Copertina
Autore Marco Fabbrichesi
Titolo Pensare in formule
SottotitoloNewton, Einstein e Heisneberg
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2004, Saggi Scienze , pag. 260, cop.fle., dim. 147x220x15 mm , Isbn 978-88-339-1515-9
LettoreRenato di Stefano, 2004
Classe matematica , fisica
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Indice

  7 Premessa

    Pensare in formule


 17 1.   Il mondo delle equazioni

    1.1. Come si leggono le formule, 17
    1.2. Il canto di Ulisse, 30
    1.3. La funzione esponenziale, 32
    1.4. La ragionevole efficacia della matematica, 45

 48 2.   La storia della mela

    2.1. «Nel pieno delle mie forze creative», 48
    2.2. I «Principia», 62
    2.3. Che cosa è la gravità?, 73
    2.4. Da Aristotele a Newton, 75

 80 3.   Le equazioni del mondo

    3.1. Dal leggere allo scrivere, 80
    3.2. Una nuova funzione, 97

104 4.   La macchina del tempo

    4.1. «Il pensiero più felice della mia vita», 104
    4.2. Gravitazione, 107
    4.3. Le eclissi del 1914 e del 1919, 132
    4.4. Curvatura,139
    4.5. Coincidenze e indizi, 144

146 5.   Metafore della divulgazione e linguaggio matematico

    5.1. Traduttore traditore, 146
    5.2. Sapere non è capire, 152
    5.3. Scienza e industria culturale, 158

161 6.   Le armonie segrete

    6.1. «Troppo eccitato per andare a dormire», 161
    6.2. La casa degli spettri, 166
    6.3. «Zeitschrift für Physik», vol.33, 1925, 179
    6.4. La meccanica quantistica, 204

        Appendice  I testi

217 Al  Newton, Che la Luna gravita verso la Terra...

219 A2  Einstein, Sulla influenza della gravitazione
        nella propagazione della luce

229 A3  Heisenberg, Reinterpretazione delle relazioni
        cinematiche e meccaniche nella teoria quantistica

245     Riferimenti bibliografici
255     Indice analitico

 

 

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Pagina 17

1.

Il mondo delle equazioni


1.1 Come si leggono le formule

Da tanti anni ho l'abitudine di segnarmi mentalmente i romanzi in cui appaiono esplicitamente delle formule matematiche. La lista è piuttosto breve. Come in un gioco, sono andato a rivederli, sfogliando piano le pagine dei libri che le contengono alla ricerca delle formule che mi ricordavo. Ecco la mia lista:

- L'Adalgisa di Carlo Emilio Gadda [18], in cui appare una formula combinatoria,

n(n - l)(n - 2)(n - 3)(n - 4) / 5! - 2

per dare il numero di permutazioni di n parole senza senso prese cinque alla volta.

- L'arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon [19], in cui è riportata l'equazione della traiettoria di un razzo guidato:

[...]
così come, in un altro punto, la distribuzione di Poisson:

N e^(-m) (1 + m + m^2/2! + m^3/3! + ... + m^(n -l)/(n-1)! ).

- Ti con zero di Italo Calvino [20] che si basa appunto sull'uso di linguaggio e simboli matematici nel testo letterario:

Cosicché io ora che ho deciso d'abitare per sempre questo secondo t(0) - e se non l'avessi deciso sarebbe stato lo stesso perché in quanto Q(0) non posso abitarne nessun altro...

- Insciallah di Oriana Fallaci [21], in cui la formula di Boltzman per l'entropia

S = k log W

è scritta sul retro della copertina per descrivere la storia recente della Palestina.

- Berlin Alexanderplatz di Alfred Doblin [22] contiene la seconda legge del moto di Newton, scritta come

[...]
per descrivere gli effetti di un colpo di frullino sul petto.

- Così giù che mi sembra di star su di Richard Fariña [23] in cui appare la legge dell'Hopital

[...]
e si medita su cosa succede al protagonista se fosse il parametro a che può essere sia finito che infinito.

