Autore Daniele Porretta
Titolo Il bruco dalle uova d'oro
SottotitoloDai pesticidi agli OGM: le false promesse delle multinazionali dell'agrochimica
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2013, Ecoalfabeto , pag. 96, cop.fle., dim. 12x14,7x0,8 cm , Isbn 978-88-6222-336-2
LettoreDavide Allodi, 2013
Classe alimentazione , salute , ecologia , economia , globalizzazione , chimica












 

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Indice


Introduzione                                      3


La soluzione pesticidi                            7

Una ricca produzione di molecole                 13

"DDT is good for me-e-e!"                        17

Effetti collaterali di una soluzione efficace?   22

Una questione di regole                          29

A venticinque anni dal Codice della FAO          36

Un'eredità ingombrante                           43

PestiCibi                                        47

Quando non eravamo tutti buoni                   51

La strada abbandonata                            58

OGM, quanto ci costi!                            63

Il passo necessario                              69

Conclusione: "Ciak, seconda..."                  72


Glossario                                        75

Bibliografia                                     81


 

 

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Pagina 3

Introduzione


Nel 2050 la popolazione mondiale sarà di nove miliardi di persone, con un crescente fabbisogno alimentare. Le rivolte scatenate dall'aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, scoppiate nel 2008 in alcuni Paesi, sono un segnale dell'urgenza di scelte in questo ambito. Nello stesso tempo, la crisi ambientale impone piani di sviluppo sostenibili.

C'è chi propone una soluzione in grado di consentire contemporaneamente un'implementazione della produzione agricola, il rispetto dell'ambiente e un maggior guadagno per l'agricoltore. La soluzione dalle multinazionali dell'agrochimica si chiama OGM (Organismi Geneticamente Modificati).

Dal 1996, anno della loro diffusione negli Stati Uniti, le colture geneticamente modificate sono al centro di un acceso dibattito. Nella letteratura scientifica, molti studi condotti o sponsorizzati dalle multinazionali sostengono che gli OGM sono vantaggiosi. Altri studi, quelli di ricercatori e organizzazioni indipendenti, sostengono invece che nessuna delle promesse è stata mantenuta. Fuori dal mondo accademico, il dibattito sugli OGM si riduce spesso al confronto/scontro tra due opposte fazioni: da un lato chi accusa le multinazionali di perseguire, in nome del progresso, solo profitto personale, predando popoli e risorse senza rispetto per i diritti fondamentali dell'uomo; dall'altra, chi accusa i detrattori degli OGM di nostalgia per un mondo irrealizzabile, di rinnegare il progresso e i vantaggi che le biotecnologie potrebbero apportare all'umanità.

Sebbene tra queste due visioni mi senta vicino a chi è contro il profitto ad ogni costo, non posso dimenticare di essere nato e cresciuto nella culla della società dei consumi, nutrito delle fiction americane, dei cartoon giapponesi, di essere affascinato dagli sviluppi della genetica e di credere nelle potenzialità della tecnologia in generale. È un errore ostacolare gli OGM? Se fossero una buona soluzione, anche se non perfetta? Nel prossimo futuro sarà decisiva la presa di posizione di ciascuno di noi, ma come scegliere?

Cercando un nuovo e diverso approccio per affrontare il tema OGM, questo non sarà un libro sulle biotecnologie, sebbene le colture geneticamente modificate siano punto di partenza e punto di arrivo del discorso, ma un libro sui "soggetti" che propongono gli organismi OGM: le industrie dell'agrochimica, con l'obiettivo di rispondere alla domanda: "È possibile fidarsi delle multinazionali che propongono gli OGM?".

Questo libro cerca, nelle azioni del passato, indicazioni per le scelte future. Il passato è il XX secolo, quando le industrie chimiche proposero una soluzione al problema della sicurezza alimentare che le ha rese grandi: i pesticidi.

Dal 1939, quando iniziò "l'epoca d'oro" dei pesticidi, sono state prodotte migliaia di composti e il loro uso è cresciuto costantemente, insieme ai fatturati delle multinazionali produttrici. Tuttavia, a fronte dei primi successi, i pesticidi si sono rivelati scarsamente efficaci nei confronti degli organismi nocivi, deludendo le aspettative e causando degli effetti negativi sull'ambiente.

Il parallelismo tra pesticidi e OGM è adatto allo scopo, perché i pesticidi del XX secolo sono l'analogo degli OGM di oggi e perché dalla loro nascita e diffusione è passato un tempo sufficiente per trarre conclusioni, fondate su studi e testimonianze. I pesticidi sono una componente fondamentale dell'agricoltura convenzionale, tanto che sul territorio dell'Unione Europea vengono immesse circa 200.000 tonnellate di pesticidi all'anno e centinaia sono i composti agrochimici come residui sui cibi.

Il fallimento della lotta chimica è stato inatteso o era prevedibile? Vi erano vie alternative di lotta? Le multinazionali sapevano? Se i pesticidi non sono efficaci, perché sono ancora usati? Che rapporto c'è tra pesticidi e OGM?

