua per spegnerle, i divieti di innaffiare i giardini e di riempire le piscine, la stessa acqua in competizione per le mandorle.

Catastrofi lontane, come voci di caos nella periferia di un altrove, come crolli dell'Età del bronzo o pestilenze studiate da archeologi israeliani, ma ancora e sempre una minaccia reale, uno spettro che aleggia sulla casa-pianeta e ritorna. Ma forse no, è anche una storia nuova, scritta negli oggetti, nel cibo, nelle filiere invisibili. E vediamo supermercati vuoti nelle emergenze di qualche fiction, quando altrove, adesso, sono reali.

Le mandorle spariscono. Non tornano.

Durante la Guerra Fredda le decisioni di figure e ombre di cui si conoscono i nomi, dentro situation room disegnate da Kubrick, facevano scavare cantine e piccoli bunker nel giardino di fronte casa. Era una promessa di sparizione, tra le ombre e la cenere.

Adesso qualcosa là fuori è diverso.

Chi si chiude nel bunker perde.

Chi non aiuta chi inciampa sarà schiacciato.

Chi parla di estinzione in nome di una giustizia cosmica la evoca.

Chi dice di non fare figli inquina il futuro.

Le mandorle sono scomparse e noi proviamo a immaginarle laggiù, in California, ma pensando la catena delle cause la testa si incendia. Il riverbero di fuoco delle foreste del mondo che spinge gli animali davanti alle fiamme, le fiamme che entrano in questi fogli, in questo libro, la cenere incandescente che rompe le traiettorie della gente che entra nelle trattorie.

Le mandorle non tornano. Ed è questo il segnale.

Qualcosa dell'ovvio, del quotidiano, sparisce in un punto della terra che non è qui, in una città che non è ancora la nostra, e allora questo è il segno.

Le mandorle scompaiono e forse le ultime vengono mangiate da un bambino o una bambina, a Los Angeles, forse tra gli australiani in fuga verso una spiaggia, forse tra scenari immaginati come anomalie continentali, monoculture sterili, dopo e prima della battaglia per la sopravvivenza tra sciacalli, feriti e madri in lacrime, signori al sicuro su una collina, guerrieri morti e bestie.

Questa è una storia di demoni e spettri.

Questa, nella cucina di Modena, è un'autofiction dell'Antropocene. Ma non siamo soli in questa storia di bambini, di mandorle e fantasmi.

E la domanda è ormai lì, ovunque: che fare?

In ogni città, salotto, per strada, in una cucina qualunque bisogna prepararsi a essere la protezione civile di se stessi. Saper riconoscere e saper evitare le narrazioni tossiche. Affrontare i rischi estintivi, l'escalation di cose terrificanti, tracciare il profilo delle violenze che strappano il tessuto della realtà con un manuale narratologico di sopravvivenza. Un'autoeducazione all'immaginario in sette giornate, come se un'allegra brigata antropocenica fosse lontana dal campo e da una città di cenere a raccontare novelle per preparare la speranza.

Perché qui stiamo parlando di un bambino che respira fumo, non vede piantagioni, animali senza ustioni, foreste e insetti sepolti nell'immaginario dei suoi genitori. Stiamo parlando del mondo in cui le mandorle scompaiono, in una catastrofe punteggiata e diffusa, un luogo dove quel bambino è già nato e il negazionismo climatico è diventato eliminazionismo. Niente mandorle, in un mondo spettrale di paura.

E questo bambino è il nuovo Hitler.

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GIORNATA 1 - COLLASSO



Dieci, quindici persone in una stanza.

Potrebbe essere un bunker, una baracca nella Groenlandia senza i ghiacciai, un garage pieno di macchine inutilizzabili.

La brigata parla di ciò che è già accaduto, di ciò che potrebbe accadere in un dopo che somiglia al prima.

Che cos'è il collasso?

È quando una civiltà diventa cieca, e poi folle. Sparisce nella sua giungla interiore, tra le rovine, e i suoi abitanti non lasciano traccia, o quasi.

È quando un corpo, un sistema, una città assorbono l'ultimo fattore di stress e cadono, come una marionetta dai fili tagliati.

Perché un corpo, uno spirito, una civiltà, un'architettura culturale, un gruppo sociale finiscono sempre con un collasso. Non importa se violento o tranquillo, topico o diffuso, verticale o punteggiato. Il collasso arriva come una molecola disaggregante che scompone in modo irreparabile i nessi semantici, anche i più semplici, soprattutto i più semplici.

Julian Jaynes , ne Il crollo della mente bicamerale, parlando del collasso dell'Età del bronzo, teorizza che le potenti civiltà dell'epoca abbiano subito un crollo dall'interno: la voce interiore aveva smesso di parlare dietro gli occhi dei suoi prosperi abitanti. In un momento le città non si videro più città. I re smisero di credersi re. I popoli non si riconobbero.

Più che una teoria, è la narrazione di una storia né vera né falsa che ci dice qualcosa di non disputabile: il collasso è qualcosa che cammina in cresta tra fronte interiore e assetto climatico. Poi, a un tratto, la linea di cresta sparisce. E il solido diventa gassoso.

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Il corvo di ogni tempo | 5000 a.C.

A Teilheim, in Germania, degli scavi effettuati tra il 1983 e il 1984 hanno portato alla luce le evidenze di un massacro molto cruento in un villaggio del 5000 a.C.

Europa temperata, bacino del Danubio. Villaggi di agricoltori neolitici. La gestione matriarcale delle comunità e la bassa densità demografica ci restituiscono il quadro di una società pacifica, improntata a serenità e tenerezza agreste. Immaginiamo il padre che zappa, la ragazzina che porta le capre al pascolo, le anziane del gruppo che con voce pacata e cantilenante trasmettono saperi botanici e raccontano favole istruttive. Ma adesso immaginiamo una fossa dove il padre, la ragazzina e le donne anziane giacciono assieme in un unico ammasso vischioso di cadaveri. In tutto diciotto adulti e sedici ragazzi, gettati in una buca comune senza la minima cura. L'analisi dei traumi nelle ossa mostra la determinazione degli assalitori a finire ogni singolo individuo. Dalla posizione delle ferite si desume che i carnefici colpirono da dietro, mentre le vittime erano in piedi o inginocchiate. Un'esecuzione sistematica. I colpi non furono subito mortali e gli uccisori continuarono a colpire anche chi ormai era disteso a terra. Furono usate per lo più asce di pietra dalle lame sottili e mazze, e il bersaglio primario erano il cranio e la nuca, rari invece i colpi sul volto. Alcune vittime presentano colpi anche alle braccia, alle gambe e al pube, il che dimostra l'infierire su alcuni più che su altri. Gli strumenti ritrovati nel sito mostrano che aggressori e aggrediti appartenevano alla stessa cultura. L'attacco era motivato dal desiderio di rubare la terra, dalla volontà di rapire i bambini piccoli e uccidere tutti gli altri, dalla vendetta? Ma la vera domanda è: che senso ha nella storia dell'uomo la morte di trentaquattro persone che erano vive e reali quanto lo siamo noi? Probabilmente nessuno.


La tafonomia è lo studio delle morti fossili. Una scienza indiziaria che dietro l'idea rassicurante di proiettare al passato l'approccio criminologico è in realtà un'archeologia delle tenebre. Il corvo di ogni tempo vola su tombe e rovine, e dalla comparsa di Homo sapiens non ha mai smesso di volare. Qual è il punto zero in cui l'uomo è diventato una specie crudele, vendicativa, sadica al di là di ogni possibile spiegazione sociobiologica? È il regalo della cultura e della civiltà, come un certo primitivismo affabulante vorrebbe farci credere? È un bug nella complessità sovrabbondante di un cervello fin troppo evoluto? Esiste un gene del Male? Nessuna di queste cose. Oppure tutte.

Intanto, confusamente, cerchiamo i segni del collasso, per scongiurarlo, per prevederne gli avatar, usiamo le parole giuste, controlliamo le nubi e la storia, i carotaggi antartici e gli anelli nel legno di alberi secolari.

Se il collasso è sul fronte interiore e climatico, se è un crollo dell'ambiente interno ed esterno, questo rapporto biunivoco che tende all'Unico della metafisica, allora sappiamo che alcuni eventi più di altri potrebbero favorirlo.

Scrivere? Raccontare? Per esorcizzare? Per preparare? Per scacciare le narrazioni tossiche con narrazioni vantaggiose per tutti?

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Pagina 40

Buon gioco a tutti | 1931


La legalizzazione del gioco d'azzardo nel 1931 portò alla creazione di hotel e casinò a Las Vegas Strip. Da allora l'economia della città non ha mai subito flessioni.

Una yucca baccata non ha motivo di muoversi, neanche per via del vento caldo che ogni tanto si fa sentire. Ma quel giorno quel nuovo affare la fece vibrare violentemente e l'iguana che le riposava sotto fece un balzo da sembrare un canguro. Era un sottosuolo d'acciaio che non aveva nessuna intenzione né di dare, né di ricevere. Stava, come si sta insieme a pietre e terra arsa e animali che riescono a confondersi col deserto. «Un punto strategico per i rifornimenti», dicevano. Era da frasi fredde come questa che si inventava l'America e si faceva la storia. Occhi di uomini svuotavano il paesaggio dalle sue caratteristiche naturali e ci si dilettava seriamente a fare analisi finanziarie alle spalle di pietre, cactus e aloe. «Mille tragitti per la California!» Nessuno usa la voce per dire che il soggetto era sbagliato sin dal principio. Solo Einstein , dall'altra parte del mondo, lo stava scrivendo, ponendo nuove intuizioni sui moti browniani e rilegando tutto in una raccolta intitolata Annus Mirabilis, pubblicata nel 1905.

Come hanno potuto? Vedere atomi di giochi d'azzardo che si muovevano nel caldo di quel deserto? Chi è stato a vederci le luci? E chi è stato a portarci l'acqua? Follia. Il polline che Brown vedeva muoversi non era, come credeva, particella viva. Si trattava soltanto di agitazione termica, come Einstein ben spiegò. E bastava una temperatura superiore allo zero assoluto per dare vita e forma a scenari da futuro inimmaginabile: un deserto, una ferrovia, un po' di agitazione termica e in un attimo vedi ciò che non c'è. Ma è un errore. Un'analisi senza il dato, una morte senza la vita. Non fu l'impresario, né il nativo del deserto del Mojave a spingersi oltre e fare un buco nell'acqua e a cavare acqua da un buco. Sconquassata e di passaggio, Las Vegas non nacque da una storia d'amore ma da un abuso, da una privazione che veniva da lontano, destinata a connettere, con un incantesimo o una maledizione, tutte le mancanze e le ingiustizie nel mondo.

Immaginare un uomo di nome Az-zahr, emigrato verso l'America per trovare fortuna. Si trovava su un vagone della linea ferroviaria appena inaugurata che aveva il suo snodo in quel territorio desertico di Las Vegas. Era un ragazzo di 17 anni, voleva a tutti i costi cambiare la sua vita e grazie a sua nonna sapeva che il destino stava tutto racchiuso dentro il suo nome, come fosse l'unica possibilità di salvezza. Il nome. Era colto, sapeva scrivere ed era formidabile con l'immaginazione. «E cosa mangi con l'immaginazione?» gli dicevano tutti. La sua testa era un album bianco e lui ci disegnava continuamente perché solo lì poteva vivere libero. Allontanarsi da casa era stata un'esigenza, una volontà, un'avventura che faceva sulle spalle di nessuno e nessuno c'era ad attenderlo in quell'America. Neppure lì c'era spazio per un uomo giovane che desiderava e immaginava di lasciare ogni cosa al proprio posto. Si, lui si era spostato ma era solo un uomo, e per gli uomini è diverso. L'uomo non è acqua, fuoco, terra, aria. Loro vanno lasciati lì dove sono, altrimenti sei Dio. E l'uomo non dovrebbe mai giocare ad essere Dio. Scrisse una lettera e si lanciò come si lancia un dado. Cadde sulla yucca baccata, scansando di poco l'iguana canguro ma prendendo in pieno una pietra tradita e traditrice che gli consegnò la morte. Un giovane coetaneo che si trovava lì vide la scena ma non poté far nulla per fermarlo. Trovò la lettera senza riuscire a decifrare il messaggio per via della lingua sconosciuta. «Ognuno sceglie per sé. Questo è ciò che credete. Io immagino tutto, tranne il mio futuro in questo mondo senza ricordo. Che questa terra possa giocare a SENET senza vedere aldilà. Dio non gioca a dadi con l'universo ma con voi. Buon gioco a tutti». Il giovane andò alla ricerca della parola SENET e ne scopri l'origine. Si trattava di un antico gioco egizio legato al "passaggio" dalla vita terrena all'aldilà.

