Autore Wu Ming 1
Titolo La Q di Qomplotto
SottotitoloQAnon e dintorni. Come le fantasie di complotto difendono il sistema
EdizioneAlegre, Roma, 2021, , pag. 592, cop.fle., dim. 13,7x20,5x4 cm , Isbn 978-88-32067-41-5
LettoreFlo Bertelli, 2021
Classe narrativa italiana , storia contemporanea , storia criminale , paesi: Italia: 2020 , paesi: USA









 

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Indice


Ouverture                                                    13


Romanzo di un'inchiesta

 1  La scia della Qometa                                     25
 2  QAnon, nascita e primi sviluppi, 2017-2018               37
 3  «Un mix straordinario tra Internet e i Templari»         55
 4  Il libro delle metastasi                                 69

 5  Paul-è-morto: eziologia e incubazione                    91
 6  Ho sepolto Paul, mi manca, mi manca, mi manca!          107
 7  «A leftist prank?»                                      119
 8  Creare concetti: cosa fa un complotto?                  133

 9  Irrazionale ma logico                                   151
10  Cosa fa una fantasia di complotto?                      159
11  Il problema non è solo a destra                         173
12  A Midterm Election in Sorosland (agosto-dicembre 2018)  179

13  L'ultimo anno prima del Covid (gennaio-dicembre 2019)   203
14  «Cult», «setta», «controllo mentale»:
    maneggiare con le pinze                                 225
15  Estratti da L'amore è fortissimo, il corpo no
    (dicembre 2019)                                         235
16  Perché il debunking non funziona                        253

17  Oltre il debunking: mostrare la sutura                  271
18  In viro veritas? / Prima parte                          297
19  In viro veritas? / Seconda parte                        307
20  In viro veritas? / Terza parte                          329

21  In viro veritas? / Ultima parte                         343
22  La virulenza illustrata (5 febbraio - 3 novembre 2020)  361
23  Burnout (4 novembre 2020 - 20 gennaio 2021)             383


QAnon: filamenti di genoma transatlantico,
       collected from good authorities

 1  L'accusa del sangue                                     395
 2  Dal ludibrium al grande complotto                       407
 3  Contra ludaeos, again                                   419
 4  Prove spettrali: il diavolo in America                  429

 5  Gli anni Sessanta: Il mattino dei maghi                 445
 6  Gli anni Sessanta e The Paranoid Style                  457
 7  L'era post Watergate e il revival di Satana             465
 8  Gli anni Ottanta: Michelle Remembers                    479

 9  Gli anni Ottanta: Panico satanico!                      489
10  Il ritorno del Diavolo in Europa
    e il caso Bambini di Satana                             509
11  Bambini di Satana: comincia la guerriglia               525
12  Emilia paranoica + Fine del sogno                       541


Ringraziamenti                                              565
Note                                                        569


 

 

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Pagina 13

Ouverture


Come guastare una festa. Schiavi bambini sotto i tuoi piedi. Fuoco sui narghilè bar. Schiavi bambini a Central Park. La voce di Trump dal roveto in fiamme. Comprare bambini al mobilificio. Speronare pedofili con l'auto. Un nome. La buca del coniglio. Cinque definizioni da tenere in mente. La scomparsa di un nome?


Nei primi giorni d'autunno del 2020, quando gettavo uno sguardo ai mesi e agli anni dedicati all'inchiesta, vedevo soprattutto solitudine, tristezza, esistenze arrivate a un punto morto o finite a rotoli. Capitava che qualcuno mi chiedesse: «Di cosa stai scrivendo?». Se volevo tagliare corto rispondevo: «Di complotti», e non aggiungevo altro. Se invece avevo tempo e voglia snocciolavo un rosario di misteri dolorosi, il cui effetto cumulativo lasciava i presenti a bocca aperta. A quel punto dovevo fermarmi: il tema del mio libro, e il modo in cui lo stavo affrontando, avevano il potere di saturare ogni ambiente, di guastare qualunque serata. E l' annus, tra Covid-19 e stato d'emergenza, era già abbastanza horribilis. Ecco perché, il più delle volte, tenevo per me quegli enigmi e fattacci.


Il 14 febbraio 2020 Tobias aveva caricato su YouTube un video nel quale si rivolgeva ai cittadini statunitensi, in inglese, denunciando l'esistenza sotto i loro piedi di «basi militari sotterranee dove si adora il diavolo e si violentano, torturano e uccidono bambini». Tobias invitava a «localizzare le basi, riunire una grande massa di persone e prenderle d'assalto».

Non era l'unico a denunciare quell'orrore. Deep underground military bases. Ce n'erano in tutti gli Stati Uniti, da una costa all'altra. L'acronimo era «Dumb». I credenti lo scrivevano coi puntini di abbreviazione: «D.u.m.b.». Nell'uso più comune l'aggettivo voleva dire stupido, ma in quel caso sembrava avere l'altro significato, il più antico: incapace di parlare. Come in «Struck dumb by fear», ammutolito dalla paura.

I mostri tenevano milioni di bambini prigionieri nelle D.u.m.b., dopo averli rapiti o fatti nascere là sotto. Lo scopo era violentarli, torturarli e bere il loro sangue per trarne una sostanza al tempo stesso psicotropa e ringiovanente: l'adrenocromo. Erano i «bambini-talpa», mole children. Tra i mostri c'era Hillary Clinton. In un video intitolato Frazzledrip la si vedeva scuoiare il volto di una bambina e indossarne la pelle come maschera.

Tobias aveva capelli scuri e lisci, e un viso senza segni particolari. Nel video portava una giacca blu su una camicia bianca, e per parlare alla webcam guardava verso l'alto. Alle sue spalle, una stanza scura e disadorna: scaffali carichi di faldoni, una poltrona ocra e un letto con copripiumone a righe verdi, beige e viola.

Tobias aveva quarantatré anni ed era un uomo solitario. Viveva coi genitori, entrambi settantaduenni, a Hanau, città di novantamila abitanti a pochi chilometri da Francoforte. Si era laureato in economia aziendale a Bayreuth nel 2007, aveva lavorato come bancario e ora faceva il consulente finanziario. Odiava le razze inferiori che corrompevano la Germania, e i giornali avrebbero definito le sue idee «di estrema destra», ma non era membro di alcuna organizzazione. Passava il tempo libero on line dedicandosi a quella che gli spiriti come il suo chiamavano «ricerca», research, Nachforschung: visitare siti e guardare video che denunciavano complotti globali, smascheravano i potenti e le loro reti occulte, rivelavano cosa c'era dietro la trama apparente del mondo. Come in The Matrix. Die Rote oder die Blaue Pille?

Da anni Tobias sapeva di essere sorvegliato. Non dai servizi di sicurezza tedeschi e nemmeno dalla Cia, ma da un'organizzazione segreta in grado di leggere i pensieri e carpire il suo potere: la visione a distanza. Grazie a quel potere Tobias aveva visto l'orribile realtà nascosta. Le conclusioni che ne aveva tratto avevano ispirato Donald Trump. Tobias si era sorpreso nel vedere il magnate americano usare le sue idee e diventare presidente grazie a esse. Doveva esserne lusingato, indignato o... atterrito?

Il 19 febbraio, verso le dieci di sera, Tobias era uscito dalla sua casa in Helmholtzstraße, era salito sulla sua Bmw e si era diretto verso il centro. Davanti al bar La Votre, sull'Heumarkt, aveva aperto il fuoco con una pistola semiautomatica, una Glock che possedeva legalmente. Sotto i suoi colpi erano morti il barista Kalojan Welkow, trentadue anni, di origine bulgara, e un avventore, Said Nesar Hashemi, ventun anni, di origine afghana. Said si era diplomato da poco e stava facendo uno stage da operatore di impianti alla Goodyear Dunlop.

Sceso dall'auto, Tobias aveva raggiunto un narghilè bar poco distante, il Midnight. Dall'uscio aveva sparato quattro colpi uccidendo il proprietario, Sedat Gürbüz, ventinove anni, e un cliente, Fatih Saraçoglu, trentaquattro anni, entrambi di origine turca.

Tobias si era allontanato sgommando. Poco dopo aveva sparato contro un chiosco bar nel quartiere di Kesselstadt, uccidendo Vili Viorel Paun, ventitré anni, di origine romena, e Gökhan Gültekin, trentasette anni, di origine curda. Vili lavorava come facchino nella logistica. Gökhan era un muratore, ma la sera lavorava come cameriere per pagare le cure del padre malato di cancro.

Tobias aveva raggiunto un altro narghilè bar, l'Arena, in Kurt-Schumacher-Platz, dove aveva ucciso due avventori - Ferhat Unvar, ventitré anni, apprendista idraulico di origine curda, e Hamza Kurtovic, vent'anni, studente di origine bosniaca - e la cameriera, Mercedes Kierpacz, trentacinque anni, cittadina polacca e appartenente alla comunità rom. Era madre di due bambini e incinta del terzo.

Il blitz era durato solo dodici minuti.

Tobias Rathjen lo sapeva: i satanisti delle D.u.m.b. americane e gli allogeni che ogni sera infestavano il centro di Hanau erano parte dello stesso complotto. Lui aveva agito. Ora toccava agli americani. Lui aveva mandato un segnale. Non poteva più fare altro, se non compiere il sacrificio.

Tobias era tornato a casa, aveva ucciso sua madre, si era accucciato al suo fianco e si era tolto la vita.

La polizia aveva trovato i corpi alle quattro del mattino. In casa c'era anche il padre, sotto shock ma incolume.

Il giorno dopo il video sulle D.u.m.b. era scomparso, rimosso dagli amministratori di YouTube.


La pandemia era stata provvidenziale, o forse era parte del piano. Di certo, grazie a essa si erano salvati mole children a migliaia. Donald Trump, l'eroe di quella storia, aveva approfittato dei lockdown per dare l'assalto alle D.u.m.b.

L'operazione più grossa, denominata «Q-force», si era svolta ad aprile al Central Park di New York.

Il Mount Sinai Hospital aveva allestito nel parco alcune tende per il pre-triage dei pazienti. Quella era la versione ufficiale. In realtà era un avamposto militare. Nascosto dalle tende l'esercito - o, secondo altre versioni, forze speciali della marina - era sceso lungo un tunnel, aveva raggiunto una D.u.m.b. e l'aveva espugnata, liberando migliaia di bambini - qualcuno diceva trentacinquemila - subito portati su navi-ospedale segrete. Alcuni soffrivano di gravi deformità, per non aver mai visto la luce del sole.

Infine gli eroici soldati avevano fatto saltare la base, facendola crollare sui satanisti rimasti dentro.

Central Park. Fin dal nome uno dei luoghi più importanti e iconici di una delle più popolose città del mondo. Un ospedale da campo visibile da centinaia di finestre sulla 5th Avenue. Tende da cui era sgorgato un fiume di bambini, scortati da militari e caricati su decine di veicoli. Un'operazione durata ore, con grande dispiego di uomini e mezzi, e culminata in una grande esplosione sotterranea.

Eppure, nessuno aveva visto né udito nulla.

Non importava: in tutto il mondo si era celebrato il successo della missione. Anche in Italia, sui siti non succubi alle menzogne del mainstream. Aveva rilanciato la notizia Alessandro Meluzzi, psichiatra e personaggio televisivo, ex parlamentare di Forza Italia, arcivescovo della «Chiesa cristiana ortodossa italiana acefala», grande sostenitore di Donald Trump e Vladimir Putin.


Fino ai primi d'aprile del 2020 Jessica Prim - trentasettenne di Peoria, Illinois, danzatrice e stripper col nome d'arte "Nikita Steele" - non aveva mai sentito parlare di basi sotterranee, satanisti pedofili, bambini schiavi, adrenocromo, nulla del genere. Scoprire quella realtà le aveva spalancato gli occhi e dato una nuova ragione di vita. Si era messa d'impegno a fare ricerche, condividendo video e altri materiali, dedicandosi sempre più alla causa: denunciare l'orrore, il traffico di bambini da parte della Cabal, la società segreta che controllava gli Stati Uniti e mezzo mondo.

Jessica pensava spesso al video Frazzledrip. Avrebbe voluto vederlo ma non si trovava da nessuna parte, solo qualche fotogramma sfocato. In ogni caso esisteva, tutti lo sapevano.

Il 27 aprile Trump in persona l'aveva designata per una missione. La missione.

Quel pomeriggio Jessica stava seguendo lo streaming di una conferenza stampa e Trump si era rivolto direttamente a lei, l'aveva indicata col dito e le aveva detto: «Please, go ahead». Lei aveva annuito. Era stato un momento biblico: Mosè sente la voce di Dio nel roveto ardente. La chioma del presidente, in effetti, poteva sembrare in fiamme.

Due giorni dopo, mercoledì 29 aprile, Jessica aveva scritto su Facebook:

Hillary Clinton e la sua assistente, Joe Biden e Tony Podesta devono essere fatti fuori in nome di Babilonia! Non posso essere liberata se loro restano in giro. Svegliatemi!!!!!

Poi era salita sulla sua Toyota Tundra ed era partita per New York. Il telefono fissato al cruscotto, aveva trasmesso il proprio viaggio in diretta su Facebook e annunciato il suo intento: «Far fuori Joe Biden». Era convinta di poterlo trovare a New York.

Poche ore dopo una pattuglia aveva fermato la Toyota su un vialetto di servizio dell'Hudson River Park, nei pressi del molo 86 dov'era all'ancora la nave-museo Uss Intrepid. Jessica era in stato confusionale. Nel video dell'arresto faceva tenerezza: scossa da brividi, magra, le ciocche bionde che spuntavano da un berretto nero. «Ho tanta paura!», gridava tra i singhiozzi. Un agente le diceva di calmarsi e spegnere l'auto. «I'm so scared!», ripeteva lei.

Jessica aveva confuso l'Intrepid con la nave-ospedale Comfort. Quella dove l'esercito aveva portato i bambini-talpa di Central Park. Anche lei voleva essere ricoverata. «I need help!», aveva urlato agli agenti, in lacrime. «I think I have... I think I'm the coronavirus!». Penso di essere il coronavirus. Chissà cosa intendeva dire. Il tutto sempre in diretta su Facebook.

La polizia aveva trovato sulla Toyota diciotto pugnali. «Avete sentito di quei bambini?», aveva chiesto Jessica agli agenti, mentre la ammanettavano.

[...]

Rabbit hole, come in Alice nel paese delle meraviglie: così era chiamato l'ingresso nel mondo QAnon.

Nel 2020 il fenomeno era cresciuto a dismisura e finalmente ci si era accorti del pericolo. Anche in Europa, soprattutto in Germania. Persino in Italia, con un ritardo di due anni, era suonato l'allarme.

Con ogni probabilità partito come burla, QAnon stava giocando un ruolo importante nella campagna elettorale americana, stava mettendo in difficoltà gli amministratori delle grandi piattaforme social ed era a tutti gli effetti una rete - anzi, a cult, come sempre più spesso era definito: una setta - globale.

A QAnon si adattavano fin troppe definizioni. Io ne avevo isolate cinque. QAnon era:

1. Un gioco di realtà alternativa divenuto mostruoso;

2. un modello di business;

3. una setta che praticava forme di condizionamento mentale;

4. un movimento reazionario di massa che cercava di entrare nelle istituzioni;

5. una rete terroristica in potenza.

