Autore Franco Berardi Bifo
Titolo La nonna di Schäuble
SottotitoloCome il colonialismo finanziario ha distrutto il progetto europeo
Edizioneombre corte, Verona, 2015, Cartografie 72 , pag. 166, cop.fle., dim. 12x19,5x1 cm , Isbn 978-88-6948-022-5
LettoreElisabetta Cavalli, 2016
Classe politica , economia politica , storia: Europa , paesi: Grecia , paesi: Germania












 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


  7 Nota sulla struttura del libro

  9 INTRODUZIONE: Fuori, fuori, ma fuori da dove

    Guerra ambientale e guerra finanziaria;
    Oltre l'attuale orizzonte sciogliere il nodo del lavoro salariato;
    Cassandra;
    Le passioni e l'interesse;
    La governance tra Kant a Schopenhauer

    PARTE PRIMA: PRIMA DEL COLLASSO

 41 Politiche nEUROPAtogene
 45 Per un'Europa minore
 55 Può Europa sopravvivere al collasso?
 64 La crisi europea nel contesto della sollevazione euro-mediterranea

    PARTE SECONDA: IL COLLASSO

 73 La tragedia europea comincia in Grecia
 76 Nell'agonia d'Europa
 80 Utopie retrospettive, distopia del presente
 85 Scacco (matto?)

    PARTE TERZA: PRIMAVERA INCERTA

10  2 febbraio; 12 febbraio; 15 febbraio; 17 febbraio;
    20 febbraio; 21 febbraio; 3 marzo; 8 marzo; 29 aprile

    PARTE QUARTA: LUGLIO AMARO

125 Un colpo di stato e quattro domande difficili, 4 giugno 2015;
    La posta in gioco ad Atene, 3 luglio, venerdì sera;
    Atene, 6 luglio;
    Atene, 7 luglio 2015;
    Domenica 12 luglio;
    13 luglio 2015

    PARTE QUINTA: LA NONNA DI SCHÄUBLE

141 La regola, la misura, il debito
149 Gotico e barocco
156 Non s'è ancora fatto sera
163 L'ottimisto di Tsoukalia


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 9

INTRODUZIONE

Fuori, fuori, ma fuori da dove


Guerra ambientale e guerra finanziaria

Alla fine di questa estate 2015 i confini della grande battaglia finanziaria si spostano: le cosiddette economie emergenti sprofondano, e la Cina proietta sul mondo l'ombra di una guerra combattuta con armi monetarie. La prima vittima della crisi finanziaria è l'ambiente. Il prezzo del petrolio è sceso a livelli impensabili fino a pochi anni fa, e siccome per le grandi corporation la questione finanziaria ha la precedenza, c'è da temere che al prossimo vertice di Parigi sul cambiamento climatico sentiremo ancora recitare la lista dei buoni propositi senza conseguenze. Le decisioni che influenzano la produzione e la vita quotidiana non le prendono più gli stati nazionali, ma le corporation globali e i loro organismi di coordinamento finanziario, e il criterio per loro discriminante è quello dell'accumulazione, della crescita e del profitto, non quello del benessere degli abitanti del pianeta. La recessione economica globale che si va delineando non sembra lasciare spazio per una riconversione eco-friendly.

La guerra che si delinea ha quindi forme del tutto inedite: si manifesta prevalentemente come guerra ambientale e come guerra finanziaria, e gli esiti di queste due guerre danneggiano la vita della società non meno di quanto facesse la guerra condotta con mezzi militari.

[...]

La Grecia è il paese che meglio testimonia degli effetti della guerra finanziaria, come Fukushima o Tinjin testimoniano degli effetti della guerra ambientale.

Il paese ha già subito la distruzione del suo apparato industriale e di larga parte delle infrastrutture urbane negli anni Quaranta, quando fu aggredito dai fascisti italiani e dai nazisti tedeschi. Ora si trova nuovamente esposto a una aggressione che sta producendo danni non inferiori a quelli (mai risarciti) di allora. Quel paese ha subito una pressione prolungata nell'arco di cinque anni, poi intensificata fino allo spasimo nell'ultimo anno, perché con ogni evidenza coloro che hanno potere nell'Unione europea (cioè la destra ordoliberista tedesca) hanno deciso di fare di questo paese l'esempio, e rispolverato per l'occasione tecniche di cui i tedeschi sono esperti, come la rappresaglia e come il pogrom.

Mentre aggrediva la popolazione greca, strangolandone il sistema economico, il colonialismo finanziario della troika ha potuto contare sul consenso dei governi che si sono sottomessi con maggior zelo ai diktat austeritari: il Portogallo, la Spagna e l'Italia. Nell'ultimo anno i governi fantoccio di queste colonie hanno ripetuto cento volte che la situazione sta migliorando, che la ripresa si avvicina, grazie all'applicazione delle riforme. Ma la ripresa è una favola stantia, un pregiudizio che funziona come trappola: la situazione non migliora affatto per la maggioranza della popolazione che vive con salari ridotti, e si vede costretta ad accettare condizioni e ritmi di lavoro che fanno pensare alle epoche dello schiavismo, anche se fino a questo momento, solo in Grecia è possibile valutare a pieno gli effetti della devastazione che l'aggressione finanzista è destinata a produrre dovunque.

Il colonialismo finanziario riduce drasticamente il salarío, attacca le condizioni di lavoro abolendo la contrattazione collettiva e precarizzando il rapporto di lavoro in maniera sistematica. Privatizza i servizi pubblici, e danneggia gravemente le strutture scolastiche, sanitarie, e generalmente i sistemi urbani.