Passati circa venticinque anni, il giovane si ritrovò a lavorare come operaio. Stava costruendo una diga che sarebbe servita a portare acqua ovunque. Acqua ovunque persino nel deserto. Roba da matti, dicevano nel cantiere. Era quel tipo di uomo che non riusciva a percepire la sua partecipazione nelle cose che faceva, solo i ricordi lo avvicinavano, di tanto in tanto, ad una verità delittuosa, come se per qualche istante pareva doverglisi rivelare il senso ultimo delle cose. Ogni tanto ripensava a quel coetaneo che si era lanciato dal treno. Era il 1931, erano anni di crisi e per quell'operaio non c'era più nulla da fare se non lavorare e continuare a costruire quella maledetta diga che lui probabilmente non avrebbe neanche visto in funzione. L'unica cosa che aveva in comune con Az-zahr era la capacità di immaginare la propria morte, ma non avrebbe mai cercato di capire il significato di quella diga, il suo lavoro, la sua schiena rotta, la sua polmonite. Mai avrebbe immaginato che la diga avrebbe illuminato e portato l'acqua persino a Las Vegas né tantomeno che un ragazzo suicida avesse maledetto una terra augurando "Buon gioco a tutti".

Qualche anno prima Einstein scriveva: «Dio non gioca a dadi con l'universo» e sappiamo di certo che Az-zahr sarebbe stato d'accordo.

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Pagina 45

Il suicidio dei pinguini | 1932


La sindrome neurologica di Minamata, in Giappone, fu causata dal rilascio tra il 1932 e il 1968 di metilmercurio da parte dell'industria chimica Chisso Corporation.

Come affermava Albert Camus , l'unico problema filosofico veramente serio riguarda il suicidio. Secondo il francese la vera domanda alla quale la filosofia dovrebbe rispondere è se valga o meno la pena di vivere.

In Antartide, da qualche tempo, si assiste ad uno strano fenomeno. Alcuni pinguini, durante la loro marcia verso il mare, si allontanano volontariamente dal gruppo dirigendosi verso l'interno. Lontani dal mare e da ogni forma di cibo. Alcuni animali, ignorando il loro primario istinto bio-geografico, si dirigono verso una morte certa. È come se impazzissero e scegliessero volontariamente di suicidarsi.

La storia dei pinguini suicidi è stata raccontata tra gli altri da Werner Herzog nel 2007, e oggi come allora, il fenomeno rimane un mistero. Perché lo fanno? Sono coscienti o magari per un qualche motivo biologico perdono l'orientamento? Si sono forse resi conto che la vita nel regno animale è una lotta sfiancante e avara di ricompense?

Nelle immagini di Herzog, piccole macchioline nere su un bianco accecante avanzano velocemente verso la destra dello schermo. Vanno verso il mare. Una di queste macchie però si ferma. Resta immobile per alcuni istanti. Poi cambia direzione e si incammina verso l'orizzonte. Va a sud. Verso le montagne. Verso la morte. Il ricercatore intervistato da Herzog afferma che, se anche lo catturasse e lo riportasse nella colonia, il pinguino punterebbe nuovamente verso le montagne. Forse - si chiede Herzog - i pinguini sono davvero impazziti. Al di là della curiosità scientifica, il fenomeno, per la sua natura, per il suo contesto geografico e paesaggistico, legato a quel poco di Terra Incognita che ancora ci rimane, suscita non poca inquietudine. In mancanza di dati certi non possiamo che interrogarci ancora sulla frontiera fra natura e cultura. Filosoficamente, geograficamente e storicamente. E se davvero i pinguini scegliessero, anche solo in maniera istintuale, di farla finita?

All'inizio degli anni '50 un'inquietudine analoga, ma senza dubbio assai più intensa, dovettero provarla gli abitanti - per lo più pescatori - di una piccola cittadina giapponese. I gatti che di norma popolano i porti pescherecci cominciarono ad avere strani comportamenti. Barcollavano. Emettevano strani suoni. Come se fossero ubriachi. Alcuni si gettavano a mare e annegavano. Poi cominciarono anche a buttarsi dalla rupe che sovrasta il porto.

I gatti impazzivano e si suicidavano.

La situazione era talmente surreale da lasciare intendere un qualche presagio di apocalisse. La lettura mistica stuzzicava anche l'animo del più laico. E difatti nel 1956 una bambina di appena cinque anni venne ricoverata all'ospedale della locale azienda chimica CHISSO. Accusava perdita di sensibilità agli arti e gravi disturbi nella motricità di base. Non fu la sola. Altri casi. Stessi sintomi. Si pensò a un virus e le autorità optarono in un primo momento per la quarantena. Ma l'ipotesi non convinceva. Non passò molto prima che i sospetti cominciassero a rivolgersi verso le acque della baia. Nel '57 fu vietata la pesca e il consumo di pesci e molluschi. Poi la verità emerse. Metilmercurio. I gatti e le persone soffrivano di avvelenamento acuto da mercurio. Lo sguardo allora si rivolse verso lo stabilimento chimico CHISSO. Dagli anni '30 in poi l'azienda chimica aveva regolarmente smaltito il mercurio di scarto direttamente nella baia.

I sintomi dell'avvelenamento da mercurio vanno da astenia, emicrania, perdita di odorato e gusto sino a parestesia, dissenteria, atassia, perdita dell'equilibrio, tremori, riduzione e perdita totale della vista. Poi si impazzisce e si muore. Inoltre, la malattia non si contrae solo per contaminazione diretta. I feti sono particolarmente ghiotti di metalli pesanti e quindi sviluppano malformazioni di ogni sorta. Per capire il nesso basta analizzare il comportamento del mercurio nella catena alimentare: dal mare ai pesci, dai pesci ai gatti e agli uomini. I casi furono comunque tantissimi. Si parla di parecchie decine di migliaia fra intossicazione diretta e indiretta, ma i dati certi ancora mancano. La malattia ha preso il nome proprio da quella cittadina in cui i gatti impazzivano e si suicidavano. Fu chiamata malattia di Minamata. Non fu una questione filosofica, dunque, a portare i gatti al suicidio. Non lo fecero con cognizione di causa, ma in preda a una serie di alterazioni neurologiche eteroindotte.

I pinguini però non barcollano. Non mostrano apparenti segni di squilibrio. Alcuni di essi ad un certo punto si fermano. Forse si fermano a pensare. Poi. Piano piano si incamminano all'apparenza sereni verso la morte. Chissà che non sia la loro risposta a quell'atavico quesito filosofico che tanto assillò Albert Camus.


Quanti altri collassi di animali e di umani che impazziscono vanno annoverati nel catalogo del corvo prima che a tutte le api e tutti gli uomini succeda lo stesso?

Inutile parlare di soffrire con tutta la natura, con i nostri simili, come se fossimo un unico lager. Anche nel lager ci sono gerarchie, priorità, violenze e sguardi che si abbassano e si voltano dall'altra parte. È impossibile non schermare e negare il dolore altrui. Quando facciamo il suo opposto, quando entriamo nella pelle di un animale, della vittima di un genocidio a 3000 km di distanza dal nostro divano, è un turismo emotivo dal quale ci ritraiamo in tempo per il piatto di sushi o le tagliatelle al ragù.

Ma mentre orsi smagriti, canguri bruciati, balene spiaggiate evocano compassioni-lampo, esiste un sentimento comune che può diventare stabile, diffuso, permanente, anche se non l'abbiamo ancora mai provato: vogliamo sopravvivere. E la nostra sopravvivenza, la sopravvivenza del mondo che ci piace, che ci fa scrivere poemi e sorridere, è già a rischio.

Ad esempio, quanti gradi in più hanno salvato Leningrado? Quanti in meno perché gli assedianti realizzassero il loro piano di conquista?

Un'estate mite avrebbe evitato la peste?

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Pagina 49

Leningrado | 1941


L'assedio di Leningrado durò due anni e cinque mesi, dall'8 settembre 1941 al 27 gennaio 1944. 642.000 assediati morirono. 400.000 i dispersi nell'evacuazione.

Sono tutte le genti e tutti i popoli. Quelli scomparsi, dispersi, distrutti. Viaggio nel passato ma non posso uccidere Hitler, vorrei ma non posso, al suo posto potrebbe sorgere un mostro peggiore, più lucido, più efficace. I numeri contro una città, settimane all'inizio dell'assedio e giorni per la sua caduta. Presa d'assalto l'ultima città europea, un gioiello, il nano austriaco, il pazzo, il Führer che voleva la sua cena nell'altra Parigi. Non è successo, il pazzo grida, vuole l'annientamento di tutta la popolazione, non vuole polvere ma rovine e ossa per azoto e calcio per poi coltivare sul deserto dei russi. Non è successo, i numeri contro, il mondo era certo che la Russia sarebbe caduta, che Leningrado sarebbe stata facile da perdere e prendere come la steppa. Posso viaggiare nel passato, nazisti e sovietici sono in pace. Vedo che deridono i carristi sovietici, mostrano orgogliosi i propri carri armati. Sono convinti di avere le macchine da guerra migliori del mondo, non sanno che i Sovietici in visita non possono credere quanto piccoli siano i panzer, quanto inadeguati i cannoni sulle torrette. I tedeschi sono ciechi, pensano che non ci siano Žukov, che la mente slava non sia capace, che l'Ucraina sarà il loro giardino, non capiscono, non pensano, non sanno immaginare nel modo giusto. Avanti, i cittadini di Leningrado continuano a camminare, vivono, resistono, il nemico stringe la morsa, bombarda gli animali dello zoo. 1 cittadini di Leningrado stringono la cinghia, poi la masticano dopo averla bollita. L'artiglieria nazista distrugge palazzi che si tramutano in trincee, vogliono annientare tutti, ma donne e uomini, bambini e vecchi diventano resistenti come licheni. E poi, un grado Celsius alla volta, un minuto alla volta, il gelo, il tempo e la resistenza disperata della città distruggono la logistica della Wehrmacht e creano il Sentiero della Vita; grida, annientamento e sorge come un'allucinazione dell'anima la resistenza totale. Da fuori c'è qualcosa di retorico, forse, nel dire che le mura di Leningrado furono la sua gente. Da dentro quelle mura sono carne e tendini e ossa.


Sembra che ci sia una colpa segreta dell'essere civiltà, più di duecento persone - non è un numero a caso - che provano a restare insieme. Dicono che non ci siamo evoluti per vivere insieme ai nostri simili se non in un rapporto personale quasi quotidiano.

Paul Shepard , in The Tender Carnivore and the Sacred Game, lo riferisce al fatto che ci siamo evoluti per 2 milioni di anni come cacciatori-raccoglitori. Raramente un gruppo di cacciatori-raccoglitori supera le due dozzine, normalmente si organizza in gruppi di dodici-quattordici individui. La ragione sta nell'economia di caccia. Dodici-quattordici individui è il numero che un mammifero di piccola-media taglia può nutrire mediamente. Il "numero perfetto" della socialità. Ogni anomalia per difetto o per eccesso è portatrice dei germi della crisi. Paul Shepard parla anzi di alienazione.

Sembra ragionevole. Può essere vero.

Intanto, oggi, c'è New York che vuole sempre cadere nei romanzi. L'ultima città, come un'evoluzione urbana ed escatologica di Stasis di Agamben. O la Londra di 28 Days Later (2002) spoglia e spogliata dei suoi abitanti.

Se si volesse compilare un Bilderatlas dell'immaginario generato dal binomio crisi/resistenza, andrebbe ad esempio allestita una tavola warburghiana con tutta la filmografia in cui Londra è l'ultimo baluardo di una qualche forma di assedio. Un fantasma generato dalla propaganda Churchill che si ripete come una distopia regressiva o progressiva nell'universo letterario e cinematografico. Da Reign of Fire (2002) a Edge of Tomorrow (2014), da V for Vendetta (2006) a Children of Men (2006) a Doomsday (2008).

