Copertina
Autore Carlo Toffalori
Titolo Il matematico in giallo
SottotitoloUna lettura scientifica dei romanzi polizieschi
EdizioneGuanda, Parma, 2008, Piccola biblioteca , pag. 272, cop.fle., dim. 12x20x2,3 cm , Isbn 978-88-8246-949-8
LettoreCorrado Leonardo, 2009
Classe gialli , matematica , critica letteraria
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Indice


Matematica e Gialli                                   5
La matematica di Edgar Allan Poe                      9
Sherlock Holmes                                      18
Philo Vance e la formula di Riemann-Christoffel      26
Pomposi e balordi                                    35
Arlecchini e assassini                               43
Altri assassini matematici                           46
La matematica di Nero Wolfe                          52
Investigatori matematici                             64
La macchina pensante                                 85
Ellery Queen                                         96
Delitti impossibili                                  99
Il commissario Maigret                              118
Crittografia                                        121
Un giallo matematico: l'Ultimo Teorema di Fermat    136
Borges e Chesterton                                 157
Altri gialli matematici: la Congettura di Goldbach  173
Vedovi Neri                                         188
Apocrifi                                            192
Uomini e macchine                                   205
Matematica e scacchi                                234
Vero e dimostrabile?                                242
Oxford e Cambridge                                  252
Il mistero svelato                                  267


 

 

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Pagina 5

Matematica e Gialli



Agatha Christie è comunemente ritenuta la «regina del giallo». Il suo primo romanzo poliziesco, The Mysterious Affair at Styles (Poirot a Styles Court nella versione italiana), ha per protagonista il personaggio più famoso che la Christie abbia ideato, e cioè Hercule Poirot. Il lettore che, impaziente di conoscere la soluzione, sbirciasse le pagine finali, al termine del penultimo capitolo vedrebbe Poirot, appunto, affermare: «Messieurs, mesdames, l'assassino è il signor XXX» e troverebbe dettagliata dimostrazione di questo enunciato nel capitolo successivo. Non si tratta di un fatto isolato. La stessa situazione si verifica in innumerevoli altri polizieschi, ad esempio in quello che viene considerato il capolavoro di Agatha Christie, The Murder of Roger Ackroyd (che compare in edizione italiana come L'assassinio di Roger Ackroyd ma anche sotto il titolo di Dalle nove alle dieci). Alla fine del terzultimo capitolo, Poirot, ancora protagonista, smaschera il colpevole; le pagine successive sono interamente dedicate alla spiegazione del mistero. Il meccanismo richiama quello degli articoli di matematica: anche li si enuncia di regola un teorema (ad esempio: l'assassino è il maggiordomo) e poi si passa a fornirne prova particolareggiata e possibilmente inconfutabile.

Ma altri legami con la Matematica affiorano qua e là nelle avventure investigative. Ad esempio capita spesso di vedere l'indagine poliziesca paragonata a un'equazione da risolvere. Eccone qualche conferma, presa alla rinfusa nella letteratura gialla.

Nel libro di Rex Stout Too Many Clients (Troppi clienti), Archie Goodwin, il fido collaboratore di Nero Wolfe, annota: «Delle tre incognite di un problema criminale – mezzo, occasione e movente – bisogna scegliere quella che ha maggiori probabilità di far luce sul caso...»

Nel racconto di H.C. Bailey The Unknown Murderer (L'assassino sconosciuto), del 1923, il protagonista investigatore, il chirurgo Mr Fortune, esclama, a proposito di un indizio: «Questa è l'incognita dell'equazione».

Nella vetusta edizione italiana del 1953 del romanzo di Erle Stanley Gardner The Case of the Fan-Dancer's Horse (Perry Mason e il cavallo della ballerina), l'introduzione evoca «un cavallo e un ventaglio» come indizi chiave dell'intreccio, descrivendoli come «incognite di un'equazione» che l'avvocato del diavolo Perry Mason «risolve davanti alla corte».

L'elenco potrebbe estendersi ancora, e diventare sconfinato.

Del resto, è innegabile che un gran numero di polizieschi (e relativi protagonisti) privilegino lo sviluppo logico della storia e un'indagine basata sulla finezza del ragionamento, sulla «intelligenza guidata dall'esperienza» (per citare il consiglio che Nero Wolfe elargisce ad Archie Goodwin nelle storie di Rex Stout). E logica e ragionamento richiamano ovviamente la pratica della Matematica.