[...]

Come hanno spiegato negli anni scorsi Christian Marazzi , Carlo Vercellone , Paolo Virno e recentemente anche il Generale Quao Ling, responsabile del Programma di studio per alti ufficiali presso l'Università della Difesa di Pechino (in un articolo dal titolo La grande strategia cinese, uscito sul numero di agosto di "Limes" Euro o Neuro), la battaglia finanziaria è traduzione in termini semiotici della pratica militare. O forse la traduzione in termini militari dell'enunciazione semiotica. Grazie alla connessione di macchine digitali e del sistema finanziario, il linguaggio della matematica si trasferisce automaticamente alla vita sociale.

Il sistema finanziario globale è una macchina astratta la cui potenza performativa è ineguagliabile: con piccole variazioni matematiche diviene possibile sottrarre alla società risorse enormi, per dirottarle verso il sistema bancario. E per il momento non conosciamo un'azione politica capace di fermare questa macchina di predazione.

Poco dopo aver vinto le elezioni il 25 gennaio 2015, Alexis Tsipras disse che la sua intenzione non era solo cambiare la condizione della Grecia, ma anche anzi principalmente far leva sulla crisi greca per cambiare in modo decisivo l'Unione europea.

Fu questa la speranza che ci animò durante l'incerta primavera di Syriza.

Alla fine dell'estate quella speranza è sfumata per lasciare il posto a un'agonia rancorosa. È chiaro a tutti che il progetto europeo è irrimediabilmente fallito, anche se non si può dire. Gravemente indebolito dalla crisi finanziaria del 2008, politicamente fragile e scarsamente democratico (per usare un eufemismo), è stato colpito al cuore dall'arroganza del governo tedesco e dall'ottusità della grande maggioranza (occorre dirlo) del popolo tedesco. Lo spettacolo di cinismo, violenza, e di ottusità di cui ha dato prova il gruppo dirigente filo-germanico d'Europa ha provocato il riemergere di un sentimento di odio antitedesco che l'Unione Europea aveva la missione di esorcizzare. L'esorcismo è fallito: per la terza volta nell'arco di un secolo la Germania ha distrutto il fragile equilibrio europeo. Le popolazioni mediterranee sono sottoposte a un'umiliazione politica e a un'aggressione economica che viene presentata come modernizzazione, e non lo è affatto, a meno di riformulare il senso della parola "moderno", identificandola (del tutto abusivamente) con il predominio dell'interesse privato su quello pubblico, e della competizione sulla cooperazione.

[...]

L'amara estate del 2015 può aiutarci almeno ad allargare l'area della comprensione, abbandonando aspettative legate alla passata epoca industriale.

Da trent'anni ormai, ogni battaglia, ogni scontro, ogni confronto con la realtà si risolvono in un arretrare della società, per ricomporre le fila qualche metro più indietro, pensando che al prossimo assalto resisteremo, e che forse inizieremo la riscossa. È ora di piantarla: non ci sarà resistenza, non ci sarà riscossa. Non ci sarà sinistra, perché nel Novecento la sinistra ha compiuto le scelte che hanno portato i lavoratori alla sconfitta e alla subalternità.

È ora di inventare le condizioni della solidarietà e del vivere buono in una dimensione che non sarà mai più quella della democrazia, dello stato sociale, della coscienza politica che governa il mondo.

Tra il giorno in cui il 62 per cento dei greci ha detto no al ricatto e il giorno in cui Tsipras si è tolto la giacca dicendo "prendete anche questa", si è consumata a mio parere l'ultima battaglia della sinistra.

[...]

L'amara estate ha svelato il carattere colonial finanziario della costruzione europea. Avevamo capito da tempo che l'Unione è un dispositivo per l'imposizione delle regole di precarietà e privatizzazione. Quel che abbiamo capito di nuovo nel corso dell'estate è che la dinamica di predazione finanziaria si svolge attraverso un trasferimento di risorse e di potere dai paesi colonizzati verso il sistema bancario tedesco.

Secondo uno studio dell'istituto tedesco di ricerca economica Internationales Wissenschaftsforum Heidelberg, la Germania è il Paese che più si è avvantaggiato economicamente dalla crisi ellenica. Dal 2010 Berlino avrebbe risparmiato circa 100 miliardi di euro di tassi d'interesse, grazie alle riduzioni decise a più riprese dalla Bce. "Questo risparmio supera i costi della crisi, anche se la Grecia non dovesse fare fronte ai propri debiti – scrive l'istituto – la Germania dunque, in ogni caso, ha tratto vantaggio dalla crisi greca".

