Autore Daniel C. Dennett
Titolo Strumenti per pensare
EdizioneCortina, Milano, 2014, Scienza e Idee 246 , pag. 538, ill., cop.fle., dim. 14x22,5x3,3 cm , Isbn 978-88-6030-654-8
OriginaleIntuition Pumps and Other Tools for Thinking [2013]
TraduttoreSimonetta Frediani
LettoreGiorgio Crepe, 2014
Classe filosofia , psicologia , scienze cognitive












 

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Indice


Prefazione                                               XV

I.  INTRODUZIONE. CHE COS'Θ UNA POMPA DELL'INTUIZIONE?    1

II. UNA DOZZINA DI STRUMENTI GENERALI PER PENSARE        17

1.  Commettere errori                                    19
2.  Il "ragionamento per parodia":
    usare la reductio ad absurdum                        30
3.  Le regole di Rapoport                                35
4.  La legge di Sturgeon                                 38
5.  Il rasoio di Occam                                   40
6.  La scopa di Occam                                    42
7.  Usare come esca un pubblico di profani               44
8.  Il Jootsing                                          47
9.  Tre specie di gouldazione:
    il piuttostamento, la gonfiatura e il two-step       51
10. L'operatore "certamente": un blocco mentale          56
11. Domande retoriche                                    58
12. Che cos'è una profonderia?                           59
    Sommario                                             61

III. STRUMENTI PER PENSARE AL SIGNIFICATO O CONTENUTO    63

13. Omicidio a Trafalgar Square                          65
14. Un fratello maggiore che vive a Cleveland            69
15. "Papà è un dottore"                                  72
16. Immagine manifesta e immagine scientifica            73
17. Psicologia popolare                                  77
18. L'atteggiamento intenzionale                         82
19. La distinzione tra "personale" e "subpersonale"      93
20. Una cascata di homunculi                             99
21. L'operatore sorta                                   104
22. Il tessuto miracoloso                               106
23. Prigioniero nella stanza di controllo del robot     110

IV. UN INTERLUDIO SUI COMPUTER                          115

24. I sette segreti del potere dei computer             117
25. Macchine virtuali                                   142
26. Algoritmi                                           150
27. Automatizzare l'ascensore                           153
    Sommario                                            158

V.  ALTRI STRUMENTI PER PENSARE AL SIGNIFICATO          161

28. Qualcosa di personale contro i rossi                163
29. Il two-bitser errante, la Terra Gemella
    e il robot gigantesco                               167
30. La traduzione radicale e un cruciverba quineano     187
31. Motori semantici e motori sintattici                191
32. L'Uomo della palude incontra uno squalo-mucca       193
33. Due scatole nere                                    198
    Sommario                                            213

VI. STRUMENTI PER PENSARE ALL'EVOLUZIONE                217

34. L'acido universale                                  219
35. La biblioteca di Mendel: "enorme" ed "evanescente"  222
36. I geni come parole o come subroutine                232
37. L'albero della vita                                 235
38. Gru e ganci appesi al cielo,
    l'innalzamento nello spazio dei progetti            236
39. Competenza senza comprensione                       252
40. Princìpi giustificativi in fluttuazione libera      254
41. Le locuste capiscono i numeri primi?                257
42. Come spiegare lo stotting                           259
43. Attenzione al Primo Mammifero                       261
44. Quando avviene la speciazione?                      265
45. Fabbricanti di vedove, Eva mitocondriale
    e incoronazioni retrospettive                       268
46. Cicli                                               274
47. Che cosa dicono in realtà al cervello
    gli occhi della rana?                               278
48. Grandi balzi nella biblioteca di Babele             281
49. Chi è l'autore di Spamleto?                         283
50. Rumore nell'albergo virtuale                        291
51. Herb, Alice e Hai, il bambino                       295
52. Memi                                                298
    Sommario                                            301

VII. STRUMENTI PER PENSARE ALLA COSCIENZA               303

53. Due controimmagini                                  305
54. L'Impressione Zombica                               307
55. Zombi e zimbo                                       312
56. La Maledizione del Cavolfiore                       320
57. Vis: quanto vale in "moneta reale"?                 324
58. Il triste caso di Mr Clapgras                       327
59. Il Mazzo Accordato                                  336
60. La Stanza Cinese                                    345
61. La discesa teleclonica da Marte                     356
62. Il sé come centro di gravità narrativa              359
63. Eterofenomenologia                                  367
64. Mary, la scienziata del colore:
    una stampella esplosiva svelata                     373
    Sommario                                            378