Ed era diventato tutto ciò in soli tre anni.


Ma nell'ottobre 2020 il nome «QAnon» sembrava sul punto di svanire. Il movimento vi stava rinunciando per aggirare la censura sui social. E perché no, se la prova generale era stata un successo?

Ad agosto e settembre Facebook e Twitter, dopo un lungo tentennare, avevano preso provvedimenti contro il dilagare di QAnon, chiudendo migliaia di profili, rimuovendo pagine e oscurando hashtag. I credenti avevano risposto diluendo il proprio messaggio e impadronendosi di un hashtag già esistente: #savethechildren. Quando l'omonima organizzazione umanitaria aveva preso le distanze l'hashtag era ormai ovunque e dava il nome a mobilitazioni dall'aria innocente, negli Stati Uniti e in altri paesi.

Accantonando il solito gergo, le sottotrame barocche e i dettagli orripilanti, la setta aveva potuto sia aggirare blocchi e divieti, sia agganciare nuovi adepti, che in capo a pochi giorni si erano messi a condividere notizie inventate sulle D.u.m.b. e l'adrenocromo.

E ogni giorno si vedevano più donne.

Su QAnon circolavano molti cliché del genere mai-prima-d'ora. Il più frequente riguardava proprio le donne. QAnon era la prima sottocultura «complottista» a preponderanza femminile, si diceva. Ma era falso. Nelle cerchie del cospirazionismo la tendenza a un crescente protagonismo delle donne era in corso da quarant'anni. QAnon aveva solo dato maggiore visibilità al fenomeno. Se gli osservatori non se n'erano accorti era perché avevano guardato alle cerchie sbagliate.


Ad ogni modo, la strategia del camouflage era piaciuta all'invisibile pope del "qulto", il sedicente Q, che l'aveva ratificata. In uno dei suoi dispacci aveva scritto: «Mimetizzarsi. Lasciar cadere i riferimenti a "Q", "QAnon", ecc. per evitare messe al bando e chiusure di account».


Com'era cominciata quella storia?

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Capitolo uno

La scia della Qometa


Le colpe di Hillary. La posta elettronica di Hillary. Una pizzeria a Washington D.C. Soldiers of 4chan. Alex Jones e altri avvelenatori: I dolori del giovane Maddison. Quando un uomo con una pizza incontra un uomo con un fucile.


All'inizio di giugno del 2016 la campagna per le presidenziali era entrata nel vivo. Le convention che avrebbero ufficializzato le candidature erano imminenti. Nei due partiti rivali le situazioni erano piuttosto diverse: mentre Donald Trump avanzava a grandi passi nelle primarie repubblicane, Hillary Rhodam Clinton era in un momento difficile. Sul fianco sinistro pativa la concorrenza di un candidato dal successo inatteso, Bernie Sanders , anziano ma portato sugli scudi da una nuova generazione di attivisti provenienti da Occupy e altri movimenti di base; sul fianco destro i repubblicani e Fox News la prendevano di mira con accanimento, addossandole varie colpe risalenti a quand'era segretaria di stato dell'amministrazione Obama (2008-2013).

Colpe ne aveva eccome: Obama e Clinton avevano proseguito la «guerra infinita» di Bush, solo con meno fanfare e meno retorica religiosa. Su quattrocentosette attacchi coi droni eseguiti dalla Cia e dal Pentagono fino al 2016, ben trecento erano avvenuti con Clinton segretaria di stato. Secondo il Bureau of Investigative Journalism a metà del 2011 gli attacchi avevano già fatto almeno trecentottantacinque vittime civili in Afghanistan, Pakistan e Yemen, inclusi centosessanta bambini. Almeno, perché, come aveva scritto l'ex presidente Jimmy Carter sul New York Times, «non sappiamo quante centinaia di civili innocenti siano stati uccisi in quegli attacchi». Nella primavera del 2011 Clinton aveva anche insistito per bombardare la Libia insieme agli alleati Nato, presentando l'entrata nel conflitto come un do ut des, un favore restituito a Regno Unito, Francia e Italia per la loro partecipazione alla guerra in Afghanistan. Quello scambio di cortesie aveva precipitato la Libia nel caos e nella guerra civile permanente.

Ma la destra la attaccava su altro. La mattina dell'11 settembre 2012 una folla in tumulto - al cui interno, secondo fonti di intelligence, agivano terroristi salafiti del gruppo Ansar al-Shari'a - aveva raggiunto il quartiere diplomatico di Bengasi e preso d'assalto il consolato americano. Nell'attacco erano morti l'ambasciatore J. Christopher Stevens e un funzionario del dipartimento di stato. L'indomani, sempre a Bengasi, Ansar al-Shari'a aveva ucciso anche due contractor della Cia. Fox News additava Clinton come responsabile - non solo politica ma diretta - delle falle di sicurezza e delle indecisioni che avevano causato quelle morti. Della catena di eventi si era occupata una commissione parlamentare che stava per divulgare le proprie conclusioni.

Clinton era anche accusata di aver violato le leggi federali usando il proprio indirizzo email privato per comunicazioni riservate. Su quello stava indagando l'Fbi.

L'attenzione per la corrispondenza della candidata democratica era dunque già alta quando il 15 giugno il sedicente hacker «Guccifer 2.0» - in realtà un nickname usato dall'intelligence militare russa - aveva pubblicato sul sito DCLeaks oltre diciannovemila email di dirigenti e funzionari del Partito democratico. Le più vecchie erano del gennaio 2015, le più recenti del maggio 2016. Anche solo leggendo a campione si capiva che il comitato nazionale del partito, temendo una svolta troppo a sinistra, si era chiesto come favorire Clinton e ostacolare la campagna di Sanders.

Il 21 luglio 2016, alla convention repubblicana di Cleveland, ogni volta che dal palco Trump aveva nominato «Hillary» - anzi, «Crooked Hillary», Hillary la disonesta - la folla dei delegati era esplosa nel grido: «LOOK HER UP!», rinchiudetela.

Il 22 luglio, tre giorni prima della convention democratica a Philadelphia, anche Wikileaks aveva pubblicato le diciannovemila email, aggiungendone altre. Lo scandalo aveva spinto alle dimissioni parte dello staff del comitato nazionale democratico, in primis la presidente Debbie Wasserman Schultz, che in alcuni scambi aveva definito il manager della campagna di Sanders «un somaro» e «un dannato bugiardo».

Nei mesi successivi erano arrivate altre email, tante che nell'autunno 2016 l'intero corpus ne contava centomila, oltre a migliaia di file allegati. Sul loro contenuto, e su modalità e responsabilità del trafugamento, erano in corso indagini federali.

Dalla pubblicazione di quella corrispondenza erano nate e si erano sviluppate diverse fantasie di complotto. Una in particolare era destinata a un enorme successo. Nata sul forum 4chan, era incentrata su immagini di bimbi in catene e abusi sessuali.

[...]

L'8 novembre Hillary Clinton aveva preso tre milioni e centomila voti in più di Trump, ma negli Stati Uniti non valeva il principio rivoluzionario «Una testa, un voto». Vigeva l'astruso sistema dei «Grandi elettori», così Trump era diventato il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti.

A memoria di vivente non c'era campagna elettorale che non si fosse combattuta a suon di bufale, fandonie e colpi bassi. Ma la campagna presidenziale appena conclusa sembrava aver battuto ogni record. Il dizionario Oxford della lingua inglese non aveva atteso nemmeno un giorno: l'8 novembre stesso aveva annunciato la «Parola dell'anno 2016».


Dopo molte discussioni, dibattiti e ricerche, ecco l'Oxford Dictionaries Word of the Year 2016: post-truth.

Post-verità è un aggettivo «relativo a, o denotante, circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti nel plasmare l'opinione pubblica rispetto agli appelli all'emozione e alle convinzioni personali».

[...] Nel giro di un anno il termine è passato dall'essere relativamente nuovo all'essere ampiamente compreso, con un verificato impatto sulla coscienza nazionale e internazionale. Il concetto di «post-verità» ha preso forma nell'ultimo decennio, ma quest'anno, nel contesto del referendum sulla Brexit nel Regno Unito e delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, il dizionario Oxford ha registrato un picco nel suo utilizzo, quasi sempre associato a un particolare sostantivo, nell'espressione «politica post-verità».


Un'altra espressione giunta alla ribalta in poco tempo e già divenuta un cliché era «fake news».

Intanto la narrazione sul Pizzagate si era gonfiata, facendosi sempre più intricata e barocca, e da 4chan si era estesa al più frequentato Reddit. A quel punto l'avevano ripresa propagandisti e mestatori a tempo pieno, personaggi come Alex Jones, Mike Cernovich e Jack Posobiec, che l'avevano diffusa sui loro profili social e canali YouTube in un crescendo di sospetto e odio.

Faccione tondo e iperteso, voce roca da polipi cordali, il texano Alex Jones era uno dei nomi più noti dell'estrema destra americana. Conduttore radiofonico e televisivo, antisemita fino al midollo, da anni era a capo di un piccolo impero multimediale che gli consentiva di amplificare qualunque storia e, soprattutto, gli garantiva ricche entrate. Il più noto dei suoi siti, InfoWars, aveva un fatturato di venti milioni di dollari l'anno e generava profitti per cinque milioni, grazie alla vendita di integratori e sedicenti "rimedi" alternativi. Prodotti come il Brain Force Plus, «nootropo e stimolatore neuronale di ultima generazione», 40 dollari a flaconcino, o le gocce Super Male Vitality, 70 dollari a boccetta, o anche il dentifricio Superblue senza fluoruro, 11 dollari a tubetto. Secondo un vecchio leitmotiv dell'estrema destra americana il fluoruro era parte di un complotto per ridurre il quoziente di intelligenza e controllare le menti degli americani. Aggiungerlo all'acqua potabile in certe zone del paese, con la scusa dell'igiene dentale, era stato un crimine. Per la precisione, un crimine comunista. Era certamente per combattere i comunisti che InfoWars vendeva filtri da rubinetto - anche portatili, 189 dollari l'uno - e caraffe filtranti come la Propur, 79,95 dollari.

La fama di Jones era cresciuta a dismisura dopo la strage alla scuola elementare Sandy Hook di Newtown, Connecticut. Il 14 dicembre 2012 Adam Lanza, un ventenne con disturbi mentali, era entrato alla Sandy Hook armato di un fucile e due pistole semiautomatiche, e aveva ucciso venti bambini tra i sei e sette anni, oltre a sei adulti, compresa la preside. Prima di uscire di casa, Lanza aveva anche ucciso sua madre. Circondato dalla polizia, si era ammazzato sparandosi in testa. Ma secondo Alex Jones la strage non c'era mai stata. Si era trattato di un'operazione false flag - «sotto falsa bandiera» - del governo, parte di un complotto per imporre restrizioni al possesso di armi da fuoco. Le vittime non erano nemmeno mai esistite. I loro genitori erano crisis actors, impostori ingaggiati ad hoc.

Quelle affermazioni avevano portato allo stalking - virtuale e fisico - di padri e madri già in lutto per la morte violenta e insensata dei loro figli. Ogni tanto qualche estraneo, suggestionato da InfoWars, guidava fino a Newtown, si appostava davanti alla casa dei genitori di una vittima e li affrontava in strada esigendo prove che il loro bimbo o la loro bimba fossero mai esistiti. A Jones erano piovute addosso decine di querele, con richieste di danni morali e materiali per milioni di dollari. Lui proseguiva imperterrito, e nel dicembre 2015 aveva ottenuto il plauso di Trump in persona, ospite del suo show in collegamento da New York: «Hai una reputazione fantastica», gli aveva detto The Donald.

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Capitolo due

QAnon, nascita e primi sviluppi, 2017-2018


La vanvera prima della tempesta. Le prime gocce e già trabocca il vaso. Le briciole e i fornai. Tu chiamala, se vuoi, «Cabal». Hunter S. Thompson e l'adrenocromo. The Storm. Tra Reddit e 8chan. Tra destra e sinistra. John-John è vivo e lotta insieme a noi. Estensione del dominio della lotta. Quella volta che Matthew sul ponte. L'accampamento del Male. Il Trump di QAnon e quello vero. Trentatré Trumpini entrarono a Tampa tutti e trentatré q-anoneggiando.


La sera del 6 ottobre 2017, prima di cenare nel salone della Casa bianca con una delegazione di alti ufficiali delle forze armate accompagnati dalle famiglie, Trump aveva posato per una foto ricordo. Strizzando gli occhi alla luce dei flash e sogghignando aveva indicato i presenti e detto:

«Voi sapete cosa vuol dire questo? Forse è la quiete prima della tempesta».

«Quale tempesta?», gli avevano chiesto i reporter.

«Potrebbe essere la quiete prima della tempesta», si era limitato a ribadire.

«Si riferisce all'Iran? All'Isis? O a cos'altro?».

Il presidente non aveva risposto e aveva congedato la stampa. I cronisti erano usciti tra sbuffi e mugugni.

Tutti si erano chiesti a cosa avesse alluso... se aveva alluso a qualcosa. Nove volte su dieci Trump apriva la bocca per darle aria, improvvisando, facendo battute senza senso. Era stata una di quelle nove o...? Forse era un riferimento alle tensioni con l'Iran per via del suo programma nucleare? O con la Corea del Nord per via dei suoi test missilistici? Forse c'entrava la guerra in Siria?

Anche su 4chan, nell'area tematica /pol/ - cioè dedicata alla politica -, era partita una discussione intitolata Calm Before The Storm.

[...]

Ecco com'era nata la narrazione The Storm.


I militari erano i buoni. Nel 2015 Trump aveva risposto per amor di patria a una chiamata del Pentagono e accettato di candidarsi alla presidenza per capeggiare una lotta all'ultimo sangue contro un governo mondiale occulto di pedosatanisti, la cosiddetta Cabal. Si pronunciava con l'accento sulla seconda a.

In italiano si poteva tradurre con «cricca», «cosca», «congrega». Il termine, in uso dal Seicento, derivava da «cabala». Traeva dunque origine dall'idea di un sapere segreto ebraico. Se molti a cui capitava di usarlo erano ignari di quell'etimo e della possibile connotazione, l'utilizzo da parte di QAnon era chiaramente allusivo e venato di antisemitismo.

Secondo QAnon una cosca di politici - in gran parte democratici, ma anche repubblicani ostili a Trump - e figure dell'establishment controllava da decenni il governo americano e gran parte del pianeta, e al contempo adorava Satana e gestiva una vasta e capillare rete di pedofili.

La Cabal aveva preso il potere negli Stati Uniti dopo l'uccisione di John F. Kennedy e da allora aveva in mano lo «stato profondo» (deep state)... con l'eccezione delle forze armate. In teoria, questo avrebbe dovuto sollevare dubbi su cosa significasse «avere in mano lo stato profondo».

La descrizione della Cabal si era arricchita di sempre più dettagli. Ne aveva fatto parte ogni presidente prima di Trump. Ne era membro ogni suo avversario politico, da Barack Obama e sua moglie Michelle - che secondo QAnon era una trans, ergo «un uomo», il che faceva di Barack «un frocio» - alle odiatissime Nancy Pelosi e Hillary Clinton fino ai movimenti Black Lives Matter e Antifa. Strani confratelli, questi ultimi, per il senatore John McCain, punto di riferimento dei repubblicani anti-Trump e reazionario della più bell'acqua...