Intorno a questo ruolo coloniale si è creato in Germania un consenso che non ha nulla da invidiare al consenso di cui negli anni Trenta godeva il nazional-socialismo, anche se soltanto una parte della popolazione tedesca ha goduto dei frutti della colonizzazione. Da quando la riforma del mercato del lavoro fu realizzata dal socialdemocratico Gerhardt Schroder, che attualmente ricopre l'incarico di consulente di Gazprom ma all'inizio del secolo era Cancelliere tedesco, il paese ha corretto le tradizionali politiche di welfare con un'aggressiva dose di bassi salari e precarietà. In Europa tedesca (edito nel 2012) Ulrick Beck scrive:

Nel 2002-2003 fu introdotto nella Repubblica Federale un cambio di paradigmi nella politica del mercato del lavoro, la cui formula era: promuovere e pretendere, ma il cui obiettivo era aumentare la pressione sui disoccupati perché accettassero posti di lavoro con più bassa qualificazione, con salario più modesto e con peggiori condizioni lavorative. Con le riduzioni dell'assicurazione pensionistica e sanitaria furono abbassati in misura rilevante i costi per le imprese. L'atteso effetto di rilancio degli investimenti e di aumento dei posti di lavoro tuttavia tardava ad arrivare. Col ristabilimento della congiuntura mondiale dopo il 2006 e poi durante la crisi 2008-2009 la Germania poté approfittare del suo aggressivo modello di esportazione, in parte anche a spese dei paesi in crisi dell'eurozona. Ma la medicina amara della politica dei tagli ha una conseguenza che fa male. Universalizza il precariato. Circa la metà dei nuovi posti di lavoro è costituita da impieghi precari in lavori saltuari (circa un milione), impieghi con basse retribuzioni (posti da 400 euro), attività a tempo determinato (3 milioni). Lungo questa strada la spaccatura e la divaricazione sociale dei redditi si è rapidamente dilatata (Ulrick Beck, Europa tedesca, Laterza, Roma-Bari 2013, p. 58).


Il colonialismo tedesco è prima di tutto colonialismo interno: esistono infatti due Germanie, una sorridente e sicura di sé, arrogante e rassicurante al tempo stesso. E una Germania che non si vede e non si sente, priva di espressione politica e costretta ai margini del benessere maggioritario.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 20

Troppo a lungo abbiamo creduto che il problema fosse "più Europa politica", più democrazia e simili baggianate, mentre da Maastricht in poi si stava costituendo un dispositivo assolutamente originale la cui funzione va intesa in una prospettiva evolutiva molto ampia. Il capitale globale doveva cancellare la specificità europea del secolo operaio, la specificità europea della democrazia sociale e della solidarietà. Questa cancellazione è stata realizzata attraverso l'imposizione del modello ordo-liberista tedesco.

Nei giorni in cui scrivo queste pagine il Ministro delle Finanze tedesco propone la creazione di un'eurotassa, di un fondo comune alla cui formazione deve concorrere la popolazione di tutti i paesi europei.

Si potrebbe ricordare il principio No taxation without representation, ma nessun potere decisionale rappresentativo esiste in Europa, gli organismi che decidono sono completamente dominati dal ceto finanziario e in particolare dal governo tedesco. Dunque possiamo dire che quella proposta da Schäuble non è una tassa, ma un prelievo coloniale che va imposto manu militari. Probabilmente questo spiega perché lo stato colonial-finanzista ha scatenato nei mesi scorsi una vera e propria campagna di terrore contro il popolo e il governo greco. La finalità di quella campagna era creare le condizioni per imporre un prelievo forzato sul continente colonizzato.

[...]

Europa è il luogo in cui si costituirono le condizioni per il lavoro salariato: privatizzazione e individualizzazione del lavoro. Ma è anche il luogo in cui diviene concepibile l'emancipazione dal lavoro salariato: dalla Comune di Parigi in poi la riduzione del tempo di lavoro è l'asse principale dei movimenti operai. Negli anni Sessanta e Settanta la lotta operaia si concentrò sulla riduzione dell'orario di lavoro: la settimana lavorativa di quaranta ore, le ondate di assenteismo, l'auto-riduzione dei ritmi di lavoro non furono soltanto affermazione dell'autonomia esistenziale, ma furono anche una spinta formidabile verso l'innovazione tecnica. Le istituzioni ufficiali del movimento operaio non seppero capirlo. I sindacati non seppero vedere nella tecnologia altro che un pericolo per l'occupazione, quando si trattava di vedervi il terreno principale della contesa.

L'incontro fra il movimento operaio e il movimento degli studenti, che segnò la storia culturale dei primi anni Settanta, apriva la strada a un processo di emancipazione del sapere dal dominio dell'economia, alla piena esplicitazione delle potenzialità emancipatorie del sapere quando la cooperazione prevale sulla competizione.

La cultura del '68 fu solo marginalmente consapevole di questa dinamica e di questa possibilità. Inoltre la cultura europeista emersa dal '68 non incontrò se non molto tardi (dopo Maastricht) la cultura dell'autonomia dal lavoro.

Su questo punto la riforma neoliberale ha colpito durissimo: sconfitti gli operai con la ristrutturazione tecnica degli anni Ottanta e Novanta ha attaccato gli studenti, il lavoro cognitivo, con la Carta di Bologna 1999.

La riforma europea dell'educazione di cui la Carta di Bologna è la proclamazione va proprio verso la sottomissione del sapere alla competizione, verso l'impoverimento della scuola pubblica, l'uniformazione dei criteri di valutazione, la frammentazione funzionalistica dei processi di apprendimento. Insomma lo smantellamento del general intellect.

A questo punto la cancellazione della specificità europea sembra compiuta, ma il risultato è mostruoso, perché comporta la fine della solidarietà europea, e la crescita del nazionalismo. Ma noi dobbiamo saper vedere oltre la catastrofe in corso. In un'ottica evolutiva di lungo periodo la crisi europea può vedersi come l'anticamera di un processo di autonomizzazione del sapere tecnico dal dominio del profitto.

Non si esce dall'Europa senza uscire dal capitalismo. Non sto parlando della possibilità di abolirlo, perché il capitalismo non si abolisce come nessuna delle passate stratificazioni antropologiche della storia umana. Non abolirlo, uscirne.

