Copertina
Autore Banana Yoshimoto
Titolo Presagio triste
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2003, Super UE , pag. 128, dim. 135x205x9 mm , Isbn 978-88-07-84022-7
OriginaleKanashii Yokan [1988]
TraduttoreGiorgio Amitrano
LettoreGiovanna Bacci, 2003
Classe narrativa giapponese
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Pagina 7 [ inizio libro ]

Quella vecchia casa si trovava in un quartiere residenziale piuttosto distante dalla stazione. Poiché era alle spalle di un grande parco, era sempre avvolta da un intenso profumo di verde e, specialmente dopo che aveva piovuto, l'aria diventava così densa, come se le strade che circondavano la casa si fossero trasformate in una foresta, da farsi quasi soffocante.

Abitai anch'io per poco tempo in quella casa dove mia zia aveva vissuto a lungo da sola. Ripensandoci, quel breve momento è diventato per me un periodo prezioso e unico. Quando lo ricordo, vengo presa da una sensazione indefinibile. Come un miraggio apparso all'improvviso, quei giorni sembrano perdere ogni realtà.

Ripenso con struggente nostalgia alle ore trasparenti passate con la zia, noi due da sole. Credo sia stata una fortuna aver potuto condividere con lei quello spazio che era nato tra le fessure del tempo grazie a circostanze del tutto casuali.

Ricordo tutto perfettamente. La vecchia porta di legno aveva un pomello dorato ormai opaco. Le erbacce nel giardino, a lungo trascurate, erano cresciute altissime e fitte, e insieme agli alberi ormai quasi secchi nascondevano il cielo.

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Pagina 11

A quel tempo ero ancora una bambina delle elementari.

La mattina del funerale di mio nonno materno, il cielo era nuvoloso e brillante e sembrava dovesse nevicare da un momento all'altro. Me ne ricordo bene. Dal futon guardavo quel cielo vagamente luminoso oltre lo shoji. Accanto alla finestra era appeso il vestito da lutto che avrei indossato quel giorno.

Ogni tanto sentivo dal corridoio la voce di mia madre, che telefonava senza interruzione, soffocata dal pianto. Ero ancora piccola, e non sapevo bene che cosa fosse la morte, ma ero triste perché capivo che mia madre soffriva. Ma tra una telefonata e l'altra ce ne fu una, strana, in cui la mamma gridò: "Che cosa? Aspetta un attimo... come puoi...", poi riagganciò. Poi, dopo un breve silenzio, la sentii mormorare: "Ah, questa Yukino...". Io, che avevo subito capito, pensai: sicuramente la zia non viene al funerale...

La sera prima, in occasione della veglia, l'avevo incontrata. In effetti c'era qualcosa in lei che sembrava stridere con l'ambiente. Tra i tanti fratelli di mia madre la zia, l'unica giovane, l'unica che non parlava, restò tutto il tempo in piedi. E lei sola mi appariva di una bellezza incredibile. Probabilmente quello era il suo unico abito da lutto. Ed era la prima volta che io la vedevo vestita in modo formale. Perfino quando mia madre le tolse il cartellino della lavanderia che le era rimasto attaccato all'orlo del vestito, non si mostrò imbarazzata né si scusò con un sorriso. Invece, chinò lievemente la testa, con un gesto lento, pieno di tristezza.

Io che stavo in piedi insieme alla mia famiglia, guardando la fila delle persone che venivano per le condoglianze, non riuscivo più a staccare gli occhi da mia zia. Aveva delle occhiaie profonde, le labbra esangui e in quel contrasto di bianco e nero, sembrava trasparente come un fantasma. Fuori dalla porta era stato allestito il banco dove i visitatori lasciavano le firme, e lì accanto c'era un'enorme stufa che emetteva un fumo caldo nel buio. Le guance della zia, illuminate dalle fiamme che bruciavano crepitando, risplendevano di un vivace rossore. In quella notte in cui tutti, presi da una cupa agitazione, si scambiavano saluti e si premevano i fazzoletti sugli occhi, solo mia zia se ne stava perfettamente immobile, come fosse diventata parte del buio. Con un filo di perle, a mani nude, solo le sue pupille sembravano scintillare riflettendo il bagliore del fuoco.