Appartenevano alla Cabal anche grossi nomi del cinema, delle arti e della cultura pop, come Tom Hanks (il più tirato in ballo), Celine Dion, Oprah Winfrey, Marina Abramovic e Beyoncé. Immancabile il magnate George Soros, vera e propria figura-jolly del cospirazionismo di quegli anni. Poi c'erano alcune grandi aziende, meglio se straniere. Ad esempio, aveva un ruolo importante la Cemex, multinazionale messicana dei materiali da costruzione, il cui vero business era il traffico di bambini.

Domanda da tenere in mente: perché QAnon non additava come membri della Cabal Mark Zuckerberg, che possedeva e controllava Facebook, la più grande macchina comunicativa del pianeta, o Jeff Bezos, capo supremo di Amazon e uomo più ricco del mondo?


Oltre agli stupri, durante gli incontri segreti della Cabal si svolgevano rituali di vampirismo e cannibalismo. Il 9 luglio 2016 Hillary Clinton aveva partecipato, a casa di Marina Abramovic, a una cena satanica con pietanze a base di latte umano, sperma e sangue mestruale.

Nelle prime ricostruzioni, rituali e abusi non avevano un fine utilitario, a parte quello di soddisfare pulsioni bestiali e indulgere nella più ripugnante depravazione. Ma ben presto il fine era apparso, nitido, inequivocabile: estrarre adrenocromo. I bambini dovevano essere in preda al dolore e al terrore, perché la loro ghiandola surrenale pompasse adrenalina e, come prodotto secondario, adrenocromo. Il corpo umano ne produceva solo piccole quantità, ergo servivano molti bambini. La Cabal ne teneva in schiavitù migliaia, forse milioni.

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Capitolo tre

«Un mix straordinario tra Internet e i Templari»


Un nome improprio. Luther Blissett Project. Finalità delle beffe mediatiche di Luther Blissett. Il nome multiplo di Umberto Eco. Un altro «Q Anon. Una lettera da Rotterdam. L'inizio della ricerca. Il Pendolo non fa che tornare (del resto, è quel che fanno i pendoli). Cultura pop, controcultura, sottoculture: quella certa aria di famiglia. L'anello mancante.


Fantasie di complotto. Me n'ero occupato a fondo negli anni Novanta, quando facevo parte del Luther Blissett Project, un network di agitazione culturale e politica e al tempo stesso un gioco di ruolo in rete e dal vivo.

A partire dal 1994 attivisti, artisti e agitatori culturali di vari paesi avevano adottato il nome «Luther Blissett» per firmare opere, performance e azioni di vario genere. Come aveva scritto il ricercatore Marco Deseriis , nel giro di pochi anni

il nome multi-uso era stato usato da centinaia di individui in diverse parti del mondo per rivendicare beffe mediatiche, vendere manoscritti apocrifi a case editrici, inventare artisti e opere d'arte, denunciare cacce alle streghe, firmare romanzi di successo, condurre esperimenti psicogeografici - oppure, semplicemente, come pseudonimo su internet.

Deseriis aveva scritto la migliore ricostruzione e analisi del Lbp. Nel suo libro Improper Names: Collective Pseudonyms from the Luddites to Anonymous spiegava che Luther Blissett era più di un semplice pseudonimo: era un multiple-use name e dunque - felice creazione concettuale - un nome improprio.

Al contrario di un nome proprio, la cui funzione principale è fissare un referente [...], un nome improprio è esplicitamente costruito per offuscare sia l'identità sia il numero dei suoi referenti. Da un lato, il nome improprio mantiene l'effetto-scudo di qualunque pseudonimo, cioè la dichiarata funzione di proteggere un individuo sostituendo il suo nome legale [...]. Dall'altro lato, un nome improprio funziona come una molteplicità aperta che non può essere sottratta alla sua ambiguità né ricondotta a un chiaro e unico referente. ,int 3

Nel ricostruire la genealogia di Blissett Deseriis risaliva a precedenti di secoli prima, sparsi tra il tardo medioevo e la prima rivoluzione industriale. Erano nomi impropri apparsi durante sollevazioni contadine e sommosse urbane, come Jacques Bonhomme (tredicesimo secolo), Armer Konrad (sedicesimo secolo), Ned Ludd e Captain Swing (diciannovesimo secolo). Dopodiché analizzava esempi di multiple-use name nelle avanguardie artistiche del secondo Novecento, come Monty Cantsin e Karen Eliot, i più vicini antecedenti di Luther Blissett. La carrellata proseguiva oltre quest'ultimo arrivando fino al 4chan degli albori, il 4chan prima del Gamergate, quando ancora non era il covo dell'alt-right. Proprio su 4chan era nata la soggettività hacker collettiva nota come Anonymous.

L'intento di chi aveva lanciato il nome Luther Blissett era costruire, menzione dopo menzione, la reputazione di un provocatore immaginario, un personaggio mitico che fosse un po' bandito sociale - come Robin Hood, Dick Turpin o il brasiliano Lampião - e molto trickster. Figura ricorrente nella mitologia e nel folklore, il trickster (il briccone, l'imbroglione) stupiva e spiazzava il prossimo con scherzi, travestimenti e trasformazioni, per svelare gli inganni e le ipocrisie di cui era fatta la "normalità" e far vedere il mondo con altri occhi. Esempi di trickster erano Anansi, l'uomo-ragno protagonista di favole e leggende dell'Africa occidentale, e Till Eulenspiegel, irriverente personaggio del folklore basso-tedesco e olandese... ma anche il Gatto del Cheshire di Alice nel paese delle meraviglie.

Per il nuovo trickster si era scelto - il perché non s'era mai capito - il nome di un ex calciatore inglese di origine giamaicana. Luther Loide Blissett era stato attaccante del Watford Fc, team di proprietà del cantante Elton John, e meteora della Serie A italiana nella stagione 1983-84. Comprato dal Milan pre berlusconiano, aveva sofferto la rude marcatura dei difensori nostrani e subìto gli insulti razzisti delle curve avversarie. Non era mai riuscito ad ambientarsi. Bilancio: soltanto cinque gol e diverse occasioni sprecate, anche a porta vuota. Si era persino sparsa la leggenda che sbagliare a porta vuota fosse una sua specialità, e che in Inghilterra lo chiamassero «Luther Missit», Luther Mancala. A fine campionato era tornato oltremanica.

Dieci anni dopo i tifosi italiani lo ricordavano solo come un brocco, era il "bidone" per antonomasia... finché il suo nome non era tornato a circolare, stavolta non nelle cronache sportive ma riferito a tutt'altro.

Luther Blissett era apparso in diversi paesi ma il fenomeno si era radicato soprattutto in Italia, grazie alla rete di collettivi che formavano il Luther Blissett Project (Lbp). I due gruppi più numerosi, chiamati «colonne», erano a Bologna e a Roma. Il progetto era durato cinque anni, dall'autunno del 1994 al 31 dicembre 1999.


In breve tempo il Lbp aveva fatto scalpore grazie a beffe molto elaborate ai danni di stampa e tv. Era soltanto una tra le molte pratiche di Blissett, ma era quella che più attirava l'attenzione.

Nel dicembre 1994 una troupe del programma Rai Chi l'ha visto? aveva cercato, tra Friuli-Venezia Giulia e Regno Unito, l'illusionista e performance artist inglese Harry Kipper, scomparso mentre girava l'Europa in bicicletta per tracciare sulla mappa la parola ART. Era svanito al confine tra Italia e Slovenia, lungo l'asta verticale della T. La famiglia e gli amici lo cercavano disperati. Storia affascinante, ma falsa in ogni dettaglio. Lo scomparso non era mai esistito.

Nell'ottobre 1995 il quotidiano bolognese Il Resto del Carlino aveva ricevuto la lettera anonima - o meglio, firmata «L. B.» - di una prostituta sieropositiva. L. B. aveva contratto l'Hiv a causa di una trasfusione di sangue infetto. Nella lettera dichiarava di volersi vendicare del sistema, per questo forava i profilattici che usava coi clienti. Tra i redattori del Carlino doveva essersi sparso il terrore. Il giornale era uscito con ben tre pagine dedicate al "caso", dense di sproloqui, compresa un'intervista a un grafologo che analizzava la lettera di L. B... senza ricavarne granché di utile, dato che l'avevamo scritta a macchina. Il giorno dopo Luther Blissett aveva rivendicato il falso.

Nel 1996-1997 il Lbp aveva dispiegato una vasta campagna di beffe per contrastare il panico morale su pedofilia e satanismo. Un «moral panic» - concetto introdotto negli anni Settanta dal sociologo sudafricano Stanley Cohen - era un'ondata di paura aggressiva che investiva la società quando le veniva additato un presunto nemico, una minaccia ai suoi valori e alla sua coesione. Nel giro di roulette del 1996 la pallina era finita nella casella del «Pedofilo». Il panico sulla pedofilia - e sul satanismo pedofilo - aveva investito l'Italia, un tornado nel quale roteavano paranoie, leggende urbane, accuse false, titoli gridati, sentenze sommarie, reputazioni distrutte. Per tutta risposta Blissett aveva inventato e fatto agire per mesi, nel Lazio e in Emilia, un network satanico dedito a stupri rituali e, simultaneamente, un gruppo catto-fascista di cacciatori di satanisti. Le imprese di entrambi i gruppi erano più volte finite sui giornali e in tv. La macchinazione e il relativo disvelarnento erano arrivati fino ai tg nazionali di prima serata.

Anche tramite quelle beffe avevamo portato avanti una controinchiesta su un'orrida vicenda bolognese. Un dispositivo mediatico-giudiziario fuori controllo aveva trascinato in carcere e messo alla gogna tre innocenti. La storia della "nera" lo avrebbe ricordato come «il caso Bambini di Satana». Blissett aveva aiutato a far assolvere gli imputati, in seguito risarciti dallo stato per l'ingiusta detenzione.

Nel biennio 1998-1999 il mondo dell'arte si era appassionato alle sconvolgenti opere e alla vita turbolenta dell'artista serbo Darko Maver. Le sue sculture riproducevano in modo iperrealistico cadaveri mutilati e semiputrefatti, per questo aveva subito ostracismi, censure, repressione. Tanto che era in carcere a Podgorica. Avevamo scritto comunicati di solidarietà, allestito mostre con riproduzioni fotografiche delle sue opere e ottenuto recensioni sulle principali riviste del settore. Poi avevamo annunciato la morte di Darko: aveva fatto la fine del topo, in galera, durante i bombardamenti Nato del 29 aprile 1999. O forse i suoi carcerieri avevano approfittato del caos per farlo fuori? Nella foto che circolava il suo corpo, steso sul pavimento della cella, sembrava integro, non certo recuperato da sotto pesanti macerie. Illustri critici d'arte italiani lo avevano ricordato, sostenendo di averlo conosciuto bene. La rivelazione che artista e opere erano nostre invenzioni li aveva lasciati attoniti.

Per tutto il 1999, anno di vigilia del Grande giubileo, pellegrine e pellegrini in cerca di informazioni avevano visitato vaticano.org, sito quasi identico a quello della Santa sede - il cui dominio era vatican.va - ma pieno di proclami eretici, concetti teologici di dubbia provenienza, errori grossolani e canzoni di Max Pezzali interpolate dentro discorsi di Giovanni Paolo II. Nel calendario degli eventi erano annunciati il «Giubileo degli artisti (con il critico d'arte Achille Bonito Oliva}», il «Giubileo della vita consacrata (preghiera per il dottor Kevorkian)» e l'«Estrazione dei numeri della Sacra ruota». C'era anche un modulo per inviare un'email al papa, con «risposta garantita in ventiquattr'ore». E in effetti rispondevamo.

Era stata l'ultima beffa rivendicata dal Lbp. Il 31 dicembre 1999 avevamo commesso un "suicidio" simbolico, annunciato come «il Seppuku». Da allora nessuno di noi aveva più adottato il nome Luther Blissett.

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Avevo appena cominciato quel lavoro quando, a febbraio, era scoppiata l'emergenza Covid.

Che a dicembre era ancora lungi dal finire.

La constatazione volava di bocca in bocca, e come non trovarsi d'accordo? Era stato un anno di merda.

Ma ragionare per anni era fuorviante. Tutti i processi e fenomeni che avevano devastato le nostre vite nel 2020 erano iniziati molto tempo prima, e nessuno di essi sarebbe terminato alla mezzanotte del 31 dicembre.

You don't hate 2020, you hate capitalism.


Prima o poi la sbornia millenarista sul Covid sarebbe passata, com'era passata ogni sbornia di quel genere.

Superati anche i postumi, avremmo raccolto da terra i frantumi della nostra psiche e ci saremmo guardati intorno, in semiconscia attesa della pandemia prossima ventura, di un'altra emergenza, di ubriacarci ancora di paura.

Forse un autore futuro, in cerca di un'allegoria del suo tempo - un novello Arthur Miller intento a scrivere il suo The Crucible - avrebbe studiato la nostra reazione al virus Sars-Cov-2, restandone sbigottito.

Sbigottito, per il miope e intrappolante virocentrismo dell'informazione e del discorso dominante sulla pandemia, divenuto subito narrazione tossica.

Sbigottito, per gli errori cognitivi a catena, gli scoppi di panico, le mosse irrazionali, gli obblighi e divieti spesso solo apotropaici.

Sbigottito, specialmente, per le dimensioni del tradimento dei chierici. Troppi scienziati - lusingati dai riflettori o, all'opposto, timorosi del linciaggio mediatico - avevano assecondato ogni procurato allarme, messaggio contraddittorio e provvedimento privo di evidenze scientifiche. Gli «intellettuali», dal canto loro, compresi molti che avevano accumulato capitale simbolico posando da nemici del potere, avevano rinunciato a ogni critica dell'emergenza.


Sapevo di colleghi che, trovatisi in piena pandemia a metà stesura di un libro «d'attualità», s'erano disperati, perché l'attualità era mutata radicalmente, ciò che avevano scritto era obsoleto e tanto valeva gettar tutto in pattumiera.

Altri avevano deciso di modificare il progetto in corso d'opera, stiracchiando il focus del loro libro, aggiungendo paginette di diario o profondeggianti aforismi sulla quarantena, per proporre sul mercato un libro «che stava sul pezzo». Solo in Italia di titoli così ne erano usciti a dozzine, uno più insulso dell'altro. Ad attenderli era comunque lei, la pattumiera.

Nella sciagura generale io ero stato, si fa per dire, fortunato: non dovevo gettare nulla né spostare alcun focus, perché ad aggredirmi, in quel tardo inverno del 2020, era stata la materia stessa del mio libro. L'emergenza pandemica esasperava tutte le tendenze che andavo descrivendo, stagliandole contro una luce violentissima, una lampada da terzo grado puntata in faccia al mondo.


La mia esperienza diretta riguardava l'Italia, dove la gestione dell'emergenza aveva avuto dinamiche, risvolti e contraccolpi - sociali, culturali, psichici - a dir poco peculiari. Nondimeno, tutto il mondo era paese. Ovunque guardassi, la pandemia aveva trovato società e sanità pubbliche - dove esistevano - debilitate, sfatte da quarant'anni di macelleria sociale, cure da cavallo neoliberiste, controriforme che avevano trasformato gli ospedali in mangiatoie per manager e vari parassiti del privato.