Riattraverseremo oltre un secolo di storia, dagli inizi del 1900 ad oggi, ripercorrendo gli eventi che portarono alla nascita dei pesticidi, le vite dei protagonisti di quelle vicende, l'analisi degli effetti economici, sociali e ambientali di oltre sessant'anni di lotta chimica in agricoltura. In quello che è accaduto, vi sono gli elementi che ci aiuteranno a capire chi vuole gestire il nostro futuro e a scegliere una posizione nei confronti degli OGM.

La storia dei pesticidi e degli OGM ha un lato oscuro, fatto di violazione dei diritti fondamentali dell'uomo, di morte e povertà. Racconterò queste vicende, mostrando il massimo rigore nella ricerca di documenti, cifre e avvenimenti, e introducendo aneddoti e storie di vita reale e fantastica. Le fonti sono gli articoli scientifici sulle riviste specializzate, i report delle organizzazioni internazionali nel campo dell'agricoltura e dello sviluppo sostenibile, le conversazioni con loro esponenti e le banche dati delle stesse multinazionali.

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Pagina 17

"DDT is good for me-e-e!"


                            I pesticidi non hanno risolto il problema degli
                            organismi nocivi in agricoltura, anzi hanno creato
                            danni ambientali e alla salute dell'uomo. Quando
                            questa realtà è stata messa sotto gli occhi
                            dell'opinione pubblica mondiale, le multinazionali
                            hanno reagito con arroganza e hanno adottato una
                            strategia tanto antica quanto efficace. "Negare
                            tutto, anche l'evidenza".



Una donna, con un abito blu a pois e un grembiule da cucina, è in piedi in atteggiamento danzante su un prato verde; alla sua destra ci sono un cane eretto sulle zampe posteriori e una mela gigante con occhi, bocca e un gran sorriso; alla sinistra, in ordine, una mucca, una patata con occhi, bocca, gambe e braccia, e un gallo. Tutti intonano allegramente una canzone che fa "DDT is good for me-e-e!".

Sotto questa immagine si legge: "Le grandi attese poste nel DDT sono state realizzate. Durante il 1946, prove scientifiche esaustive hanno mostrato che, quando propriamente usato, il DDT uccide gli insetti nocivi, ed è un benefattore di tutta l'umanità".

Seguono altre immagini e parole che illustrano le potenziali applicazioni del DDT e i vantaggi: frutti più grandi, mucche che producono più latte, campi con più patate e una mamma che dà il biberon al proprio figliolo. Sotto c'è la scritta: "Aiuta a rendere la casa più sicura e confortevole... proteggi la tua famiglia dagli insetti dannosi. Usa Knox-Out DDT in polvere e spray... poi guarda l'insetto cadere a terra morto!". Vengono usate le parole "bite the dust!", cioè "mordere la polvere".

Il quadro bucolico sopra descritto è in un poster pubblicitario degli anni '50, quando il DDT si credeva, o si voleva far credere, fosse uno di quegli avanzamenti tecnologici che avrebbero cambiato lo stile di vita dell'uomo e avrebbe contribuito al suo benessere. Il motivo The DDT is good for mee-e-e! risuonò per molti anni. Fino al 1962.


15 settembre 1962: ad Alatri, provincia di Frosinone, Giuseppe e Angela indossano il vestito buono, anche Gino e Cesarina e la piccola Donata è una pallina danzante di tulle bianco. La margherita che aveva tra i capelli giace su uno scalino della chiesa. In fondo alla navata, Luigi e Milena: due sì, quattro lacrime e poi riso, risate, flash di macchine fotografiche e una margherita schiacciata su uno scalino. Mentre "Alfredo, Specialità Pesce" aspetta l'allegra brigata, altrove i Beatles incidono Please, please me, e cinque gruppi di ricerca annunciano simultaneamente la scoperta dell'anti-materia. A migliaia di chilometri di distanza viene conferito il Nobel a Watson e Crick per le loro scoperte sulla struttura del DNA, ma, soprattutto, la biologa e scrittrice Rachel Carson pubblica Silent Spring. Soprattutto perché, a parte i Beatles, l'antimateria, eccetera, se in quel 1962 non ci fossero stati Luigi e Milena e Rachel Carson, io non scriverei di pesticidi.


Rachel Carson, scienziata, fu l'autrice di Silent Spring. Dopo aver pubblicato Under the Sea Wind (1941) e The Sea Around Us (1951) che divenne un best-seller, The Edge of the Sea (1955) confermò il suo talento e consolidò il successo, rimanendo venti settimane tra i best-seller. Nelle sue opere, la Carson descrive le bellezze e le meraviglie della vita marina. Nel "New York Times" del 23 settembre del 1962 si legge: "Silent Spring è simile soltanto in una cosa ai primi libri di Miss Carson: nel fatto che lei, ancora una volta, tratta con uno stile accurato, accessibile al grande pubblico, la relazione tra la vita e l'ambiente". Il tema affrontato era completamente diverso da quello delle opere precedenti. Silent Spring denunciava l'uso dissennato dei pesticidi, del loro effetto dannoso sull'ambiente e sulla fauna selvatica. Per la prima volta, dall'anno della sua scoperta nel 1939, il DDT e l'uso dei pesticidi furono messi in discussione. Leggiamo:

Come può un essere intelligente cercare di controllare poche specie non desiderate con un metodo che contamina l'intero ambiente e mette a rischio di malattia e morte anche se stesso? [...] Per la prima volta nella storia del mondo, ogni essere umano è soggetto al contatto con composti chimici pericolosi dal momento della sua nascita fino alla morte. Questi composti sono ora immagazzinati nei corpi della maggior parte degli esseri umani, a prescindere dalla loro età. Essi si trovano nel latte delle madri, e probabilmente nei tessuti dei bambini non nati.