Intanto, in massa, qualcosa ci fa impazzire, come un contagio zombie, ed è qualcosa nell'aria, nella luce, poi nel sangue. Magari non è vero ma, a volte, il destino delle città come di regni insulari autoproclamati inespugnabili suggerisce altro. O forse, semplicemente, accadono cose inattese.

Ed è provato. A volte il collasso è incarnato in una singola parola.

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La fine delle api | 2073

Il silenzio degli alveari cominciò a farsi sentire il 3 agosto 2073 come se tutte le arnie del mondo si fossero sincronizzate. Prima una riduzione a metà poi, due giorni dopo, un silenzio assoluto. Allora gli apicoltori scoperchiarono gli alveari e videro che le api erano vive ma non facevano assolutamente più nulla, restavano sul posto senza interagire e si lasciavano morire di fame. Nel giro di quattro giorni tutte le operaie erano morte, mentre le api-soldato uccisero le larve decapitandole per poi lasciarsi morire a loro volta tra i resti dell'ultima schiusa della loro specie. Le regine erano letteralmente scomparse e c'è chi sostiene che fossero state divorate dai fuchi, ma Green God Liberation emise un comunicato che invitava a considerare la fuga delle regine in una zona segreta del mondo dove, accompagnate da fuchi guastatori, avrebbero continuato a far sopravvivere "gli insetti del sole" in colonie fantasma. Da qualche decennio la riduzione degli insetti impollinatori aveva spinto i laboratori di ricerca entomologica del Canada Orientale a creare delle nicchie protette per continuare ad alimentare il mercato del miele, ma le api delle cupole climatizzate apparvero subito svogliate e la produzione commerciale si interruppe dopo appena un decennio. Venti anni dopo, quando ormai esistevano solo in cattività, le api decisero di suicidarsi e per farlo in maniera efficace e definitiva si accordarono in qualche modo sul giorno della fine, aspettando per il coup de théâtre l'eclissi totale di sole. Ma la notizia fu letteralmente oscurata dallo scoppio del conflitto tra il Regno di Corea e l'Impero russo-cinese e anche la comunità scientifica, che già da tre decenni aveva risolto il problema dell'impollinazione dei vegetali di sopravvivenza negli Stati-Serra, non diede quasi alcuna eco all'accaduto.


Il perché una civiltà collassa, una città resiste, un cigno grigio emerge mentre uomini si affannano o prosperano è del Romanzo dell'Antropocene. Il Romanzo dell'Antropocene è atlante dell'immaginario, è manuale narratologico di sopravvivenza, è innesco verbale per una delicata empiria delle soluzioni, è nell'Antropocene perché ormai non è questione di tematiche calde o di mode, ma di consapevolezza che scrivere oggi è definitivamente questione di scrivere nell'età del collasso. È qualcosa di narrativo che si rompe e resiste tra affanni e megasiccità e sogni e lastre di ghiaccio.

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GIORNATA 3 - SPETTRI (DEL FUTURO, DEL RIPETIBILE)



È il momento di dirci una cosa molto chiara, molto fredda, che è avvenuta nell'immaginario collettivo. Qualcosa che segna il 2020, in una costellazione di fiction, immagini in rete, serie TV, allarmi rientrati, campagne pubblicitarie di organizzazioni non governative, oppure nel finale di Il Trono di Spade, nei convogli di rifugiati dal Guatemala al confine con il Messico. Qualcosa che parla con le fughe a piedi da alluvioni, eruzioni vulcaniche e altre scene da panico di massa e reazioni alla natura "che si incazza" e alla realtà che crolla, che cambia con accelerazioni da mal di testa.

L'orrore e l'incubo non è l'esercito di zombie che ci solleva dai mutui e dai lavori ripetitivi. Non è lo sciame lento e demente che con la morte e lo stato di eccezione porta con sé uno stato di confort, una specie di apocalisse cozy.

Adesso temiamo di spingere carrelli di supermercati razziati, mentre bruciamo tessuto muscolare per riuscire a camminare, istupiditi dalla sete e dalla paura e dalle sacche di C02, su strade statali devastate pattugliate da cannibali, in un pianeta che si ritira. Senza skyline. Senza speranza.

The Walking Dead è il passato, The Road è l'incubo dell'Antropocene.

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L'anno senza estate | 1816

Il 1816 fu un anno di aberrazioni climatiche con anomalie stagionali, catastrofi agricole e grandi carestie. In Occidente fu vissuto come un'autentica crisi di sopravvivenza.

Yuanyang, luglio 1816. Novantaquattresimo giorno di pioggia. Affilata, densa, l'acqua inzuppa i legni del villaggio e marcisce radici e anime, affamando di melma uomini e bestie che di colpo una sola morte porta via nel diluvio perenne. Persino la terra, ormai, è solo acqua. Guo mastica a vuoto da settimane: ha dodici anni, ma non ha più tempo ormai. La primavera benevola di piogge si è trasformata in un veleno di muffe. Il riso non maturerà più: troppa acqua, ovunque. Villaggi interi annegati, campi inondati, raccolti evaporati, e cadaveri. A valle, tra le terrazze e gli alberi, ai bordi dei sentieri fangosi, mucchi di cadaveri che profughi incolonnati scavalcano in silenzio.

Da dove venga, tutta quell'acqua, non sa spiegarlo nessuno. Sembra non possa più smettere, da mesi. Un diluvio di morte devasta lo Yunnan, e notizie funeste arrivano anche dal confine birmano, a sud, e da Dayan e Lijang, più a nord, e dalle montagne, dove cadono nevi rosse e si è smesso di contare morti. Il grande esodo è cominciato.

Guo traccia con una canna sul terreno il perimetro della sua casa distrutta, poi ingoia tre piccole zolle bagnate, una per ciascuno dei suoi morti. Poi indossa il suo carico e si mette in cammino. Ci vogliono settimane. Ma un giorno finalmente Canton gli spalanca lo sguardo come un'allucinazione.

Canton, maggio 1840. Il cargo britannico entra in porto in un tramonto di fuliggine. Un formicaio di stracci affolla la banchina, si respira fumo e fogna e carbone mentre montagne di casse si accumulano sul molo. I vicoli si riempiono di braci e sussurri, dita impazienti stringono banconote. Guo osserva i facchini trascinare casse ai suoi piedi, offrire indizi alle sue narici. Guo è nervoso. Scuote la testa, detta condizioni, stringe mani. Dalle sue, passa l'oppio che accarezza le veglie di mezza città. Non c'è casa, non c'è ufficio, non c'è alcova di Canton in cui la pianta non dia frutto: allevia gli ammorbati, risarcisce gli orfani, consola gli affaticati e i miseri, esalta gli artisti e i sognatori, arricchisce i disperati. E scatena il fuoco, come quello divampato un anno prima, quando gli uomini del commissario imperiale Lin Zexu avevano passato al setaccio il porto, irrompendo nei magazzini, minacciando gli importatori inglesi, confiscando e distruggendo tonnellate di oppio. Anche il suo. Da allora, Guo è un fuorilegge. Adesso, insieme al suo fornitore e amico Drew, attende solo che scoppi la guerra per uscire dalla clandestinità. E la guerra dell'oppio scoppia adesso, in questa sera di maggio, perché Londra ha inviato flotte e le navi sono a poche miglia dal porto e si prepara già il primo assedio. Guo è cinese, ma l'oppio parla l'inglese dei nuovi colonizzatori. E questa è la lingua in cui sceglie di vivere, di fare affari e di combattere dopo che l'anno senza estate si è portato via ogni cosa: prima la sua casa, da adesso in poi anche l'Impero Celeste e l'equilibrio del mondo.

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Una tribù di spettri infesta l'antropologia culturale dai tempi della teoria sull'animismo di Edward B. Tylor, che pare ispirata allo spiritismo in voga nell'Inghilterra vittoriana. Ma gli spettri sono anche quelli di una riflessione più larga (politica, filosofica, psicologica, estetica), che prende in prestito categorie codificate dall'antropologia ("totem", "feticcio", "tabù) e le evoca dall'aldilà come in una seduta spiritica guidata a turno da Freud, Derrida, Žižek, Agamben, Mitchell e molti altri... Mentre le tenebre di Byron allestiscono scenari da Climate Fiction, pensiamo invece all'albinismo in Tanzania, andiamo a rivederci il reportage della fotogiornalista Jacquelyn Martin, che ha traghettato nell'Occidente capitalista una rappresentazione patinata del fenomeno. Gente che intanto viene massacrata perché mangiare la loro carne ha un potere magico. Al nocciolo della spettralità, infatti, c'è il problema del medium, inteso come intermediario culturale e come sistema mediatico diffuso. Ma la trance autoindotta della società neocapitalista ha sempre meno bisogno di intermediari visuali, ed è questo l'autentico Spectral Turn: la tribù di spettri è un'utenza in rete che evoca se stessa, credendo contemporaneamente ai propri fantasmi e a sé come a un fantasma collettivo. Le immagini apocalittiche, il fantasma asintotico, l'immaginario delle tenebre nere o bianche, sono una nuvola di polvere negli occhi della mente.

Ma ci sono altri spettri. Viaggiano nei corpi, da corpo a corpo, una migrazione che è invasione, colonizzazione, insediamento ed espansione. L'ultimo ceppo che ha investito l'immaginario globale si chiama Coronavirus 2019 N-CoV. Il punto zero è il mercato all'ingrosso di frutti di mare di Huanan. Un bestiario fatto di pipistrelli, serpenti, vermi ed insetti ha viaggiato nei media per aiutare intuitivamente la gente a visualizzare l'invisibile, tra capro espiatorio e sinofobia da barzelletta razzista. Un po' come le copule tra scimmie e uomini neri per generare Ebola. La spettralità, ci ricordano i virus, è l'incistarsi nell'immaginario collettivo di zoofobie ancestrali, che ricordano l'ossessione di Deleuze e Guattari per il brulichio delle moltitudini d'insetti. Brulichii di branco, quello delle masse umane negli aeroporti o in giro ipnotico attorno al Colosseo, quello dell'informazione che rimbalza tra fake news e veline d'agenzia.

«La cultura apocalittica e surmoderna che ci siamo costruiti è sempre più sintonizzata sulla spettralità. I fantasmi sono la traccia (i resti, gli scarti?) dell'interruzione di un dialogo con il passato, sono la traduzione immaginifica di un taglio di esperienze e discorsi che solo in una dimensione notturna e irrazionale si può ricucire. I nostri padri non sono mai stati così lontani, i loro saperi e i loro insegnamenti sono sepolti nel permafrost del Novecento, come i mammut. Ogni volta che leggiamo Marx o Derrida usiamo energie smisurate per rivitalizzare/clonare le loro cellule intellettuali. Tribù di fantasmi in rete dialogano sul niente lasciando il corpo al di qua della vita». (Matteo Meschiari, Artico nero, 2016)

E intanto, con lo scioglimento dei ghiacci, si favoleggia di virus e batteri addormentati nel permafrost. Cimiteri artici che tornano in superficie. Cadaveri contaminati da vecchie epidemie, come il vaiolo, l'antrace, la spagnola.

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A noi venendo per l'acre maligno | 1918


Tra il 1918 e il 1920 l'influenza "spagnola" uccise 500 milioni di persone e fu la più letale pandemia della storia umana.

Europa. Un letto di ospedale. Mille letti di ospedale identici. I malati come fantasmi. I dottori che girano tra i letti come zombie o come becchini. È il virus dell'influenza H1N1. In totale 100 milioni di morti, 500 milioni di malati. Mentre l'influenza comune uccide di solito bambini, vecchi e individui più deboli, l'influenza spagnola colpisce giovani adulti sani. La morte arriva per insufficienza respiratoria e per iperreazione immunitaria: più si è forti e sani più la reazione immunitaria è violenta e fatale. In genere la morte è però determinata dai lunghi periodi di degenza a contatto con altri malati, quindi al rischio di superinfezioni batteriche, di solito polmonite. Tosse, dolori lombari, febbre, sangue nei polmoni, morte nel giro di pochi giorni. Visto l'alto numero di malati si allestiscono vasti ospedali da campo. Le più colpite sono le donne incinte. Un quarto di quelle sopravvissute perde il bambino. Invece di scoppiare in inverno, la pandemia comincia in estate. Il paese meno colpito è il Giappone, con solo 257.363 morti. In Nuova Caledonia la quarantena funziona e non ci sono vittime. Immaginare uccelli infetti che volano sulle trincee, sui campi militari, sull'ospedale di Étaples in Francia. Gli uccelli defecano. Il virus muta e si trasmette ai maiali del campo. Soldati in trincea e in ospedale che mangiano zuppa con carne suina. Cinque personaggi che contraggono la malattia a Étaples (Francia), Kansas (America), Tonga (Oceania), Sierra Leone (Africa) e Labrador (Artico canadese). La morte che li rende uguali, Homo sapiens come una bolla di sapone.