Tutte metafore prese dall'allevamento e dalla zootecnia, dunque adatte al contrappasso che stavamo vivendo.

Purtroppo gran parte di noi lo viveva senza saperlo. Anche nell'oscurare le cause della pandemia tutto il mondo era paese.

Da decenni l'industria zootecnica planetaria - la megamacchina della carne e dei prodotti animali, uno dei settori più infami del capitalismo - ci regalava una zoonosi dopo l'altra, epidemie che avevano «fatto notizia» ma da cui non avevamo imparato nulla. L'encefalite spongiforme bovina, detta anche «morbo della mucca pazza», era uscita dagli allevamenti intensivi d'Europa; l'influenza aviaria A/H5N1 dai campi di sterminio per galline e oche cinesi; il virus Sars-Cov-1 dai grandi mercati di carne - i cosiddetti «mercati bagnati» - del Guangdong e l'influenza suina H1N1 dalle porcilaie industriali messicane.

L'industria della carne era anche tra i mandanti delle grandi deforestazioni. Distruggendo complessi ecosistemi per sostituirli con allevamenti estensivi - o colture di supporto a quelli intensivi - si annullavano le distanze tra gli umani e altre specie ospitanti ogni sorta di virus.

Qualunque fosse l'industria che ne approfittava - zootecnica, agroalimentare, asfalto-cementizia o petrolifera - la deforestazione favoriva zoonosi ed epidemie. Per fare un esempio, era assodato il nesso causale tra la distruzione delle foreste costiere del Pernambuco, in Brasile, e l'epidemia di zika del 2015-2016. Il disboscamento aveva aumentato la temperatura, alterando il comportamento della zanzara Aedes Aegypti, potenziale vettore di zika, febbre gialla, dengue e chikungunya. Col caldo torrido la zanzara doveva nutrirsi più spesso, dunque pungeva come non mai. Nel mentre, si riproduceva a maggiore velocità. Le condizioni per farlo erano ideali: la deforestazione aveva causato una siccità da record e la popolazione era solita conservare l'acqua in contenitori aperti, che diventavano focolai larvali.

Nel 2012 David Quammen aveva chiuso il suo libro Spillover, monumentale inchiesta sulle zoonosi, con una carrellata sui fattori che le rendevano possibili:

Viviamo in città superaffollate. Abbiamo violato, e continuiamo a farlo, le ultime grandi foreste e altri ecosistemi intatti del pianeta, distruggendo l'ambiente e le comunità che vi abitavano [...]. Ci installiamo al posto loro, fondiamo villaggi, campi di lavoro, città, industrie estrattive, metropoli. Esportiamo i nostri animali domestici, che rimpiazzano gli erbivori nativi. Facciamo moltiplicare il bestiame allo stesso ritmo con cui ci siamo moltiplicati noi, allevandolo in modo intensivo in luoghi dove confiniamo migliaia di bovini, suini, polli, anatre, pecore e capre [...]. In tali condizioni è facile che gli animali domestici e semidomestici siano esposti a patogeni provenienti dall'esterno (come accade quando i pipistrelli si posano sopra le porcilaie) e si contagino tra di loro [...]. Molti di questi animali li bombardiamo con dosi profilattiche di antibiotici e di altri farmaci, non per curarli ma per farli aumentare di peso e tenerli in salute il minimo indispensabile per arrivare vivi al momento del macello, tanto da generare profitti. In questo modo favoriamo l'evoluzione di ceppi batterici resistenti [...]. Commerciamo in pelli, contrabbandiamo carne e piante, che in certi casi portano dentro invisibili agenti patogeni [...]. Siamo punti da zanzare e zecche. Cambiamo il clima del globo con le nostre emissioni di anidride carbonica e spostiamo le latitudini a cui le suddette zanzare e zecche vivono [...]. Le circostanze ambientali forniscono opportunità per gli spillover [salti di specie]. L'evoluzione le coglie, esplora le potenzialità e dà gli strumenti per tramutare gli spillover in pandemie.


Anche il Sars-Cov-2 era un virus zoonotico. Si ipotizzava che il pipistrello della specie Rhinolophus Ferrumequinum avesse trasmesso un suo coronavirus al pangolino. Durante quella fase intermedia il virus era mutato, divenendo trasmissibile agli umani. Bestiola non solo prelibata in tavola ma ricercatissima per la sua pelle e le sue squame, il pangolino era oggetto di sistematico bracconaggio transcontinentale. Chissà quante volte grandi carichi di pangolini - terrorizzati, ammassati in condizioni insalubri, ospitanti un virus che si stava trasformando - erano entrati in Cina, prima che avvenisse il decisivo spillover. Un'ipotesi era che il virus avesse fatto il nuovo salto al wet market di Wuhan: cinquantamila metri quadri, un migliaio di bancarelle da cui comprare carne, pesce e animali vivi, anche sottobanco.

Che la pandemia del 2020, come le sue antesignane, avesse le proprie cause nel modo di produzione capitalistico, nella multiforme aggressione all'ambiente e nel forsennato sfruttamento del vivente era poco ma sicuro. E forse era solo l'inizio: con tutta probabilità il surriscaldamento globale, sciogliendo il permafrost delle zone artiche, avrebbe "risvegliato" virus e altri patogeni coi quali la nostra specie non era mai entrata in contatto, o che pensava di aver debellato. Avremmo reagito ogni volta ibernando la vita sociale?

Ma niente, in Italia e ovunque tutto ciò che agiva a monte - e che avrebbe continuato ad agire - era stato allontanato dalla percezione generale, per l'ennesima volta rimpiazzato da narrazioni diversive.

Narrazioni che arrivavano dall'alto e dal basso.


Le narrazioni dall'alto erano spin, giravolte di propaganda, supercazzole con cui la classe dirigente allontanava da sé ogni colpa passata e presente. A dispetto del facile motto «Nulla sarà più come prima», l'emergenza prolungava i fili del prima, esacerbava disuguaglianze che già c'erano, faceva pagare la nuova crisi a chi aveva pagato le precedenti. Il tutto mentre politici e capitalisti - cioè i responsabili dello stato in cui la pandemia aveva trovato i nostri sistemi sanitari e le nostre società - dicevano «dobbiamo restare uniti», «da questo difficile momento usciremo insieme», ecc. La funzione dei media mainstream - per la loro logica di fondo, per gli interessi che rappresentavano, per gli assetti proprietari che ne plasmavano l'orientamento - era di far sembrare tutto ciò non solo accettabile ma naturale.


Le narrazioni dal basso erano in gran parte fantasie di complotto. Fin da subito una parte non trascurabile di opinione pubblica aveva sospettato dei media, intuìto che i governi non la raccontavano giusta, concluso che troppe cose non quadravano. A intercettare dubbi e malcontento non erano stati movimenti anticapitalisti. Per vari motivi, era arrivato prima il cospirazionismo. Il virus era stato prodotto in laboratorio e diffuso intenzionalmente da questo o quel nemico geopolitíco, anzi, da Soros, macché, da Bill Gates, meglio ancora se da entrambi. Bill Gates aveva pianificato tutto insieme all'Organizzazione mondiale della sanità per «controllare il mondo coi vaccini». Anzi, no, il virus si era diffuso per colpa della rete 5G, o al fine di imporre il 5G, ecco perché in Inghilterra qualcuno dava alle fiamme i ripetitori.

A volte i flussi si invertivano e confondevano: dall'alto piovevano fantasie di complotto che servivano a deresponsabilizzare il governo (strategia adottata da Trump negli Stati Uniti e da Bolsonaro in Brasile); in basso proliferavano gli «obbedisco?», intruppamenti che scatenavano colpevolizzazioni orizzontali, cacce all'«untore» di turno. Untore che non era mai parte della classe dominante ma sempre un cristo qualsiasi: il vicino di casa, il passante visto dalla finestra, uno o una come te, appartenente alla working class o allo strato inferiore del ceto medio.

In Italia era andata così. La narrazione diversiva dominante si era diffusa prima in verticale, dall'alto verso il basso, poi in orizzontale, dal basso tutt'intorno.

Riassumerla era facile. Il sociologo Andrea Miconi lo aveva fatto in tre parole.

Colpevolizzazione del cittadino.

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Pagina 309

Il trionfo della diversione.


Trionfo a più livelli, perché gli sfondoni su Gates provocavano per tutta risposta la difesa del personaggio, del suo curriculum, del «bene» fatto dalla sua fondazione, e del filantrocapitalismo in generale.

Quest'ultimo, per dirla con lo stesso Gates, consisteva nel «coniugare i fini della beneficenza con il potere dell'impresa privata». Detto meglio: usare i fini della beneficenza per aumentare il potere dell'impresa privata. Come aveva osservato Tim Schwab in un articolo su The Nation, il filantrocapitalismo aveva imposto


un nuovo modello di beneficenza nel quale i beneficiari diretti non sono i poveri del mondo ma i più ricchi del pianeta, perché il fine non è aiutare i bisognosi bensì aiutare i ricchi ad aiutare i bisognosi. Indagando su più di diciannovemila sovvenzioni concesse dalla Gates Foundation [...] The Nation ha scoperto circa due miliardi di dollari in donazioni a scopo benefico e scaricabili dalle tasse elargiti ad aziende private, comprese alcune tra le più grandi al mondo, come GlaxoSmithKline, Unilever, IBM e NBCUniversal Media, incaricate di sviluppare nuovi farmaci, migliorare l'igiene nei paesi poveri, creare prodotti finanziari per consumatori musulmani e diffondere la buona novella su questo lavoro [...]. Linsey McGoey, professoressa di sociologia all'Università dell'Essex e autrice del libro No Such Thing as a Free Gift [ha commentato]: «Hanno creato uno dei precedenti più problematici nella storia delle fondazioni filantropiche, consentendo a grandi multinazionali di presentarsi come meritevoli destinatari di donazioni in un momento in cui i loro profitti sono alle stelle»


Quanto all'«aiutare i bisognosi», si traduceva nel calare dall'alto ricette capitalistiche con modalità neocoloniali. La Gates Foundation lavorava con colossi come Monsanto e Cargill per imporre all'Africa un modello di agricoltura basato sul controllo delle sementi tramite i brevetti e sull'uso massiccio di fertilizzanti chimici.

Idem per l'idea di sanità portata avanti dai Gates: saldamente in mano a multinazionali come BASF, Dow Chemicals, GlaxoSmithKline, Novartis e Pfizer, e basata sulla strenua difesa della proprietà intellettuale, per Gates minacciata da «nuovi comunisti». Modern-day communists, così il miliardario aveva definito i suoi critici.

La giustificazione era nota: i brevetti rendevano possibili e incoraggiavano la ricerca e l'innovazione. Per molti versi era vero l'opposto. Come aveva riassunto Urvashi Aneja su The Wire,

i brevetti possono incentivare l'innovazione solo se i potenziali detentori pensano che il farmaco, una volta sviluppato, potrà essere venduto a un prezzo alto. Ciò spiega perché a livello mondiale solo il dieci per cento delle risorse dedicate alla sanità sia investito nella cura di malattie che colpiscono il novanta per cento della popolazione, principalmente nei paesi sottosviluppati, e viceversa il novanta per cento delle risorse sia investito nella cura di malattie che colpiscono il dieci per cento della popolazione. Ogni anno arrivano numerosi nuovi farmaci contro l'acne o la caduta dei capelli, ma pochi per la tubercolosi o la malattia del sonno [tripanosomiasi africana, n.d.t.].


Il fatto che dal 2013 la Gates Foundation fosse il principale finanziatore dell'Oms aveva implicazioni chiare e difficilmente negabili. Ma se ti mettevi a dire che Gates aveva pianificato la pandemia con lo scopo di piazzare il vaccino e magari, già che c'era, ficcarci dentro una "cimice", il solo risultato che ottenevi era di inibire le critiche a Gates per quel che faceva davvero. L'establishment aveva buon gioco a gettare discredito su simili discorsi, quel discredito si allargava a chiazza d'inchiostro, e il potere di Gates ne usciva rafforzato.

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Pagina 312

Il termine «negazionismo» era stato coniato negli anni Ottanta per definire i discorsi di personaggi come David Irving, Robert Faurisson o Ernst Zündel, secondo cui nei lager nazisti non erano esistite camere a gas né era avvenuto alcuno sterminio sistematico di ebrei e altri prigionieri. Negli anni a seguire l'utilizzo si era esteso a sempre più ambiti, finché l'accusa di «negazionismo» non era diventata un'arma nelle guerre culturali del ventunesimo secolo.

In Italia se n'era appropriata la destra «post»-fascista, che accusava di «negazionismo» chiunque smontasse la sua narrazione sulle «foibe». Narrazione basata su falsi storici, revanscismo e razzismo antislavo, che aveva preso forma sulla stampa collaborazionista triestina e istriana durante l'occupazione tedesca. Sessant'anni più tardi, con l'istituzione del «Giorno del Ricordo», quella narrazione era diventata storia di Stato. La ricorrenza cadeva il 10 febbraio, data scelta per contestare il Trattato di pace del 1947 e dunque, senza dirlo apertamente, l'esito della seconda guerra mondiale.

La destra aveva ottenuto quella vittoria anche grazie all'accusa di «negazionismo» scagliata - con trasversali complicità - contro chiunque denunciasse l'operazione. «C'è chi nega le camere a gas? Be', c'è anche chi nega le foibe! Se condanniamo i primi, dobbiamo condannare anche i secondi». In quel modo aveva spacciato per equanimità il suo consueto benaltrismo, quello immortalato dalla comica Caterina Guzzanti nel tormentone «E allora le foibe?!».

Il frame attivato dal termine «negazionismo» era quello della Reductio ad Hitlerum: su qualunque tema e questione si stabiliva un parallelo con il negazionismo della Shoah, accelerando il ciclo della Legge di Godwin.

Legge di Godwin. Più una discussione on line si prolunga e più la probabilità di un paragone con Hitler o i nazisti si avvicina al cento per cento.

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Mi sembrava che concentrarsi sui profitti di Pfizer et alii stornasse l'attenzione da meccanismi di omeostasi più profondi. Nella narrazione dominante il vaccino anti Covid era il deus ex machina, la speranza suprema, la svolta delle svolte. Ma era una toppa. Per quanto necessaria, una toppa. Si trattava di cassare la sgradita conseguenza (la pandemia) senza toccare le cause. Avevamo il vaccino, ormai era fatta. Questione di qualche mese e l'avremmo scampata. Se non una volta per tutte, andava bene anche scamparla una volta all'anno. In breve tempo si era affermata un'escatologia - anzi, una soteriologia - del vaccino: trombe e fanfare ne avevano accolto l'arrivo, e la campagna vaccinale era rappresentata in modi pacchiani e persino idolatrici. Tutto comprensibile, dopo un anno di terrore e isolamento: la voglia di girare pagina era giusta. Ma girata la pagina, il libro sarebbe rimasto lo stesso. Il desiderio di lasciarsi il Covid alle spalle, di tirare finalmente un sospiro di sollievo, era barattato con l'oblio, con un salvacondotto per continuare come prima, inquinando, deforestando, sfruttando il vivente, macellando miliardi di animali e continuando a surriscaldare il pianeta.