La Carson puntò il dito contro i programmi di controllo degli insetti nocivi basati sulla chimica, costati milioni di dollari e destinati al fallimento. Rilevati i danni e il fallimento di questi programmi, espose alternative concrete, strade già esistenti o percorribili, ma abbandonate a causa delle pressioni esercitate dalle industrie chimiche. La fondatezza delle sue affermazioni era avvalorata da cinquantacinque pagine di bibliografia, frutto di quattro anni e mezzo di ricerche. In Silent Spring pose l'uomo davanti a un bivio: continuare ad assumere un comportamento sprezzante nei confronti del mondo naturale, o agire consapevolmente nei confronti di tale mondo. "Ci troviamo oggi ad un bivio: ma le due strade che ci si presentano non sono ambedue egualmente agevoli. [...] Spetta dunque a noi decidere...".

Il New Yorker pubblicò in giugno e luglio parti del suo libro in anteprima. Quando nel settembre del 1962 uscì l'intera opera, Silent Spring era un best-seller e una pacata scrittrice delle meraviglie del mare divenne una figura imbarazzante per l'industria chimica e per gli scienziati e politici affiliati.

La risposta fu immediata: la Carson fu accusata dalle industrie chimiche di presentare fatti senza fondamento scientifico, di essere faziosa e di presentarne soltanto una parte, tralasciando gli effetti positivi. Fu attaccata come scienziata e come donna. Fu definita "amante degli uccelli", "amante dei gatti", "amante dei pesci", "suora della natura"; "zitella isterica" che mostrava una reazione esagerata; accusata "di preoccuparsi della morte dei gatti anziché delle 10.000 persone che ogni giorno muoiono di fame e malnutrizione nel mondo". I detrattori ignorarono il suo valore come scienziata, i premi e le onorificenze ottenuti.

Non mancarono le parodie. Il numero di ottobre del 1962 del Monsanto Magazine pubblicò "The desolate Year", in cui veniva descritto un mondo senza pesticidi. Ecco le parole dell'Associazione dei Produttori di Composti Chimici Organici di Sintesi sul futuro della Carson e di Silent Spring: "Nel complesso verrà visto nel tempo come una grande distorsione dei fatti reali, essenzialmente non supportati né da evidenze sperimentali scientifiche né da esperienze pratiche nel campo". Le cose andarono diversamente.

In seguito alla pubblicazione di Silent Spring, la Science Advisory Committee del Presidente J.F. Kennedy prese in considerazione il problema pesticidi. Dopo il 1962, una serie di leggi federali e migliaia di leggi statali entrarono in vigore per tutelare l'ambiente e la salute umana dagli effetti dei pesticidi. Nel 1972, dieci anni dopo la pubblicazione di Silent Spring, negli Stati Uniti fu proibito l'uso del DDT.

Gli studi condotti fino ad oggi hanno confermato quanto affermato dalla Carson e, oltretutto, hanno evidenziato danni ulteriori alla salute dell'uomo e all'ambiente causati dal DDT e dagli altri pesticidi prodotti dall'industria agrochimica.

Silent Spring è uno dei libri fondamentali del XX secolo, scritto quando l'ambientalismo era ancora agli albori e diventando un simbolo di come la forza di un'idea abbia portato ad un profondo cambiamento culturale. Rachel Carson poté assistere soltanto ai primi eventi di cui era stata forza propulsiva. Morì di cancro nel 1964.

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Pagina 32

A questo punto, è necessario fare un po' di conti. Dal 1939, anno di nascita della lotta chimica in agricoltura, al 1962, quando i pesticidi sono messi in discussione per la prima volta in Silent Spring, passano oltre vent'anni. Ne devono passare altri dieci per arrivare alla proibizione del DDT negli Stati Uniti (1972) e altri tredici per la ratifica del primo documento internazionale sui pesticidi, il Codice non vincolante della FAO (1985).

Infine, passano altri vent'anni per l'entrata in vigore, nel 2004, di due trattati internazionali vincolanti, le convenzioni di Rotterdam e di Stoccolma, ma solo per chi vi aderisce: al 13 settembre 2012 tra gli Stati che non hanno ratificato la Convenzione di Stoccolma vi sono Haiti, Malta e pochi altri, tra cui Italia e Stati Uniti.