Né si possono dimenticare esempi fortunati e attualissimi quali, per certi versi, lo stesso Codice da Vinci o la serie televisiva Numb3rs. In questi telefilm la Matematica compare sin dal titolo, e c'è da chiedersi se serva solo come ennesimo espediente per attirare qualche spettatore o svolga invece un ruolo più serio e radicato.

In ogni caso si deve ammettere che Matematica e gialli hanno una loro qualche relazione, strana e intrigante, e che vale la pena di approfondire la questione. A questo sono dedicate, appunto, le pagine che seguono.

Scopriremo così che il racconto poliziesco coinvolge la Matematica dalla sua origine; che la Matematica ritorna spesso nelle pagine dei gialli, al servizio del bene, ma anche a quello del delitto; che esistono investigatori matematici così come assassini matematici; che la Matematica, con la sua apparenza di ineffabile e infallibile razionalità, sa porsi con pari disinvoltura al servizio del crimine e della giustizia. Ma avremo anche modo di constatare che la Matematica non è forse fredda, onnipotente e inappellabile come in genere si immagina, e ha invece le stesse passioni e gli stessi fremiti della gente comune, dei delinquenti o dei poliziotti.

Nel complesso il rapporto tra Matematica e libri gialli si rivelerà assai più esteso e radicato di quel che potrebbe sembrare: non sempre brillante e profondo, ma spesso non banale, e per di più aperto a possibili sviluppi e nuove reciproche frequentazioni, quindi meritevole di analisi.

È l'obiettivo che cercheremo di raggiungere nelle pagine che verranno. Va da sé che la panoramica che ne deriva è frutto dei gusti e delle letture dell'autore, e dunque fatalmente esposta a dimenticanze e omissioni, criticabile e opinabilissima. Ma, in fin dei conti, questo libro «non è una cosa seria», è solo un gioco, un divertissement; almeno così è stato per chi l'ha scritto, e tale ci auguriamo si dimostri anche per chi lo legge.

Chi poi vuole esplorare differenti prospettive, o approfondire, o aggiornarsi con nuovi riferimenti bibliografici, dispone oggi dell'immancabile sito web dedicato all'argomento, Math.cofc.edu/Kamsan/MATHFICT , che non si limita al solo ambito dei gialli, ma esamina più in generale la Matematica nei romanzi e racconti di «fiction» – e non solo di fiction, visto che include Dostoevskji, Tolstoj e Solgenitzin. Racchiude comunque interessanti pareri e documenti anche nel contesto specifico dei polizieschi.

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Pagina 9

La matematica di Edgar Allan Poe



Già gli albori della narrativa gialla insinuano il collegamento con la Matematica. Consideriamo l'autore che viene in genere indicato come il creatore del genere poliziesco, e cioè Edgar Allan Poe. Come riferisce Jorge Luis Borges nei suoi Prologhi, «nel 1841 un povero uomo di genio la cui opera scritta è probabilmente inferiore al vasto influsso che essa ha avuto nelle diverse letterature del mondo, Edgar Allan Poe, pubblicò a Filadelfia il primo racconto giallo che registri la storia, I delitti della via Morgue. Il racconto stabilisce anche le leggi fondamentali del genere: il delitto enigmatico e a prima vista insolubile, l'investigatore solitario che lo svela mediante l'immaginazione e la logica, il caso riferito da un amico impersonale e alquanto slavato dell'investigatore».

Poe infatti dedicò alcuni dei suoi numerosissimi racconti a resoconti di crimini, misteri e relative indagini, e il primo della serie è proprio il celebre I delitti della via Morgue (The Murders in the Rue Morgue). È li che incontriamo per la prima volta il «detective» protagonista di cui Borges parla: Monsieur Auguste Dupin. Poe ce ne dà ampia descrizione, dipingendolo come personaggio inquietante, «innamorato della notte», lucido ragionatore e solutore di misteri. All'inizio del racconto, Poe individua nella capacità di «Analisi» la principale dote della mente umana, e osserva che «la facoltà di risolvere un problema è probabilmente molto rinforzata dallo studio delle matematiche e in modo particolare dall'altissimo ramo di questa scienza che — impropriamente e solo in ragione delle sue operazioni in senso retrogrado — è chiamato Analisi, come se fosse proprio l'Analisi per eccellenza». Così, per questa via, la Matematica fa subito capolino nella storia del giallo, anche se Poe tiene a distinguere l'«Analisi» che ha in mente da quella che veniva e viene comunemente chiamata Analisi Matematica, la quale, a dir la verità, in quegli anni (nel 1841, come detto) muoveva appena i suoi primi passi come disciplina autonoma e indipendente. Per spiegare a quale «Analisi» si riferisce, Poe si dilunga in varie considerazioni, descrivendola, ad esempio, differente dal puro calcolo o dall'ingegnosità, che ne sono solo aspetti particolari. Commenta: «Come l'uomo forte gode della sua potenza fisica e si compiace degli esercizi che mettono in azione i suoi muscoli, così l'analista si gloria dell'attività di risolvere e trova piacere anche nelle occupazioni più comuni purché diano gioco al suo talento. Così gli piacciono gli enigmi, i rebus, i geroglifici; e nelle soluzioni dimostra un acume che al discernimento volgare appare soprannaturale: i risultati, abilmente dedotti dalla stessa essenza e anima del suo metodo, hanno veramente tutta l'aria dell'intuito». Finalmente, per tagliare la testa al toro e meglio illustrare quello che gli frulla per la testa, Poe passa al racconto del mistero della via Morgue e dell'orrendo delitto che lì avviene di due donne, a esemplificare, nella soluzione logica ed essenziale che Dupin dà del problema, la capacità di Analisi lungamente descritta.