Ma cosa significa uscire dal capitalismo? Significa uscire dal regime obbligatorio del lavoro salariato.

Talvolta mi pare che Foucault abbia dimenticato di scrivere un libro sulla genealogia del lavoro salariato. Poi subito mi ricredo, perché in effetti tutti i libri che ha scritto sul disciplinamento e poi sulla biopolitica costruiscono una gigantesca opera di genealogia del lavoro salariato.

L'idea che per godere dei beni della natura e dei beni del lavoro collettivo occorra prestare la propria vita in cambio di salario non ha nulla di naturale.

Entro condizioni di scarsità (spesso artificialmente indotte, come nel caso delle enclosures inglesi del diciassettesimo secolo) la popolazione viene costretta a cedere il proprio tempo per potersi guadagnare l'accesso al denaro necessario per comprare lo stretto indispensabile per la sopravvivenza.

La novità dell'epoca contemporanea sta nel fatto che è venuto meno per gran parte il regime di scarsità dei beni necessari per la sopravvivenza collettiva. L'innovazione tecnica degli ultimi decenni ha reso possibile un'espansione dei prodotti grazie all'applicazione crescente dell'intelligenza produttiva. Ma questo si accompagna con la riduzione del tempo di lavoro necessario.

In condizioni di attività libera il problema non esisterebbe. L'innovazione tecnica libera tempo di vita dal lavoro e questo tempo si impegna nelle attività ludiche e utili della comunità liberata, arricchendola, offrendo alla comunità tutto ciò che (affetto, cura, educazione, nutrimento) non può farsi merce senza perdere la propria anima utile.

L'innovazione tecnica ha creato questa possibilità ipotetica, ma questa possibilità non si realizza perché vige il principio (assoluto, intoccabile) del lavoro salariato e della prestazione.

Il salario è divenuto una superstizione che impedisce di vedere l'evidenza: che di lavoro ce n'è sempre meno bisogno.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 28

Doni come quelli del Fondo Monetario Internazionale, per esempio, sono talmente pericolosi che chiunque accetti un prestito da quel malefico istituto con sede a Washington si trova ben presto costretto a vendersi le mutande e, quel che è peggio, costretto ad accettare regole demenziali che sconvolgono la vita dei debitori e la trasformano in un inferno.

Grazie ai doni del Fondo Monetario Internazionale un paese relativamente equilibrato e benestante che si chiamava Jugoslavia finì dilaniato dai conflitti interetnici e, con il contributo essenziale delle armi e delle provocazioni tedesche, pagò il tributo di duecentomila morti (che per i tedeschi sono una bazzecola) in una successione di guerre etniche spaventose. Grazie ai doni dello stesso Fondo un paese piuttosto ricco come l'Argentina si trovò depredato di tutto e alla fine dovette fare fallimento, e poté risollevarsi solo grazie a un'insurrezione popolare e a un po' di socialismo.

[...]

Cosa accadde dieci anni fa? I dirigenti politici dell'Unione, (in realtà i grandi potentati economici che danno ordini alle mezze calzette che siedono sui posti di direzione dell'Unione) proposero una sorta di Costituzione europea. Della Costituzione in realtà non gliene fregava niente a nessuno. Quel che gli interessava era costituzionalizzare il libero mercato del lavoro, che poi vuol dire la concorrenza senza confini tra lavoratori e quindi l'abbassamento illimitato del salario. Nessuno lesse le trecento pagine di cui era composta la Costituzione (almeno io non le ho lette, chi le ha lette alzi la mano). Ma tutti si resero conto del fatto che qualcuno stava barando, cioè che qualcuno stava cercando di usare il sentimento europeista per fregare i lavoratori. Venne fuori la storiella dell'idraulico polacco che vuole andare in Francia ed è disposto a lavorare per metà del salario di un operaio francese. Apriti cielo. La conseguenza fu che la destra nazionalista si eccitò moltissimo, soprattutto in Francia. L'idraulico polacco vuole portare via il lavoro al nostro amato français de souche.

Fu indetto un referendum in Francia e in Olanda per decidere se accettare o meno la Costituzione. La destra si schierò con forza contro quel bidone, mentre noi, come allocchi, pensammo che il principio internazionalista implicito nella costituzionalizzazíone d'Europa fosse tanto importante che bisognava chiudere un occhio sul fatto che in realtà si trattava di una classica truffa liberista.

Come finì, dovreste ricordarlo.

Finì che noi allocchi, guidati dai super-allocchi Dani Cohn Bendit e Toni Negri, ci ritrovammo a sostenere il sì insieme al programma dei truffatori neoliberisti, mentre i fascisti del Front National interpretarono un sentimento maggioritario, e vinsero il referendum.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 41

Politiche nEUROPAtogene [1996]


Il Trattato di Maastricht appesta le società europee, nella produzione nella cultura nella psiche e nella vita quotidiana. Non si potrebbe immaginare un percorso più assurdo per costruire un'entità politica viva di quello scelto da coloro che hanno avviato l'unificazione europea sulla base di un vincolo finanziario che costringe entro i suoi parametri ogni forma di vita sociale. L'assunzione del principio di competitività come criterio sommo dell'agire sociale non può che avere effetti devastanti sul piano psicosociale. Questo principio è produttore di ansietà, aggressività, colpevolizzazione oppure apatia, depressione. Una società che adotta la parola d'ordine denghista "arricchitevi" come imperativo universale è destinata a diventare una società criminale, in cui ogni comportamento è legittimato dal fine supremo. Non a caso le mafie, durante l'ultimo decennio, si sono moltiplicate in tutto il mondo parallelamente al trionfo dell'economicismo liberista e la violenza entra sempre più a far parte del grande gioco economico, fino a pervadere capillarmente l'economia di intere zone del pianeta. L'orizzonte di tutto questo è disegnato dagli accordi di Maastricht. Cosa sono questi accordi?