In sintesi, a cinquant'anni dalla pubblicazione di Silent Spring, e oltre trent'anni dall'inchiesta sul Circle of Poison, le norme che regolano i pesticidi sono una risposta debole. Questa risposta è ancora più debole se si considera la velocità con cui è cresciuto il mercato mondiale dei pesticidi.

Perché questi tempi così lunghi? La risposta è facilmente immaginabile, tenuto conto degli interessi economici in gioco. Le multinazionali dell'agrochimica, da un lato hanno sfruttato la mancanza di normative, come nel caso del Circle of Poison, dall'altro hanno tutelato i propri interessi, facendo pressioni nelle fasi di definizione e approvazione delle normative, per ritardarne l'entrata in vigore o modificane i contenuti. È stato così anche per il Codice.

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Pagina 58

La strada abbandonata


                            Non esiste scelta senza una diversità di opzioni.
                            C'erano strade alternative da percorrere, quando la
                            lotta chimica nacque e si affermò? Sì, e numerose.
                            Erano le prime esperienze di controllo biologico,
                            abbandonate dopo la Seconda Guerra Mondiale sotto la
                            pressione del potere economico e politico delle
                            industrie chimiche.



Alcune strategie di controllo biologico affondano le radici in un'esperienza popolare secolare, come quelle basate sull'uso di predatori o parassiti. Già nel 900 d.C., i Cinesi proteggevano gli agrumeti usando le formiche (Oecophylla smaragdina). Ponevano i loro nidi sugli alberi e facilitavano il passaggio delle formiche da un albero ad un altro creando ponti con canne di bambù.

Molti secoli dopo, i padri delle scienze naturali evidenziarono la possibilità di percorrere con successo la via del controllo biologico. Nel 1772, Carlo Linneo scrisse: "Ogni insetto ha un suo predatore che lo segue e distrugge. Tali insetti predatori dovrebbero essere catturati e usati per disinfestare le piante coltivate". Il primo successo di controllo biologico risale al 1762 con l'introduzione nelle Isole Mauritius della Gracula religiosa, un uccello originario dell'India, per controllare la locusta rossa (Nomadacris septemfasciata). Qualche decennio dopo, George Russel Wallace e Charles Darwin , i padri della biologia evolutiva, lanciarono l'idea di "Bilanciamento della Natura" e Darwin propose l'uso degli Icneumonidi, un gruppo di insetti parassitoidi, come agenti di controllo in agricoltura. Grazie al lavoro e alle intuizioni di brillanti entomologi, molti di questi sistemi naturali furono messi in pratica con successo. Nella prima metà del 1800, in Europa i tentativi di controllo biologico si moltiplicarono e con essi crebbe l'esperienza in campo. Contemporaneamente, vi furono grandi avanzamenti teorici sia nello studio della dinamica di popolazioni che nelle scienze naturali.

Queste esperienze traversarono l'Atlantico nella seconda metà del secolo e iniziarono ad essere applicate negli Stati Uniti, dove vi furono i primi grandi successi in termini di controllo completo e prolungato nel tempo. Un successo su larga scala è stato il controllo della cocciniglia cotonosa solcata, Icerya purchasi, in California verso la fine del 1800. Nel 1869, l'insetto fu introdotto in California e, a partire dal 1886, minacciò di distruggere le piantagioni di agrumi della parte meridionale. Si cercò di trovare i nemici naturali dell' Icerya purchasi in Australia, luogo d'origine del pest. Due insetti, la Rodolia cardinalis e la mosca parassita, Cryptochetum iceryae, sembrarono adatti e furono importati per il rilascio in campo nel 1888. A due anni dal rilascio, l' Icerya purchasi era completamente sotto controllo in tutto lo Stato.

L'uso di predatori o parassitoidi non era l'unica strategia in atto o in fase di sviluppo, altri scienziati stavano sperimentando l'uso di patogeni, come la microbiologa italiana Agostina Bassi, che per prima suggerì nel 1836 l'uso di batteri, o lo zoologo russo Elie Metchnikiff che si concentrò sull'uso di funghi patogeni. Altri ancora stavano sperimentando strategie basate sulla coltivazione di varietà resistenti all'azione di insetti nocivi. Due primi esempi furono i cultivar di grano resistenti alla mosca di Hesse, Mayetiola destructor, e i cultivar di mele resistenti al pidocchio del melo, Eriosoma lanigerum. Il primo libro sull'argomento è del 1951, Plant Resistance to Insect Pests (Piante Resistenti agli Organismi Nocivi) di Reginald Painter, il fondatore negli Stati Uniti della ricerca sulle piante resistenti agli insetti. Nel 1953, in Russia fu pubblicato Methods of Investigating Plant Resistance to Pests (Metodi per lo Studio della Resistenza delle Piante agli Organismi Nocivi) di Pavel G. Chesnokov, il primo volume tecnico sull'argomento. La Tecnica dell'Insetto Sterile (SIT), un'altra strategia di controllo biologico, fu messa a punto tra il 1930 e il 1940 contemporaneamente da tre ricercatori in tre diverse parti del mondo: Aleksandr Sergeevich Serebrovskii a Mosca, presso l'Università di Stato; Frederic L. Vanderplank alla stazione di ricerca sulla mosca tsetse in Tanganica, l'attuale Tanzania, ed Edward F. Knipling del Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti. La strategia è basata sull'idea di rilasciare maschi sterilizzati della stessa specie che si vuole combattere. Una volta rilasciati in campo, competeranno con i maschi fertili per l'accoppiamento con le femmine. Dagli accoppiamenti si svilupperanno uova infeconde. Ripetuti lanci, porteranno a una progressiva diminuzione della popolazione dell'insetto nocivo, fino alla sua scomparsa. Dei tre padri della Tecnica dell'Insetto Sterile, solo Knipling ebbe la possibilità di condurre esperimenti su grande scala e mostrarne l'efficacia. Oggi, su questa strategia c'è un grande e rinnovato interesse.