VIII. STRUMENTI PER PENSARE AL LIBERO ARBITRIO          381
65. Un neurochirurgo davvero scellerato                 385
66. Un giocattolo deterministico:
    il gioco Vita di Conway                             387
67. La morra cinese                                     398
68. Due lotterie                                        404
69. Fatti storici inerti                                407
70. Una maratona di scacchi con il computer             413
71. La responsabilità ultima                            423
72. Lo sphexismo                                        427
73. I ragazzi venuti dal Brasile:
    un'altra stampella esplosiva                        432
    Sommario                                            437

IX. CHE COSA SI PROVA A ESSERE UN FILOSOFO?             441

74. Un patto faustiano                                  443
75. La filosofia come autoantropologia ingenua          446
76. Le verità di ordine superiore degli scocchi         450
77. Il 10 per cento buono                               457

X.  USATE GLI STRUMENTI E
    NON STANCATEVI DI FARE ESERCIZIO                    461

XI. OMISSIONI                                           463

Appendice.
Soluzioni degli esercizi sulla macchina a registri      465

Fonti                                                   477
Bibliografia                                            483
Crediti                                                 495
Indice analitico                                        497


 

 

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Pagina 1

I
INTRODUZIONE


CHE COS'Θ UNA POMPA DELL'INTUIZIONE?



                        Senza strumenti, a mani nude, il falegname non può fare
                        granché e senza strumenti, con il solo cervello, il
                        pensatore non può fare granché.
                                                                     BO DAHLBOM



Pensare è difficile. Pensare a certi problemi è così difficile che il solo pensiero di pensare a quei problemi può far venire mal di testa. Il mio collega neuropsicologo Marcel Kinsbourne suggerisce che quando pensare ci sembra difficile è sempre perché il percorso accidentato per arrivare alla verità è in competizione con altre vie più facili e allettanti, che poi risultano essere vicoli ciechi. Θ questione di resistere alle tentazioni e la fatica del pensare è dovuta per lo più a questo. Subiamo continui agguati e dobbiamo armarci di coraggio per realizzare il compito. Puah!

C'è un famoso aneddoto su John von Neumann , il matematico e fisico che trasformò l'idea di Alan Turing (ciò che oggi chiamiamo macchina di Turing) in un vero e proprio computer elettronico (ciò che oggi chiamiamo macchina di von Neumann, come per esempio un portatile o uno smartphone). John von Neumann era un virtuoso del pensiero, leggendario per la sua capacità di eseguire a mente calcoli incredibili con velocità fulminea. Secondo l'aneddoto, che come tutte le storie famose ha diverse versioni, un collega un giorno gli propose un problema che si poteva risolvere sia con una serie di calcoli complicati e impegnativi sia grazie a una soluzione elegante e istantanea, di quelle che vengono in mente in un lampo. Il collega aveva una teoria: in casi come questi, un matematico calcola la soluzione faticosa, mentre il fisico (più pigro, ma anche più geniale) si ferma a riflettere e trova la soluzione facile e rapida. Quale soluzione avrebbe trovato von Neumann? Il problema è: due treni viaggiano sullo stesso binario in direzione l'uno dell'altro e si trovano a 100 chilometri di distanza; il treno A viaggia a 30 chilometri all'ora e il treno B a 20. Un uccello che vola a 120 chilometri all'ora parte dal treno A (quando i treni sono a 100 chilometri l'uno dall'altro), vola fino al treno B, torna indietro fino al treno A e così via, fino a quando i due treni si scontrano. Quanti chilometri ha percorso l'uccello al momento in cui avviene lo scontro? "240 chilometri", rispose von Neumann quasi all'istante. "Accidenti!", replicò il collega, "avevo scommesso che avresti scelto la strada difficile ricorrendo alla somma di serie infinite." "Ah!", esclamò imbarazzato von Neumann, battendosi la fronte, "c'è una strada facile!" (Suggerimento: quanto tempo passa prima dello scontro?)