Il richiamo all'Analisi e alla Matematica è comunque presente e non marginale, né episodico e fine a se stesso. Ritorna infatti nel più celebre racconto di indagine di Poe, La lettera rubata (The Purloined Letter), che vede ancora Auguste Dupin come protagonista.

In questo caso Dupin riesce a recuperare in modo semplice e brillante una delicata missiva misteriosamente sparita, ma ha anche il tempo di sviluppare varie considerazioni sulle qualità della mente umana che permettono crimini geniali e geniali investigazioni. Ci vuole anzitutto la Matematica, come il suo interlocutore (Poe stesso?) gli dice, facendogli notare come il «colpevole» sia, appunto, un matematico e abbia addirittura scritto «con molta competenza sul Calcolo Differenziale». Dupin ribatte che la Matematica da sola non basta, che ci vuole anche un tocco di poesia; nota infatti come il «colpevole» è anche poeta e, «in quanto poeta e matematico sa ragionare bene»: «se fosse stato soltanto matematico non avrebbe ragionato bene e sarebbe stato facilmente alla mercé degli avversari». Poe gli controbatte che «la ragione della Matematica è considerata da tempo la ragione par excellence». Ma Dupin, prendendo lo spunto da questa osservazione, inizia una lunga digressione critica sul ruolo della Matematica «pura», insensibile alla poesia. Anzitutto contesta l'opinione di Poe come un errore popolare da correggere; poi ribadisce l'eccellenza della sua «Analisi», da distinguere accuratamente dall'Analisi Matematica; anzi accusa i matematici di aver instaurato, «con abilità degna di miglior causa, il riferimento del termine Analisi a quella che è soltanto Algebra»; alla fine, per colmare la misura, critica pesantemente l'Algebra fine a se stessa, affermando di «non avere mai incontrato un matematico al quale si potesse prestare fede al di fuori delle radici quadrate o che in segreto non credesse fideisticamente che x^2 + px fosse uguale a q». E aggiunge, rivolto a Poe: «Se ne avete voglia, provatevi a dire a uno di questi signori, in via del tutto sperimentale, che ritenete possano verificarsi casi in cui x^2 + px non sia del tutto uguale a q; ma dopo avergli fatto capire íl vostro pensiero toglietevi il più rapidamente possibile dalla sua portata, perché certamente cercherà di prendervi a pugni».

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Pagina 96

Ellery Queen



L'investigatore «matematico» per eccellenza è Ellery Queen, personaggio di una serie sterminata di romanzi e racconti scritti a quattro mani da F. Dannay e M. Lee, nei quali è presentato come figlio di un ispettore della polizia newyorkese e come autore di gialli (del resto Dannay e Lee si firmano a loro volta, con un gradevole gioco di autoriferimento, proprio con lo pseudonimo di Ellery Queen). Nel romanzo del 1935 The Spanish Cape Mystery (Il Mistero di Capo Spagna), Ellery Queen espone una fascinosa teoria sull'arte dell'investigazione, che manifesta una chiara impostazione matematica e richiama quasi esplicitamente il Programma di Hilbert. Infatti, commentando il proprio metodo di indagine, Queen dice:

«Il mio lavoro è fatto non con esseri umani, ma con simboli... mi sono sempre rifiutato di cogliere l'aspetto umano del problema, lo tratto solo come una questione di Matematica».