Pensavo che su una constatazione come quella ci si potesse ritrovare trasversalmente, a prescindere dalle diverse posizioni sui vaccini e sull'obbligo vaccinale. Spostare l'attenzione sull'omeostasi del sistema significava spostare la linea del conflitto, interrompendo la dialettica viziosa.


Ma spostare l'attenzione era un'impresa improba. Diotallevi aveva visto giusto: le fantasie di complotto sul virus si diffondevano come metastasi.

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Nel saggio Nemici dello Stato. Criminali, "mostri" e leggi speciali nella società di controllo, pubblicato nel 1999, il Luther Blissett Project aveva ricostruito i processi storici, giuridici e tecnologici tramite i quali l'Emergenza si era imposta come principale metodo di governo, non solo in Italia ma specialmente in Italia. Dove, scrivevamo, «dagli anni Settanta in avanti il metodo di governo è consistito interamente in un avvicendarsi di emergenze», ovvero in «una continua ridefinizione strumentale del "nemico pubblico" [...]. In questo paese esiste da sempre una complicata dialettica dell'incostituzionalità, al cui interno l'emergenza ha stabilito una propria retorica, un compiuto ma fluido sistema di metafore, un peculiare modo di cristallizzarsi nel diritto scritto e nel costume nazionale».

Grazie all'Emergenza l'opinione pubblica arrivava a trovare non solo accettabile ma auspicabile «la violazione [e] la vera e propria sospensione delle libertà» e l'introduzione di «nuove forme coercitive nella divisione sociale del lavoro». La storia italiana del tardo ventesimo secolo e dei primi decenni del ventunesimo poteva riassumersi non tanto in un susseguirsi, come avevamo scritto in quel vecchio libro, quanto in un accumularsi di emergenze, perché non ce n'era mai soltanto una alla volta.

Alcune emergenze erano molari, cioè evocanti una mobilitazione totale e uno scontro frontale tra l'intera società e un suo Grande Nemico, altre invece erano molecolari, cioè più focalizzate e contingenti, evocanti battaglie specifiche o locali.

Erano molari l'emergenza-terrorismo o l'emergenza-immigrazione, ma anche l'emergenza-conti pubblici. Il Grande Nemico era un personaggio concettuale, e poteva essere antropomorfo, come il Terrorista o l'Immigrato, oppure amorfo, come il Debito.

Erano invece molecolari l'emergenza-pedofilia (il moral panic del biennio 1996-1997); l'emergenza-videogame istiganti al suicidio; l'emergenza-sette (in nome della quale si chiedeva la reintroduzione nel codice penale del reato di "plagio"); l'emergenza-cani assassini (il moral panic dell'estate 2009); le ricorrenti emergenze-"degrado" (che aprivano la strada a violente ristrutturazioni dei quartieri popolari al fine di "gentrificarli") con tanto di sottoemergenza rappresentata da street art e graffiti; l'emergenza-bimbi dimenticati in auto (otto episodi in vent'anni, certamente tragici ma non sufficienti a giustificare l'allarme sociale); l'emergenza-aggressioni sugli autobus... I personaggi concettuali volta per volta indicati come nemici potevano essere antropomorfi, zoomorfi, amorfi...

[...]

In un articolo, "Pandemic: The Italian Way", uscito sul sito di un istituto di ricerca sudafricano, Wolf Bukowski aveva individuato nel pluridecennale accumularsi di emergenze un'importante concausa della catastrofe pandemica del 2020:

L'Italia è [...] un paese in cui la percezione del pericolo è deformata da continue emergenze immaginarie. Questa è una constatazione importante da fare, perché l'arrivo di un «lupo» vero come il Covid-19, dopo un trentennio in cui si è gridato «al lupo al lupo» per allarmi inventati o esagerati, ha colto tutti impreparati. Se invece ci si fosse occupati delle vere emergenze, lo stesso Covid-19 sarebbe stato meno disastroso.


Le vere emergenze a cui Bukowski si riferiva riguardavano la situazione della sanità pubblica, indebolita da decenni di tagli, politiche di smantellamento, privatizzazioni:

la comunicazione mainstream ha enfatizzato l'imprevedibilità del virus, la cui eccezionalità avrebbe colto tutti impreparati. In realtà il tracollo della medicina d'urgenza lombarda era ampiamente prevedibile: già nel gennaio del 2017 e in quello del 2018 organizzazioni di medici e infermieri di quella regione avevano denunciato l'insufficienza dei reparti d'urgenza per far fronte ai picchi dell'influenza stagionale. Questo importante allarme degli operatori della sanità si era perso tra le grida di «al lupo al lupo» di un paese stordito dalle finte emergenze.


E c'era dell'altro, perché la pandemia aveva portato al parossismo la prassi del governare tramite l'Emergenza. Anche un problema reale, tragicamente reale, poteva generare un'emergenza strumentale. Il contrasto al virus, infatti, si era subito inserito nel filone delle emergenze molari. Stavolta il Nemico era un personaggio concettuale teratomorfo, un mostriciattolo coperto di ventose, un «oggetto biologico», perché, tecnicamente, non era nemmeno vivo.


* * *



«Non si poteva fare che così», si diceva, riferendosi ai grandi confinamenti e alla reclusione domestica di massa. Il cosiddetto «modello Italia», l'esempio dato al resto d'Europa.

Illusione retrospettiva di necessità.

In realtà alle chiusure di inizio marzo si era arrivati a tentoni, mediando al ribasso tra blocchi di potere, dopo forti tensioni tra governo centrale e amministrazioni regionali (in primis quella lombarda), e tra forze politiche che rappresentavano diversi settori di capitalismo. Nell'incerto febbraio del 2020 politici e media si erano baloccati con slogan e hashtag come l'#Italianonsiferma, #Milanononsiferma, #Bergamoisrunning... Gli stessi media, e spesso gli stessi politici, che poco dopo avrebbero adottato la retorica (falsa) del #chiuderetutto, del #restiamoacasa, del «lockdown» senza se e senza ma.

Nello scontro tra diverse narrazioni, nell'oscillare d'altalena fra rassicurazione e paura, una decisione era stata fatidica: quella di non dichiarare «zona rossa» i comuni di Alzano e Nembro, in bassa Val Seriana. Un territorio con venticinquemila abitanti alle porte di Bergamo, dove operavano trecentosettantasei aziende per un fatturato complessivo di settecento milioni l'anno.

Al pronto soccorso dell'ospedale di Alzano Lombardo si era sviluppato un grosso focolaio. I provvedimenti presi erano stati scarsi e ininfluenti. L'epidemia era stata lasciata libera di correre in lungo e in largo nella provincia di Bergamo e poi nella grande conurbazione lombarda, nello sprawl che in pochi decenni aveva cambiato faccia a quei territori. In men che non si dica la regione che da anni si vantava di avere il sistema sanitario più moderno e all'avanguardia -- quando era soltanto il più privatizzato e il più corroso dall'affarismo di lobby reazionarie e clericali - si era ritrovata con la sanità al tracollo.

[...]

Gli ospedali di rilievo nazionale o altamente specializzati erano stati sganciati dalle unità sanitarie locali e trasformati in «aziende ospedaliere». Le Usi stesse, sottratte al controllo da parte dei comuni, erano divenute aziende. Aziende pubbliche, sì, ma dotate di «autonomia imprenditoriale».

Quegli stessi decreti avevano anche avviato la regionalizzazione della sanità.

Detta come va detta, erano controriforme, finalizzate a ledere l'universalità, la capillarità e la gratuità del Sistema sanitario nazionale com'era stato istituito nel 1978, al culmine di anni di lotte e conquiste sociali.

Nella seconda metà degli anni Novanta altre leggi avevano implementato e accelerato i processi di «managerializzazione», «esternalizzazione» e intromissione di interessi privati nella sanità nominalmente pubblica. In base alle nuove logiche di bilancio, se una struttura non "rendeva" andava chiusa. In tutta Italia si erano smantellati piccoli ospedali a centinaia, ed erano stati chiusi a migliaia i presìdi di specialistica ambulatoriale. Servizi essenziali si erano concentrati in pochi luoghi. Spesso chi viveva in provincia li aveva visti allontanarsi di decine di chilometri.

Tutte decisioni prese in ordine sparso, perché la faccenda era ormai di competenza delle diverse regioni.

Col nuovo secolo il servizio sanitario nazionale era ormai poco più di una bella idea.

La Lombardia era la regione più "ospedalecentrica", dove più si era disinvestito nella medicina di territorio a vantaggio di grandi strutture "d'eccellenza", e il criterio per stabilire l'eccellenza era prettamente aziendalistico.

Poiché i medici di base erano pochi e sovraccarichi, e i piccoli ambulatori erano stati dismessi, c'era stata un'esplosione di «accessi impropri» al pronto soccorso: [...]

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Capitolo ventitré

Burnout (4 novembre 2020 - 20 gennaio 2021)


Il baricentro. La sconfitta di Trump. Disillusione. Verso Jonestown? QAnon in senso stretto e QAnon in senso lato. Il Kraken. È stata l'Italia. L'assalto al Campidoglio. Capitol Hill come Frankenhausen. Viva Galactus! Al golpe, al golpe! I remi in barca. La sera del 20 gennaio.


Passò quel momento d'autunno in cui m'ero guardato indietro per rimuginare sul lavoro fatto tornai a guardare avanti dal trapassato prossimo scivolai nel passato remoto sognavo ancora il giavellotto nel sogno stavo per lanciarlo la spalla era pronta a ruotare la prima parte del libro stava finendo era importante capire dove fosse il baricentro ma cos'è il baricentro di un testo dove sta il baricentro di un libro La Q di Qomplotto era diviso in due parti il baricentro è una parte del libro dove sembrano concentrarsi il senso totale del libro e la risultante di tutte le forze esterne agenti su di esso.

Nella prima parte del libro raccontavo com'era nato e cresciuto QAnon alternando alla storia un inventario di concetti un'esposizione di dinamiche come funziona una fantasia di complotto dentro la testa e nella società nell'era della sussunzione reale della comunicazione al capitale in forma di internet e dell'estrazione di dati come modello di business la seconda parte doveva essere una genealogia tematica di QAnon quali storie quali tòpoi quali scene erano confluite in QAnon un processo lungo decenni secoli la prima parte era storia del presente in teoria avrei potuto continuare a scriverla indefinitamente le cose continuavano a succedere e dal giorno stesso delle elezioni da quel 3 novembre ci fu un'ulteriore accelerazione.

L'animale che Trump si portava dentro aveva fiutato odore di sconfitta ma i credenti le credenti in QAnon si aspettavano la vittoria non necessariamente elettorale il putsch dopo la finta vittoria di Biden ottenuta coi brogli la Tempesta finalmente già durante lo spoglio due credenti in QAnon cercarono di attaccare il centro elettorale di Philadelphia Joshua Macias e Antonio LaMotta avevano il solito fucile semiautomatico AR-15 centodiciassette proiettili brogli brogli brogli complotto pensavano Macias e LaMotta a bordo di un Suv un vecchio Hummer dalla Virginia per raddrizzare il voto un Suv decorato con un adesivo QAnon sul cruscotto c'era un cappello con la Q ma mi resi conto che quella storia e altre che erano seguite non aggiungevano niente non sarebbe servito raccontare exploit e fantasticherie di tutti i Macias e LaMotta fu allora che sentii il braccio più leggero avevo lanciato il giavellotto.

La prima parte del libro aveva il suo centro di gravità permanente non avrebbe più cambiato idea sulle cose sulla gente niente di ciò che fosse accaduto dalla sconfitta di Trump in avanti niente di ciò che avrei scritto nell'ultimo capitolo avrebbe spostato il baricentro del libro cioè il suo senso complessivo l'utilità che speravo avesse quel giavellotto era ormai lanciato dovevo chiudere un po' di storie ma non dovevo dilungarmi solo per completezza.

Certificata la sconfitta Trump continuò a dire brogli brogli brogli complotto il Big Steal il grande furto intanto su 8kun il flusso di commenti a tema QAnon si ridusse a un rivolo QDrops non ce n'erano più la comunità dei credenti si divise tra chi cadde nella disillusione e nello sconforto e chi al contrario dobbiamo crederci adesso più che mai c'è un piano e lo stanno eseguendo non falliremo questo movimento è indomabile e capace di rinnovare non solo sé stesso ma il mondo alcuni dei disillusi si pentirono rilasciarono interviste agli odiati media mainstream ci fu qualche momento memorabile un ex credente chiese scusa al conduttore della Cnn Anderson Cooper per aver creduto che divorasse bambini altri disillusi si radicalizzarono ulteriormente ormai scacciati dai principali social network si rifugiarono in spazi di nicchia ritrovi on line dell'estrema destra siti come Parler oppure qualche anfratto del dark web dove i nazi li accolsero a braccia aperte magari con qualche presa per il culo ve l'avevamo detto che QAnon era una psy-op che Trump era un coglione.

Bisognava distinguere tra QAnon in senso stretto cioè la fiction sul misterioso agente statale fornito di Q-clearance e QAnon in senso lato cioè il fenomeno multidimensionale la nuova singolarità cospirazionista QAnon in senso stretto era finito QAnon in senso lato si stava evolvendo per tutto il 2020 era andato in più direzioni subendo trasformazioni eravamo ormai nel post-QAnon ci sarebbero state narrazioni post-QAnon più mainstream narrazioni post-QAnon più floreali e narrazioni post-QAnon più selvagge in quell'ultimo ambito si sarebbero accentuate la dimensione settaria e millenaristica da un lato e la dimensione più prosaicamente terroristica dall'altro sul versante millenaristíco forse avremmo visto attacchi simili a quello del marzo 1995 col gas nervino nella metropolitana di Tokyo ad opera del gruppo Aum Shinrikyo tredici morti più di seimila intossicati oppure suicidi di massa come quello del Peoples Temple in Guyana nel novembre 1978 quando il reverendo Jim Jones convinse centinaia di persone a uccidersi e uccidere i propri bambini bevendo e facendo bere bibita all'uva Flavor Aid con dentro cianuro quand'era arrivato sul posto l'Fbi aveva trovato novecentodiciotto cadaveri trecentoquattro erano bambini alcuni neonati invece sul versante terroristico avremmo visto mass shooter e stragisti vari un post-QAnon ormai nazificato meno eterodosso e visionario.

Ad ogni modo gli ancora convinti i die hard della narrazione QAnon "classica" aiutarono Trump a pompare fantasie di complotto sui brogli lui giocava al massacro aizzava contro la finta vittoria di Biden se doveva lasciare la Casa bianca lo avrebbe fatto mettendo il maggior numero possibile di bastoni tra le ruote scatenando un putiferio alzando il più grande polverone della storia d'America avvocati di Trump alcuni dei quali vicini a QAnon intentarono cause senza alcuna base che non andarono da nessuna parte parlarono di documenti riservati prove scottanti per qualche tempo circolò il nomignolo Kraken come il mostro marino il calamaro gigante di certe leggende scandinave Kraken per riferirsi a un dossier che i legali di Trump avrebbero tirato fuori aspettavano che dagli abissi salisse il Kraken vedrete che botto farà il Kraken dopo il Kraken sarebbero cominciati í blackout dieci giorni di oscurità durante quei giorni ci sarebbe stata la Tempesta.