Nel complesso, la prima metà del Novecento fu un periodo di grande fermento per la ricerca sul controllo biologico. Proprio in quegli anni si stavano raccogliendo i frutti delle scoperte e delle esperienze fatte nei due secoli precedenti. La Seconda Guerra Mondiale provocò un arresto di queste attività e dopo il conflitto nulla tornò come prima: la ricerca entomologica si indirizzò sui pesticidi chimici. Perché i sistemi di controllo biologico, che si erano dimostrati efficaci in diverse situazioni e avevano grandi potenzialità, furono abbandonati o lasciati in ombra dalla comunità scientifica per percorrere la strada della chimica? In Silent Spring, Rachel Carson si pose la stessa domanda e rispose così:

Nel 1960 soltanto il 2% degli esperti di entomologia economica ha lavorato nel settore dei controlli biologici, mentre il restante 98%, o poco meno, è stato impegnato nella ricerca di insetticidi chimici.

La causa di ciò appare chiara. Le maggiori industrie chimiche concedono ingenti sovvenzioni alle università per ricerche sugli insetticidi; tutto ciò rappresenta chiaramente un'interessante possibilità di borse di studio per i laureandi, e di impiego ben remunerato in un secondo tempo. Invece gli studi sul controllo biologico vengono trascurati per la semplice ragione che non aprono la strada verso i lauti guadagni che l'industria chimica assicura, ma permettono soltanto un'occupazione modesta e meno retribuita in qualche commissione statale o governativa.

Questa situazione spiega anche un fatto singolare che altrimenti risulterebbe incomprensibile, e cioè la presenza di qualche illustre entomologo nella schiera dei più strenui assertori dei metodi di controllo chimico. Basta indagare un po' da vicino e si vedrà che l'attività scientifica svolta da costoro è interamente finanziata dall'industria chimica. Ormai il loro prestigio professionale, e perfino la possibilità di continuare a lavorare, dipendono dal prosperare di questi sistemi. Possiamo, dunque, immaginare che essi mordano la mano di chi li nutre? Ma, d'altro canto, sapendo per chi propendono, quale credito possiamo dare alle loro assicurazioni sulla "innocuità" degli insetticidi?

Quanto sarebbero attuali queste parole, sostituendo la parola insetticidi con OGM?

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Pagina 63

OGM, quanto ci costi!


                            Oggi come ieri, le multinazionali dell'agrochimica
                            propongono una soluzione ai problemi
                            dell'approwigionamento alimentare per la sempre più
                            numerosa popolazione umana. Una soluzione in grado
                            di consentire contemporaneamente una maggiore
                            produzione agricola, di ridurre l'uso di pesticidi e
                            di garantire un maggior guadagno per l'agricoltore.
                            Questa soluzione si chiama ingegneria genetica. Ma
                            nessuna delle promesse è stata fino ad oggi
                            mantenuta.



L'idea delle colture geneticamente modificate è in apparenza geniale. Gli erbicidi che combattono le erbe infestanti danneggiano anche le piante coltivate? Sarebbe bello se esistesse una coltura resistente all'erbicida, così da non subire più i suoi danni! Ed ecco nascere, grazie all'ingegneria genetica, la soia, la colza e il mais Roundup Ready (RR), resistenti agli erbicidi glifosato e glufosinato.

Altro problema. Devo acquistare continuamente insetticidi per proteggere le mie coltivazioni da insetti dannosi? Sarebbe bello se esistesse una pianta che produce da sé l'insetticida, così da non doverlo più acquistare e cospargere! Ed ecco nascere, grazie all'ingegneria genetica, il mais e il cotone Bt, che producono da soli la tossina insetticida Bt.

Sembrerebbe geniale. Perché "sembrerebbe"? Perché il mondo reale, quello fuori dai laboratori e dagli uffici dei manager, è molto più complesso.