- Il giardino dei sette crepuscoli di Miquel de Palol [24], in cui l'equazione algebrica per una parabola

y = x^2/4a + a

è scritta in vari modi nel riferire una ricerca che uno dei personaggi dedica alle sue proprietà.

- Una storia modello di Raymond Queneau [25] in cui il seguente brano

Sia N(t) il numero di membri del gruppo al tempo t, Q(N) la quantità di cibo consumata dal gruppo ogni anno, Q la quantità assoluta di cibo ottenuta senza lavoro sul territorio occupato dal gruppo, supposto in condizione di non avere vicini e di non dover temere alcuna specie animale. Vi è crisi quando Q(N) = Q, essendo N(t) supposto crescente, e quindi anche Q(N). Sia T il tempo di crisi, T' il tempo di Cassandra (puramente ipotetico in questa prima epoca). Vi è età dell'oro quando T' > T.

è usato per prendere garbatamente in giro il lettore.

- Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon [26] dove l'equazione per la crescita di una popolazione di animali

N(nuova) = lambda N(vecchia) (1 - N(vecchia))

è discussa insieme ad altri esempi di ragionamento matematico di un ragazzo autistico.

- L'étoile mystérieuse, dalle «Aventures de Tintin» di Hergé [27], dove compare la seguente vignetta piena di formule matematiche (prive di significato):

[...]

Come tutte le liste, anche questa è divertente, istruttiva, incompleta, e da non prendersi troppo sul serio.

In pratica, in quasi tutti i romanzi che leggiamo non ci sono formule matematiche. A pensarci, non ci sono neppure brani musicali scritti nel loro linguaggio, che è quello del pentagramma e delle partiture musicali. Questi due mondi, la matematica e la musica, che necessariamente si esprimono in un loro linguaggio speciale, vengono esclusi dalla letteratura (e dalla carta stampata in generale, se consideriamo i giornali e le riviste}, che ha così scelto come suo linguaggio esclusivo quello delle parole (e delle fotografie per i giornali).

Eppure, se uno scienziato dovesse scrivere un romanzo, gli verrebbe naturale impiegare delle formule matematiche, così come a un musicista di far uso di brani musicali. E, come negli esempi precedenti, le formule, se lette e capite, contribuirebbero all'argomento o alla descrizione. Siccome però scienziati e musicisti non scrivono romanzi - o se li scrivono si adeguano alle usanze prestabilite da case editrici e dalla tradizione - ci siamo abituati a considerare le formule matematiche come estranee alla letteratura, estranee alla nostra vita di tutti i giorni e insomma qualche cosa di cui è meglio fare a meno.

Ora - a parte il mio desiderio di vedere più romanzi scritti anche con formule matematiche - credo che quando si venga a parlare di scienza non se ne possa più fare a meno. Questo è particolarmente vero per la fisica, la scienza affrontata in questo libro.

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Pagina 45

1.4. La ragionevole efficacia della matematica

Il titolo di questo paragrafo parafrasa, rovesciandolo, il titolo di un famoso articolo del fisico e matematico Eugene Wigner sulla «irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali» [39] di cui vale la pena di riportare l'inizio:

C'è una storia su due amici, compagni di scuola, che parlano dei loro lavori. Uno fa il ricercatore di statistica e studia le popolazioni umane. Così mostra al vecchio compagno di scuola un suo articolo che inizia, come spesso succede, con la distribuzione gaussiana, e gli spiega il significato dei simboli per la popolazione, la sua media e così via. Il compagno di scuola è un po' incredulo e si chiede se l'amico non lo stia prendendo in giro.

«Come fai a saperlo?» gli chiede. «E cosa è questo simbolo qua?»

«Oh» dice il ricercatore di statistica «quello è pi greco».

«Che cosa è pi greco?»

«Il rapporto tra la circonferenza di un cerchio e il suo diametro».