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 55

Può Europa sopravvivere al collasso?




L'estetica d'Europa


Place de l'Europe, a Parigi, è una piazza sopraelevata in cui le rue de Vienne, di Londres, di Saint Petersburg e di Costantinopoli, fantasmi imperiali del passato, si incontrano in un luogo senza fascino.

A Bologna hanno costruito una porta d'Europa. È un orrendo casermone in forma di ponte di fronte all'entrata della Fiera, in una zona deturpata dallo stile Lega-Coop. Chi viene da nord-est, lungo via Stalingrado se la trova di fronte a un certo punto, dove impedisce di vedere la collina di San Luca.

L'immagine d'Europa è frigida per definizione. L'estetica europea ha un carattere asettico e anti-passionale di cui è facile comprendere le ragioni: l'Europa è nata anzitutto come esorcismo contro le passioni del nazionalismo. In questo trova la sua radice progressiva. Dimenticare il romanticismo è l'imperativo costitutivo dell'Unione europea.

[...]

L'identità d'Europa consiste nella prosperità. Finché ha potuto garantire un livello di prosperità crescente nel tempo, fin quando la rigida legge monetarista ha permesso all'economia di crescere, l'Europa ce l'ha fatta.

Ma adesso?

La costruzione europea ha preferito identificarsi con l'immagine funzionale dei banchieri piuttosto che attraverso l'adesione a progetti politici, a grandi visioni ideologiche, a personalità carismatiche.

Finora ha funzionato, ma ora è il momento di chiedersi: sopravviverà l'Europa al collasso finanziario che è iniziato negli USA e ai rivolgimenti economici che si sono avviati dal momento che l'unico elemento unificante è stata l'architettura finanziaria?

La costruzione europea è una finzione democratica regolata da un organismo autocratico, la Banca Centrale Europea. Mentre la Fed e la Banca d'Inghilterra hanno abbassato i loro tassi praticamente a 0 per cento la BCE li ha abbassati soltanto all'1,25 per cento. Mentre la Fed nel suo statuto ha l'obiettivo della stabilità dei prezzi e del pieno impiego, lo statuto della BCE ha un unico obiettivo: evitare l'inflazione, anche se questo comporta una caduta dell'occupazione. Questa paura dell'inflazione è oggi del tutto irrazionale dato che la tendenza è verso una deflazione.

Ma questa politica non può essere influenzata dalla volontà della popolazione, dal momento che per statuto la BCE non risponde alle autorità politiche. Per questo i cittadini considerano le elezioni europee come un momento in cui regolare affari interni, una sorta di sondaggio sulle scelte politiche nazionali. È evidente a tutti che il Parlamento europeo non ha alcun potere sulle questioni sociali ed economiche, dunque non conta nulla.


Coscienza americana


Paradosso: la costruzione europea ha seguito una linea direttrice a livello economico: diventare come gli Stati Uniti d'America. Ridurre la spesa sociale, ridurre il costo del lavoro, ridurre le tasse, favorire il profitto d'impresa. Ma ora che il modello americano viene abbandonato negli Stati Uniti d'America, può l'Europa insistere nel suo solitario fanatismo neoliberista?

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 64

La crisi europea nel contesto della sollevazione euro-mediterranea [2012]


Non pretendo di poter parlare della rivolta Araba che è stata un po' frettolosamente definita Primavera, ma gli orizzonti sociali e culturali della nuova generazione si stanno rivelando sempre più simili sui due lati opposti del mare mediterraneo.

Per questo partirò da un breve esame di quel che sta accadendo in Europa.

Il progetto di unità europea si può considerare come uno dei più importanti del ventesimo secolo dal punto di vista del mutamento che esso ha prodotto nella storia politica del pianeta.

Cosa è stato questo progetto di unificazione nella seconda metà del secolo passato?

Prima di tutto è stato un progetto politico di pace a livello continentale.

La guerra fra Francia e Germania ha segnato la modernità europea dall'inizio del diciannovesimo secolo fino alla seconda guerra mondiale. Non si trattava soltanto di una guerra nazionale ma anche di una guerra culturale. Il Romanticismo versus l'Illuminismo, l'identità culturale contro la Ragione Universale. Per questo il progetto europeo è stato progetto di superamento della guerra e anche di superamento della divisione fondamentale della civiltà moderna.

In secondo luogo al centro del progetto europeo vi è stata la creazione di un'unità politica fondata sulla solidarietà sociale. Il processo che si è andato svolgendo nell'ultimo decennio e che si è accelerato con il collasso del sistema bancario sta distruggendo e annullando i fondamenti concettuali del progetto di unificazione europea.

Da quando l'ideologia neoliberale ha mutato le forme dell'accordo politico tra le società d'Europa, da quando le regole di Maastricht imposero un sistema monetarista di governance, la ragion d'essere fondamentale d'Europa è cambiata, e per capire il significato e la direzione di questo mutamento della politica europea dobbiamo descrivere il cambiamento sociale soggiacente.

[...]