A partire dal 1996, le colture geneticamente modificate sono state immesse su larga scala negli Stati Uniti e Canada. Una delle principali promesse che hanno accompagnato il loro ingresso sul mercato era l'aumento di produzione: "Le varietà Asgrow portano ad un maggior ritorno economico e a raccolti migliori perché sono guidate dal progresso". Così recitava un annuncio pubblicitario della soia Asgrow della Monsanto. Nello stesso tempo, l'adozione delle colture RR avrebbe ridotto l'uso di erbicidi, poiché sarebbe stato sufficiente un solo trattamento annuo, mentre le colture Bt avrebbero ridotto l'uso di pesticidi. Nel complesso, le colture OGM avrebbero portato un maggior guadagno all'agricoltore. "Puoi trarre profitto dal tuo raccolto. Lasciati andare con soia Roundop Ready... con soia Asgrow, i profitti salgono alle stelle", recitava un annuncio pubblicitario del 2002. Dal 1997 al 2010, la superficie mondiale coltivata ad OGM è cresciuta dell'87% e oggi rappresenta il 10% della superficie coltivata mondiale. Le multinazionali delle biotecnologie esibiscono questa crescita come prova della validità della soluzione OGM, ma c'è chi vede in questo incremento solo il risultato di campagne pubblicitarie milionarie e delle pressioni delle multinazionali sulla classe politica e sugli organi di controllo nazionali e internazionali. Nella letteratura scientifica, molti studi, condotti o sponsorizzati dalle multinazionali delle biotecnologie, sostengono che gli OGM sono vantaggiosi. Da altri studi, condotti da ricercatori e organizzazioni indipendenti, emerge invece che non è stata mantenuta nessuna delle promesse.

Le colture geneticamente modificate non hanno garantito un aumento della produzione, perché sono state create per resistere a erbicidi o "autoprodurre" insetticidi, non per avere un maggiore potenziale fisiologico di produzione. Anzi, in alcuni casi le colture OGM si sono dimostrate meno adatte delle altre a superare condizioni di stress, come periodi di caldo o freddo eccessivo.

Le colture OGM non hanno provocato una riduzione di erbicidi e pesticidi. L'affermazione era basata sulla possibilità di applicare l'erbicida in un qualsiasi momento, poiché la coltura era resistente. L'erbicida poteva essere applicato nel momento più efficace per il controllo delle erbe infestanti, e perciò avrebbe richiesto una sola applicazione. In realtà, affinché una singola applicazione possa essere sufficiente per controllare le infestanti, deve essere eseguita in uno stadio tardivo della coltura, quando le infestanti sono già presenti da tempo e hanno già causato perdite al raccolto. Perciò, è necessario spargere gli erbicidi più volte durante il ciclo colturale, contrariamente a quanto promesso. L'uso di erbicidi è aumentato anche in seguito al problema dei residui colturali delle OGM, cioè le piante OGM che germinano da semi residui dell'anno precedente, o cresciute da semi sparsi durante una precedente raccolta. Poiché questi residui sono resistenti agli erbicidi glifosate e glucosinate, per il loro controllo si devono usare altri erbicidi: atrazina, il 2,4-D o il paracquat; ossia i vecchi e più tossici erbicidi che la tecnologia OGM avrebbe dovuto mandare in pensione. Non solo, l'ibridazione tra le varietà coltivate OGM e quelle selvatiche infestanti ha trasmesso il gene per la resistenza a queste ultime, generando delle "super-infestanti". Ancora una volta, per combattere questi organismi si dovrebbe ricorre ai prodotti più vecchi e tossici.

Parimenti agli erbicidi, non è diminuito l'uso di insetticidi. Le colture Bt non sono utilizzate in alternativa ai pesticidi, ma insieme ad essi. Inoltre, le colture Bt, producendo in modo sistemico l'insetticida, vi espongono in modo continuo gli insetti, aumentando il rischio di insorgenza di resistenza.

Le colture OGM non hanno provocato maggiori profitti agli agricoltori, poiché le sementi non hanno fatto aumentare la produzione. Al contrario, hanno fatto crescere i costi di produzione. Infatti, sono più care di quelle non-OGM, perché le multinazionali che li producono, oltre al prezzo del seme, fanno pagare una tariffa tecnologica del 25-40%. Inoltre, il contratto d'acquisto di sementi OGM non permette agli agricoltori di utilizzare una parte dei semi derivati dal raccolto per la semina dell'anno successivo, perché i semi sono proprietà esclusiva della multinazionale. Ai costi maggiori delle sementi si aggiungono i costi per erbicidi e insetticidi. Infine, a causa del divieto di importazione di prodotti OGM da parte di molti Paesi, ad esempio i Paesi aderenti all'Unione Europea, gli agricoltori statunitensi passati alle colture OGM hanno visto ridurre le vendite dei loro prodotti, con il crollo delle esportazioni.

Oltre ad aver disatteso le aspettative, le colture OGM mettono a rischio anche le produzioni OGM-free a causa delle contaminazioni. Polline o semi OGM possono essere trasportati, dal vento o da insetti, da campi OGM a campi OGM-free. La contaminazione può avvenire anche fuori dal campo, nei magazzini di stoccaggio. All'inizio degli anni 2000, dopo pochi anni dall'introduzione delle colture geneticamente modificate negli Stati Uniti, l'uso di mais Bt StarLink, contenente la proteina Cry9C, era stato autorizzato solo per la produzione di mangimi per animali e vietato per il consumo umano. Infatti, si temeva che la nuova proteina potesse causare allergie. Nel 2000, soltanto l'1% del mais statunitense era StarLink. A causa della mancanza di sistemi di stoccaggio separati, fu contaminata circa la metà del rifornimento nazionale di mais di quell'anno. Dove finì il mais contaminato? Parte fu re-indirizzato verso i mangimi animali, parte fu spedita all'estero come aiuti umanitari ai Paesi bisognosi! Nel dicembre del 2000, furono spedite 680.000 tonnellate di mais di sovrapproduzione per le popolazioni di Bolivia e Perù.