«Ora mi stai veramente prendendo in giro» dice il compagno di scuola. «Di sicuro, la popolazione umana non ha niente a che vedere con la circonferenza del cerchio».

L'obiezione del compagno di scuola è abbastanza naturale e serve a Wigner per iniziare una discussione sulla matematica e la sua sorprendente capacità di spiegare i fenomeni naturali, capacità spesso basata sull'uso di concetti introdotti in ambiti apparentemente lontani dall'uso che poi se ne fa (come pi greco nella conversazione tra i due amici). In una vena leggermente diversa, viene spesso citata la frase di Einstein:

Il mistero eterno del mondo e della sua comprensibilità [...] Il fatto che sia comprensibile è un miracolo [40]

in cui dall' osservazione della miracolosa capacità delle formule di cogliere il mondo si raggiunge uno stato di ammirazione mistica.

Ma è poi così sorprendente questa efficacia della matematica nel cogliere e spiegare il mondo? Il nostro cervello è stato forgiato dalla selezione naturale e così è stato per quel pezzo di software, che il nostro cervello usa nel decifrare il mondo esterno, che chiamiamo matematica. Perché dunque questa non dovrebbe essere perfettamente adatta a descrivere quello stesso mondo naturale che le ha dato forma? L'opposto sarebbe forse anche più sorprendente: come si sarebbe sviluppato un sistema formale a noi comprensibile che non abbia nessuna relazione con l'ambiente in cui viviamo?

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Pagina 48

2.

La storia della mela


2.1. «Nel pieno delle mie forze creative»

A volte è difficile immaginarsi il mondo di persone vissute nel passato. Isaac Newton, che nacque nel 1642 e morì nel 1727, visse in un tempo molto lontano da noi, in un mondo senza elettricità (vedi fig. 2.1). Dobbiamo pensare alle serate d'inverno passate alla luce fioca di lampade a olio, in stanze scure in cui è faticoso anche leggere e fa spesso freddo. Non c'è la televisione, il telefono o Internet. Non ci sono auto, treni o aerei. Non ci sono ancora neppure le macchine a vapore. Ci si muove perlopiù a piedi o con cavalli. Il nostro stesso corpo è ancora poco noto: si è appena iniziato a conoscere la circolazione sanguigna. Si muore facilmente per malattie oggi banali da curare. Da poco, nel 1616, è morto Shakespeare.

Per orientarsi è utile tener presente che:

Quando parliamo di scienza e scienziati del XVII secolo commettiamo un anacronismo. A quell'epoca la parola scienza non aveva ancora il significato ristretto che le diamo noi oggi; voleva dire qualsiasi cosa nota, e gli uomini eruditi del tempo erano ancora capaci di conoscerle più o meno tutte. Coloro che si dedicavano principalmente all'investigazione della natura erano chiamati filosofi naturali; ciò che usavano nel loro lavoro erano «strumenti filosofici». I matematici erano generalmente chiamati geometri, perché quella era la branca più avanzata della matematica. I conti su carta erano ancora un'invenzione relativamente recente; la parola scienziato risale al 1840. [41]

L'orizzonte quotidiano di Newton è quindi molto diverso dal nostro. Così come è diverso quello culturale. Newton è più polimorfo di quanto si potrebbe immaginare, e abbraccia con uguale intensità, e attribuendo loro uguale importanza, l'alchimia, gli studi biblici e la filosofia naturale - la fisica, diremmo oggi. A quest'ultima, che qui ci interessa, dedicherà alla fine solo circa il 20 per cento delle sue energie creative.

La prima volta che mi sono reso conto di questi altri interessi di Newton sono rimasto molto stupito. Avendo fatto tutte le cose che ha fatto in fisica e matematica, dove aveva trovato il tempo per fare di più in altri campi?