Dopo il collasso della net-economy che si verificò nell'anno 2000, la guerra infinita lanciata dall'amministrazione Bush rimandò il collasso finale del capitalismo, ma ora il collasso finanziario è ritornato ed è ritornato per non lasciarci. Il debito è un'arma che la classe predatoria usa e continuerà a usare contro la sopravvivenza quotidiana della popolazione europea fino all'esaurimento.

Si guardi alla situazione greca: i greci sono minacciati di espulsione dall'Unione europea perché non possono pagare il debito che hanno contratto con le banche tedesche e francesi, quando lo stato greco comprò costosissimi armamenti da fabbriche tedesche e francesi. Dato che i greci non hanno denaro per pagare i loro debiti debbono distruggere le scuole pubbliche, il trasporto pubblico e così via: privatizza e distruggi è la parola d'ordine.

Forse che i greci potranno finalmente pagare i loro debiti, distruggendo la loro forma di vita? Assolutamente no. La terapia europea imposta al popolo greco infatti ha aperto la porta alla recessione economica, il prodotto interno lordo è diminuito e l'effetto della recessione è un aumento dell'ammontare del debito, non una sua riduzione.

La miseria e la depressione adesso si diffondono in Grecia, per effetto della terapia europea.

Il debito è l'arma con cui si privatizzano le risorse comuni e si deruba la popolazione della sua ricchezza.


Cos'è accaduto in Europa, che un tempo era un continente prospero, pieno di ingegneri e di poeti, di scuole e di competenze tecniche? Tutt'a un tratto la classe dirigente ha dichiarato che gli europei sono poveri e che diventeranno sempre più poveri perché debbono pagare un enorme debito, un debito fantasticamente inimmaginabile. Debito è una parola che in alcune lingue, per esempio in tedesco, significa anche colpa. Il debito simbolico è il fondamento del nuovo Ordine Europeo, fondato sulla rinuncia ai diritti dei lavoratori, sullo smantellamento delle istituzioni pubbliche del welfare, e sulla precarizzazione generale della vita sociale. Le risorse sociali sono state rapinate dal sistema bancario, la disoccupazione è in aumento. Questo è quello che è accaduto in Europa e ancora continua ad accadere.

E poi?

Quel che riemerge adesso è l'aggressività identitaria. Si veda quel che è succede in Finlandia, in Ungheria, in Italia, perfino in Francia dove il Front National è in crescita.

Al tempo stesso il corpo sociale comincia a reagire. In Europa come in America un'ondata di movimenti si è svolta nel 2011: dimostrazioni, occupazioni, l'acampada spagnola, Occupy Wall Street, le quattro notti di rabbia a Londra nell'agosto del 2011. Questi sono segnali di una sollevazione che sta diffondendosi dovunque, ma che fino a questo momento è stata politicamente inefficace, perché il potere non è disponibile ad ascoltare e perché la democrazia è morta.

La democrazia è finita, è una parola totalmente vuota. Quando Papandreu, presidente della Grecia, dopo due anni di sottomissione al regime del debito ha tentato di convocare un referendum, quando ha tentato di chiedere al suo popolo se voleva ancora soggiacere al diktat, da un giorno all'altro è stato espulso dal potere e sostituito da un funzionario della Goldmann Sachs. Nel paese in cui la democrazia fu concepita venticinque secoli fa, la democrazia è stata seppellita.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 156

Non s'è ancora fatto sera




L'orrore del regno che viene


Ne La questione della colpa (Die Schuldfrage), un testo del 1946, Karl Jaspers , il filosofo tedesco che viene considerato uno dei padri dell'esistenzialismo, distingue il carattere "metafisico" della colpa da quello "storico", per ricordare che se ci siamo liberati del nazismo come evento storico, ancora non ci siamo liberati da ciò "che ha reso possibile" il nazismo, e precisamente la dipendenza della volontà e dell'azione individuale dalla catena di automatismi che la tecnica iscrive nella vita sociale.

Introducendo l'edizione italiana del testo di Jaspers (La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania, Raffaello Cortina, Milano 1996), Umberto Galimberti cita un brano di Günther Anders:

In una delle settanta interviste che Gitta Sereny fece a Franz Stangl, direttore generale del campo di sterminio di Treblinka, si legge:

"Quanta gente arrivava con un convoglio?", chiesi a Stangl.

"Di solito circa cinquemila. Qualche volta di più".

"Ha mai parlato con qualcuna delle persone che arrivavano?".

"Parlato? No... generalmente lavoravo nel mio ufficio fino alle undici – c'era molto lavoro d'ufficio. Poi facevo un altro giro partendo dal Totenlager. A quell'ora, lì erano già un bel pezzo avanti con il lavoro (voleva dire che a quell'ora le cinque o seimila persone arrivate quella mattina erano già morte: il "lavoro" era la sistemazione dei corpi, che richiedeva quasi tutto il giorno e che spesso proseguiva anche durante la notte). [...] Oh, la mattina a quell'ora tutto era per lo più finito, nel campo inferiore. Normalmente un convoglio teneva impegnati per due o tre ore. A mezzogiorno pranzavo... Poi un altro giro e altro lavoro in ufficio". [...] "Ma lei non poteva cambiare tutto questo?", chiesi io. "Nella sua posizione, non poteva far cessare quella nudità, quelle frustate, quegli orrendi orrori dei recinti da bestiame?". "No, no, no... Il lavoro di uccidere con il gas e bruciare cinquemila e in alcuni campi fino a ventimila persone in ventiquattro ore esige il massimo di efficienza. Nessun gesto inutile, nessun attrito, niente complicazioni, niente accumulo. Arrivavano e, tempo due ore, erano già morti. Questo era il sistema. L'aveva escogitato Wirth. Funzionava. E dal momento che funzionava era irreversibile" (Günther Anders, Noi figli di Eichmann, Giuntina, Firenze 1995; titolo originale: Wir Eichmannsöhne, 1964).