Trump istigava voleva fare casino alimentava fantasie di coup d'état fantasie e basta perché solo nelle menti dei credenti di QAnon dietro Trump c'era il Pentagono i vertici militari non ne volevano mezza di assecondare avventurismi mattane nemmeno Trump ci credeva davvero ma istigava non valeva la pena passare in rassegna tutte le fantasie di complotto sul voto sulla manomissione delle macchine l'unica fantasia di complotto sui brogli divertente almeno dal punto di vista italiano era #Italydidit una storiella con cui si baloccarono per un po' i credenti a truccare le presidenziali erano stati gli italiani per la precisione il presidente del consiglio Giuseppe Conte e l'ex presidente del consiglio Matteo Renzi un po' come dire che l'assegnazione degli Academy Award era stata truccata da Alvaro Vitali eppure le fantasie di complotto sui brogli fecero la storia ciascuna di esse contribuì a mantenere in vita un'illusione ad alzare un'onda che salì fino a Capitol Hill al Congresso degli Stati Uniti un evento di cui si sarebbe parlato nei decenni a venire non spostava in alcun modo il baricentro del mio libro ma non potevo chiudere il libro senza includerlo non certo raccontarlo per filo e per segno solo includerlo altri lo avrebbero raccontato a fondo sarebbero usciti libri a bizzeffe un'infinità di documentari.

Il 6 gennaio il Congresso a camere riunite doveva fare il conteggio ufficiale dei voti nei collegi elettorali dichiarare il vincitore una pura formalità parte del cerimoniale della democrazia statunitense tradizionalmente a presiedere la seduta era il vicepresidente ergo quella volta toccava a Mike Pence che nelle settimane precedenti aveva preso le distanze da Trump dal suo rifiuto di concedere la vittoria dalle sue alzate di polverone Trump aveva più volte intimato a Pence di non riconoscere Bíden vincitore cosa che anche volendo non era nelle prerogative del vicepresidente quel giorno stesso sempre a Washington migliaia di persone avevano raggiunto l'Ellisse íl parco a sud della Casa bianca per partecipare a un raduno chiamato Save America c'erano bandiere di QAnon bandiere confederate e altri simboli del suprematismo bianco una grande croce con la scritta Gesù salva striscioni con scritto Gesù 2020 gente mascherata un tizio che si era già visto in molte occasioni si faceva chiamare Jake Angeli ma era più noto come lo Sciamano di QAnon portava un copricapo di pelliccia con grandi corna di bufalo aveva la bandiera a stelle strisce dipinta in faccia girava a torso nudo in pieno gennaio sarebbe diventato l'uomo-simbolo della giornata l'apice del raduno fu un discorso di Trump ribadì che in realtà aveva vinto lui che c'erano stati brogli che il conteggio in corso al Campidoglio era una farsa invitò i suoi sostenitori a combattere.

C'era chi non aspettava altro almeno ottocento persone si diressero verso il Campidoglio arrivarono alle transenne che impedivano l'accesso al pubblico trovarono pochi poliziotti non ebbero difficoltà a irrompere nel perimetro e poi nell'edificio a essere precisi nella Sala delle statue e da lì cominciarono le scorribande alcuni rimasero all'esterno ed eressero un patibolo da cui fecero penzolare un cappio poco dopo come se nulla fosse Trump twittò Pence non ha avuto il coraggio di fare ciò che andava fatto scatenando la folla contro il suo vicepresidente gli invasori gridavano dov'è Pence troviamo Mike Pence fuori urlavano che il patibolo era per lui ma il Servizio segreto aveva già fatto uscire Pence dall'edificio mentre la folla si aggirava per sale corridoi entrava negli uffici compreso l'ufficio di Nancy Pelosi deputati senatori assistenti e semplici dipendenti si erano chiusi a chiave in stanze e sgabuzzini le immagini dell'occupazione venivano trasmesse in diretta in tutto il mondo quel giorno ci furono scontri e sparatorie morirono cinque persone uno era un agente della polizia interna del Campidoglio quattro erano dimostranti tra loro c'era una credente in QAnon Ashli Elizabeth Babbitt trentacinque anni veterana dell'Air Force venuta da San Diego apposta per Save America tutti chiedevano che Trump si esprimesse condannasse quel che stava succedendo mandasse la Guardia nazionale dopo le sei di sera Trump twittò questo è ciò che accade quando una vittoria elettorale sacra e schiacciante viene sottratta in modo brutale a grandi patrioti trattati male e ingiustamente per così tanto tempo e aveva esortato i suoi sostenitori a tornare a casa pace e amore ricordatevi di questo giorno per sempre alla fine si riuscì a sgomberare l'edificio per mandare un segnale forte la procedura di conteggio riprese andò avanti fino a tarda notte il risultato era ufficiale Biden sarebbe stato il quarantaseiesimo presidente e Kamala Harris la vicepresidente.

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Capitolo uno

L'accusa del sangue


Il Bar Pilade era quello dei primi anni Settanta, prima del suo infighettirsi nel decennio successivo. Era come i bar della mia infanzia, come il bar del Necchi in Amici miei, come quello dove Alain Delon e Giancarlo Giannini giocavano a poker ne La prima notte di quiete.

C'era il biliardo, con due che si sfidavano a boccette e tre a guardare, bicchiere in mano e sigaretta alle labbra, tutti. Un paio ancora col soprabito, perché si stava sempre lì ma era bello sembrare di passaggio, sembrare gente che si concede ma è sempre attratta da altri impegni, altre zingarate, e più dà quest'impressione più la presenza al bar si valorizza.

C'era il flipper. Non era ancora il tempo dei videogiochi. Quanto a videopoker e slot machine erano lontani anni luce.

C'era il telefono a muro, con la cornetta di bachelite grigia, il disco rotante e la fessura per il gettone. Lì accanto, su una mensola quadrata e rivestita di formica, l'elenco e le Pagine gialle. L'elenco doverosamente logoro, senza più copertina.

Ma l'elenco di che anno?

Perché erano gli anni Settanta, sì, ma al tempo stesso era il gennaio 2021. Un 2021 parallelo, dove i bar erano aperti e nessuno portava la mascherina. Lì dentro il problema non era il coronavirus, ma il fumo passivo. L'aria era azzurrognola e viziata. Non ero più abituato, e sentii una vaga nausea.

Io, Belbo e Diotallevi sedevamo a un tavolino, il più lontano dall'entrata. Sapevo, come si sanno le cose nei sogni, che erano i Belbo e Diotallevi di prima del Piano. Chissà se conoscevano già Casaubon.

[...]

«Esatto. L'inizio del gioco è stato in Europa, ovviamente. Tutta la narrazione sull'adrenocromo è l'ennesima riedizione della vecchia "accusa del sangue" contro gli ebrei».

«Sempre qui si va a parare», disse Diotallevi.

«Bisogna tornare al 1144 e guardare al caso di Guglielmo di Norwich...».

«Beato Guglielmo, se non erro», disse Belbo.

«Venerato, almeno per qualche secolo, ma mai canonizzato ufficialmente. Di lui non sappiamo quasi nulla, l'unica fonte su gran parte della vicenda è Tommaso di Monmouth, un monaco benedettino del priorato della cattedrale di Norwich, che ne scrive per sentito dire, ricamandoci parecchio, e si inventa dettagli per fare di William un martire della fede. William è un ragazzo di dodici anni, che lavora come apprendista nella bottega di un conciatore di pelli. È il Sabato santo quando lo trovano nei boschi assassinato e con strane ferite alla testa, alle braccia e al torso. Alcuni popolani di Norwich accusano gli ebrei del luogo, ne chiedono l'arresto e un processo per ordalia... Lo sceriffo non li accontenta, ma intanto si è diffusa la voce: ogni anno, a Pasqua, gli ebrei crocifiggono un bambino. Questo sempre secondo la ricostruzione di Tommaso, che fornisce anche la pezza d'appoggio: le ferite sul corpo del ragazzo "corrispondono" - un caso di pareidolia da manuale! - a quelle di Gesù Cristo: quelle sulla fronte sono i graffi e i tagli della corona di spine, quelle sulle braccia i chiodi nelle mani e quelle al torso la ferita al costato».

«Secondo il popolo di Norwich», si inserì Diotallevi, «per quale motivo gli ebrei crocifiggerebbero i bambini cristiani?».

Sapeva benissimo la risposta, come un esaminatore sa le risposte dei quesiti che pone all'esaminato.

«Per invidia», risposi. Annuì. «Invidia della vera religione. Gli ebrei, cocciuti, vogliono restare ebrei, ma in cuor loro sanno che il messia è già arrivato ed era il Cristo. Si convincono così che la riproposizione del sacrificio di Cristo nell'identico sacrificio di un cristiano innocente possa conciliare due mondi, garantire loro la salvezza nell'aldilà e, secondo una profezia scritta a cui accenna Tommaso, la riconquista di Israele. La stessa spiegazione verrà data per il vampirismo: cibarsi del sangue di un cristiano è un equivalente dell'eucarestia».

«Però a Norwich l'elemento vampirico manca», osservò Diotallevi. «Si descrive un omicidio rituale, ma non c'è ancora l'accusa del sangue. Gli ebrei non vengono accusati di aver dissanguato il ragazzo».

«Vero, quello del 1144 è una sorta di prologo, o di "episodio pilota", come nelle serie tv. È importante perché comincia a intravedersi una scena, e soprattutto perché prende forma un movente. Movente che sarà buono per altre accuse. Come dicevo, dell'episodio in sé sappiamo pochissimo... Sappiamo molto di più sul caso di Simonino di Trento».

«Beato sì, lui», disse Belbo.

«Dipende dal senso che dai al vocabolo», disse Diotallevi.

«Beato lo è stato. Dal 1965 non lo è più. Ci ha pensato papa Giovanni».

«Vada avanti», mi incalzò Diotallevi.

«La storia si svolge nel 1475. Ora, va ricordato che all'epoca i più grandi agitatori di folle contro gli ebrei, i più attivi spargitori di leggende d'odio antigiudaiche sono i francescani. I frati minori scalzi, in special modo. Predicano in giro per paesi, a piedi nudi, e si inventano le peggio cose...».

«Saranno anche i geloni», disse Belbo. «Non fanno bene all'umore».

«Come mai ce l'hanno tanto con gli ebrei?», domandò Diotallevi.

«Be', il più delle volte i membri dell'ordine vengono dalla borghesia, dal ceto mercantile delle città. Come lo stesso Francesco, del resto: suo padre era un ricco mercante di tessuti. Bottegai e mercanti ce l'hanno con gli ebrei per questioni di concorrenza, perché anche gli ebrei commerciano, e a volte di debiti, perché molti ebrei praticano il prestito su pegno. Per i francescani quest'ultimo è usura, da cui lo stereotipo dell'ebreo usuraio, fino a Shylock, che chiederà in pegno una libbra di carne di Antonio...».

«Se non sbaglio», disse Belbo, «sono i francescani, e proprio in quel periodo, a istituire i monti di pietà».

«Esatto, posti dove il cristiano in momentanee ambasce possa ottenere prestiti senza ricorrere ai perfidi giudei. A tutto questo, aggiungerei che nel Trecento la peste nera ha decimato la popolazione europea. Durante la pandemia si sono diffuse fantasie di complotto sugli ebrei come untori e ci sono stati pogrom in mezza Europa. Storie e avvenimenti che nel 1475 sono ancora nella memoria popolare. A Trento a infervorare il popolo ci pensa Bernardino da Feltre...».

«Il beato Bernardino. Stavolta dico bene: lo è a tutt'oggi».

«Infatti, canonizzato nel 1654. Uno dei più furibondi calunniatori di ebrei, e una specie di star, era sempre in tour, come Bob Dylan».

«Un musico giudeo? Dubito avrebbe apprezzato il paragone».

«Bernardino arriva a Trento all'inizio della quaresima e nelle sue prediche chiede a gran voce l'espulsione degli ebrei dalla città, dal Tirolo, da ogni dove... Il verbo che usa è "smorbare": le città vanno smorbate dagli ebrei. Che a Trento, però, sono poche decine».

«Tipico», disse Diotallevi. «Meno siamo e più numerosi ci immagini».

«Il giorno di Pasqua, domenica 26 marzo, sono gli ebrei stessi a rivolgersi alle autorità: hanno trovato un corpicino in una forra, un canaletto che passa sotto la casa di Samuele da Norimberga, uno dei membri più prestigiosi della comunità. È il cadavere di un bimbo di nome Simone, due anni e mezzo, scomparso da casa il Giovedì santo. Il bimbo è annegato, ma subito corrono voci di una morte ben diversa: lo hanno ucciso i giudei. Stavolta emerge l'accusa del sangue nella sua compiutezza: il sangue di un bambino cristiano serve come ingrediente per la matzah, il pane azzimo che gli ebrei mangiano durante Pesach. Il principe vescovo della città, Giovanni Hinderbach, fa arrestare ventitré persone, cioè buona parte della comunità ebraica cittadina. Vengono torturate a lungo, tipo il Piazza nella Storia della colonna infame, e si hanno le tipiche confessioni da processo inquisitorio. Processo che si conclude con quindici condanne a morte: in nove ardono subito sul rogo, mentre altri sei, che nel frattempo si sono convertiti, vengono trattati con misericordia: prima di bruciarli, li decapitano».

«Ho la gola secca», disse Belbo, guardando nel vuoto. «Un altro giro?».

Acconsentimmo. Belbo prese un altro whisky etichetta rossa, Diotallevi una seconda acqua tonica e io, che non volevo più bollicine, chiesi un tè.

«Un tè?», chiese Pilade stringendo gli occhi. Non era una richiesta da bar anni Settanta.

[...]

«Nei secoli passati la Santa Sede non ha tenuto una linea precisa: alcuni papi hanno difeso gli ebrei dall'accusa, altri l'hanno ufficialmente data per vera, altri se ne sono lavati le mani, mentre preti e frati erano in prima linea, nei territori, a pompare la fantasia di complotto e istigare le popolazioni. Ma adesso, nell'Ottocento, abbiamo una chiesa in ripiego, ferita e sulla difensiva, impaurita dal mondo moderno, che trova negli ebrei i nemici perfetti. Agli ebrei si arriverà a dare la colpa della Rivoluzione francese, dei moti carbonari e mazziniani, del terribile Quarantotto, del Risorgimento e dopo il 1870 della caduta dello Stato pontificio. In generale, della modernità stessa come grande complotto, narrazione che avrà molta fortuna. Ci arriverò tra poco, quando parlerò di Barruel e poi dei Protocolli dei savi anziani di Sion. Qui basti dire che dopo Damasco la propaganda cattolica del diciannovesimo secolo è ossessionata dalla questione giudaica e, nello specifico, dall'accusa del sangue. Quello dello Stato pontificio, nonostante l'antimodernismo dei contenuti, è un esempio molto moderno e anticipatore di cospirazionismo di stato. Sia i fascismi sia la Russia stalinista ne ricaveranno qualche preziosa "dritta"».

«Non parli troppo forte», disse Belbo, «ci sono anche stalinisti qui dentro. Variante katanga. Rischia un colpo di chiave inglese».