Il mio esempio favorito di queste altre attività di Newton è la sua ricostruzione della pianta del tempio ebraico a Gerusalemme. Vi si dedica intorno al 1670 con la sua abituale concentrazione che lo porta a studiare e confrontare in originale il testo biblico di Ezechiele, dove il tempio è descritto, e commentari ebraici e dei padri della Chiesa. La figura 2.2 mostra la pianta disegnata da Newton, conservata nella biblioteca del Babbon College. Questa analisi gli serve nella sua interpretazione rigorosa delle profezie bibliche, un argomento su cui pubblicherà un libro.

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Pagina 62

2.2. I «Principia»

2.2.1. La visita di Halley

Edmund Halley, quello della famosa cometa, di passaggio a Cambridge nel 1684, chiede a Newton quale sia la curva descritta da un corpo sotto l'azione di una forza che varia come il reciproco del quadrato della distanza. È un problema a cui stavano lavorando Halley stesso, Christopher Wren (l'architetto) e Robert Hooke.

Ma lasciamo parlare (in terza persona) Newton stesso, così come riportato da Abraham de Moivre:

Nel 1684, il dottor Halley lo venne a trovare a Cambridge e, dopo essere stati un po' insieme, gli chiese quale pensasse che fosse la curva che i pianeti descriverebbero supponendo che la forza di attrazione verso il Sole varii come il reciproco del quadrato della loro distanza. Sir Isaac rispose immediatamente che sarebbero ellissi, e il dottore [Halley] pieno di gioia e sorpresa gli chiese come facesse a saperlo. «Perché» gli rispose «l'ho calcolato». Per cui il dottor Halley gli chiese subito il suo conto, ma Sir Isaac guardando tra i suoi fogli non poté trovarlo e promise di cercarlo ancora e di mandarglielo. [51]

Derivare da un principio dinamico le leggi di Keplero del moto dei pianeti è il grande problema della filosofia naturale dell'epoca. Come abbiamo visto, Newton («Sir Isaac») aveva già risolto il problema nel 1666 e lo dice: «L'ho calcolato». Sul momento però non trovava più il conto. Insomma l'aveva perso.

La cosa più importante è però che sapeva che un pezzo essenziale del ragionamento su cui si basava il suo conto era ancora mancante. Stimolato dalla visita e dalla richiesta di Halley, Newton si rimette al lavoro e finalmente dimostra che un corpo all'esterno di una distribuzione sferica di massa è attratto come se tutta la massa fosse concentrata al centro della sfera. Questo importante risultato troverà il suo posto come proposizione LXXI, teorema XXI del secondo libro dei Principia:

Le stesse cose assunte come sopra, io sostengo che un corpuscolo messo al di fuori di una superficie sferica è attratto verso il centro della sfera con una forza inversamente proporzionale al quadrato della distanza dal centro. [52]

Questo teorema superbo, come Newton stesso lo chiamerà, è così potente e la sua dimostrazione così sorprendente che ha spesso indotto i commentatori successivi a tramandare il mito di Newton che deriva i suoi teoremi usando (di nascosto) il calcolo infinitesimale - la matematica delle derivate e degli integrali - per poi tradurli nel linguaggio geometrico in cui all'epoca tutte le dimostrazioni dovevano essere espresse per essere ritenute accettabili. Anche questa storia, come quella della mela, non è probabilmente vera. La conoscenza di Newton della geometria era così completa e profonda da rendere possibile questa e altre derivazioni. Il calcolo infinitesimale lo aveva inventato per risolvere altri problemi, geometricamente insolubili.

In ogni modo, con la dimostrazione di questo teorema, il conto del 1666 è ora pronto per diventare una proposizione e teorema dei Principia, il libro che a questo punto Newton si accinge a scrivere (vedi fig. 2.6).


2.2.2. «Principia», libro III, proposizione IV, teorema IV

Una prima sorpresa che incontriamo aprendo i Principia [52] è che non ci sono equazioni. (Ma come... dopo tutto quello che si è detto!) Del resto mancano anche le figure. Il trucco è che sia le figure che le formule se le deve scrivere il lettore mentre legge il libro.