Sicuramente si sta sforzando di non piangere, pensai. Poiché la maggiore preoccupazione del nonno era lei che viveva sola, aveva sempre avuto per lei attenzioni particolari. La casa dei nonni era nello stesso quartiere della sua e forse andava spesso a trovarla. Piccola com'ero non sapevo molto di più, ma osservando mia zia che ferma in piedi guardava la notte, la profondità della sua tristezza si comunicava persino a me. Sì, io capivo la zia in modo speciale. Anche se lei era una persona che parlava pochissimo, da un suo gesto anche minimo, da un'occhiata o dal modo di abbassare il viso, io riuscivo in qualche modo a intuire se era contenta, se si annoiava, o se era arrabbiata. Quando la mamma o dei parenti dicevano fra loro, in un misto di affetto e rassegnazione, "è impossibile avere un'idea di che cosa stia pensando", a me, con la mia mente da bambina, sembrava assurdo: perché nessuno capisce? Perché solo io la capisco così bene?

E nel momento stesso in cui io formulai questo pensiero, tutt'a un tratto la zia cominciò a piangere.

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Pagina 28

"Yayoi, c'è una cosa che vorrei chiederti..." disse mia madre senza voltarsi verso di me. Aveva pronunciato il mio nome con un tono deciso.

Che sarà? pensai guardandola. Si girò e mi osservò con un' espressione un po' esitante. Era la sua faccia di quando qualcosa la preoccupava. Anche quando Tetsuo si era messo per la prima volta con una ragazza, quando avevo avuto per la prima volta le mestruazioni, quando papà a causa del troppo lavoro aveva avuto un collasso, mia madre aveva pronunciato il mio nome con quell'espressione sul viso. Ogni volta io mi ero sentita stranamente indifesa, come chi non riesce a tenere nascosto nulla. Aspettai in silenzio che continuasse, con la sensazione di essere risucchiata nei meandri della nostra storia familiare.

"Yayoi, quando eravamo in quella casa, non è che ti è successo qualcosa di strano?" chiese.

"In quella casa... vuoi dire la vecchia casa dove siamo stati fino a poco tempo fa?" chiesi stupita. "No, niente."

"Non dire bugie. Da un po' di tempo non sei più la stessa, ti vedo abbattuta, e anche dopo che ci siamo trasferiti qui mi sembri sempre giù. E poi quella notte... mentre eri nel bagno hai gridato, non è vero?"

"Quella volta, avevo trovato una lumaca nell'acqua..." cercai di imbrogliare, ma non riuscii ad andare oltre.

"Perché inventi storie? Quando mai tu hai avuto paura delle lumache? È da allora che sei cambiata. Si può sapere cos'è successo?" disse la mamma con tono deciso.

Il cielo, ricoperto di nuvole, aveva formato uno strano arabesco di luce e cenere, da cui scendeva la pioggia. Il prato bagnato si tingeva di un verde sempre più cupo.

"Beh, se lo vuoi sapere," dissi senza più esitare, "ho visto un fantasma."

"Un fantasma?" ripeté mia madre con una strana espressione.

"Sì, o qualcosa del genere" dissi.

Nel periodo in cui la nostra casa veniva ristrutturata, eravamo andati ad abitare in una vecchia casa malandata, che di lì a poco sarebbe stata demolita, in una stradina vicino alla stazione del quartiere adiacente al nostro. Era cominciato tutto all'inizio della primavera, quando Tetsuo aveva dovuto sospendere lo studio, a causa dell'acqua che dal soffitto gli pioveva in camera. Dapprima si era parlato solo di riparare il tetto, ma presto il discorso si era sviluppato in un progetto di ristrutturazione totale. Dovendo cercare rapidamente una casa che ci potesse ospitare durante i lavori, non avevamo trovato che quella. Dato che si sarebbe trattato al massimo di due mesi, non eravamo stati a guardare tanto per il sottile, e tutti e quattro vi ci eravamo trasferiti in gran fretta.

Ma anche per essere una soluzione provvisoria, la casa era veramente incredibile. Era una villetta a un piano, solo tre stanze e cucina, con il bagno al centro. Forse perché le stanze in fondo alla casa erano state aggiunte in seguito, la disposizione era ben strana. Da quelle stanze non si poteva andare da nessuna parte senza passare per il bagno. Per di più questo bagno, dalle piastrelle scrostate o mancanti, era decrepito. Vi erano fessure dalle quali il vento entrava sibilando, e soprattutto la vasca perdeva. Il livello dell'acqua si abbassava progressivamente, perciò se non facevamo il bagno tutti e quattro uno dopo l'altro, la vasca finiva per svuotarsi. Ma devo dire che quella vita piena di disagi aveva una sua freschezza. C'erano aspetti che rafforzavano il nostro legame familiare, e nell'insieme ci godevamo quel modo di vivere più del previsto.