Certe persone, come von Neumann, sono naturalmente tanto geniali da poter superare facilmente le situazioni più complicate, e altre procedono lentamente e faticosamente, ma hanno la fortuna di possedere una "forza di volontà" straordinaria che le aiuta a tenere duro nella loro ostinata ricerca della verità. In mezzo ci siamo tutti noi che non siamo calcolatori prodigio e siamo un po' pigri, ma comunque aspiriamo a comprendere tutto ciò che incontriamo. Che cosa possiamo fare? Possiamo usare strumenti per pensare, ne esistono decine e decine. Questi comodi apparati protesici per potenziare l'immaginazione e mantenere l'attenzione ci permettono di riflettere in maniera corretta e anche elegante su problemi veramente difficili. Questo libro è una collezione dei miei strumenti preferiti. Θ mia intenzione non solo descriverli, ma anche usarli per farvi viaggiare mentalmente senza scossoni attraverso un territorio disagevole fino a raggiungere una visione davvero radicale del significato, della mente e del libero arbitrio. Inizieremo con alcuni strumenti semplici e generali, che si possono applicare ad argomenti di ogni genere. Certi sono ben noti, ma altri non hanno mai destato molta attenzione e non sono stati discussi più di tanto. Poi vi presenterò alcuni strumenti che hanno proprio una funzione particolare, essendo stati ideati per demolire una specifica idea seducente, permettendo di abbandonare un'abitudine inveterata che ancora intrappola e confonde gli esperti. Incontreremo e demoliremo anche una gran varietà di cattivi strumenti, strampalati dispositivi di persuasione che possono essere fuorvianti se non si presta attenzione. Indipendentemente dal fatto che arriviate comodamente alla destinazione che propongo — e che decidiate di restarvi insieme a me — il viaggio vi farà acquisire nuovi modi di pensare agli argomenti e di pensare al pensare.

Il fisico Richard Feynman forse è stato un genio ancora più leggendario di von Neumann e senza dubbio aveva un cervello di prim'ordine, però amava anche divertirsi e possiamo essergli grati per il piacere particolare che provava a rivelare i trucchi del mestiere che usava per rendersi più facile la vita. Per quanto si possa essere intelligenti, lo si è di più se si sceglie la via facile, quando ne esiste una. I suoi libri autobiografici, Sta scherzando Mr Feynman! e Che t'importa di ciò che dice la gente? , dovrebbero essere tra le letture richieste a ogni aspirante pensatore, poiché contengono molti suggerimenti su come rendere trattabili i problemi più ardui — e persino su come abbagliare un uditorio con qualche falsità, se non viene in mente nulla di meglio. Ispirato dalla profusione di osservazioni utili nei suoi libri, e dal candore con cui rivelava i suoi meccanismi mentali, ho deciso di tentare di realizzare un progetto simile, meno autobiografico e con il fine ambizioso di convincervi a pensare a questi argomenti a modo mio. Farò di tutto per persuadervi ad abbandonare alcune delle vostre convinzioni più salde, ma senza avere un asso nella manica. Uno dei miei obiettivi principali è rivelare via via che cosa sto facendo e perché.

Come tutti gli artigiani, un fabbro ha bisogno di attrezzi, ma — secondo una vecchia osservazione (per la verità ormai quasi del tutto dimenticata) — i fabbri sono gli unici che costruiscono i propri strumenti. Non sono i falegnami a fabbricare i martelli e le seghe, non sono i sarti a fabbricare le forbici e gli aghi, non sono gli idraulici a fabbricare le chiavi e le pinze, ma i fabbri sanno forgiare martelli, tenaglie, incudini e scalpelli dalla materia prima, il ferro. E gli strumenti per pensare? Chi li costruisce? E di che cosa sono fatti? I filosofi sono stati gli artefici di alcuni tra i migliori strumenti – fatti di null'altro che idee, strutture informative utili. Cartesio ci ha dato le coordinate cartesiane, gli assi x e y senza i quali il calcolo infinitesimale – uno strumento del pensiero par excellence inventato simultaneamente da Isaac Newton e dal filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz – sarebbe quasi impensabile. Blaise Pascal ci ha dato la teoria delle probabilità, che permette di calcolare facilmente i quozienti di scommessa. Il reverendo Thomas Bayes, anch'egli matematico di talento, ci ha lasciato il teorema di Bayes, il pilastro del pensiero statistico detto appunto bayesiano. Gli strumenti che compaiono in questo libro, tuttavia, per la maggior parte sono più semplici, non sono le macchine precise e sistematiche della matematica e della scienza, ma gli utensili a mano della mente. Eccone alcuni:


Le etichette. A volte il solo fatto di dare un nome accattivante a qualcosa ci aiuta a non perderlo di vista mentre lo rigiriamo nella mente cercando di comprenderlo. Tra le etichette più utili, come vedremo, vi sono le etichette di avvertimento, o allarmi, che ci mettono in guardia contro probabili fonti di errore.