La proposizione IV (vedi app. A1) è sconcertante nella sua semplicità:

Che la Luna gravita verso la Terra, ed è continuamente deviata dal suo moto rettilineo e tenuta sulla sua orbita dalla forza di gravità.

Questo è l'enunciato della legge della gravitazione universale perché lega la forza di gravità che vediamo all'opera sulla Terra con la forza che tiene la Luna in cielo nella sua orbita intorno alla Terra. Come si è detto, il legare questi due moti era già di per sé rivoluzionario.

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Pagina 104

4.

La macchina del tempo


4.1. «Il pensiero più felice della mia vita »

Tra i molti scienziati famosi, Albert Einstein è stato uno dei più espliciti nel parlare delle sue scoperte e di come le ha vissute. Inoltre, rispetto a Newton, Einstein è vissuto in un periodo storico più portato all'introspezione e questo rende più facile capirne le motivazioni e ricostruire il percorso mentale che lo ha portato alle sue scoperte. Infine, il suo mondo, quello della prima metà del secolo scorso, è molto più vicino al nostro di quello, per esempio, di Newton, e quasi tutti gli oggetti che usava nella vita di tutti i giorni e i pensieri che lo accompagnavano sono ancora facilmente da noi riconoscibili.

Il suo ricordo forse più famoso è quello legato a come gli sia venuta per la prima volta l'idea del campo gravitazionale come effetto dello stato di moto dell' osservatore:

Allora [1907] ebbi il glücklichste Gedanke meines Lebens, il pensiero più felice della mia vita: il campo gravitazionale ha solo un'esistenza relativa in modo simile al campo magnetico generato dall'induzione magnetica. Infatti, per un osservatore in caduta libera dal tetto di una casa non c'è - almeno vicino a lui - nessun campo gravitazionale. Infatti, se l'osservatore lascia cadere dei corpi qualsiasi, questi rimangono rispetto a lui in uno stato di quiete o di moto uniforme, Indipendentemente dalla loro particolare composizione chimica o natura fisica. [...] L'osservatore ha quindi il diritto di interpretare il suo stato come «in quiete». [66]

E ancora:

Ero [novembre 1907] seduto in una sedia nell'ufficio dei brevetti di Berna quando all'improvviso pensai: «Se una persona è in caduta libera non sentirà il suo peso». Rimasi sconcertato. Questo semplice pensiero mi fece un'impressione enorme. Mi spinse verso la teoria della gravitazione. [67]

Ritroviamo anche in questi ricordi, così come in quelli di Newton menzionati nel capitolo 2, come il ragionamento analitico sia quasi sempre immerso e in parte condizionato da un forte sostrato emotivo: «Il pensiero più felice della mia vita», «Rimasi sconcertato». Il ricercatore è completamente coinvolto nel suo processo mentale e le svolte a cui perviene sono tradotte nel linguaggio che noi di solito assegniamo all'evolversi di emozioni che proviamo per amore (o a causa di un dolore).

Aggiungo subito, nel caso questi ricordi facciano nascere il sospetto che una tale idea fosse costata (à la Holmes) poco sforzo a Einstein, che il suo stile di lavoro era simile a quello che abbiamo visto per Newton e che le sue idee erano il frutto di un lavoro incessante:

Una volta che conobbi Einstein e il suo stile, ciò che mi impressionò di più nella sua vita di tutti i giorni era la sua straordinaria perseveranza. Una volta afferrato un problema importante, non lo mollava mai. Poteva lasciarlo temporaneamente se la via sembrava bloccata, ma lo riprendeva di nuovo qualche settimana più tardi, dopo aver lavorato nel frattempo su un altro problema, ugualmente interessante. [68]

La foto riprodotta nella figura 4.1 mostra Einstein negli anni a cui questi ricordi si riferiscono. Il suo aspetto è lontano dall'icona mediatica che sarebbe diventato in seguito: i capelli bianchi spettinati e l'aria assente dello «scienziato pazzo». È un uomo posato, vestito con cura, aria d'efficienza e anche aspetto attraente.

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Pagina 146

5.