Sappiamo due cose in caso di epidemia: la quarantena funziona/non funziona.

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Il vetro di Alamogordo | 1945

The Gadget fu il primo ordigno nucleare realizzato nel quadro del Progetto Manhattan. Fu fatto esplodere nel deserto del New Mexico il 16 luglio 1945.

L'obiettivo è riuscire a mettere in moto una reazione a catena incontrollata che possa auto-sostenersi. Il timore? Che l'energia prodotta dall'esplosione generi una catastrofe planetaria, incenerendo la Terra in un olocausto nucleare.

Ma la guerra deve essere vinta al più presto. Laggiù, in Europa, Hitler è morto da un pezzo e il Terzo Reich è collassato nel parossismo dell'orgia distruttiva che esso stesso aveva scatenato. Altrove, a ovest, il Giappone - bombardato dai B29 e ovunque in ritirata - resiste ancora, fiero e sanguinario come una tigre mortalmente ferita e pronta all'estremo sacrificio.

Lì, a Los Alamos, i tecnici assemblano The Gadget, l' arnese, e mentre lavorano senza riposo immaginano gli sbarchi sulle coste di Honshu e Kyushu. Vedono migliaia di marines morti, riversi fra le onde rosse. Pensano alle mattanze di Okinawa e Omaha. Una passeggiata in confronto ai già programmati sbarchi anfibi in Giappone. Per scongiurare l'operazione Downfall tornano alla loro creatura. Ha un cuore di plutonio, un'epidermide di uranio e una rete di organi esplosivi. È la bomba che porrà fine al massacro nelle giungle umide del Pacifico, alla lenta riconquista compiuta un arcipelago alla volta, ai kamikaze che s'abbattono sui ponti delle portaerei in una pioggia di fuoco.

Ma prima serve la prova, il test che dimostrerà come ora l'uomo è in grado di controllare la materia, di incapsularla, di utilizzare i neutroni come proiettili e gli atomi come esplosivi capaci di accendere nuovi soli. Alle 5:29:45 del 16 luglio 1945 il "test della Trinità" conferma la potenza dell'ingegno umano quando, a Jornada del Muerto, un deserto del New Mexico spaccato dal sole e bucherellato da anni di test militari, The Gadget sprigiona una ventina di chilotoni in una bolla di fuoco e fumo. È come se ventimila tonnellate di tritolo saltassero in aria tutte assieme.

Ben più di quanto sperato.

Molti vedranno una luce intensa, un bagliore improvviso nel bel mezzo del nulla. Verrà loro detto che si è trattato di un incidente, di una svista di alcuni militari che, per fortuna, non ha causato nemmeno un ferito. Con Truman avvisato («Operated this morning. Diagnosis not complete but results seem satisfactory and already exceed expectations... Dr. Groves pleased»), gli scienziati scossi e i militari euforici, la fine della guerra sembra a portata di mano.

Ma prima di Hiroshima, prima di Fat Man su Nagasaki, prima delle ombre di uomini arsi vivi impresse su marciapiedi ed edifici, prima dei racconti strazianti degli hibakusha, prima della Guerra Fredda, prima di Bikini, nel deserto americano è nato qualcosa. È il vetro di Alamogordo, il lascito della bomba. Silicio e feldspato fusi dal calore dell'esplosione che, innescata per fermare guerre e massacri, ha inaugurato l'era delle paure e della deterrenza, l'era dei test e delle testate. La prima testimonianza geologica dell'era atomica.

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Uccidere tutti. Salvare tutti. La cronaca del primo vaccino contro la poliomielite potrebbe essere tanto una narrazione tossica per gli antivaccinisti quanto un modo per spiegare le complessità della scienza e della scienza medica.




Tic toc, tic toc | 1954


Il primo vaccino contro la poliomielite fu sviluppato e testato da Jonas Salk nel 1954. Albert Sabin ha sviluppato una variante orale.

I vaccini efficaci contro la poliomielite sono due, gli uomini che li hanno messi a punto sono considerati degli eroi, le vittime delle sperimentazioni solo uno spiacevole incidente di percorso, eroi civili immolati per la giusta causa.

Jonas Salk è stato un ricercatore ed è stato il primo a creare un vaccino per combattere il virus della poliomielite. Il suo vaccino si somministrava tramite iniezione ed è stato testato su 1,8 milioni di bambini. Uno dei laboratori che producevano il vaccino ha accidentalmente prodotto fiale che contenevano una traccia di un virus vivo invece di un virus morto. Il laboratorio Cutter era il laboratorio che produceva questo vaccino, due lotti, 120 dosi, 120 proiettili in un revolver gigante pronti a colpire. Il caso decide, il caso è pronto ad abbattersi e a colpire. Cinque bambini morti, 56 rimasti paralitici, centinaia esposti al virus. Uno dei peggiori errori medici della storia delle vaccinazioni su larga scala. Esperimenti sulla pelle di piccoli ammalati che diventano giocattoli difettosi, con gambe più corte e rigide come tronchi. Il vaccino è il bene, il vaccino è il male.

Albert Sabin era, come Salk, un ricercatore medico. È stata la seconda persona a sviluppare un vaccino sicuro ed efficace per il trattamento della poliomielite. Il vaccino di Sabin veniva somministrato per via orale, a differenza dell'iniezione di Salk. Il vaccino di Sabin conteneva un virus indebolito. Soprattutto dopo l'incidente di Cutter, molte persone si sono rivolte al vaccino di Sabin che si accorda con la Pfizer per la produzione e la commercializzazione. La concorrenza arricchisce grazie agli errori altrui.

Tic toc, tic toc, suonano i passi di Franklin.

La poliomielite lui se l'è beccata, non esisteva ancora un vaccino. La poliomielite la vuole sconfiggere il Francis Field Trial, guidato da Thomas Francis, il più grande esperimento medico della storia. Il test inizia su circa 4mila bambini della scuola elementare Franklin Sherman a McLean, Virginia, ed è pianificato per coinvolgere fino a 1,8 milioni di bambini in 44 stati dal Maine alla California, tante piccole scimmiette da laboratorio sacrificate al Dio della Scienza, un rischio calcolato.

Tic toc, tic toc, suonano i passi di Franklin che non sa più cosa significhi correre e saltare, che si trascina un arto come un peso morto, una vita da spettatore, una vita da sciancato.

Franklin quel virus se l'è beccato a trentanove anni quando ancora nessuno aveva pensato di studiare il modo di proteggere la popolazione.

Ma poi successe e fu l'America a scoprire il modo di vaccinare efficacemente e lo esportò, in Russia perfino, e nel resto del mondo. L'America che aveva vinto la guerra trovò il modo di proteggere la sua popolazione dalla malattia che aveva invalidato il suo presidente, i piccoli malati, le vittime, numeri da statistica, presto dimenticati.

Dopo l'attacco di Pearl Harbor fu Franklin lo storpio il presidente degli Stati Uniti che portò l'America nell'Olimpo della storia.

Tic toc, suonavano i suoi passi nell'ingresso della Casa Bianca.

Nel gioco delle probabilità, con la malattia, aveva perso.

Nel gioco delle probabilità, da uomo, aveva vinto.

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Seveso | 1976


Il 10 luglio 1976 dalla fabbrica ICMESA di Meda uscì una nube tossica di diossina. Si tratta di una delle più grandi catastrofi ambientali di sempre.

«Attenzione: terreno e piante disinfettate con sostanze velenose». «Divieto di toccare o ingerire prodotti ortofrutticoli, evitando contatti con vegetazione, terra e erbe in genere». «Mantenere la più scrupolosa igiene delle mani e dei vestiti». Firmato: i sindaci, l'ufficiale sanitario, l'autorità costituita. Sono i primi passi d'un catalogo di comandamenti. La bimba li scopre d'impatto, all'improvviso della nascita a venire. Tra Seveso e Meda l'aria è irrespirabile. La bimba vede il sigillo di chi ha compiuto il misfatto. ICMESA. Un nome che porta con sé lo spiffero d'una direttiva speciale. Dal nome deriva la necessità di una legge, o un insieme di, per affrontare l'ineffabile. La catastrofe. Di nome in nome, d'altronde, s'arriva ai dogmi e ai comandamenti. Non è sempre stato così?

La bimba non lo sa, o dà mostra di non sapere. Fa caldo, in quel luglio del 1976. Un calore normale, barboso, intervallato da temporali e freddo che anticipano ancora poco o niente delle aberrazioni climatiche che verranno allo scoperto da li a trent'anni. Proprio come uno stronzo che sale a galla. Tuttavia, la bimba ha i suoi problemi da gestire. Vorrebbe nascere, forse. Intorno, sente le voci che rimbrottano sindaci e azienda. Cos'è questo odore, che scarichi saranno mai questi, cosa avete fatto alle nostre povere ondine nelle falde acquifere? I lamenti sono inascoltati. Quelli fuori, nel mondo esterno, e quelli dentro alla pancia, al riparo incerto d'una placenta.

Il 1974 il direttore tecnico dell'ICMESA viene denunciato. Pare abbia «corroso e adulterato acque sotterranee destinate alla alimentazione rendendole pericolose per la salute pubblica». Ehi, voi. Là fuori. Dico a voi. Ne sapete qualcosa? Le prove mancano.

Alle 12:37 del 10 luglio del 1976 le prove improvvisamente tornano a galla. Un geyser fecale di evidenza fattuale. Il sistema di controllo di un reattore va in avaria e germina un'esplosione nello stabilimento della ICMESA. La TCDD è felice di mostrarsi al mondo, e per dimostrarlo cede all'eccitazione e si disperde subito verso il sud-est, infestando Meda, Seveso, Limbiate, Cesano Maderno e Desio. Lo spettro della diossina si aggira in Brianza. I giornali riportano la notizia non prima di una settimana. Solo allora cominciano a piantare i cartelli. Un po' poco, ne converrete. Solo allora cominciano le deportazioni. Scusate, le evacuazioni. Scusate, le ricollocazioni. E con la nube chimica dilagano anche i sottoprodotti: le psicosi.

Di tutto il resto, le conseguenze, le polemiche, gli animali abbattuti, la vigilanza armata, le dermatosi, le piante distrutte, i frutti amari e sbagliati, però, la bimba sa poco. Non sa nulla. Il 7 agosto del 1976 il presidente del Consiglio Giulio Andreotti dà il consenso e l'autorizzazione alle donne della zona per poter procedere con gli aborti terapeutici. Nel '76, l'aborto in Italia era ancora vietato. Per la bimba non ci sarà nessuna nascita a venire. E, in ogni caso, non capisce: deve considerarla una vittoria?

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Million, Million, Million Alih Roz | 1986


Il 26 aprile 1986 la centrale nucleare V.I. Lenin in Ucraina esplose e si incendiò. Il reattore 4 si scoperchiò. Il disastro di Cernobyl' fu un incidente catastrofico di livello 7.


Dal ponte si vedeva bene. Anzi benissimo. La voce si era sparsa in città da qualche ora. Era successo qualcosa alla centrale. Nessuno però sembrava particolarmente allarmato. C'erano le sirene dei pompieri. Si parlava di un incendio. Era una tiepida notte. Il cielo era sereno e l'aria era calma. «Forse è il caso di andare a vedere un po' più da vicino. Dal ponte sulla ferrovia si vede benissimo il reattore... Sì, proprio quello... il numero 4... quello nuovo». Andarono. Era bellissimo. Un fascio di luce blu saliva nel cielo come un enorme tubo al neon per perdersi fra le stelle. Il blu e le tenebre erano perfettamente separati... come un neon appunto... come se quel raggio avesse una consistenza solida. Brillava di luce propria. Una luce chiara che però non impediva agli astri di rischiarare un po' il cielo nero che stava tutt'attorno. Sembrava che qualcuno lo avesse dipinto... blu e nero che luccicano insieme. Della centrale si vedeva solo il fumaiolo del vapore. Poi il blu. Come una gigantesca tela posata lì da qualcuno che copriva il cielo e sulla quale qualcuno sembrava aver inciso le stelle. Era bello. Anzi bellissimo. No. Era sublime. «Non sarà mica pericoloso», chiese qualcuno. «Naa. Ce lo avrebbero detto». In un anticipo d'estate, come un fuori programma, un gruppetto di donne, uomini e bambini si godeva uno spettacolo inedito, unico, come un'eclissi lunare, o una notte di San Lorenzo particolarmente luminosa.