Dunque, i protagonisti dell'indagine perdono la loro dimensione di esseri umani, e diventano solo simboli, pedine su una scacchiera, cifre di un intreccio razionale e coerente che lo scrittore tesse e l'investigatore alla fine scioglie. Come detto, queste affermazioni ricordano direttamente le caratteristiche del Programma matematico di David Hilbert, che del resto risaliva a pochi anni prima, e cioè al 1925. Infatti, come già abbiamo avuto modo di accennare, per Hilbert oggetti matematici visibili e familiari, come quelli geometrici – triangoli, poligoni, angoli –, perdevano ogni loro evidenza visibile e diventavano enti astratti su cui ragionare in base a predefiniti assiomi fondamentali e secondo regole rigorose di deduzione. Secondo Hilbert non sono dunque la forma del triangolo, o l'intuizione, che ispirano e producono risultati e dimostrazioni, ma piuttosto il complesso dei fondamenti assiomatici posti alla base della loro teoria e la coerenza delle argomentazioni che li riguardano; così, per dirla con le parole usate da Poincaré per commentare questa impostazione, «fare geometria è permesso anche a un cieco». Ancora Poincaré osservava polemicamente che, nell'approccio di Hilbert, perfino i teoremi perdono ogni identità, e «per dimostrarli non è più necessario e neppure utile sapere che cosa dicono»; tutta la Matematica si riduce dunque a un puro gioco mentale, a «una macchina in cui si introducono gli assiomi da una parte e si raccolgono i risultati dall'altra».

Allo stesso modo nel «programma» di Ellery Queen esseri viventi perdono ogni identità e diventano puri simboli: quel che conta è «la logicità, il perfetto concatenamento di indizi e particolari verso una soluzione che, alla stregua di un problema matematico, possa considerarsi ineccepibile e inattaccabile sotto ogni aspetto» (citazione di M. Polillo, e di una sua introduzione al romanzo di Queen del 1930 The French Powder Mystery, Sorpresa a mezzogiorno nel titolo italiano).

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Pagina 157

Borges e Chesterton



L'Ultimo Teorema di Fermat è anche citato in un famoso racconto poliziesco di Jorge Luis Borges, Abenjacan il bojarì, ucciso nel suo labirinto. Borges è scrittore «serio», celebre e controverso, uno dei maggiori del Novecento, e la sua produzione non si limita davvero a gialli o Matematica. Però si interessò certamente alla Matematica, e fu anche appassionato della letteratura poliziesca; curò antologie di racconti gialli e altri ne scrisse. Ad esempio compose a quattro mani, in collaborazione con Adolfo Bioy Casares, una raccolta di sei racconti polizieschi, godibili e originali, dedicati all'investigatore Isidro Parodi. Lo stesso protagonista che vi compare a dipanare i misteri è figura assolutamente lontana da ogni stereotipo e schema prefissato: si tratta infatti di un detenuto, Isidro Parodi appunto, barbiere di Buenos Aires che, ingiustamente incolpato di un assassinio durante gli eccessi e le risse di una festa di carnevale, si trova a dover scontare una condanna di ventun anni di reclusione. Ma il carcere che lo ospita è molto sui generis, e assomiglia più a una casa di riposo che non a un terribile luogo di espiazione e di pena: i visitatori di don Isidro vi sono ammessi liberamente e hanno ampia facoltà di esporgli i propri problemi e ascoltarne le soluzioni. La Matematica fa brevi apparizioni in queste storie: già nella prima, I dodici segni dello Zodiaco, la spiegazione del mistero si basa su un vecchio trucco di permutazioni.

Ma Matematica e gialli si coniugano in modo ancora più convincente in altri racconti di ben diversa prospettiva. Si pensi ad esempio a L'aleph e a Discussioni; oppure si ricordi, tra i racconti della raccolta Finzioni, quello (famosissimo e già prima citato) che ha titolo La biblioteca di Babele.

Proprio nell' Aleph compare anche il racconto Abenjacan il bojarì, ucciso nel suo labirinto di cui si parlava poco fa. In esso due compagni, Dunraven e Urwin, discutono la misteriosa morte di un notabile orientale in esilio, e giungono lentamente a intuirne modalità, movente e colpevole. Quasi all'inizio del racconto, leggiamo il citato riferimento all'Ultimo Teorema di Fermat. Apprendiamo infatti che «Urwin aveva pubblicato uno studio sul Teorema che Fermat non scrisse in margine a una pagina di Diofanto»: esercizio del resto abbastanza comune tra i giovani matematici entusiasti, prima e anche dopo Wiles, come le vicende del Premio Wolfskehl ci illustrano e confermano; in effetti Borges ci avverte che Urwin e il suo interlocutore Dunraven erano «entrambi giovani, distratti e appassionati».