«Dopo la perdita del potere temporale, i papi "prigionieri in Vaticano» ce l'hanno con gli ebrei anche più di prima. Soprattutto negli anni Ottanta e Novanta la stampa cattolica, italiana ed europea, si scatena, in particolare La civiltà Cattolica, testata vicinissima al pontefice, di cui è ritenuta la voce nella battaglia contro il modernismo. Gli articoli de La Civiltà Cattolica escono previa approvazione della segreteria di stato. Ci scrivono sopra odiatori di ebrei a tempo pieno come padre Giuseppe Oreglia e padre Francesco Rondina. Proprio un esempio della prosa di quest'ultimo, tratto da un articolo del 1893, permette di vedere che alla scena dell'omicidio rituale si sono aggiunti nuovi dettagli: "Perché il sangue di un bambino cristiano sia acconcio al rito e proficuo alla salute dell'anima giudaica, conviene che il bimbo muoia tra i tormenti, come appunto accadde all'innocente Simoncino e a tanti altri uccisi a punta di spilli, o tagliuzzati a membro a membro, o crocifissi"».

«Devono soffrire, così il sangue è più buono. Gli manca solo di menzionare la ghiandola surrenale e l'adrenocromo».

«Queste cose non si scrivono solo su La civiltà Cattolica, ma su un buon numero di giornali cattolici, e sullo stesso Osservatore Romano, dove leggiamo, in un articolo del luglio 1892, della "misera schiatta di Giuda [che uccide] cristiani per servirsi del loro sangue in detestabili riti"».

Diotallevi si mise una mano davanti alla bocca, per coprire il rumore di un rutto. «Pardon», disse.

«Che tempismo...», osservò Belbo, aggrottando la fronte.

«Non tutto è allegoria», replicò Diotallevi.

«Detto da te fa scalpore», ribatté l'altro.

Probabilmente si punzecchiavano così tutto il giorno.

«Posso continuare?», domandai.

«Prego».

«L'Ottocento è anche il secolo in cui la figura del vampiro cattura l'immaginario, un processo che si compie tra il romanticismo e l'età tardo-vittoriana. The Vampyre di Polidori è del 1819, Carmilla di Le Fanu del 1872, Dracula di Stoker del 1897. Come ho scritto, il vampiro finisce anche in diversi scritti di Marx come metafora del capitale. E di fatto, la stampa cattolica descrive gli ebrei come vampiri. In questo modo stabilisce, a mio avviso, non una ma due connessioni archetipiche, entrambe destinate a un grande successo: quella più specifica la ritroviamo oggi nei fotomontaggi che mostrano Soros come un diafano vampiro; l'altra è più generica, è quella tra ebrei e sangue. Soprattutto all'epoca, sangue significa stirpe, razza. Se traduciamo così, otteniamo quest'enunciato: gli ebrei, inferiori come razza, per imporsi devono parassitare la razza superiore. Ci troviamo sul confine, frastagliato e mobile, tra antigiudaismo cattolico e antisemitismo razzista. Ricordiamoci che l'Austria e il sud della Germania, cioè le zone dell'incubazione nazista, sono terre profondamente cattoliche».

«Amen».

«L'ultimo exploit dell'accusa del sangue è nel 1913. Il caso Beilis, a Kiev. Mendel Beilis è un ebreo russo, impiegato in una fabbrica di mattoni, che nel 1911 viene accusato di aver ucciso e mutilato un ragazzino di tredici anni, Andrei Yushchinsky. Mentre è in carcere in attesa del processo, il caso si gonfia, il delitto diventa un omicidio rituale, e la stampa colpevolista ritira in ballo tutto il repertorio, compreso il beato Simonino. Alla fine Beilis viene assolto. In seguito l'accusa del sangue rimane sottotraccia, si potrebbe dire che non ce n'è più bisogno: contro gli ebrei stanno già facendo un ottimo lavoro i Protocolli dei savi anziani di Sion. Nondimeno l'accusa non si estingue, le leggende d'odio non lo fanno mai. Rimane sottotraccia e ogni tanto riemerge. Alcuni suoi elementi li ritroviamo negli anni Ottanta e Novanta, incastonati nella fantasia di complotto sull'Abuso Rituale Satanico. Infine, diventa la scena primaria di QAnon. Almeno, della versione di QAnon che abbiamo conosciuto sinora».

«La sua ricostruzione mi sembra convincente», disse Belbo. «Non so come la veda il nostro Diotallevi».

Diotallevi mosse il capo di qua e di là, a scatti, come chi sta ancora ponderando una questione ma pencola più per un responso positivo.

«Però QAnon è molto più della sua scena primaria, a cui siamo arrivati seguendo uno solo degli innumerevoli fili. Questo partiva dal Medioevo. Ora ne seguiremo uno che parte dal Rinascimento... Se non ho già abusato del loro tempo».

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«E questo era il terzo passaggio».

«Il quarto è il più semplice. In pratica, Golovinskij ha già tutto pronto: il luogo, la scena, i rabbini e i discorsi. Deve solo cucire i materiali, e lo fa in pochi giorni».

«Ma la cucitura si vede».

«Non è che di nasconderla gli importi granché... I Protocolli sono un falso scritto en passant e per un fine specifico: convincere lo zar Nicola II a non prestare ascolto ai suoi consiglieri più liberali, quelli che gli chiedono una maggiore apertura verso la Francia e in genere l'Europa occidentale, accompagnata a una modernizzazione del paese. L'Okhrana vuole far credere allo zar, il quale certo non ama gli ebrei, che la modernità sia solo un complotto di questi ultimi. Golovinskij e l'Okhrana hanno quel vicino orizzonte e non guardano oltre».

«E invece...».

«Invece i Protocolli varcheranno orizzonti ben più lontani. Avranno un successo inaspettato e tumultuoso perché funzionano. In che senso funzionano, perché? Perché per la prima volta la voce non è quella del nemico degli ebrei che denuncia con veemenza i loro piani, ma quella degli ebrei stessi che li espongono con calma, sincerità - perché sono tra di loro - e pure fierezza. Tolto dalla cornice del romanzo e inserito in quella del documento "autentico", l'espediente narrativo è fortissimo. I Protocolli vengono pubblicati in Russia nel 1903, e ottengono il loro scopo contingente: lo zar Nicola scarta ogni ipotesi di modernizzazione. Per qualche tempo non sembra accadere altro, ma poi...».

«...poi in Russia ci sono due rivoluzioni».

«Quella fallita del 1905 e quella riuscita del 1917. È soprattutto quest'ultima a "inverare" i Protocolli».

«Non sia pedissequo, con quelle virgolette a mezz'aria. Le garantisco che sappiamo cogliere le sfumature».

«Scusate. Alla fantasia sul complotto giudaico-massonico si aggiunge, e subito si ibrida, quella del complotto "giudeo-bolscevico". Nel giro di qualche anno i Protocolli sono tradotti in inglese, francese, tedesco, italiano, spagnolo, portoghese, arabo, giapponese... Tra i primi estimatori del testo ci sono lo scrittore Rudyard Kipling , che ne raccomanda la diffusione in Inghilterra, e il magnate delle automobili Henry Ford , che su un giornale di sua proprietà scrive personalmente una serie di articoli ispirati ai Protocolli, poi raccolti in libro col titolo The International Jew».

«È uscito anche in Italia, nel 1938», disse Diotallevi. «L'ebreo internazionale, di Enrico Ford. Tradotto da Enrico Gemignani per Sonzogno».

«Ma i Protocolli stessi erano stati tradotti già nel 1921, per iniziativa di Giuseppe Preziosi. Restiamo a quell'anno ma torniamo in Inghilterra: il Times di Londra, all'inizio, dei Protocolli ne parla bene, ma nel 1921 il suo corrispondente Philip Graves, che ha avuto la soffiata a Istanbul da un ex agente dell'Okhrana, rivela che il testo è stato plagiato dal pamphlet di Jolie».

«Conseguenze?».

«Poche. Come ho scritto, il debunking predica ai convertiti. Dimostrare che i Protocolli sono falsi non li squalifica agli occhi dei loro estimatori. L'escamotage a cui ricorrono tutti, da Hitler a Julius Evola passando per l'ideologa fascista inglese Nesta Webster, è che il testo è un falso ma dice il vero. Ecco cosa scrive Evola nel 1938: "quand'anche (cioè: dato e non concesso) i Protocolli non fossero autentici nel senso più ristretto, è come se essi lo fossero, per due ragioni capitali e decisive: 1) Perché i fatti ne dimostrano la verità; 2) Perché la loro corrispondenza con le idee-madre dell'Ebraismo tradizionale e moderno è incontestabile"».

«E da allora non se ne sono mai andati».

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Capitolo quattro

Prove spettrali: il diavolo in America


«Ma prima di attraversare l'Atlantico, dobbiamo afferrare un terzo filo qui in Europa: quello della caccia alle streghe. Che molti associano al Medioevo, ma in realtà è coevo del Rinascimento e della prima modernità. Questa storia ha un prologo nella seconda metà del Trecento, un inizio vero e proprio nel Quattrocento, arriva al culmine tra Cinquecento e Seicento, poi c'è un finale piuttosto sfilacciato. Più che un finale, come vedremo, è uno spargersi, un disseminarsi, un interrarsi in attesa di...».

«E vada al punto, no?».

«Subito. Nella sua Storia notturna Carlo Ginzburg mostra che la caccia alle streghe deriva dalla caccia all'ebreo e da quella all'eretico. No, detta così non ha senso, ci riprovo: le fantasie di complotto sulle streghe hanno la loro matrice nel "complotto di lebbrosi, ebrei e maomettani" fantasticato in Francia nel 1321. È quello a costruire la scena dell'ebreo che sparge veleno. Poco più di vent'anni dopo, quando arriva in Europa la peste nera, ci si ricorda di quella storia e fioriscono fantasie di complotto sugli ebrei responsabili di diffondere il morbo, con conseguenti massacri in mezzo continente. È che c'è urgente bisogno di una spiegazione, di punti fermi, della rassicurazione che può dare il sacrificio di un capro espiatorio, perché è davvero la fine del mondo: la peste travolge le società europee e fa sparire venticinque milioni di persone, più di un terzo della popolazione del continente. Le ripercussioni sono immani: carestie, rivolte popolari ovunque e, si può dire, l'inizio della fine del feudalesimo».

«Nonché la caccia alle streghe».

«Esatto, la caccia alle streghe è un'altra conseguenza dello sconvolgimento trecentesco. La scena del sabba, del convegno di streghe come orgia rituale notturna, prende forma nel mondo alpino occidentale nella seconda metà del Trecento. In quelle zone l'Inquisizione è già impegnata a colpire i valdesi, scomunicati fin dal 1184, e ha la tendenza a chiamare "valdese" ogni presunto eretico. C'è un momento in cui tutte le linee s'incurvano e convergono: il moral panic sull'eresia e sulla peste, la presenza di nemici della chiesa, immagini di veleni e pozioni...».

«Una singolarità».

«Sì. E sullo sfondo di un mondo devastato dalla pandemia, questo temporale di immagini annaffia un sostrato di cultura popolare, di memorie profonde e mitologie di metamorfosi, di reminiscenze di rituali sciamanici... Tutti elementi che finiscono nella scena del sabba. Nel suo libro Ginzburg s'interroga sulla loro provenienza e sulle loro trasformazioni, e nel tracciare e seguire le varianti si sposta sempre più a est, fino al Caucaso, all'Asia centrale e ancora più in là. Arriva fino in Siberia! La scena del sabba, scrive, è l'esito di convergenze recenti ma anche di un lunghissimo viaggio e di un lunghissimo sedimentare. Noi però restiamo a ovest. Per andare, tra poco, ancora più a ovest».

«Non sia così didascalico, non sta intrattenendo dei bambini».

«Chiedo venia. L'idea della "setta stregonesca" si forma nel mondo alpino occidentale negli anni Sessanta e Settanta del Trecento. Ci sono testimonianze dalla Savoia, dal Delfinato, dalla Svizzera... Ma dobbiamo attendere il 1409 perché papa Alessandro V invii una sua bolla all'inquisitore francescano Ponce Fougeyron. Costui ha giurisdizione su un'area che include Ginevra, Aosta e il Delfinato, fino ad Avignone. Nella bolla il papa prende atto che in quelle zone eretici ed ebrei hanno istituito "nuove sette" e diffuso "riti proibiti", stregoneschi, basati sul rifiuto della fede cristiana, ed esorta l'inquisitore ad agire con nerbo. È l'alba della caccia alle streghe. Altre bolle papali toccheranno il tema: la più nota è la Summis desiderantes affectibus di Innocenzo VIII, perché è riprodotta nel più famoso libro sulla stregoneria di tutti i tempi, il Malleus Maleficarum di Henricus Institor , che poi sarebbe Heinrich Kramer, stampato nel 1486. Henricus è un teologo e un inquisitore fanatico, e scrive il Malleus per fornire ai colleghi un vero manuale su come individuare, catturare, processare ed eliminare le streghe. Ne elenca le abitudini e i segni particolari che le tradiscono, su tutti lo stigma diaboli, un punto del corpo in cui sono del tutto insensibili al dolore. In queste pagine viene codificata una cultura del sospetto e della violenza contro le donne, che vanno sorvegliate e scrutate in ogni loro comportamento, per capire se sono streghe. I presunti segni rivelatori sono grottescamente numerosi, dall'utilizzo di certe erbe a un troppo frequente assistere nel parto altre donne, passando per qualunque gesto possa costituire disobbedienza nei confronti dell'autorità maschile».

Mi fermai per prendere fiato.

«Henricus passa in rassegna presunti rituali e sortilegi e finalmente, in una parte più "procedurale", passa alle questioni pratiche: dà consigli agli inquisitori su come raccogliere delazioni e dicerie, e per la fase dell'istruttoria raccomanda la tortura. La strega va pungolata con un ferro rovente finché non si trova lo stigma diaboli».

«E al ferro rovente segue il rogo», disse Diotallevi. «Credo che la connessione archetipica di cui parlava, quella tra ebrei e malattia, possa valere anche per le streghe. Al morbo si risponde con il fuoco purificatore».

«Non fa una piega», disse Belbo.

«La caccia alle streghe», continuai, «la praticano con zelo tanto i cattolici quanto i protestanti, basti dire che due dei luoghi dove troviamo più processi ed esecuzioni sono la Scozia, che è calvinista, e il sud della Germania, che è papista. Si stima che il numero totale di esecuzioni vada da quarantamila a sessantamila. In grandissima parte si processano e uccidono donne, che sono l'ottanta per cento delle persone imputate di stregoneria. È una vera e propria guerra contro le donne. Una guerra che, come fa notare Silvia Federici , avviene nella fase dell'accumulazione originaria di capitale, il momento in cui vaste masse di produttori rurali sono separate dai loro mezzi di produzione, cioè espropriate delle terre che avevano coltivato. È la nascita del moderno proletariato, e l'alba del capitalismo. La caccia alle streghe contribuisce al processo, spezzando legami sociali, rimuovendo consuetudini e usi civici, disciplinando il corpo sociale. Soprattutto, disciplinando le donne. Il periodo più intenso va dalla metà del Cinquecento ai primi tre decenni del Seicento, poi il fenomeno comincia a declinare. Sulle cause di questo declino ci sono tante ipotesi e una bibliografia...».