Può parere eccessivo paragonare l'attuale dominio degli automatismi finanziari sulla democrazia politica al nazismo. È eccessivo ma aiuta a capire.

Al di là del suo determinarsi come evento storico nella Germania degli anni Trenta e Quaranta, il nazismo è il primato della funzionalità tecnica sulla compassione per la fragilità dell'organismo umano.

Nel 1964 scriveva Anders:

La tecnica che il Terzo Reich ha avviato su vasta scala non ha ancora raggiunto i confini del mondo, non è ancora "tecnototalitaria". Non si è ancora fatto sera. Questo, naturalmente, non ci deve consolare e soprattutto non ci deve far considerare il regno ("Reich") che ci sta dietro come qualcosa di unico e di erratico, come qualcosa di atipico per la nostra epoca o per il nostro mondo occidentale, perché l'operare tecnico generalizzato a dimensione globale e senza lacuna, con conseguente irresponsabilità individuale, ha preso le mosse da lì.

E aggiunge:

L'orrore del regno che viene supererà di gran lunga quello di ieri che, al confronto, apparirà soltanto come un teatro sperimentale di provincia, una prova generale del totalitarismo agghindato da stupida ideologia (ivi, p. 66).




Greci ed ebrei


In un articolo del 1918 scrive Carl Gustav Jung:

Lo psicoteraputa di estrazione ebraica non trova nell'uomo germanico quell'umorismo malinconico che a lui viene dai tempi di Davide, ma vede il barbaro dell'altro ieri, cioè un essere per cui la faccenda diventa subito tremendamente seria. Questa serietà corrucciata dell'uomo barbaro colpì anche Nietzsche, ed è per questo che egli apprezza la mentalità ebraica e rivendica il cantare e il volare e il non prendersi sul serio. (Carl Gustav Jung, Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1998, vol. 10, p. 13).

L'ironia e l'ambiguità dell'ebreo derivano dalla stratificazione di molte esperienze, di molte patrie, di molte illusioni e delusioni. All'opposto sta per Jung la corrucciata serietà dell'uomo tedesco incrollabile nelle sue convinzioni. Naturalmente qui Jung pensa al suo rapporto con Freud, ma nel suo rapporto con Freud coglie un aspetto che va ben al di là dei confini della psicoanalisi (ammesso che la psicoanalisi abbia dei confini): la "belva bionda" (Bionde Tier nelle parole di Nietzsche riprese da Jung) si sente in pericolo quando le certezze vengono messe in dubbio e vede nell'ebreo colui che mina dall'interno le certezze della civiltà.

La campagna di odio che la stampa e la politica tedesca scatenarono contro l'ebreo negli anni Trenta era essenzialmente fondata su due motivazioni: anzitutto gli ebrei erano visti come la causa della rovina economica della Germania. In secondo luogo gli ebrei erano inaffidabili, ambigui, e si facevano beffe della limpidezza e della semplicità dei sentimenti del buon tedesco.

La Germania è mutata profondamente nella seconda parte del ventesimo secolo, questo è fuori discussione. Ha smantellato ogni sistema di aggressione militare e il suo esercito appare ad alcuni come una compagnia di campeggiatori. Ma la spinta geopolitica a sottomettere il territorio europeo per garantire la lebensraum germanica si è spostata dalla sfera del blitzkrieg a quella dell'economia finanziaria. E la strategia del consenso attraverso l'identificazione del capro espiatorio si ripropone: il sospetto e il disgusto che il contribuente tedesco sembra provare di fronte ai Greci contemporanei (sospetto e disgusto che il gruppo dirigente tedesco alimenta con il suo stile arrogante, e la stampa alimenta con una campagna di disinformazione) ha assunto negli ultimi mesi caratteri simili a quelli che ebbe la campagna di odio contro gli ebrei. Il risentimento per la buona fede tedesca ingannata ricorda i sentimenti che la "belva bionda" provava davanti all'ebreo. La belva bionda si è democratizzata negli ultimi decenni, questo è noto. Ha sostituito l'uniforme militare con le mezze maniche del ragioniere. Ma l'incrollabilità della fede è la stessa. Dio (o Wotan) è stato sostituito con l'algoritmo finanziario, ma Gott mit Uns in ogni caso.

Ecco allora i banchieri tedeschi dare ordini agli Untermenschen, eccoli esigere che gli altri popoli (meridionali pigri ambigui) facciano i compiti a casa.

I bravi scolaretti Rajoy Hollande e Renzi, come dei Quisling post-moderni, hanno provato a fare i compiti a casa e hanno ricevuto qualche buffetto di incoraggiamento o qualche rimbrotto da parte dei giudici dell'altrui moralità.

È fin troppo chiaro chi detiene il potere di giudicare e chi si trova nella posizione di essere giudicato. Dal momento che non esiste nessuna norma formale che attribuisca al governo tedesco il diritto di giudicare, di condannare, di imporre accelerazione del ritmo e di pretendere riduzione delle spese — dal momento che questa divisione dei ruoli sempre più evidente e perfino imbarazzante non ha alcun fondamento giuridico, bisogna pensare che si tratti di una attribuzione di ruoli che pertiene alla sfera del culturale, se non addirittura del naturale. La superiorità del gatto nei confronti del topo non è in discussione anche se non sta scritta in nessun regolamento.