Ma tutta l'atmosfera del racconto si imbeve, come spesso in Borges, di riferimenti matematici: labirinti, simmetrie che si ribaltano, geometrie inattese e sorprendenti, verità che diventano sogni e, talora, irrealtà che diventano vere.

Analoghe caratteristiche ha l'altro racconto poliziesco che compare sempre in Finzioni, La Morte e la Bussola. Si tratta di una storia di omicidi misteriosi che si succedono appunto sulla base di figure e schemi geometrici. Così, dopo che tre inspiegabili assassini avvengono in tre luoghi e in tre giorni distinti secondo una logica inafferrabile, gli investigatori ne paventano un quarto: resta da stabilire dove e quando. A risolvere il mistero contribuisce l'apparizione di una carta geografica dei luoghi del delitto, che mostra «in inchiostro rosso la regolarità del triangolo». In realtà l'ispettore di polizia che la riceve da mittente sconosciuto non ne pare troppo interessato, tanto è vero che, dopo aver letto «con rassegnazione questo argomento more geometrico» provvede a inoltrarlo «all'indirizzo cui indiscutibilmente spettano tali scemenze», e cioè all'esperto di turno, che nella fattispecie ha nome Erik Lönnrot. Ma quest'ultimo decifra il messaggio misterioso, riscontrandovi «simmetrie di tempo, simmetrie di spazio» e raggiunge la soluzione.

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Pagina 173

Altri gialli matematici: la Congettura di Goldbach



«Vedete, c'è un maledetto impiccio che si chiama 'teorema di Goldbach'. In realtà è cosa molto semplice. Nel 1742, credo, un matematico russo di nome Christian Goldbach dichiarò che secondo lui ogni numero pari più grande di 2 poteva essere scritto come la somma di due numeri primi, intendendo con questo termine un numero che non ha altro divisore che se stesso e 1. Per esempio 4 = 2 + 2, 6 = 3 + 3, 8 = 3 + 5, 10 = 3 + 7, 12 = 5 + 7 e così via, finché si vuole. Ma Goldbach non fu mai in grado di provarlo. E nei duecento anni che sono seguiti all'enunciazione del teorema, nessun altro ci è riuscito. I più grandi matematici non sono stati capaci di provare che l'ipotesi di Golbach sia vera.»

Non è il testo di un libro di Matematica, magari divulgativo, ma un racconto giallo: Milioni di trilioni (Sixty Million Trillion Combinations nel titolo originale inglese), scritto da Isaac Asimov e pubblicato nella raccolta I banchetti dei Vedovi Neri (Banquets of the Black Widowers). I Vedovi Neri sono vecchi signori che si riuniscono mensilmente per una cena sociale, e discutono in quell'occasione qualche caso criminale o bizzarro, ospitando il protagonista e cercando la soluzione: Gonzalo, Trumbull, Halsted sono i nomi di alcuni di questi gentiluomini. In particolare Halsted ha anche la ventura di essere un professore di Matematica, l'unico del gruppo. Ma il deus ex machina che alla fine delle storie riesce sempre a svelare l'intreccio e a individuare la verità non è né lui né alcuno dei suoi colleghi, ma piuttosto il cameriere che li serve: l'impagabile e impeccabile Henry.

Il testo di Asimov appena letto introduce il tema della Congettura di Goldbach (che già anticipavamo al termine del capitolo sul Teorema di Fermat) in modo tutto sommato corretto, ma non privo di qualche imperfezione. Ad esempio, Christian Goldbach non era russo: anche se operò lungamente in Russia, alla corte di San Pietroburgo, ad esempio come tutore dello zar Pietro II, tuttavia fu di origine prussiana, nacque infatti nel 1690 nella città che oggi si chiama Kaliningrad e si colloca in quella porzione della Russia incastonata tra la Polonia e le repubbliche baltiche, ma a quei tempi aveva nome Königsberg e faceva appunto parte della Prussia.

Quel che Goldbach affermò nel 1742 non corrisponde poi esattamente a quello che Asimov gli attribuisce. Si narra infatti che egli scrisse all'amico e collega Eulero proponendogli il problema che segue:

«È vero che ogni numero naturale maggiore o uguale a 6 si può scrivere come somma di almeno tre primi?»