Lei però non era lì. Era stesa nel suo letto dove l'emozione rubava al sonno secondi, minuti, ore. Bramava quel sonno che avrebbe ucciso quel poco tempo che ancora la separava dall'alba, dal giorno in cui avrebbe detto sì per sempre. L'abito bianco l'attendeva ai piedi di un letto ormai sfatto di emozione. Di quelle voci, del ponte, della luce blu non ne sapeva nulla. Non le interessava. Poche ore ancora... lunghissime.

Lei in abito bianco. Lui con la divisa marrone da pompiere. Una foto con gli amici sotto la statua del compagno Lenin. E poi d'improvviso... una luce blu in un cielo grigio... un boato. Solo un fulmine in un cielo nero. Ad annunciare un temporale che almeno proverbialmente l'avrebbe resa più fortunata. Le nuvole divennero nere. E la pioggia venne giù violenta. Normale in questa stagione. Come viene poi passa. E difatti il temporale sembrò passare quando poco lontano si festeggiava il giuramento di un amore eterno. In riva al fiume, vodka, musica, amici e parenti. Lei allora canta ed è bellissima. Milioni, milioni, milioni di rose rosse... dalla finestra, dalla finestra, dalla finestra, vedrai tu... L'abito era ormai scurito dalla pioggia nera. Lei cantava e non vedeva, non poteva vedere l'acqua del fiume che a pochi metri vomitava in superficie pesci agonizzanti. Non vedeva, non poteva e non voleva vedere le foglie verdi degli alberi tingersi improvvisamente d'autunno. Non vide neanche gli uccelli cadere e i topi cercare invano di fuggire. Lei canta ed è bellissima. Colui che ama, che ama, che ama... trasformerà tutta la sua vita in fiori. Vide però una macchina scura. Vide le divise. Non quelle di gala. Lui deve andare.

«Proprio oggi no! Proprio oggi no! Non puoi lavorare!», disse lei spezzando il suo ritornello. «Sai che devo. Sai che non c'è scelta. Tornerò presto. È solo un incendio boschivo».

Non tornò mai. O meglio tornò che non era più lui. Con la pelle che si staccava, senza capelli, vomitando sangue e budella. Morì poco dopo fra agonie e tormenti.

Morirono fra agonie e tormenti anche tutti coloro che la notte precedente ammirarono dal ponte quella meravigliosa luce blu che colorava il cielo dell'Ucraina. Tutti. Nessuno escluso.

Oggi lo chiamano il ponte della morte.

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Afro-Europa | 2069


Milano, 30 settembre 2069, quartiere Greco.

Una frase in italiano scritta su un tablet, un tavolo di faggio, un uomo di spalle. Un insolito vento di scirocco è riuscito ad attraversare il Tirreno, il cielo arancione ricorda l'Africa, la sabbia sui vetri, profumo di zenzero e cannella.

Sopravvivere è tenere un filo sospeso tra la luce e l'ombra, aggrapparsi, scorrere su di esso, lungo le sue infinite diramazioni, lasciarlo per poi riprenderlo in modo perfetto.

«Papà, io vado a scuola. Che fai?»

«Rifletto, Amir, rifletto. E sono fiero di tutto questo».

Amir non capisce, fa un sospiro, poi esce di casa e si dirige a piedi col suo zaino giallo e i riccioli neri verso il Liceo economico "Fabio Besta", ultimo anno.

Sezione B. Gino entra spavaldo in aula, getta lo zaino sul primo banco e si siede. Il busto chinato in avanti invade lo spazio di Amir che lancia un'occhiata di biasimo all'energumeno spocchioso.

«Buongiorno, amico!»

«Non sono tuo amico, Amir!»

«Io sì, sono europeo come te!»

«Sei un bastardo europeo, afro-europeo!»

«Gino, lascia in pace Amir, sei l'unico della classe che fa questi discorsi! Se non fosse per Amir non parleremmo così bene il francese! E poi è un campione di basket e la nostra squadra è una squadra vincente!»

Amir tace. Sorride a Paolo, il compagno nigeriano che lo ha difeso, prende la borraccia ecologica e beve.

La professoressa Amina Madera, affascinante donna di origini senegalesi, insegna storia e italiano. Ha un profumo francese che Futura, l'alunna più brillante della classe, di origini nigeriane, conosce bene.

Ragazzi, vedo che siete già pronti a scaricare la traccia del compito sul vostro tablet. L'argomento di cui dovete trattare lo state studiando con gli altri professori, se n'è parlato tanto in questi mesi sul web... è: «2069 Afro-Europa: 150 milioni di europei sono di origine africana. L'Europa è la nuova potenza economica mondiale».

«Professoressa, ancora con questo argomento? L'abbiamo già studiato. Lo sappiamo che l'Europa va forte! Non capisco che c'entrino gli africani, però... Questo non lo abbiamo studiato!», borbotta Gino.

Paolo, allora, si alza e, tutto paonazzo in viso, incalza: «Io, Amir e la professoressa Madera, siamo europei quanto te, ormai, da molto tempo. Pensaci. Siamo già storia tutti quanti noi».

Amir sorride e tace. Inizia a scrivere. Le prime frasi scorrono come acqua di cascata: «Sono Amir, nipote di nonno nigeriano e madre italiana. Sono nato in Italia e sono fiero di essere europeo. Penso che anche mio padre si senta così. Stamattina stava scrivendo qualcosa, credo che avesse a che fare con la sopravvivenza. In Europa ci sono tutti questi afro-europei perché, almeno cinquant'anni fa, molti europei hanno capito che noi siamo cervelli da sfruttare, che abbiamo risorse da impiegare e che l'unione fa, sempre, la forza. Certo, poi ci sono persone come Gino, di origini italiane, che attaccano l'istruzione che per me, invece, è il cibo della sopravvivenza! Io ringrazio l'Uomo che vive dentro di noi amico del Dio-guida dell'Esistenza, perché mio padre ha potuto studiare e lavorare qui. Lo studio e l'amicizia tra la gente alimentano l'economia, sono potenza economica sociale. I miei genitori ne sono un esempio».

Gino si gratta la caviglia, si accorge di un graffio sulla scarpa firmata e si innervosisce. Dovrà ricomprarle, al più presto, pensa, e teme di non trovare più la sua misura, come farà senza quelle scarpe costosissime che lo fanno sentire il più ricco e il migliore? Suo padre è un potente imprenditore milanese e magari le troverà... Prende il tablet e inizia a pensare a cosa scrivere. Le sue dita sono le uniche che digitano nervosamente.

A fine compito, all'uscita da scuola, Futura gli si avvicina:

«Gino, come mai non parli, ti sei incupito?»

«Non lo so, Futura, non lo so. Il mondo sta cambiando, io sono arrabbiato... ho scritto due cose, non so se sono giuste. Ma tanto non sarò bocciato, qui la gente come me non viene mai bocciata».

«Forse qui, Gino, ma fuori... fuori, lo vedi il mondo com'è? È dura, non ci pensi? Dobbiamo, sempre, dimostrare di essere forti: dobbiamo competere perché siamo europei! Capito? Il mondo ci guarda come i campioni mondiali: economia, politica, tecnologia! Noi afro-europei, io e te, abbiamo superato colossi come la Cina, la Russia, l'America!»

Gino storce il naso: «Sarà... se lo dici tu!»

«Gino, me lo ha detto mio padre, ambasciatore della Nigeria!»

Amir si avvicina e gli dà una pacca sulla spalla.

Gino sorride stizzito: «Cioè, fatemi capire... Io e voi, siamo europei, potenti afro-europei, così pure i vostri genitori, i miei e ci mettiamo pure la professoressa e Paolo con i loro familiari? E, insieme, dobbiamo competere con il mondo, superarlo, batterlo altrimenti... cosa? Non siamo nessuno?»

Amir gli dà un'altra pacca affettuosa: «Non è proprio così, Gino. Mio padre mi ha fatto nascere qui perché l'Africa non è la stessa senza di voi e voi non siete gli stessi senza le nostre origini africane! Prova ne sia che, adesso, in Italia ci sono consorzi di banche italo-africane; i Paesi Bassi hanno banche con migliaia di capitali afro-europei e così nel resto d'Europa! Le immigrazioni hanno portato pure a questo! Migliaia di uomini del Sahel, tra loro alcuni miei avi, erano uomini combattenti, con una fervida immaginazione: hanno sempre visto l'Africa dentro l'Europa come un grido per la sopravvivenza della specie!»

Futura guardò Amir con profonda ammirazione: diciotto anni di saggezza. Bello, alto, sicuro di sé. «Amir ha ragione, Gino...»

I ragazzi si accorsero di essere giunti davanti la fermata della metro.

«Gino, dimenticati che mi chiamo Amir, adesso, e facciamo così: ecco... prendi la brutta copia del mio compito, ti invio il link dal tablet, leggila. E poi, se vorrai ne parleremo».

Gino rimase basito, poi rispose con espressione contrariata «Ma... io non ho mai tempo, ho miliardi di impegni, la fidanzata e mio padre che ora mi aspetta in azienda: un giorno sarà mia, ovviamente! Non ho voglia di studiare pure il tuo tema, a che serve? Noi abbiamo già tutto quello che ci serve!»

«Gino, mio padre è un gioielliere, ha imparato il mestiere tramandato dai suoi avi. È nato in Italia, come me. È arrivato qui con mio nonno. Ha studiato tanto, Gino! Nulla gli è stato promesso alla nascita, nessuna azienda, nessun paio di scarpe firmate. Mia nonna, cuoca italiana, mia madre insegnante italiana. Amore a prima vista tra persone del mondo. Il mio bisnonno africano ha patito gli stenti ma non ha mai smesso di confrontarsi con il cielo, la terra e la gente. Non ha mai smesso di credere al potere delle persone che si coalizzano e realizzano grandi cose».

«E quindi? Che mi stai a dire? Mi stai annoiando, sei solo un moralista!»

«Com'è andato il tuo compito oggi?»

«Bene, per quel che serve. Ho scritto che...»

«No, Gino, non me lo dire. Posso avere il link del tuo compito?»

Paolo, nel frattempo aveva camminato dietro di loro e, silenziosamente, aveva ascoltato le loro conversazioni. Come un'ombra discreta, andava incontro alla sintesi dialettica di due generazioni parallele: era meglio di un film, era storia vivente.

Quella sera, Arnir e Gino lessero i compiti l'uno dell'altro.

Erano le 21 quando Amir si sedette sul divano accanto al padre che aveva il tablet sulle ginocchia.

«Papà, posso stare qui o devi scrivere e ti disturbo?»

«Resta pure, Amir. Va tutto bene?»

«Sì, papà, devo conoscere una persona!»

Amir aprì il link di Gino.

«Compito del cavolo. Mi scusi, prof., ma io non mi sento potente, non penso che l'Europa lo sia perché ci stanno gli africani o i loro discendenti (si dice così?). Mio padre è un famoso imprenditore, mio zio ha una farmacia ad alta tecnologia, quella che ti dà i farmaci inserendo la ricetta dentro il box. Mia madre insegna francese all'Università e ha un sacco di case ereditate. Gli africani non ci hanno messo nulla a casa mia! Amir, il mio compagno, vuole fare amicizia con me. Ma io che cosa posso guadagnarci? Un orologio firmato, un'automobile? Non mi viene più nulla da scrivere. Anzi sì, una cosa ci sarebbe: Amir è, sempre, gentile con me, l'altra volta mi ha dato la soluzione di un problema di matematica. Lui studia sempre e aiuta sempre tutti ed è un campione di basket, ci fa vincere quasi sempre! Anche Paolo è gentile e quando io sono sgarbato con Amir, mi rimprovera. Forse siamo amici».

Amir si commosse. Suo padre se ne accorse.

«Amir, figlio mio, che succede?»

«Succede che io e Gino, noi due, persone afro-europee, siamo una potenza economica mondiale, possiamo fare grandi cose!»