Metafore della divulgazione e linguaggio matematico


5.1. Traduttore traditore

A questo punto vedo una mano che si alza. Qualcuno vuole fare una domanda, sollevare un'obiezione: forse, essendo la matematica un linguaggio straniero, si potrebbero semplicemente provare a tradurre le sue formule nel linguaggio comune, in italiano nel nostro caso. Queste idee si potranno ben spiegare senza doversi iscrivere a un corso universitario di fisica o dover soffrire per pagine di formule?

In fondo, questo tipo di traduzione è lo scopo dichiarato di tutta la letteratura di divulgazione scientifica in cui, per non perdere lettori, viene consigliato di scrivere nelle introduzioni: «Nelle pagine che seguono non ci sono formule», oppure: «Nelle pagine che seguono c'è una sola formula ma, se volete, la potete saltare».

Questo capitolo è una piccola apologia dell'impostazione opposta, e cerca di suggerire che concepire la divulgazione scientifica in questo modo rischia non solo di essere inutile (le idee espresse sono rese così vaghe da risultare incomprensibili oppure equivoche) ma anche diseducativa in quanto basata sull'illusione che si possa capire qualche cosa senza fare fatica. In questo capitolo si cerca di ribadire l'importanza di leggere gli articoli originali della letteratura scientifica, le fonti primarie, e così facendo le formule che contengono.

Il punto più importante nello spiegare la scienza, la fisica nel nostro caso, è proprio lo spiegare le formule matematiche in quanto formule. Se si potessero tradurre in linguaggio comune senza perderne il senso lo si sarebbe già fatto fin dall'inizio e gli articoli scientifici non conterrebbero nessuna formula. Ci si sarebbe semplicemente serviti del linguaggio di tutti i giorni per presentare i risultati della ricerca scientifica, così come si fa in altre discipline come la filosofia e la storia. Ma questo non è possibile per la fisica. O, se possibile, la traduzione in una «narrazione» sarebbe così lunga e richiederebbe un così gran numero di commenti da essere in pratica irrealizzabile.

Leggere della divulgazione scientifica senza formule ricorda l'esperienza un po' penosa e noiosa di ascoltare qualcuno che ci racconta un film che ha visto. Anche lui sta cercando di tradurre un linguaggio (quello delle immagini) in un altro (quello delle parole). Meglio andare a vedere il film! Meglio imparare a leggere le formule!

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Pagina 155

5.2.2. Ridurre è bello

Capire vuol dire ricondurre un evento ad altri già noti. Onestamente non riesco a immaginare un altro tipo di comprensione razionale. Il processo è in un certo modo simile alla consultazione di un dizionario (ecco una metafora!). È il processo per la prima volta delineato chiaramente nel Metodo di Descartes [86]: spezzare il problema in parti, trattare ogni parte alla volta e poi rimettere tutto insieme. Analisi in greco vuol dire fare a pezzi.

Questo modo di procedere è stato chiamato, di solito dai suoi critici, riduzionismo. Non sono sicuro di cosa sia il suo contrario, forse un generico olismo. Purtroppo ho sentito spesso criticare questo approccio perché è parso ad alcuni appunto troppo riduttivo. Lo spirito romantico si ribella. La vita nella sua interezza sembra sfuggire all'analisi, e questo è probabilmente vero.

Certo nella vita di tutti i giorni si usano altri modi di pensare e nessuno (a parte gli scienziati delle barzellette) usa il metodo cartesiano per decidere i propri amici e cercare di capire le persone che ama. La vita contiene di sicuro molto più che la scienza e va trattata con altri metodi, altri ragionamenti e, forse, senza ragionamenti del tutto. È solo nell'analisi della natura e del suo funzionamento che il metodo analitico si rivela utile e, nel suo campo di applicabilità, estremamente potente.

Per dirlo con altre parole: l'analisi è un metodo molto potente con un campo di applicabilità molto limitato. In questo suo campo è però insuperabile.