Ad esempio, 6 si scrive 2 + 2 + 2 o 3 + 3, 7 si esprime 2 + 2 + 3, e così via. Goldbach non aveva provato questa affermazione, ma la riteneva plausibile e appunto per questo chiedeva il parere di Eulero. Ma neppure Eulero fu capace di risolvere il problema; si limitò invece a osservare che, per ottenere una risposta positiva, bastava provare che

«ogni numero pari maggiore o uguale a 4 è la somma di due primi».

Il lettore può facilmente immaginare il perché. Prendiamo un numero naturale N maggiore o uguale a 6; se N è pari, allora N – 2 è pari e maggiore o uguale a 4 e, se vale l'affermazione di Eulero, si scrive come somma di due primi p + q, così che N = (N – 2) + 2 = p + q + 2 è la somma di tre primi; se invece N è dispari, si fa riferimento a N – 3, che è ancora pari e maggiore o uguale a 4; N – 3 si scrive allora come somma di due primi, e quindi N = (N – 3) + 3 diventa nuovamente la somma di tre primi.

Questa è dunque la storia della corrispondenza di Goldbach ed Eulero, e l'inizio del mistero. Va comunque sottolineato che, al contrario di quel che scrive Asimov, né la primitiva affermazione di Goldbach né la risposta di Eulero avevano diritto al nome di teoremi. Né l'una né l'altra avevano infatti una loro «dimostrazione», e un «teorema» diventa tale solo dopo che lo si prova inconfutabilmente. È questo, infatti, il modo in cui un «teorema» è comunemente inteso nella terminologia matematica corrente. È vero che proprio Eulero, nella risposta a Goldbach, definisce la sua affermazione un «teorema interamente certo»; ma a quell'epoca, nel 1742, la parola «teorema» poteva ancora ritenersi sinonimo di «asserzione», mentre ai giorni nostri, e se è per questo anche ai tempi in cui scriveva Asimov, «teorema» ha acquisito l'altro significato cui prima si accennava, e cioè di verità dimostrata. Quindi le due affermazioni di Goldbach e di Eulero meritano piuttosto il nome di «congetture», e cioè di proposizioni che si ritengono plausibili e fondate, e di cui si sollecita, appunto, quella prova precisa e definitiva che ancora manca.

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Pagina 180

Ma torniamo, appunto, alla Congettura di Goldbach. Essa dà spunto anche a un altro recente thriller scientifico (uno dei più convincenti e avvincenti romanzi scritti in questo settore): Zio Petros e la Congettura di Goldbach di Apostolos Doxiadis, del 1992. Vi si descrive il caso di un giovane che sta per iscriversi all'università ed è orientato a scegliere Matematica. Il ragazzo ha uno zio, Petros appunto, scontroso e isolato, mal sopportato dal resto della famiglia che lo considera la propria «pecora nera» e «il prototipo del fallito». Lo zio ha comunque fama di essersi occupato durante la sua gioventù di Matematica (e anche di scacchi, visto che il binomio Matematica-scacchi sembra inscindibile nella letteratura). In effetti, nel disordine del suo appartamento compaiono «una scacchiera con i pezzi disposti come durante una partita in corso», «una gran pila di libri e periodici scacchistici» e poi ancora altri testi «le cui pagine sono adorne di simboli... incomprensibili»: manuali di Matematica, ovviamente.

Così il giovane decide di confidare allo zio i suoi propositi di studente e chiedere íl suo consiglio. Lo zio gli descrive allora la nobiltà e la rilevanza della missione di matematico, e la necessità che chi la intraprende ne abbia le doti e la vocazione naturale:

«I matematici trovano nei loro studi lo stesso godimento che gli scacchisti traggono dagli scacchi... la conformazione psicologica del vero matematico è vicina a quella del poeta e del compositore, di chi è interessato alla creazione della bellezza e alla ricerca dell'armonia e della perfezione... all'opposto dell'uomo pratico, dell'ingegnere, del politico.»

Lo invita a valutare con attenzione, prima di iscriversi, le sue reali predisposizioni alla Matematica, e gli propone il patto che segue.

«'Ti proporrò un problema. Te lo porterai a casa e tenterai di risolverlo. Dal tuo successo, o dal tuo fallimento, potremo valutare con precisione le tue possibilità di diventare un grande matematico.'

'Ma quanto tempo avrò?'

'Diciamo fino all'inizio della scuola, il 1° ottobre. Quasi tre mesi.'»