Gli esempi. Alcuni filosofi pensano che usare esempi nel loro lavoro sia, se non proprio un inganno, quanto meno superfluo – un po' come i romanzieri evitano le illustrazioni nei loro libri. Il romanziere è orgoglioso di fare tutto con le parole, e i filosofi vanno fieri di fare tutto con generalizzazioni astratte presentate in ordine rigoroso, quanto più possibile simili a dimostrazioni matematiche. Buon per loro, ma non possono aspettarsi che io raccomandi il loro lavoro a più di un paio di studenti eccezionali. Molto semplicemente, è più difficile del necessario.


Le analogie e le metafore. Mettere in corrispondenza le caratteristiche di qualcosa di complesso con le caratteristiche di un altro oggetto complesso che già conosciamo (o crediamo di conoscere) è uno strumento del pensiero famoso per essere potente, ma lo è in misura tale da poter facilmente fuorviare i filosofi quando a catturare la loro immaginazione è un'analogia ingannevole.


Le impalcature. Possiamo mettere la copertura a un tetto, dipingere una casa o riparare un camino usando soltanto una scala, spostandola via via e potendo realizzare ogni volta solo una piccola parte del lavoro, ma alla fin fine spesso è assai più facile montare un'impalcatura robusta che permette di spostarsi rapidamente e in sicurezza per tutta l'area di lavoro. Molti dei più preziosi strumenti per pensare presentati in questo libro sono esempi di impalcature che hanno un tempo di allestimento un po' lungo, ma poi permettono di affrontare insieme una gran varietà di problemi – senza dover continuare a spostare la scala.


Infine, vi è quel genere di esperimenti mentali che ho soprannominato pompe dell'intuizione.

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Doug ha presentato un elenco di alcuni dei suoi utensili a mano preferiti (Hofstadter, 2007, p. 219):
    - battaglie contro i mulini a vento
    - pacchianeria
    - tiri mancini
    - uva acerba
    - olio di gomito
    - giganti dai piedi d'argilla
    - mine vaganti
    - rotelle mancanti
    - adesioni di facciata
    - scoperte dell'acqua calda
    - feedback

Se queste espressioni vi sono familiari, allora per voi non sono "soltanto parole": ciascuna espressione è uno strumento cognitivo astratto, proprio come "divisione complicata" e "trovare la media"; ciascuna ha un ruolo in un ampio spettro di contesti, facilitando la formulazione di ipotesi da controllare e il riconoscimento di forme e regolarità del mondo passate inosservate, essendo utili nella ricerca di somiglianze importanti e così via. Ogni parola del vostro vocabolario è un semplice strumento per pensare, ma alcune sono più utili di altre. Se qualche espressione non fa parte del vostro equipaggiamento, può darsi che la vogliate acquisire: dotati di questi strumenti potrete concepire pensieri che altrimenti sarebbero relativamente difficili da formulare. Naturalmente, come dice un vecchio adagio, quando il solo strumento che hai è un martello, tutto ti sembra un chiodo, e di ognuno di questi strumenti si può fare un uso eccessivo.

Consideriamo una di queste espressioni: uva acerba. Viene da una favola di Esopo, La volpe e l'uva, e attira l'attenzione su come a volte le persone fingano di non provare interesse per ciò che non possono avere denigrandolo. Pensate quanto può essere significativo commentare qualcosa che vi hanno appena detto con la semplice domanda: "L'uva è acerba?". Il vostro interlocutore prenderà in esame una possibilità che altrimenti gli sarebbe potuta sfuggire e questo lo indurrà senz'altro a cambiare idea o a riflettere sul problema in questione da una prospettiva più ampia — oppure a offendersi (gli strumenti possono essere usati anche come armi). La morale della favola è tanto conosciuta che si può aver dimenticato la trama della storia o le sue sottigliezze — se sono importanti, e a volte non lo sono.

Acquisire nuovi strumenti e usarli con giudizio sono due capacità distinte, ma il primo passo è comunque l'acquisizione, o la creazione, degli strumenti. Gli strumenti per pensare che presento in queste pagine sono per lo più mie invenzioni e di ogni strumento che ho acquisito da altri citerò l'autore al momento opportuno. Anche se non ha inventato nessuno degli utensili del suo elenco, Doug è l'autore di alcuni elementi pregevoli della mia cassetta degli attrezzi, come il jootsing e lo sphexismo.