«...che qui a noi non interessa».

«Ma ci interessa il fatto che quando i puritani inglesi attraversano l'Atlantico...».

«Oh, finalmente si parte!».

«...per colonizzare il New England, nella terra che si lasciano alle spalle la caccia alle streghe è ancora in corso. La grande migrazione dei puritani avviene tra il 1620 e il 1640. Nel nuovo mondo portano con sé le loro credenze sulle streghe».

«Stiamo andando a Salem, dunque».

«Devo congratularmi per la perspicacia?».

«Touché. Vada avanti».

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Pagina 445

Capitolo cinque

Gli anni Sessanta: Il mattino dei maghi


Fu allora che sentii la musica.

C'era sempre stata? Forse prima era coperta dal brusio e poi, immerso nel mio discorso, non ci avevo fatto caso. Era a volume molto basso, quasi sub limine. Su una parete notai l'uscita della filodiffusione. Era il quarto canale, quello della musica leggera. Riconobbi la canzone. Stevie Wonder. Superstition.

[...]

«Nel 1960 esce in Francia un libro che avrà grande influenza: Le matin des magiciens, di Louis Pauwels e Jacques Bergier. Da qui in avanti, per comodità, userò il titolo italiano: Il mattino dei maghi ».

«Pensi che qualcuno ci suggerì di comprare i diritti», disse Belbo, «prima che concludessero con Mondadori. Ma il signor Garamond disse che in Italia non avrebbe funzionato».

«E invece, come ha visto, il suo principale avrebbe fatto un affarone. Il mattino dei maghi è un libro lunghissimo, e per giunta l'edizione francese è costosa, eppure diventa un best seller, prima in patria, dove arriverà a vendere due milioni di copie, poi in mezzo pianeta. Da quel momento non è più solo un libro, ma un fenomeno culturale. Per anni l'opera sembrerà preveggente, perché i due autori mettono insieme ogni tema "strano" destinato a spopolare in certi ambienti, certe sacche non piccole della cultura di massa. Ne elenco un po' a casaccio: la nuova fisica e la chimica nucleare riscoprono l'antico sapere degli alchimisti; civiltà ancestrali si sono autodistrutte dopo avere raggiunto il nostro stesso grado di sviluppo tecnologico; il nazismo ha le proprie origini in alcune società occultiste fin de siècle e Hitler ha condotto la guerra sulla base di credenze esoteriche, da qui gli errori e la catastrofe finale; nell'antichità o addirittura nella preistoria il nostro pianeta è stato visitato da viaggiatori spaziali alieni; presto la scienza spiegherà i fenomeni paranormali... E dopo ogni racconto ed esposizione l'annuncio ripetuto, guarda un po', di un "nuovo risveglio", un'era di nuove consapevolezze. C'è chi dice che questo libro ha fondato la New Age. È una forzatura, però contiene un nucleo di verità, perché il suo successo mondiale si inserisce in processi già in corso e li influenza».

«Da dove sbucano questi Pauwels e Bergier?».

«Sono, rispettivamente, un letterato di destra innamorato della "poesia della nuova scienza" e un ingegnere e divulgatore scientifico, già membro della Resistenza francese, che ha bisogno di fare comunella col letterato per comunicare quella poesia. In effetti, i libri che Bergier scriverà da solo sono piuttosto aridi, stilisticamente parlando».

«Strana coppia, no?».

«Non c'è dubbio. E sghemba. Sono entrambi autori, ma a dire "io" nel libro è sempre Pauwels. Bergier non parla mai».

«Come quei Penn & Teller di cui scrive lei. Teller non parla mai».

Non ci avevo pensato. Dovevo riferire il parallelismo a Mariano.

«L'introduzione al libro scritta da Pauwels è un testo di grande spessore letterario, e una testimonianza che lascia il segno. Pauwels è figlio di un artigiano socialista, ma si è nutrito di Guénon, Gurdjeff, Evola... Quel filone esoterico-sapienziale che a destra chiamano la Tradizione, con la maiuscola reverenziale. Tradizione che non esiste, ovviamente, perché quella della "sapienza antica", come abbiamo visto, è mitologia moderna. Questa Tradizione è solo un insieme di effetti di mistero prodotti dalla macchina mitologica reazionaria».

«Mi sembra troppo tranchant», commentò Diotallevi, la voce appena sopra il sussurro. «Non c'è solo quella Tradizione, che, concordo, è un bric-à-brac... Un bric-à-brac antisemita... Ci sono correnti che... E il fatto che un testo sia antidatato non significa...».

E si addormentò, lì seduto, a capo leggermente chino in avanti.

La filodiffusione trasmetteva Alice di Francesco De Gregori: «E il tram di mezzanotte se ne va...».

«Che facciamo?», chiesi a Belbo, imbarazzato.

«Lo lasciamo riposare».

«Gli capita spesso?».

«In realtà no. Che io sappia è insonne. Ma vada avanti, vada».

«All'inizio del libro Pauwels si confessa, prende le distanze dalla Tradizione e dalla reazione e dice di aver intrapreso un grosso lavoro per recuperare la Tradizione senza la reazione, cioè ritrovare il sapere antico ed esoterico non andando indietro ma andando avanti, nelle manifestazioni più avanzate del mondo moderno. Dice di non essere più reazionario, ma che esserlo stato gli ha fatto bene ed è contento di esserci passato. Il pensiero reazionario lo ha salvato dal positivismo, dall'accettazione acritica di un'idea troppo angusta di modernità. Ecco le sue parole, scusi la citazione un po' lunga: "Quando uscii dalla mia nicchia di yogin per dare uno sguardo al mondo moderno che condannavo senza conoscere, vidi subito il meraviglioso. Il mio studio reazionario, spesso pieno di orgoglio e di odio, era stato utile in questo: mi aveva impedito di aderire a questo mondo dal lato negativo: il vecchio razionalismo del diciannovesimo secolo, il progressismo demagogico. Mi aveva anche impedito di accettare questo mondo come una cosa naturale e soltanto perché era il mio mondo, di accettarlo in uno stato di coscienza sonnolenta, come fa la maggior parte delle persone. Con l'occhio rinfrancato da quel lungo soggiorno fuori del mio tempo, vidi questo mondo ricco di fantastico reale quanto il mondo della tradizione era per me ricco di fantastico immaginario. Meglio ancora: ciò che imparavo del secolo modificava, approfondendola, la mia conoscenza dello spirito antico. Vidi le cose antiche con occhi nuovi, e i miei occhi erano nuovi anche per vedere le cose nuove"».

«La prosa è elegante, non c'è dubbio».

«E nutre un libro di grande potenza. Leggerlo non appena uscito dev'essere stata un'esperienza fulminante. Oggi si legge ancora bene, ma nel frattempo molte delle cose che dice sono state rimasticate mille volte, i riferimenti scientifici sono tutti datati, il contesto a cui alludeva non c'è più...».

«Mi parli delle tesi che quei due portano avanti».

«Prima di tutto, il loro è un libro rosacrociano».

«Ah».

«O meglio, non sarebbe così senza i Rosacroce. Tra poco dirò in che senso. Prima dicevo del contesto: su ogni pagina del Mattino dei maghi si allungano minacciose le ombre di Auschwitz e di Hiroshima, la guerra fredda, l'equilibrio del terrore... Guardando al futuro imminente, la minaccia atomica è il futuro da scongiurare, mentre guardando al passato prossimo, il nazismo è l'esempio di cosa non fare con il sapere antico ed esoterico, un racconto ammonitore da tenere sempre in testa. Il libro è scritto in modo da inebriare, esaltare, mandare il lettore in trance: un affastellarsi continuo di aneddoti scientifici (svariati inventati ad hoc), storie bislacche, svirgolate di prosa poetica, annunci in pompa magna, salti di palo in frasca, interi racconti di fantascienza incastonati nella struttura... Dal punto di vista del metodo, la guida è lo scrittore americano Charles Hoy Fort, morto nel 1932, noto raccoglitore di stranezze ed eventi inspiegabili. Nel suo Libro dei dannati Fort ha scritto: "Bisogna ricominciare tutto reintroducendo i fatti esclusi [...]. Prima di tutto reintrodurli, poi, se possibile, spiegarli"».

«Se possibile. Altrimenti?».

«Rimangono lì, inspiegati. Pauwels e Bergier ne snocciolano tantissimi e sembrano disporli alla rinfusa. Sta al lettore individuare i nessi. Infatti citano l'alchimista Fulcanelli: "Lasciamo al lettore la cura di fare tutti gli accostamenti utili, di coordinare le versioni, di isolare la verità positiva combinata con l'allegoria leggendaria in questi frammenti enigmatici". E loro stessi scrivono: "Abbiamo tentato di aprire al lettore il maggior numero possibile di porte, e poiché la maggior parte di esse si aprono dall'interno, ci siamo tirati da parte per lasciarlo passare"».

«Sembra QAnon: "Fai le tue ricerche", io ti dò solo i puntini da unire...».

«Esatto, Do your own research per cogliere le linee del complotto, che è un complotto per il tuo bene. Ecco che si torna ai Rosacroce: il complotto è benigno. "La cospirazione in piena luce", così si intitola la seconda parte del libro. Ebbene, questa narrazione è arrivata fino a QAnon. A la sua pars construens intendo. Perché, ricordiamolo sempre, QAnon ha sì una narrazione negativa, quella contro la Cabal, ma ne ha anche una positiva, quella sulla nuova società che sorgerà dopo il Grande Risveglio, una società governata benignamente da Trump e dai cappelli bianchi. Accadrà, fidati, confida nel piano...».

La notte in cui feci quel sogno Trump era già fuori dalla Casa bianca, e ne era pure uscito male. Mi fece effetto rievocare le speranze di palingenesi che un uomo tanto mediocre e meschino era arrivato a incarnare.

«Il mattino dei maghi ha qualcosa che non torna, ma lì per lì, leggendo, non si saprebbe dire cosa.

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Pagina 562

L'intero bar urlava. Un urlo al tempo stesso di possanza e di dolore. Un urlo da «muoia Sansone».

«Purtroppo il fatto che all'inizio tra gli arrestati ci sia il sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, indagato solo per un presunto abuso d'ufficio, alimenta la fantasia di complotto sulla "sinistra" che complotta per togliere i bambini ai bravi padri di famiglia, magari per darli a "famiglie arcobaleno", cioè, per la destra, a coppie di froci o lesbiche. Sono imminenti le elezioni regionali e si scatena una tempesta di merda. La destra cavalca il "caso Bibbiano", lo strumentalizza in modi sconci, ne trae ulteriori fantasie di complotto che somigliano alla narrazione di QAnon: il deep state rapisce i bambini! Anche se in questo caso sarebbe la deep regional administration... Il bello è che anche l'altra fantasia di complotto, quella che viene direttamente dagli anni Novanta ed è attribuita a Monopoli, Anghinolfi e altri indagati, somiglia alla narrazione di QAnon. Abbiamo simil-QAnon da una parte e dall'altra. A destra abbiamo addirittura due fantasie di complotto al tempo stesso contrapposte e intercambiabili...».

L'ambiente era enfio di un lezzo insopportabile, gli alcolici di tutte le bottiglie rotte si mischiavano tra loro e con miasmi escrementizi provenienti dal bagno. Doveva essere esploso il water.

«Ma la spaccatura più significativa si ha nella società emiliano-romagnola, per tutto il periodo della campagna elettorale, dal novembre 2019 al gennaio 2020. Da una parte la destra sguazza nel cospirazionismo più bieco; dall'altra la "sinistra" pensa che sia tutta una bufala e che a Bibbiano non sia successo niente. È un dato di fatto: dopo il 6 dicembre, giorno in cui la Cassazione revoca le misure cautelari al sindaco Carletti, il Pd si disinteressa della faccenda, come se fosse già finita. Insomma, le distorsioni causate dal cospirazionismo occultano le vere linee di frattura e producono un surrogato di conflitto. Si chiude ogni spazio per chi non vuole aderire a fantasie di complotto ma non vuole nemmeno scartare a priori sensate ipotesi di complotto. Perché quei centootto fatti di reato ipotizzano un complotto, che potenzialmente ha ogni caratteristica dei complotti reali: ha un focus preciso, è messo in pratica in modo imperfetto da un numero di attori limitato la cui attività è cessata con l'arresto, ed è immanente a una precisa fase storica, inimmaginabile senza le varie "riforme" che nel corso degli anni hanno "esternalizzato" e di fatto privatizzato sanità, assistenza, servizi, welfare... Le fantasie di complotto su Bibbiano hanno impedito di parlare di questo. Ancora una volta il cospirazionismo ha difeso il sist...».

Nel pavimento, proprio di fronte a me, si aprì un crepaccio che inghiottì il tavolino e la sedia su cui fino a poco prima sedeva Belbo.

La parete in fondo si squarciò, e poiché era un muro portante, fece crollare una parte di soffitto, e poiché eravamo al pianterreno, di lì a poco sarebbe venuto giù tutto il palazzo.

Mi alzai di scatto, avevo atteso sin troppo, dovevo uscire di corsa.

Giunto alla serranda abbassata per tre quarti, mi chinai per passarci sotto e...

Mi venne il colpo della strega.

Dopo tutto quello che hai detto sulla caccia alle streghe, disse il mio inconscio, ancora lo chiami così? Vergogna!

Il dolore era atroce, ma dovevo muovermi. Strisciai sotto la serranda e cercai di allontanarmi il più possibile dall'edificio, perché non mi rovinasse addosso.

Faccia a terra, gli occhi chiusi, respirai l'aria della notte a grandi boccate. Cercai di calmare il dolore, di controllare le fitte. Non era il luogo né il momento per gli esercizi, ma cos'altro potevo fare?

Dopo un paio di minuti, mi azzardai a mettermi carponi.

Riaprii gli occhi, e feci per alzare lo sguardo su piazza Mirabello, chiedendomi se le bombe di prima l'avessero devastata...

In quel momento mi svegliai.

Ero a casa.

Dorothy's back in Kansas, pensai.

E non avevo mal di schiena.

Non avevo idea di che ora fosse, ma il sole era già alto. Claudia e Matilde erano già uscite.

Squillò il telefono. Era Luca: «Anche l'ultimo capitolo va bene. Come al solito, qualche espressione giuridica leggermente sbavata, ma il mio è un puntiglio, si capisce tutto benissimo».

Ma quando li avevo scritti, quei capitoli? Mentre vagavo sonnambulo? Boh. L'importante era che ci fossero, e che andassero bene. Mi appuntai di rileggerli e spedirli a Pietro.

Ormai era fatta.

Pensai agli anni che avevo dedicato a quel libro. Alle cose che mi erano accadute nel frattempo. All'emergenza Covid, alle tensioni del 2020, agli strascichi che avrebbero lasciato.

Mi sembrava di avere scritto per mille anni.

Mi sembrava di avere scritto un miliardo di pagine.

E nonostante ciò, mi sembrava di aver lasciato fuori troppe cose, di non essere riuscito a spiegarmi come avrei voluto, di non...

«Oh, basta là!», disse una voce, da qualche parte nella mia testa. «Andiamo avanti».

Aveva ragione, ovviamente.

E fu così che mi risolsi a cominciare la giornata.


Bologna, settembre 2018 - febbraio 2021

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