Dunque al nipote si concede il tempo per risolvere «ben più di un unico problema matematico». Ma la questione che lo zio Petros propone, il «test di ammissione» agli studi matematici, è in realtà la Congettura di Goldbach: così facile da spiegarsi che anche un ragazzo con poche basi di Matematica sa capirla; così difficile da risolversi che oltre due secoli di tentativi non l'hanno ancora chiarita. Dunque non è sorprendente che il ragazzo fallisca nei suoi sforzi estivi e, fedele alla promessa, rinunci alla sua carriera matematica. Ma i casi della vita sono infiniti, e capita che il nipote scopra qualche anno dopo che l'innocente «esercizio» dello zio era in realtà una congettura irrisolta da secoli. La reazione è ovvia: il giovane si precipita da Petros per avere soddisfazione. E la giustificazione dello zio diventa a poco a poco la storia stessa della sua vita.

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Pagina 205

Uomini e macchine



Il gusto di Asimov per gli intrecci gialli si riscopre anche nei suoi romanzi di fantascienza più famosi. Ad esempio Asimov inventò una coppia celebre di investigatori, paragonabile a tante altre apparse nel genere poliziesco, come appunto Holmes e Watson, o Wolfe e Goodwin, e così via. La novità è che in questo caso dei due detective l'uno è un uomo, e l'altro è una macchina. Il primo ha nome Elijah (Lije) Baley, il secondo R Daneel Olivaw dove R. sta per robot. La trovata è indubbiamente originale, e per di più intrigante anche sotto l'aspetto scientifico, non solo perché, come vedremo, le storie che hanno Baley e Olivaw protagonisti abbondano di citazioni matematiche, ma soprattutto per certe questioni serie e appassionanti ch'esse sollevano, e cioè: può un robot indagare, ragionare, dedurre al posto di un uomo, o meglio di un uomo? Può la macchina sostituire l'uomo nella sua facoltà di pensare (nel caso specifico dei polizieschi: nella sua facoltà di investigare)? Esiste davvero una «macchina pensante» (al di là degli exploit del professor Van Dusen)? È ammissibile la prospettiva di un calcolatore artificiale infallibile e inappuntabile, capace di raggiungere senza dubbi ogni verità? E, oltre a questo: può la macchina avere una sua vita interiore, simile a quella di un uomo? Può un automa, che pure è rigidamente programmato al servizio dell'uomo, raggiungere tuttavia una sua identità, una sua vita interiore, una sua indipendenza, un istinto di autonomia e perfino di ribellione?

Questi interrogativi, e lo studio della relazione uomo-macchina, ricorrono spesso nei romanzi di fantascienza. Nel caso dei lavori di Asimov la novità è, appunto, la sistemazione del quesito all'interno di indagini poliziesche a quattro mani tra uomo e robot antropomorfo. Da una parte, l'umano Lije Baley ci appare come un detective cinico, malinconico, spesso disilluso, manifesta dunque connotazioni che richiamano il Philip Marlowe di Chandler e, tra gli interpreti che l'hanno recitato sullo schermo, Humphrey Bogart; d'altro lato, il robot Daneel Olivaw è, invece, freddo come si addice a una macchina, logico, essenziale. I due collaborano all'inizio per costrizione e con diffidenza (almeno da parte di Baley), ma finiscono per trovare una sintonia, un reciproco rispetto, addirittura un'amicizia – se mai le macchine possono provare e ispirare amicizia.

Ma andiamo con ordine, ed elenchiamo intanto le opere di Asimov in cui Baley e Olivaw compaiono. La coppia è protagonista di due fascinosi romanzi degli anni Cinquanta:

Abissi d'acciaio (The Caves of Steel)

Il sole nudo (The Naked Sun),

seguiti nel 1972 da un racconto:

– Immagine speculare (Mirror Image)

e poi negli anni Ottanta da un ultimo romanzo, tanto lungo quanto deludente:

I robot dell'alba (The Robots of Dawn).