Alcuni tra gli strumenti più potenti sono matematici, ma oltre a citarli non dedicherò loro molto spazio, poiché questo è un libro che celebra il potere degli strumenti non matematici, informali, gli strumenti della prosa e della poesia, se volete, un potere che gli scienziati sottovalutano spesso. Vediamo perché. Anzitutto, la cultura della prosa scientifica nelle riviste di ricerca favorisce — anzi, esige — una presentazione dei problemi impersonale e ridotta all'osso, con un minimo di espressioni fiorite, di retorica e di allusioni. L'inesorabile grigiore delle pagine delle riviste scientifiche più serie ha una buona ragione. Come mi scrisse nel 1965 uno dei membri della commissione esaminatrice che mi conferì il dottorato, il neuroanatomista John Zachary Young, che disapprovava la prosa piuttosto fantasiosa della mia tesi (in filosofia, non in neuroanatomia) a Oxford, "L'inglese sta diventando la lingua universale della scienza, ed è doveroso per noi di madrelingua inglese scrivere lavori che possano essere letti da 'un cinee [sic] paziente dotato di un buon dizionario'". I risultati di questa disciplina autoimposta parlano da soli: uno scienziato, che sia cinese, tedesco o brasiliano – e persino francese –, fa di tutto per pubblicare i suoi lavori più importanti in inglese, un inglese essenziale, traducibile con difficoltà minime, e con la minima quantità possibile di allusioni alla cultura, sfumature, giochi di parole e persino metafore. Il livello di comprensione reciproca raggiunto nell'ambito di questo sistema internazionale è inestimabile, ma c'è un prezzo da pagare: una parte delle riflessioni che vanno fatte a quanto pare richiede un atteggiamento informale in cui si producono metafore e si impongono piccole modifiche dell'immaginazione, dando l'assalto alle barricate della mentalità chiusa con ogni possibile mezzo; se una parte di tutto ciò non si lascia tradurre facilmente, dovrò sperare da un lato nel virtuosismo dei traduttori e dall'altro in una crescente conoscenza dell'inglese da parte degli scienziati di tutto il mondo.

Un'altra ragione per cui gli scienziati sono spesso sospettosi nei confronti delle discussioni teoriche basate "soltanto sulle parole" è che riconoscono che il compito di criticare un argomento che non sia espresso da un insieme di equazioni matematiche è molto più complicato e di solito meno conclusivo. Il linguaggio della matematica rende sempre più persuasivo un argomento. Θ come la rete del canestro nel gioco del basket: elimina i motivi di disaccordo e la necessità di giudicare se la palla è entrata (chiunque abbia giocato a basket in un cortile con un canestro senza rete sa quanto possa essere difficile distinguere un canestro da un tiro sbagliato che non tocca né il canestro né il cartellone). A volte, però, i problemi sono troppo scabrosi e sconcertanti per essere domati dalla matematica.

[...]

Θ nel terreno di mezzo, grosso modo a metà strada tra la poesia e la matematica, che i filosofi, secondo me, possono offrire il contributo migliore, chiarendo in misura significativa problemi profondamente sconcertanti. Non esistono algoritmi possibili per questo genere di lavoro. Dato che si può sostenere qualsiasi cosa, i propri punti fissi vanno scelti con la dovuta prudenza. Il più delle volte il colpevole risulta essere un assunto "innocente" accettato con noncuranza da tutti. L'esplorazione di questi territori concettuali insidiosi è molto facilitata dall'uso di strumenti per pensare ideati sul momento per chiarire le strade alternative e gettare luce sulle loro possibilità.

[...]

Nella parte che segue presenterò una dozzina di strumenti generali, multiuso, e in quelle successive tutti gli altri saranno raggruppati in base non al genere, ma al contesto in cui funzionano meglio, partendo dall'argomento filosofico fondamentale del significato, o contenuto, per poi passare all'evoluzione, alla coscienza e al libero arbitrio. Alcuni degli strumenti che presento sono veri e propri programmi per computer, facili da usare, che possono fare per l'immaginazione ciò che i telescopi e i microscopi possono fare per gli occhi.

Lungo il percorso, presenterò anche alcuni falsi amici, strumenti che gettano fumo negli occhi invece di far luce. Avevo bisogno di un nome per questi arnesi pericolosi e ho trovato le mot juste grazie alla mia esperienza di navigatore. Spesso i velisti amano i termini nautici che sconcertano i profani: babordo e tribordo, femminella e agugliotto, sartie e crocette, brancarelle e passascotte e tutto il resto. Una volta, durante una traversata, ci divertimmo a inventare false definizioni per questi termini. Così l'allunamento dei fiocchi era una nevicata sulla Luna, le manovre dormienti erano i movimenti complessi dei sonnambuli e il boom crutch [amantiglio del boma] era una stampella esplosiva. Da allora non sono più capace di pensare a un boom crutch senza immaginare per un attimo un poveretto con una gamba ingessata a cui esplode una bomba sotto l'ascella. Ho scelto quindi questa espressione per indicare gli strumenti per pensare controproducenti, quelli che sembrano aiutare a comprendere, ma che in realtà diffondono buio e confusione, non luce. Disseminata per questi capitoli troverete una gran varietà di stampelle esplosive, opportunamente segnalate come pericolose, e di esempi da deplorare.