Ma se i mediterranei sono tutti sotto esame permanente, i greci all'esame sono stati bocciati.

Non solo: votando per un partito come Syriza e poi addirittura votando "no" al referendum in cui dovevano decidere se obbedire o meno ai diktat della troika, hanno tentato di ribellarsi all'ordine naturale della finanza, e di non piegarsi ulteriormente all'umiliazione e alla rapina, ma poiché i topi non possono vincere la sfida contro i gatti, alla fine hanno dovuto piegarsi.

E poi cosa gli accadrà? Saranno espulsi, gettati nell'isolamento e nella miseria, esposti alle furie dei mercati dopo l'impoverimento imposto dalla troika? E poi? Sopravviverà l'Unione alla punizione degli insolventi? Oppure l'Unione è condannata a crollare?




Con i soldi degli altri


I nostri greci è il titolo che compare sulla copertina del settimanale "Spiegel" dell'11 luglio. In copertina c'è un disegno colorato: un grasso accigliato lavoratore tedesco in vacanza con il portafoglio pieno di euro e un libro intitolato Socrates for dummies in una tasca, danza sirtaki con un allegro greco di bell'aspetto non più tanto giovane ma allegro e ridente, che beve un bicchierino di ouzo e guida la danza sul bordo di un abisso. Alle loro spalle, in fondo allo strapiombo, si vede l'azzurrissimo mare Egeo. Il tedesco si guarda le spalle con terrore, mentre il greco se la gode.

Nella rivista, insieme a una quantità di stereotipi culturali e di insulti nei confronti dei greci – pigri, irresponsabili e un po' ladri – possiamo leggere un simpatico articolo del signor Jan Fleischhauer che si intitola Das Geld der Anderen (I soldi degli altri) e spiega che l'esperimento socialista in Grecia è fondato sui soldi dei tedeschi.

L'esperimento socialista funziona solo quando c'è una fonte garantita di entrate, a prescindere da quello che fai. In Venezuela il petrolio ha permesso al governo di ravvivare il Marxismo sotto le palme, in Grecia c'è il denaro dei tedeschi. Il socialismo di Syriza è la continuazione della pubertà con metodi politici. Come altrimenti chiamare se non immaturo qualcuno che insiste a voler essere indipendente, però torna continuamente dai genitori perché non può andare avanti senza il loro denaro? Essere adulti significa pagare per i propri errori.

Questo è il tono con cui la stampa tedesca (e "Spiegel" non raggiunge le vette di razzismo del "Bild") tratta il popolo greco ormai da alcuni anni.

Quel che mi interessa non è solo il fatto che ci troviamo di fronte a una falsificazione radicale della realtà economica: il popolo greco non ha ricevuto che l'11 per cento dei finanziamenti europei, perché gran parte dei prestiti sono andati a pagare il debito infinito con le banche tedesche, francesi e italiane, e i greci non si sono certo arricchiti negli ultimi anni, ma sono stati enormemente impoveriti dai programmi di "salvataggio" concepiti dalla troika per imporre privatizzazioni, licenziamenti e tagli del salario. Quel che mi interessa è soprattutto l'ignobile campagna di linciaggio che ricorda in modo impressionante il trattamento cui la stampa tedesca sottopose gli ebrei negli anni Trenta. Gli ebrei tramavano nell'ombra per rapinare il buon tedesco lavoratore, mentre i greci, ancora più spudorati, lo fanno alla luce del sole, e che sole, e che mare...

Nelle parole di Fleischhauer, poi, c'è un aspetto particolarmente disgustoso, quasi orribile: la frase "Essere adulti significa pagare per i propri errori" è raggelante perché dimentica il fatto che degli altrui "errori" (Fehler) i tedeschi non dovrebbero parlare per i prossimi diecimila anni, e meno che mai dovrebbero parlare di debito. Il debito che il popolo tedesco ha nei confronti dell'umanità non è commensurabile con quello dei greci, e non è neppure misurabile in denaro. È un debito che si conta in milioni di morti, decine di milioni di morti. È un debito che consiste nella distruzione dell'apparato industriale e civile di tutti i paesi europei. Per questo crimine indicibile e incommensurabile la Germania non ha mai pagato perché, nel 1953 alla Convenzione di Londra, i paesi d'Europa decisero di sospendere il pagamento di un debito che avrebbe definitivamente prostrato per decenni ogni possibilità di ripresa economica. Per evitare di ripetere l'errore di Versailles 1919 si decise di restituire alla Germania un futuro. Oggi ci rendiamo conto con sbigottimento che il nazionalismo tedesco riemerge, e non è un nazionalismo come tutti gli altri.

Dopo la conclusione (provvisoria) della tragedia greca, è necessario riconoscerlo: per la terza volta nell'arco di un secolo la Germania ha distrutto l'Europa. L'Unione di oggi non si può definire con la parola "unione", per quanto a trazione tedesca. Ci troviamo con ogni evidenza in una condizione di tipo coloniale. Una forma inedita di colonialismo finanziario in cui la potenza dominante sottrae risorse ai paesi dominati attraverso l'imposizione del Patto di stabilità e attraverso l'esborso di un tributo annuale destinato a durare per l'eternità.

| << |  <  |