Le contaminazioni hanno effetti negativi a cascata. Gli agricoltori che producono colture OGM-free hanno perso la fiducia degli acquirenti verso i loro prodotti e, in alcuni casi, è stato loro negato il marchio di garanzia OGM-free. Gli stessi agricoltori OGM sono esposti alle accuse di violazione dei diritti di brevetto. Se, a causa del trasporto accidentale di polline o di semi OGM, crescono piante OGM "fuori contratto", le multinazionali che detengono il brevetto della coltura possono citare in giudizio l'agricoltore e chiedere risarcimenti: è quanto ha fatto la Monsanto con gli agricoltori statunitensi. In molti casi, l'unica soluzione per evitare denunce è il passaggio definitivo alle coltivazioni OGM. Le colture OGM, quindi, una volta introdotte in un territorio, innescano un meccanismo di auto-diffusione. Infine, le multinazionali che producono sementi OGM hanno concentrato nelle loro mani anche il mercato di sementi non-OGM. Monsanto, DuPont e Syngenta sono proprietarie del 47% del totale dei semi commerciali e perciò molte delle varietà cementiere più comuni sono disponibili solo nella forma OGM.

Un quadro molto diverso da quello dipinto dalle multinazionali degli OGM. Come atteso, campane diverse suonano musiche diverse. Su una cosa, però, i dati sono concordi: le multinazionali produttrici hanno tratto vantaggi dalla nuova soluzione tecnologica. Alla base dei loro profitti miliardari non vi sono solo i proventi dalla vendita delle sementi OGM, ma anche di erbicidi e insetticidi. La dipendenza delle attuali varietà OGM dai loro prodotti assicura che non vi sarà una riduzione nell'impiego di pesticidi. Inoltre, grazie alle colture OGM, le multinazionali possono continuare a trarre profitti da pesticidi con brevetti scaduti. È il caso del glifosate della Monsanto. Negli Stati Uniti, il brevetto era scaduto nel 2000, quindi altre compagnie avrebbero potuto produrlo. Gli agricoltori che usano colture OGM devono però usare il Roundup, ossia il glifosate prodotto dalla Monsanto. Con l'introduzione delle colture OGM, quindi, la Monsanto ha aumentato le vendite di glifosate, nonostante il brevetto scaduto.

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Il passo necessario


                            La soluzione OGM proposta dalle multinazionali
                            dell'agrochimica non è che l'ennesimo passo sulla
                            vecchia via tracciata dalla Rivoluzione Verde.
                            Quanto costerà questo passo? II paradigma di
                            produzione intensiva, basato sul principio "più
                            della stessa cosa", non può far fronte alle sfide
                            del nuovo millennio. È necessario, invece, adottare
                            un modo di fare agricoltura che, mentre aumenta la
                            produzione, conservi le risorse naturali.



Circa 925 milioni di persone, il 16% della popolazione dei Paesi in via di sviluppo, sono oggi in condizioni di sottonutrizione e il 10% della produzione globale di cibo è persa a causa di parassiti e patogeni delle piante coltivate. Le carestie fanno parte della cronaca di tutti i popoli e ne hanno spesso segnato il corso stesso. Oggi come ieri, carestie causate da parassiti e patogeni mettono a rischio la sicurezza alimentare e l'economia dei popoli. È necessario agire e presto. Ma in quale direzione?

Esiste un modo diverso di fare agricoltura? La risposta è sì. Si chiama CA, Conservation Agriculture, ossia agricoltura di conservazione. Così la definisce la FAO:

La CA aumenta la biodiversità e i processi biologici naturali sopra e sotto la superficie del terreno. Gli interventi sul suolo, come le azioni meccaniche, sono ridotti al minimo o sono evitati, e gli input esterni come fitofarmaci e fertilizzanti di origine minerale od organica sono usati in modo e quantità ottimali, così che non interferiscano con i processi biologici, o li distruggano.

Una visione del suolo opposta a quella dell'agricoltura convenzionale, figlia della Rivoluzione Verde, in cui il suolo è semplicemente il letto su cui porre i semi e su cui è necessario intervenire per renderlo sterile da semi od organismi indesiderati e per aumentare i nutrienti. La CA ha un approccio ecosistemico in cui la natura stessa contribuisce alla crescita delle coltivazioni - materia organica del suolo, regolazione del flusso di acqua, impollinazione e predazione naturale di insetti nocivi - e in cui gli input esterni sono ridotti al minimo.