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Pagina 82

"Io sono un figlio naturale. Mia madre era l'amante di mio padre" disse Masahiko.

La frase giunse così improvvisa che io e Tetsuo rimanemmo di stucco. Masahiko, nel rendersi conto che lo fissavamo tutti e due senza parlare, fece un sorriso un po' forzato e continuò:

"Dopo la sua morte mio padre mi prese con lui e da allora ho fatto una vita molto normale, perciò oggi non credo di avere nessun problema a causa della mia infanzia. Anzi, sono un felice figlio di papà. E se lo dico io, potete credermi. Da quando sono diventato un uomo mi sono sempre messo con tipe sveglie. Capite, vero?".

Masahiko guardò Tetsuo, il quale ridendo disse:

"Certo. Lo si capisce guardandoti".

"Adesso sono giunto alla conclusione che forse ciò che fondamentalmente mi turbava di Yukino era proprio questo. Sicuramente una parte di me aveva sempre pensato che una ragazza dovesse essere una tipa sveglia, aperta, con molti aspetti tipici della sua età, con la lacrima facile, però inquadrata. E come tutti sono cresciuto secondo questa mentalità, trovandomi sempre bene. Eppure, la cosa veramente essenziale era la parte di me che avevo dimenticato, quella non la potevo dividere con nessuno."

Quando disse così, provai una specie di scossa. Fu come se qualcosa che assomigliava alla verità mi avesse sfiorato l'orecchio.

"Dentro di me dormivano degli anni di cui io stesso avevo completamente dimenticato l'esistenza. C'era stato un tempo, duro e doloroso, nel quale io che ero appena un bambino, non avevo altro pensiero se non quello di proteggere mia madre. Non porto rancore a nessuno e non è una cosa su cui voglia rimuginare, ma quel periodo in cui ho vissuto da solo con mia madre è diventato qualcosa che non potrò mai dividere con nessuno e che ho sempre portato dentro. Sì, c'è stato sempre, credo. Chissà perché, fino a quando ho incontrato Yukino, lo avevo completamente dimenticato. Lei era tutto questo: la mia nostalgia, la fitta al cuore, quella pena che mi faceva stringere i denti. Mi bastava vederla attraversare il giardino della scuola sotto la pioggia, riparandosi con l'ombrello, per provare la sensazione di ritrovare qualcosa di perduto e sentirmi impazzire."

"L'amore di solito fa sempre questo effetto, no?" disse Tetsuo.

Capii chiaramente che Masahiko era stato un po' urtato da queste parole. Sorpresa, stavo per dire qualcosa quando Tetsuo, senza minimamente scomporsi, con un'espressione seria sul viso riprese:

"All'inizio pensavo che si trattasse della solita storia tra un'insegnante di liceo abbastanza disponibile e un ragazzo con la passione per le donne più grandi, ma dopo averti ascoltato ho la sensazione di aver capito qualcosa della zia Yukino".

Masahiko fece un sorriso che nasceva dal cuore.

"Davvero?" disse.

Fu una scena molto bella.

Ecco, pensai, anche il fatto che io sia venuta fin quaggiù, non è solo perché la zia è mia sorella e perché è scomparsa senza dire niente. È per il potere magico che lei porta con sé, la sua buia magia femminile. Dietro i capelli, la voce dal timbro così dolce, le dita sottili che sfiorano il pianoforte, dietro tutto questo lei nasconde un richiamo nostalgico immenso, senza confini. Ed è una cosa che chi si porta dietro un'infanzia perduta capisce in modo particolare. Qualcosa che è più profondo della notte, più lungo dell'eternità, e lontano.

Di fronte al dolore e alla grazia del suo io, che non si curva nemmeno un poco sotto quel peso terribile, la nostra immaginazione si accende. Così, sempre più presi dal suo fascino, ci incontriamo in questo bosco di stelle cadenti e mangiamo insieme.

Tutto qui.

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