Notevole in questi lavori è anche l'ambientazione che Asimov immagina. Ci si presenta infatti un mondo di uomini e di robot, dove questi ultimi hanno spesso fisionomia antropomorfa e sono comunque votati al servizio dell'uomo. Ma anche la società umana è suddivisa a metà: include infatti una vecchia componente terrestre, decaduta e fatiscente, cui si oppone un'aristocrazia spaziale dominatrice e sovrana. Gli spaziali sono in realtà i coloni che dalla Terra sono partiti per diffondersi su altri pianeti e sistemi solari, raggiungendo li vette eccelse di organizzazione e civiltà; sono poi tornati a conquistare il luogo d'origine. Troviamo dunque una Terra immiserita e sovraffollata, cui si contrappone questa nuova società, perfetta, nobile e raffinata. Essa è distribuita in 50 mondi esterni, e ha popolazione complessiva inferiore a quella ammassata nel nostro pianeta ma, per contrasto, ha potenziale militare cento volte maggiore. Mantiene così sulla Terra un presidio di controllo – la roccaforte di Spacetown – e relega i nativi terrestri in una sorta di ghetto e di apartheid. La situazione genera inevitabili contrasti e problemi di integrazione e di convivenza tra etnie e culture talmente diverse: se da un lato c'è una sorta di aristocratico disprezzo degli spaziali verso i terrestri, dall'altro cova un sentimento inverso di rabbia e di rivalsa dei terrestri oppressi verso gli spaziali.

A questo squilibrio tra umani, si sovrappone il delicato rapporto tra uomo e robot cui già si accennava: problematica che si insinua in modo consistente anche nel nostro Duemila, ed è tanto più sentita e attuale nella società futura e ideale di Asimov. Infatti, se da un lato gli spaziali delegano a robot umanoidi ogni incarico di fatica, al contrario i terrestri disoccupati o sottopagati mal sopportano che le macchine vadano a sostituirli nelle loro attività lavorative.

In questo mondo di tensioni, la Matematica interviene per cercare di regolare tanti difficili equilibri, ad esempio nella strutturazione della vita sociale o nella programmazione stessa del comportamento dei robot. Scopriamo così che c'è addirittura una sociomatematica che si interessa dei rapporti tra singoli e comunità, mentre un altro ramo della Matematica – la robotica – si preoccupa invece della progettazione delle macchine. Le due matematiche, quella sociologica e quella robotica, si intersecano, talora collaborano, più spesso si scontrano nella gestione di questo universo del futuro.

Tra parentesi, possiamo chiederci quale corrispondenza abbiano queste immaginazioni nel nostro mondo reale, e se sociomatematica e robotica siano solo parto di fantasia o ammettano invece un qualche oggettivo fondamento scientifico. Della sociomatematica parleremo tra breve. Ma intanto vale la pena di commentare per un attimo la matematica robotica. È da sottolineare che Asimov rivendicò sempre la paternità di questo neologismo «robotica». E pur tuttavia l'idea di una Matematica che sovrintenda la programmazione degli automi è oggi comunemente accettata e diffusa a ogni livello. Basterà ricordare che gli albori stessi della moderna Informatica si manifestarono proprio all'interno della Matematica e ben prima dei romanzi di Asimov, per la precisione negli anni Trenta, quando Turing, Gödel e altri presero a dibattere che cosa significasse «computare», chi, o che cosa, fosse delegato a computare e meritasse dunque il titolo di «calcolatore», e, ancora, quali problemi – matematici e non matematici – si potessero calcolare e risolvere, e quali no (perché, come i Teoremi di Gödel ci insegnano, non tutto è possibile all'uomo e alla sua mente). Turing propose in questo ambito quella «macchina» che prende il suo nome («macchina di Turing», appunto) e che costituisce il primo modello teorico dei calcolatori, così come essi vengono oggi comunemente intesi. La macchina di Turing è dunque la lontanissima progenitrice di R. Daneel Olivaw, il primo passo nella sua evoluzione; ancora non antropomorfa, assomigliante semmai a una vecchia macchina per scrivere; semplice nella sua progettazione, volta a simulare meccanicamente il comportamento del cervello dell'uomo medio; e pur tuttavia così potente da computare tutto quello che si può praticamente calcolare in questo mondo. È questo infatti il contenuto della famosa Tesi di Turing: un'ipotesi scientifica che risale agli anni Trenta e che accredita la macchina di Turing, appunto, come la fedele imitatrice dei poteri computazionali della nostra mente. È da dire che questa Tesi è oggi dibattuta e controversa, e sembra per certi versi superata; non ha perso tuttavia la sua completa validità e fornisce ancora un preciso termine di riferimento per valutare le capacità e le incapacità umane di calcolo e soluzione dei problemi.

Ma torniamo al futuro fantascientifico di Asimov e ai suoi robot, lontani discendenti della macchina di Turing. In questo «nuovo mondo», alla base della programmazione delle macchine stanno le famose Tre Leggi della Robotica che Asimov aveva già enunciato in precedenti racconti del suo universo.

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