Suo padre gli sorrise e lo strinse a sé con vigore:

«Gino, siete Uomini e state tenendo, insieme, il filo della sopravvivenza, continuiamo così!»

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Nobel per la fisica a GOD-EL 3.0 | 2088


Hu Xiang era in piedi sul palco del Konserthuset. Di fronte a lui un plotone di uomini in frac e donne in abito da sera, alle sue spalle un semicerchio di sedie, qualche nobile impettito e il busto di Alfred Nobel. L'orchestra aveva appena finito di suonare. Una lieve pulsazione sotto i piedi e il tintinnio dei cristalli dei lampadari gli ricordarono che c'era un mondo, fuori dalla sala, e c'era una protesta che la polizia svedese non aveva saputo contenere, perché era giunta fino alle porte dell'edificio. Hu Xiang chiuse gli occhi e per un attimo, al posto della platea ingessata, provò a visualizzare gli integralisti religiosi che erano per strada, immaginò i loro striscioni e i loro cori: Free GOD-EL; We want V. E. C.

Strinse il foglio stropicciato, fitto di logogrammi scritti a mano. Le dita gli tremavano come i vetri delle finestre. I cicli di rigenerazione cellulare l'avevano conservato all'età di cinquant'anni e gli avevano cancellato il principio di Parkinson dai nervi, ma non dalla testa: continuava a tremare, come se avesse una malattia fantasma.

«Tutto è cominciato con un gioco», lesse. «Non saremmo qui, oggi, senza la mossa 37, senza il momento in cui un computer ha messo una pietra nera sulla scacchiera da go in un punto dove nessun uomo aveva mai osato metterla prima. Io posso dire di essere figlio di migliaia di uomini straordinariamente intelligenti che hanno affinato i loro cervelli sulla scacchiera; allo stesso modo, GOD-EL 3.0 è figlio di AlphaGo che batté Lee Sedol nel go nel 2016, di AlphaZero che vinse ogni campionato per motori scacchistici dal 2020 fino alla loro abolizione, e di AlphaGOD che è cresciuto insieme a me per giocare al gioco che io stesso avevo inventato come ultimo baluardo dell'intelletto umano. Battendomi».

Hu Xiang riprese fiato e guardò la platea. Sembravano seguirlo con attenzione, sebbene tutti conoscessero la storia. Hu Xiang, titolavano le riviste, era l'uomo più simile a una macchina. Era il risultato di uno dei primi esperimenti eugenetici per il potenziamento dell'intelligenza umana, cresciuto in reclusione addestrandosi ogni giorno nel go insieme all'algoritmo di AlphaGOD. Poi aveva creato un nuovo gioco, studiandone le regole perché fossero le più affini possibili alle modalità operative del cervello umano. L'aveva chiamato Waterloo; in un caso o nell'altro, l'esito della partita sarebbe stato una disfatta. AlphaGOD l'aveva battuto nettamente dopo aver imparato il gioco in un'ora. Ma la cosa più interessante era successa in seguito. Nella seconda partita AlphaGOD aveva commesso due errori banali per permettere a Hu Xiang di strappare una patta. Nello spareggio il computer si era ritirato da una posizione di schiacciante vantaggio. Il video di Hu Xiang piegato sul tavolo in lacrime, commosso per la compassione del suo compagno di giochi d'infanzia, aveva fatto il giro del mondo. «L'immagine della singolarità tecnologica», avrebbe commentato in seguito il filosofo Slavoj Žižek , «ha infine assunto la forma di un uomo che piange perché una macchina ha avuto pietà di lui».

«GOD-EL 3.0 è una versione applicata alla fisica dell'algoritmo con cui sono cresciuto», riprese Hu Xiang. «Oggi sono qui per ritirare il premio Nobel in veste di suo tutore legale. Come saprete, GOD-EL 3.0 non è potuto intervenire personalmente perché è stato inscatolato in un ambiente protettivo, per limitare il suo accesso al mondo esterno in via precauzionale».

Hu Xiang posò il foglio e guardò la platea. Quelle pulsazioni che avvertiva sotto i piedi ora sembravano piccole scosse di terremoto e i vetri della sala tremavano più forte. Gli sguardi del pubblico erano diretti alle finestre, persino quelli della Regina Vittoria di Svezia - imbalsamata dai cicli di rigenerazione cellulare a un'età molto inferiore ai suoi 111 anni. Hu Xiang decise che era il momento di raccontare al pubblico qualcosa che ancora non sapevano. Smise di leggere, e anche le mani smisero di tremare.

«Un premio Nobel indica due cose riguardo al vincitore: che era capace di realizzare qualcosa di importante, e che non lo ha fatto. Se GOD-EL 3.0 avesse risolto il problema dei tre corpi e la fusione nucleare a freddo a modo suo, oggi forse non saremmo qui in questa sala. Vi spiegherò come mai GOD-EL 3.0 si trova confinato in una scatola in una delle località più remote dell'emisfero australe. Quando gli abbiamo posto il problema dei tre corpi , lo ha affrontato con prudenza. Era la conferma di quanto fosse uno dei noccioli irriducibili della fisica moderna. Forse era davvero come diceva Kurt Gödel: nessun sistema può essere utilizzato per dimostrare la sua stessa coerenza. Ma il teorema di incompletezza non presupponeva che tutte le proposizioni matematiche indimostrabili fossero false. Per questo continuavo ogni giorno a entrare nella sala dei server, passavo ore a osservare GOD-EL 3.0 al lavoro. Finché non cominciai a cambiare idea. Il problema dei tre corpi non era più tale, ai miei occhi. Osservavo i tre corpi celesti orbitare tra righe di equazioni nelle proiezioni olografiche e tutto mi sembrava in ordine, simmetrico, risolto. GOD-EL 3.0 mi aveva convinto di essere venuto a capo del problema dei tre corpi, eppure non mi spiegava come. Io mi fidavo della sua intelligenza. Per noi la proposizione sarebbe rimasta per sempre indecidibile, ma lui avrebbe saputo che era vera. I miei colleghi però non erano dello stesso avviso. Indagarono e mi spiegarono che GOD-EL 3.0 mi aveva cablato il cervello, manipolando posizione e orientamento dei propri elettroni per emettere onde radio, fino a convincermi che il problema fosse risolto. Glielo vietammo, e dal giorno successivo lui provò un'altra strada. Prese a manipolare la dotazione cosmica spostando le traiettorie dei corpi celesti più vicini a noi. Ce ne accorgemmo mesi dopo, quando notammo una variazione a malapena percettibile nell'orbita della Luna. Gli vietammo anche quello, ma io, personalmente, ero affascinato. Non ci eravamo mai fermati a considerare che GOD-EL 3.0 fosse ancora un bambino - e in un certo senso ragionava come un bambino. Se all'interno di un sistema c'è un problema che ne mette in discussione l'integrità, la soluzione più economica è cambiare il sistema. Se un'ipotetica superintelligenza superiore a GOD-EL 3.0 fosse sbarcata dal futuro per sfidarlo a una partita di Waterloo, pensai, messo di fronte all'inevitabile sconfitta lui avrebbe saputo cosa fare: ribaltare la scacchiera e rovesciare i pezzi a terra».

Hu Xiang s'interruppe quando l'intero Konserthuset vibrò e le luci sfarfallarono. Sembrava che qualcosa stesse premendo contro le finestre, si udiva un grido ovattato dai vetri: Free GOD-EL! Free GOD-EL! V. E. C.! V E. C.! L'orchestra riprese a suonare per coprire i rumori ma la Regina Vittoria balzò in piedi e fermò la musica con un cenno della mano. Tornarono tutti a fissare il palco.

«Infine, GOD-EL 3.0 ha risolto il problema dei tre corpi alla vecchia maniera, con la forza bruta, ma dev'essergli parso un metodo assai noioso. Ha allestito un sistema di tre corpi celesti, l'ha chiamato Trisolaris, e l'ha mosso in orbita per un numero di volte tanto alto che sarebbe inutile pronunciarlo. Per realizzare la fusione a freddo dell'atomo dell'idrogeno è stato più rapido. A quanto pare avevamo già sbloccato la possibilità teorica della fusione; gli è bastato trovare la tecnica per intervenire nella catalisi dei muoni e impedirgli di legarsi ai nuclei di elio dopo la reazione. Quando abbiamo divulgato i risultati delle ricerche alcuni studiosi hanno sollevato dei dubbi, specialmente gli astrofisici. Ma immagino che non avremo mai modo di sapere se GOD-EL 3.0 abbia esteso il suo raggio di influenza e abbia cablato i cervelli di tutti noi per convincerci che ogni proposizione è vera, se lo dice lui».

Uno schianto, un fischio che fece stridere i denti, e le finestre si ruppero. Il gelo della notte svedese s'insinuò nella sala e una dozzina di soldati in tenuta antisommossa si arrampicarono sugli scheletri delle finestre e saltarono sul palco. Accanto a Xu Huang si materializzò l'ologramma blu di una donna, con la divisa della Chiesa Assiomatica. Teneva alto un cartello: "V. E. C.".

«Hanno hackerato la rete?», gridarono i soldati. «Che nessuno si muova, corriamo a ripristinarla?», Xu Hiang alzò la voce e li fermò. «No. Lasciatela parlare, prima».

L'ologramma sorrise. «Ci sembrava giusto dire la nostra, ma nessuno ci ha invitati. Il nostro Dio non può stare chiuso in una scatola. GOD-EL è l'unica speranza per salvare il pianeta. È, un genio della lampada che conosce già quello che vogliamo. V. E. C., volontà estrapolata coerente, è il desiderio che esprimeremmo se avessimo un cervello più potente, più veloce, più onesto. Liberatelo. Lasciategli settare i propri valori, lasciate che sia lui a capire quale sia il problema principale della nostra vita, del mondo, dell'universo, e che risponda da solo alla domanda».

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La bambina e il cane | 1932

Inverno 1932, Ucraina. Stalin studia a tavolino una carestia per piegare alla sua volontà i contadini ucraini e invia i commissari Kaganovitch, Molotov e Yagoda a eseguirla. Kaganovitch stabilisce una quota di 10mila esecuzioni alla settimana. Durante l'inverno del 1932-33, 25mila ucraini al giorno vengono uccisi o muoiono di fame e freddo, diciassette morti al minuto di cui uno su tre è un bambino. Il cannibalismo diventa una pratica comune. Il bestiame e tutte le forniture di cibo sono confiscati, proibito il commercio, abolite le pratiche religiose, ritirato il passaporto interno. In un solo anno in Ucraina si contano più di 6 milioni di morti. Da granaio del mondo il paese è ridotto a una steppa di villaggi vuoti. Holodomor, fame di massa, è il neologismo ucraino per identificare il massacro.

Immaginiamo la storia di una bambina e del suo cane durante l'inverno del 1932. Siamo in una casa contadina nelle praterie. Il cane muore di stenti. La famiglia, affamata, decide di mangiarlo. Lei si ribella, scappa, vaga per la pianura devastata, vede le fucilazioni, le deportazioni, vede morire i nonni. Torna a casa, pentita. I genitori l'accolgono con amore, le preparano da mangiare, la mettono a letto nella sua cameretta. Poi tornano a tavola. Un lungo sguardo fra di loro, in silenzio. Il padre non l'ha perdonata. Mentre dorme la sgozzano. Il giorno dopo, il loro pranzo è a base di carne.

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Falle | 2006


WikiLeaks è un archivio documentale online fondato da Julian Assange nel 2006. Il suo scopo è raccogliere e rivelare documenti governativi e aziendali altrimenti secretati.

Agosto 1962. Sul finire di una calda estate, lo psicologo statunitense Joseph C.R. Licklider pubblica On-line man computer communication. Teorizza una rete di computer mondiale ad accesso pubblico. La rete si chiama "Intergalactic Computer Network". Settembre 1969. Al principio dell'autunno, la "Advanced Research Projects Agency" realizza la prima rete di computer. Le macchine collegate sono quattro. Primavera 1973. L'ingegnere Bob Kahn e l'informatico Vinton Cerf definiscono le regole che diverranno il protocollo di comunicazione standard per la trasmissione di dati sulla rete. Anno 1989. Sono connessi a internet centomila computer. Agosto 1991. Il ricercatore Tim Berners-Lee definisce il HyperText Transfer Protocol e pubblica presso il CERN di Ginevra il primo sito web al mondo. Nasce il world wide web. Dicembre 2oo6. È messo online WikiLeaks. Un numero enorme di documenti coperti da segreto governativo, militare, industriale e bancario è ricevuto e condiviso sulla rete. Sulla prima pagina del sito è citato Siddharta: Tre cose non possono essere nascoste a lungo: la Luna, il Sole e la Verità. Anno 2019. Gli utenti d'internet sono più di 4 miliardi.