Insieme ad altre pratiche di gestione che includono:

— mantenere la salute del suolo per aumentare la nutrizione delle piante;

— coltivare un ampio numero di specie e varietà in associazione, rotazione e sequenza;

— usare varietà ben adattate, ad alta resa e semi di buona qualità;

— gestione integrata di insetti nocivi, malattie ed erbe infestanti;

— gestione efficiente dell'acqua;

i principi della CA forniscono un solido fondamento per un'intensificazione sostenibile della produzione agricola (Sustainable Crop Production Intensification, SCPI), che può essere riassunta, dalle parole della FAO, in "Save and Grow". Intensificazione sostenibile significa un'agricoltura produttiva che conserva e aumenta le risorse naturali. È questo il nuovo paradigma in agricoltura.

Ma esiste veramente questa agricoltura, e funziona?

Oggi, ci sono 117 milioni di ettari coltivati a CA, circa l'8% della superficie globale coltivata, dei quali il 47,6% in America Latina (55,6 milioni di ettari), il 34,4% in Nord America (40 milioni). Seguono Australia e Nuova Zelanda con il 17 e 14%. In Europa ci sono 1,2 milioni di ettari coltivati a CA, solo l'1% della superficie totale.

In queste aree, la CA ha portato ad una diminuzione di uso di fertilizzanti del 30-50%, di acqua del 20-30%, di energia del 50-70% e di pesticidi del 20%. Queste riduzioni la rendono a basso impatto ambientale e altamente competitiva sul mercato. La CA offre vantaggi sia ai coltivatori, piccoli e grandi, che alla comunità. Per i coltivatori rappresenta un risparmio di costi di produzione e di lavoro, per la comunità, cui fanno parte anche i coltivatori, significa una serie di vantaggi a cascata: minore inquinamento chimico, risparmio di acqua, maggiore permeabilità del suolo e minor impatto sui sistemi fluviali, con conseguenti riduzioni di rischio di inondazioni; minor rischio di infestazioni da parassiti e patogeni; salvaguardia dei servizi degli ecosistemi, mitigazione del cambiamento climatico grazie alle minori emissioni in atmosfera di CO2.

Sembra quasi impossibile credere che un tale modo di fare agricoltura esista davvero e che ci siano dimostrazioni dei vantaggi. Ma allora, perché solo nell'8% delle terre coltivate è stato adottano questo tipo di agricoltura e perché si dovrebbero scegliere gli OGM?

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Conclusione: "Ciak, seconda..."


Dalla seconda metà del XX secolo, l'uomo si è dotato di un arsenale chimico per combattere insetti e altri organismi competitori per le risorse del pianeta. Dal 1939 ad oggi, sono stati prodotti migliaia di composti e il loro uso è cresciuto costantemente. A fronte dei primi successi, i pesticidi si sono rivelati non solo poco efficaci, deludendo le aspettative, ma hanno causato una serie di effetti negativi a cascata sull'ambiente e sulla salute dell'uomo. Nonostante ciò, e l'evidenza dei suoi limiti, l'uso di pesticidi è cresciuto e con esso i profitti per le industrie produttrici. Oggi, il mercato mondiale dei pesticidi ammonta a circa 45 miliardi di dollari e sei compagnie (Monsanto, Syngenta, Bayer, DuPont, BASF e Dow) controllano il 75% dell'industria.

Insieme ai fatturati delle multinazionali dell'agrochimica, i danni causati da parassiti e patogeni sono aumentati. Epidemie dagli effetti disastrosi continuano ad affliggere le coltivazioni, tanto nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. Il fallimento della lotta chimica era prevedibile? Esistevano vie alternative di lotta negli anni in cui i pesticidi furono trasformati in una componente fondamentale dell'agricoltura moderna? La risposta in entrambi i casi è sì. Il fallimento della lotta chimica era stato annunciato: nella letteratura scientifica dell'epoca era già stata evidenziata la causa principale del fallimento, cioè l'evoluzione della resistenza. Queste evidenze furono ignorate dalla politica e da quella parte della comunità scientifica che sosteneva la proposta delle industrie agrochimiche. Nello stesso tempo, furono abbandonate, o ignorate, molte soluzioni alternative di controllo che offrivano interessanti prospettive.

Oggi, nel conflitto tra uomo e parassiti in agricoltura, i vincitori sono ancora i parassiti e accanto a questi ci sono le multinazionali che hanno proposto e sostenuto un'agricoltura basata sull'uso della chimica. Per queste industrie, i parassiti sono stati dei veri e propri bruchi dalle uova d'oro e i pesticidi hanno portato loro enormi profitti e potere. Oggi, quelle stesse industrie che promossero la lotta chimica, offrono una soluzione alle nuove sfide del terzo millennio: gli OGM.

La soluzione OGM è accompagnata da campagne pubblicitarie mendaci, promesse non mantenute, diffusione di una tecnologia nonostante i suoi evidenti insuccessi; uso dei Paesi sottosviluppati come "discarica" per prodotti fuori mercato nei Paesi sviluppati; guadagni miliardari per le multinazionali dell'agrochimica; vie di sviluppo sostenibili non percorse.

Con in mente la storia dei pesticidi nel XX secolo, la soluzione OGM è solo un film già visto e a questo spettacolo riciclato io dico no.

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