Il risultato dell'analisi scientifica è stata la constatazione che è possibile capire il modo in cui la natura si comporta partendo dalle proprietà dei suoi costituenti. Questi sono stati via via identificati nelle molecole, poi negli atomi e infine nelle particelle elementari.

A volte ci si riferisce al riduzionismo in questo senso ristretto di spiegazione in termini di costituenti. In realtà l'analisi ha fornito un risultato anche più interessante.

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Pagina 171

6.2.1. La semplicità della meccanica quantistica

Ogni volta che leggo dei libri sullo sviluppo storico della meccanica quantistica mi colpisce come i primi problemi in cui gli effetti quantistici si sono manifestati fossero anche quelli che oggi sappiamo essere i più difficili da trattare: quelli dell'interazione tra materia e luce.

Questo fatto contingente è un'ironia della storia e la causa della fama di teoria incomprensibile che la meccanica quantistica si è fatta. Probabilmente non c'era altra via per scoprire la natura quantistica del mondo microscopico, perché la luce era allora l'unico ponte tra il nostro mondo e quello microscopico dove gli effetti quantistici diventano importanti e osservabili.

Molti libri di testo elementari seguono testardamente questo sviluppo storico. Sono basati sulla convinzione che le cose scoperte prima debbano essere più semplici di quelle scoperte dopo. Ma questo è spesso falso, e in modo particolare nel caso della meccanica quantistica.

Il risultato di questo modo di spiegare la teoria quantistica è una serie di discussioni approssimate e spesso anche sbagliate che è praticamente impossibile capire. In questo modo la teoria quantistica finisce per essere solo una lista di curiosità - l'effetto fotoelettrico, lo spettro del corpo nero, l'atomo di idrogeno - che non si combinano mai in un'immagine coerente del mondo, che è poi il vero scopo delle teorie scientifiche.

Le trattazioni più approfondite, invece, partono dalle basi della teoria - che sono molto semplici - e da lì procedono fino alle applicazioni più avanzate che sono, appunto, la teoria degli spettri atomici e in generale l'interazione della luce con la materia. Così facendo ripercorrono la storia all'indietro e sono, credo, molto più facili da capire.

La meccanica quantistica è concettualmente più semplice della fisica classica e in molte delle sue applicazioni anche la matematica necessaria è più elementare. Dove nella meccanica classica è sempre necessario ricorrere al calcolo infinitesimale, nella meccanica quantistica molti sistemi sono descritti da semplici relazioni algebriche.

Per questo motivo, non sarebbe forse una cattiva idea capovolgere l'ordine usuale e iniziare l'insegnamento della fisica proprio dalla meccanica quantistica di questi sistemi più semplici. Questo permetterebbe di illustrare i metodi e ragionamenti della fisica in modo più trasparente e anche più interessante. Il carattere culturale della scienza potrebbe essere comunicato più facilmente. Forti di queste basi, si potrebbe arrivare poi verso la fine del corso alla meccanica classica e alle sue complicate equazioni.

L'argomento che vede nella meccanica classica una fisica più vicina alla nostra vita di tutti i giorni e agli oggetti che siamo abituati a manipolare - e quindi la vede come una fisica più intuitiva - non è così ovvio come potrebbe sembrare. Parti fondamentali della nostra esperienza quotidiana - come il fatto che il pavimento su cui camminiamo sia solido e occupi lo spazio - sono basati su effetti quantistici (il principio di esclusione, in questo caso). Partire da una loro descrizione è probabilmente molto più intuitivo del concetto di moto di un punto materiale da cui spesso si inizia lo studio della fisica a scuola. In più, le nostre vite sono sempre più affollate da macchine basate esplicitamente sulla meccanica quantistica. Questi esempi non sono più remoti dei sistemi idealizzati su cui la trattazione tradizionale si basa. Il punto materiale che si muove senza attriti è, mi sembra, più lontano dalla nostra esperienza di tutti i giorni del funzionamento di uno schermo digitale di computer o di un orologio da polso elettronico.

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