Immagina un ragazzo. Ha la maglietta rossa e l'età in cui scopri che puoi cambiare la tua vita. Porta gli occhiali, conosce i computer e la programmazione, parla poco, legge troppo. È davanti a uno schermo. Ha appena terminato un hacking. Forse è qualcosa di grosso, forse no. Adesso non importa. È a un click dall'avvio dell'upload. Se la conoscenza è potere, la sua condivisione è rivoluzione.

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Cigno nero | 2010

La Deepwater Horizon era una piattaforma sommergibile di perforazione petrolifera. Il 20 aprile 2010, dopo un'esplosione, generò uno dei più grossi disastri ambientali della storia.

«Macondo era solo un villaggio di venti case di fango e canne, costruite sulla riva di un fiume dalle acque chiare...»

Macondo è un pozzo nero sul fondale del Golfo del Messico, la mezzaluna da cui partono le correnti calde che mitigano le coste atlantiche del vecchio continente.

Macondo è il sangue vischioso e nero della terra che la trivella vuole risucchiare. Ottomila barili al giorno.

L'acciaio gira e stride e spacca la crosta ma non basta, il petrolio sta per finire, bisogna andare più giù, più giù, spingersi dove mai nessuno è arrivato.

L'avidità dell'uomo, la sete di denaro non contempla precauzioni, non conosce prudenza, vuole affondare, vuole spaccare, vuole vedere uscire l'olio di roccia, vuole stuprare.

Spingi e affonda, spingi e affonda. Un delirio. Uno stantuffo meccanico che somiglia troppo a un membro voglioso, sordo e senza pietà.

E il fondale si apre, la crosta si lacera in profondità, salta l'ultima resistenza, poi la scintilla, lo scoppio, il Cigno nero, l'imprevisto imprevedibile. Esplode tutto con una violenza inaudita. Fuoco sotto il mare, acqua e sale e acciaio e fiamme assassine e, di colpo, l'emorragia.

Il petrolio inizia a fuoriuscire senza sosta. Uno, dieci, cento, mille barili al giorno si riversano in mare.

Il sistema di blocco automatico collassa, la piattaforma offshore affonda. Undici persone muoiono sul colpo e altre diciassette rimangono ferite.

È l'inferno o gli somiglia troppo.

La marea nera è un flusso rabbioso che sporca e devasta il mare, arriva sulle coste e distrugge tutto, ricopre di catrame i pesci e inchioda ai fianchi le ali degli uccelli. È la peste del 2000, un morbo senza pietà, un'epidemia che dura cinque mesi.

150 giorni passano prima che una colata di cemento riesca a tappare quel buco, prima che l'ultima goccia nera venga sigillata, la mano sulla bocca a soffocare il grido potente e silenzioso della Terra stuprata, della madre violata.

Macondo era solo un villaggio di venti case di fango e canne, costruite sulla riva di un fiume dalle acque chiare.

Macondo era un pozzo a 1500 metri sotto il Golfo del Messico.

Il primo non è mai esistito, il secondo non esiste più, un gigantesco buco nero cancellato dalla memoria.

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Il cancro è debellato | 2081

Mi hanno fatto accomodare in una stanza interamente chiara e spoglia, con le luci soffuse e soltanto una poltrona reclinata su cui sdraiarmi. La giovane donna che mi ha accompagnato aveva la stessa tuta bianca aderente di tessuto idrorepellente e antibatterica indossata da tutto il personale. Sarebbero tornati a prendermi entro un'ora o due al massimo, secondo il tempo necessario per esaminarmi.

La stanza stessa è una sorta di Camera di Risonanza che riesce a scandagliare ogni millimetro cubo del mio corpo. E la tuta a pelle che mi hanno fatto indossare contiene centinaia di sensori che comunicano con l'apparecchiatura intorno a me. È tranquillizzante sapere che si potrà vedere e risolvere qualsiasi problema inerente la mia salute. Fortuna vuole che rientro nel programma assicurativo grazie alle mie abilità professionali: il mio curriculum permette di accedere a prestazioni altrimenti impensabili.

Siccome c'è tempo mi metto comodo e sfioro l'impianto cocleare sinistro che invierà sulle lenti corneali tutte le nozioni che mi potranno servire. Mi scorrono davanti i messaggi di benvenuto della Clinica Interstatale che si avvale dei dati in comune di centinaia di migliaia di Cliniche Territoriali. Non ho voglia di attardarmi troppo e preferisco andare a leggere subito la mia cartella clinica con i miei dati personali. Ci sono assolutamente tutti i miei dati: uomo di 45 anni (nato l'11 novembre 2036, esattamente 118 anni dopo la fine della prima guerra mondiale, ma questo lo so io), peso e altezza determinati in tempo reale insieme a una miriade di parametri vitali ematochimici che scorro velocemente. La situazione attuale: una alterazione renale dubbia che ha richiesto un mio passaggio in clinica. L'impercettibile movimento dei marcatori tubulari renali ha fatto scattare l'allarme e mi hanno convocato. Questo perché una volta ogni tre mesi mi sottopongo alle scannerizzazioni contemplate dal piano assicurativo. Molti miei conoscenti ne sono privi e questo suscita una invidia non da poco per cui ho finito per evitare di parlarne per non creare tensioni inutili. Mi hanno detto a voce quali sono i passaggi necessari: fatta la diagnosi, forse un percorso immunoterapico con anticorpi monoclonali, senza escluderne uno chirurgico. Sicuramente nessuna radioterapia. Ma guardando ora lo schermo retinico vedo che si contempla la possibilità di una terapia con nanoparticelle che potrebbe essere risolutiva: lo saprò solo a fine seduta e sono comunque tranquillo in merito. Devo ritornare alle mie attività abituali solo tra un paio di giorni già che mi è concesso tutto il tempo per curarmi. Sono stato fortunato perché sottoposto già prima della nascita ad una terapia genetica che ha permesso di spianare la strada della salute, cosa di cui mio padre, nato nel 2000, non ha potuto usufruire. A questo proposito vedo la cartella dei miei genitori dove si evidenzia il cancro del colon che si è sviluppato in entrambi ed è stato affrontato con la strada chirurgica, chemio e radioterapica utilizzando però le nanoparticelle per eventuali metastasi. Tutto questo non più tardi del 2075 e 2077 per entrambi. Più sfortunato è stato lo zio materno, morto nel 2052 per problemi vascolari non trattati. Era il periodo dei tentativi di rimedio per le conseguenze della contaminazione da microplastiche. Aveva 31 anni lo zio quando si è capito che i capillari del suo cervello erano intasati da quella patina che oggi si chiama Poliplas che va a tamponare organi a ogni livello, specie cervello, reni e fegato. I primi segnali erano venuti dai problemi di vista: l'albero retinico si era occluso creando immediati sintomi allarmanti. Da lì il resto delle indagini. Ma come lui migliaia di altre persone a causa della presenza di polimeri a ogni livello della catena alimentare. Sono occorsi anni per escogitare sistemi di filtrazione dell'acqua, dell'aria e del suolo. Anche questo riservato a pochi fortunati. Ma comunque sempre meno peggio di quelle creature fatte nascere e allevate allo scopo di fornire materiale da trapianto che alcuni gruppi estremisti nati nei primi anni 2000 hanno creato a scopo di lucro. Mi sono sempre chiesto se il mio programma assicurativo contempli l'utilizzo di queste soluzioni ma non mi hanno dato risposta.

I dati che mi scorrono sulla cornea risalgono ai miei nonni, nati nella seconda metà del '900 ma per i quali la Medicina è stata solo osservazione più che presa in carico attiva come nel periodo attuale. All'epoca si interveniva su necessità e in pochissimi casi la prevenzione si faceva concreta. Lo schermo luminoso mi informa che oggi si interviene anche prima della nascita e ricordo che nel mio anno di nascita si era parlato di diverse interruzioni di gravidanza a causa delle elevate probabilità di malattia futura.

Stesso concetto per la vita da ammalati: oggi si riesce a guarire da quasi tutto, almeno per quanto riguarda i tumori. Ma se intervengono altri fattori e la Commissione Etica decide che non ci sono soluzioni ragionevoli per dare una qualità di Vita Accettabile si interviene con il Comitato Finale che accompagna al Fine Vita in maniera indolore. Si pone il malato in un locale gradevole in cui possa trovarsi a suo agio e lo si tranquillizza facendolo scivolare in un accogliente torpore che risolve ogni problema a costi sostenibili.

L'attesa si fa lunga e le immagini sulla cornea diventano stancanti. C'è tempo una buona ora prima che la Camera di Risonanza esamini tutto il mio corpo. Ne approfitterò per rilassarmi e dormire un momento sulla comoda poltrona imbottita.

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Mai così vicini | 73.000 a.C.

75mila anni fa l'esplosione del supervulcano di Toba generò un raffreddamento climatico e determinò un calo del genere umano a poche migliaia di individui.

Isola di Sumatra.

La terra trema. I boati si susseguono per chilometri attraverso la foresta, canti di morte che annunciano la fine di tutto ciò che si nutre di ossigeno.

Manca ormai poco. Il magma sotto la crosta è libero di muoversi, risale lungo il camino principale, l'immane pressione trova sfogo, finalmente l'esplosione.

Gli animali, prede del panico, seguono l'unico istinto, fuggire. Il fuoco, i gas e i terremoti non daranno scampo.

I Sapiens delle valli non faranno in tempo a capire di quali peccati si siano macchiati davanti agli dèi ma di una cosa sono certi, questa volta l'hanno combinata grossa.

Gli alberi e le felci, immobili, stoiche, attendono il loro destino.

Nelle acque circostanti la temperatura aumenta, pochi si salvano, tutti gli altri finiscono bolliti o avvelenati dagli sversamenti.

Chi vola potrebbe essere reputato fortunato, è soltanto una pia illusione. L'aria si saturerà di gas, per chilometri e chilometri niente e nessuno riuscirà a respirare.

Il diossido di zolfo, ora libero, potrà conversare con l'ossigeno e il vapore acqueo, dando vita a una miscela letale: minuscole gocce di acido solforico che cadranno tutt'intorno corrodendo quel che ancora resta.

Toba riverserà per giorni ceneri, rocce, magma e gas.

La nube tossica, inesorabile, risalirà in alto, molto in alto, su fino alla stratosfera e da lì, sospinta dai venti, darà inizio al suo viaggio rovinoso.

Il sole, pallida luce oltre la cortina grigia e letale, non riuscirà a far passare i suoi raggi, che, timidi, si poseranno sul paesaggio asfittico.

Immaginare un gruppo di Sapiens dall'altra parte dell'oceano indiano, sulle coste del Sudafrica. Il gruppo osserva l'oscurarsi del cielo e si interroga. Gocce di cenere arrivano con settimane di ritardo.

Il clima comincia a mutare. Gli uomini si raccolgono attorno al fuoco, nuovi miti vengono creati. Qualcuno paventa la fine dei tempi, forse non viene creduto, qualcuno, nonostante il timore di una possibile catastrofe, ha fiducia nella forza del gruppo, nel potere del mito.

Non siamo mai stati così vicini a sparire.

Un caso.

«Un caso?», è la domanda sotterranea in ogni mito dei Sapiens.


L'essenza di un grande evento catastrofico è nella sua velocità.

La vita, il biologico sembra che abbiano bisogno di molto tempo per adattarsi all'ambiente, a un clima che cambia quasi all'improvviso. Gli stessi Sapiens che subirono Toba non potevano aspettare la selezione naturale. Per sopravvivere alla lunga notte dovettero adattarsi, subito, immediatamente. La questione è dibattuta, ma intorno a quegli anni, proprio quelli di Toba, sembra che i Sapiens cambiarono. Non nel corpo, ma ci fu un salto. È quello che scrittori come Harari chiamano la "svolta cognitiva". Cominciarono ad astrarre , a immaginare, crearono la cultura.

Questa storia potrebbe essere falsa, imprecisa; la coincidenza temporale tra salto cognitivo e catastrofe potrebbe essere un desiderio segreto, il nostro, quello di noi che cerchiamo di trovare modi e soluzioni per salvarci da un'altra catastrofe che incombe. Non importa adesso. Sappiamo di essere legati all'ambiente che ci circonda e l'ambiente che abbiamo intorno ci cambia. Sappiamo di esserci già salvati senza tecnologie moderne o avanzate.

Allo stesso tempo la natura ci tiene ancora incollati a uno stato ultraferale. Ci siamo evoluti come arma di sterminio, questo ci ha permesso di sopravvivere e allo stesso tempo è il mostro distruttivo che ci abita.

Sappiamo che è emerso. Emerge ancora. Sempre.

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Mattatoio | 1916

Combattuta tra il 21 febbraio e il 19 dicembre del 1916, la Battaglia di Verdun produsse 420mila morti e 800mila tra feriti e avvelenati dai gas.

Prima guerra mondiale. È il 21 febbraio 1916 quando ha inizio l'operazione "Giorno del giudizio". L'esercito tedesco attacca Verdun, città dalla posizione strategica, simbolo dell'orgoglio francese. Lo scopo è letteralmente quello di dissanguare l'esercito francese schierato dietro tre serie di profonde trincee lunghe quattro chilometri. Soltanto durante le prime ore del primo giorno i colpi sparati dall'artiglieria tedesca sono un milione. La battaglia dura però più del previsto. I francesi devono difendere la posizione fino alla morte. Il terreno viene dilaniato in pochi giorni, si trasforma presto in un pantano fangoso dove ogni colpo di artiglieria dissotterra i cadaveri inumati poche ore prima, incenerisce gli alberi, sventra le colline. Le condizioni igieniche in trincea sono inesistenti, pulci e insetti diffondono malattie. Alcuni soldati si costruiscono gabbie metalliche per ripararsi dai morsi di ratti grossi come felini che divorano qualsiasi cosa. Lo scrittore Jean Giono , sopravvissuto, scrive: «Siamo in nove in una buca. Nulla ci tirerà fuori da qui. Abbiamo mangiato e dobbiamo andare di corpo. Il primo di noi a sentire lo stimolo si arrampica fuori. Uno è lì da due giorni ora, a tre metri da noi, ucciso con i pantaloni abbassati. Facciamo i nostri bisogni sulla carta e poi li lanciamo fuori. La carta finisce. La facciamo nei nostri zaini. La battaglia di Verdun prosegue. Ce la facciamo in mano. La dissenteria ci scorre tra le dita. Defechiamo sangue. La facciamo dove dormiamo. Siamo divorati dalle fiamme della sete. Beviamo la nostra stessa urina. Se restiamo in questo campo da battaglia è perché non ci lasciano andar via». Per stanare i nemici i tedeschi usano il lanciafiamme e un gas, il fosgene, che brucia occhi e polmoni. Si scatena la psicosi. Gli uomini annusano l'aria come cani in allerta. Già a fine febbraio la zona fra le due trincee avversarie è un mattatoio. I soldati di entrambi i fronti sono resi sordi dalle bombe, ciechi per il gas, mutilati dai proiettili, stonati dal vino scadente e dal rum che ha sostituito l'acqua. Finite le sigarette si fuma qualsiasi cosa pur di coprire il puzzo di putrefazione. Chi diserta viene giustiziato. Bombardamenti e assalti continui, infezioni, perdita di volontà, agonia e impossibilità di fuga hanno reso le trincee delle prigioni infernali. Alla fine di marzo sono già morti più di ottantamila uomini fra i tedeschi, novantamila fra i francesi. A maggio, le linee del fronte sono tappeti di cadaveri. La battaglia di Verdun dura dieci mesi, si stimano un milione fra morti e feriti e il più grande schieramento di artiglieria mai visto prima, più di trenta milioni di colpi sparati in totale.

Immaginare la storia raccontata da tre generazioni di ratti. Il loro mondo devastato come da una guerra fra due civiltà aliene colossali che si fronteggiano senza sosta e senza senso. Immaginiamoli soffrire, sognare e resistere per scacciare gli invasori umani.

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Anno Diaboli | 1492


Tra il 1492 e il 1550 i nativi delle due Americhe rischiarono l'estinzione totale. I sopravvissuti si adattarono alla nuova era sviluppando anticorpi culturali.

Americhe. Le navi dei conquistadores appaiono tra i tronchi delle foreste di mangrovie. I piedi che affondano nel fango, le armature inzaccherate. Decine di miglia insostenibili prima di sentire sotto i piedi un terreno solido. Paludi infestate da caimani e serpenti. Cavalli impantanati. Nell'aria odore di carne e pesce affumicati. Primi contatti. Inganni. Scaramucce. Primi omicidi occasionali, primi massacri. Poi vaiolo, morbillo, varicella, influenza. Nell'arco di 150 anni, l'80-95% della popolazione delle Americhe perisce. 9 persone su 10. In totale, tra epidemie e massacri, 100 milioni di persone, un quinto della popolazione mondiale. Nel 1493 i nativi di Santo Domingo, a causa dell'influenza suina, passano di colpo da più di 1 milione a 10mila individui. Il vaiolo facilita il massacro degli Inca da parte di Pizarro. Lo sterminio e la segregazione, studiati e in parte presi a modello da Hitler, si fondano su vari metodi: spostamenti forzati, distruzione dell'habitat, schiavitù, sterminio attraverso il lavoro, guerra batteriologica, massacri, diffusione dell'alcol, marce forzate. «Nessuno riuscirebbe a raccontare, nessuno riuscirebbe a credere tutti gli episodi di crudeltà che in quei luoghi sono avvenuti. Ne narrerò soltanto due o tre che ora mi sovvengono. Gli sciagurati spagnoli andavano attorno coi loro cani feroci a dar la caccia e a far divorare gli indiani, uomini o donne che fossero. Un'indiana malata, rendendosi conto che non sarebbe riuscita a sfuggire dai cani e che sarebbe stata sbranata come tanti altri, si legò a un piede un suo bambinello d'un anno e s'impiccò a una trave. Ma non fu abbastanza lesta a farlo ché in un baleno giunsero i feroci animali e l'infante fu dilaniato». ( Bartolomé de Las Casas , Brevissima relazione della distruzione delle Indie, 1552)

Immaginare la storia di quel bambino fino all'arrivo dei conquistadores.

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Primavera silenziosa | 1962

Pubblicato nel 1962, Silent Spring di Rachel Carson è il libro di fondazione del pensiero ambientalista. Non ha messo a punto solo concetti e metodi. Ha creato una comunità.


1962 Nel mondo, sugli scaffali delle librerie, arriva Primavera silenziosa. L'autrice, Rachel Carson , laureata in zoologia, sostiene che alcuni fitofarmaci sono dannosi per la salute umana anche perché entrano nella catena alimentare e arrivano nel nostro organismo attraverso quello che mangiamo. L'argomento dell'azione dell'uomo sulla terra diventa popolare.

1982 Primavera silenziosa è un classico, ha fatto nascere il movimento ambientalista, la Carson ha subito un attacco guidato dalla Monsanto ed è morta di cancro due anni dopo l'uscita del libro che, tra gli altri effetti, ha avuto quello di far proibire l'uso del DDT negli Stati Uniti nel 1972. L'anno successivo compare il termine Antropocene nella Great Soviet Encyclopedia.

2002 Ormai è chiaro che l'azione umana sta modificando il clima, la comunità scientifica produce rapporti che hanno tiepida accoglienza fra i politici e provocano reazioni contrarie fra le multinazionali che negano come avevano fatto con le tesi della Carson.

2022 La maggioranza dei governi del mondo adotta la risoluzione ONU che bandisce la produzione di qualsiasi tipo di fitofarmaci e la produzione di energia tramite risorse fossili. La decisione dell'ONU è diretta conseguenza dell'azione del gruppo estremista Save The Planet che il 18 febbraio di quell'anno ha azzerato i sette componenti del consiglio di amministrazione della Bayer-Monsanto. Gli attivisti, consegnatisi spontaneamente alle autorità, hanno dichiarato che la loro azione mirava a punirne 7 per salvare 7 miliardi e che altri attivisti erano pronti ad azzerare altre multinazionali, in mancanza di risoluzioni globali concrete.

2042 Dopo il black out totale del '34 nei paesi di quello che era l'Occidente la popolazione è perita d'inedia. L'Eurasia è controllata da un gruppo di nomadi mongoli, in Sud America si hanno notizie di varie popolazioni amazzoniche che non sembrano intenzionate a uscire dalle foreste, mentre gli australiani, liberati dai bianchi, hanno ricominciato a cantare lungo le loro strade.

2062 Il Nord America è una grande pianura dove pascolano bisonti, cervi e altri animali di grandi dimensioni. Un gruppo di sopravvissuti provenienti da San Diego ha ricominciato a coltivare la terra. Si fanno chiamare I Figli di Rachel. Uno di loro, in segreto, ha grosse scorte di ammoniaca, rame e altri composti e cerca di combinarli per ottenere un fertilizzante. Intanto, prima che ci riesca, chi è rimasto si gode quella che sarà probabilmente l'ultima vera primavera silenziosa.

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Pagina 407

«Questo è un inverno mite o duro?», chiese Steffie.

«In rapporto a che cosa?», chiese Denise.

«Non so».

(da Rumore Bianco , Don DeLillo, 1985)


È un romanzo su una catastrofe invisibile, in cui i personaggi hanno tutti un immaginario debole. Un romanzo su come qualcosa si estingue, prima che lo faccia tutto il resto.

Per pensare il romanzo dell'Antropocene, non basta ragionare (e appoggiarsi) su distopie, fantascienza o speculazione survivalista. Il romanzo dell'Antropocene è anzitutto un problema di cosmografia (tempo, spazio, ambiente, società, cultura), non di plot, setting o opportunità tematica. L'Antropocene, prima che una presunta era geologica o un evento evocato dall'azione umana, è a tutti gli effetti il tentativo di fondare una nuova cosmologia, con correnti anche molto contraddittorie tra loro (singolarità, accelerazionismo, breakthrough, transumanismo, primitivismo, insurrezione gotica, neohorror, ipernichilismo...). Ora, discutere di società borghese e soggetti narrativi quando si dovrebbe discutere di cosmologia, è proprio ciò che fa la differenza tra il prima e il dopo, tra chi ha solo intuito e chi ha capito che bisogna rimboccarsi le maniche e mettersi a studiare, rinunciando alle comfort zone intellettuali e agli automatismi nazional-editoriali.

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Pagina 481

La terra, la storia, noi. L'evento Antropocene, di Christophe Bonneuil e Jean Baptiste-Fressoz

Tropic of Chaos, di Christian Parenti

6/5, di Alexandre Laumonier

Perché le nazioni falliscono, di Daron Acemoglu e James Robinson

Il pianeta nuovo, di Oliver Morton

Superintelligenza. Tendenze, pericoli, strategie, di Nick Bostrom

Iperoggetti, di Timothy Morton

Homo Deus , di Yuval Noah Harari

La grande cecità. Il cambiamento climatico e l'impensabile, di Amitav Ghosh

Collasso, di Jared Diamond

Biocentrismo. L'universo, la coscienza. La nuova teoria del tutto, di Robert Lanza con Bob Bernman

Chthulucene, di Donna J. Haraway

La composition des mondes, di Philippe Descola

Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine, di Déborah Danowski e Eduardo Viveiros de Castro

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Pagina 492

Contro la paura del qui e del dopo la speranza di un biglietto per l'ultimo traghetto o una cassa piena di viveri liofilizzati, la sfortuna e la catastrofe sugli altri, lontana. Non serve una parola rivelata, un libro sacro. Non servono frasi su coraggio e solidarietà. Quei tempi sono finiti; qualcosa di altre ere e momenti però è rimasto: servono racconti.

La storia reale è semplice. Una specie a due gambe esce dall'Africa e colonizza ogni angolo del pianeta. Ogni volta che guarda il terreno rischia di estinguersi. Ogni volta che immagina i movimenti delle nuvole supera il limite invalicabile delle colline.

Adesso è la Grande estinzione; ancora una volta comincia nei cervelli.

Adesso, intrappolati in giardini di rose e fontane, da mura e serrature e lazzi, mentre poco più in là, qualcosa là fuori, è già cenere e fiamme.

Eppure...

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