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Noi filosofi siamo gli specialisti dell'errore (lo so, sembra una brutta barzelletta, ma aspettate la fine del discorso). Mentre altre discipline sono specializzate nel trovare le risposte giuste agli interrogativi fondamentali, noi filosofi siamo specializzati negli innumerevoli modi di far diventare le cose tanto confuse, tanto profondamente sbagliate, che nessuno è più certo di quali siano le domande giuste, e tantomeno le risposte. Porre le domande sbagliate rischia di far partire qualsiasi indagine con il piede sbagliato. Quando la situazione è questa, è un lavoro da filosofi! La filosofia – in ogni campo di indagine – è ciò che dobbiamo fare fino a quando non riusciamo a capire quali sono le domande da cui saremmo dovuti partire. Θ una situazione che a certi non piace affatto: preferirebbero prendere le domande dallo scaffale, tutte ben confezionate, pulite, stirate, e pronte per essere affrontate. Chi ha preferenze simili può occuparsi di fisica, matematica, storia o biologia. Il lavoro non manca e ce n'è per tutti. Noi filosofi preferiamo occuparci degli interrogativi che hanno bisogno di essere chiariti prima che se ne possa trovare la risposta. Non è per tutti. Provateci, però; potrebbe piacervi.

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L'evoluzione è uno dei temi principali di questo libro, come di tutti i miei libri, per la semplice ragione che è il processo fondamentale che permette non soltanto la vita, ma anche la conoscenza, l'apprendimento e la comprensione. Se tentate di decifrare il mondo delle idee e dei significati, del libero arbitrio e della morale, dell'arte e della scienza, e anche della filosofia stessa, privi di una conoscenza profonda e piuttosto dettagliata dell'evoluzione, siete in condizioni svantaggiate. Più avanti prenderemo in esame alcuni strumenti concepiti per aiutare a riflettere su alcuni degli interrogativi più stimolanti dell'evoluzione, ma ora dobbiamo gettare le fondamenta. Per l'evoluzione, che non conosce nulla, i passi verso la novità sono compiuti alla cieca dalle mutazioni, che sono "errori" casuali di copiatura nel DNA. Questi errori tipografici per la maggior parte sono privi di conseguenze, poiché non vengono letti! Sono irrilevanti come le brutte copie dei compiti in classe non consegnate al professore. Il DNA di una specie è un po' come una ricetta per costruire un nuovo individuo e nel corso di tutto il processo la maggior parte del DNA, in realtà, non viene mai consultata (proprio per tale ragione, spesso questa parte è chiamata "DNA spazzatura"). Nelle sequenze di DNA che invece vengono lette e producono effetti durante lo sviluppo, la vasta maggioranza delle mutazioni è dannosa; molte, di fatto, producono rapidamente conseguenze fatali. Poiché la maggioranza delle mutazioni "espresse" è deleteria, il processo della selezione naturale opera per mantenere molto basso il tasso di mutazioni. Ciascuno di noi ha nelle proprie cellule un ottimo sistema di copiatura. Nel nostro corpo, per esempio, abbiamo all'incirca mille miliardi di cellule e ogni cellula ha una copia perfetta o quasi perfetta del nostro genoma, composto da tre miliardi di simboli, la nostra ricetta comparsa per la prima volta quando la cellula uovo e lo spermatozoo dei nostri genitori hanno unito le forze. Per fortuna, il sistema di copiatura non produce sempre risultati perfetti; se lo facesse, infatti, l'evoluzione finirebbe per fermarsi per l'inaridimento delle fonti di novità. Quei minuscoli difetti, quelle "imperfezioni" del processo, sono la fonte di tutto il meraviglioso progetto e della complessità del mondo vivente. (Non posso fare a meno di aggiungere: se esiste qualcosa che merita di essere chiamato peccato originale, sono proprio questi errori di copiatura.)

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4. LA LEGGE DI STURGEON


Lo scrittore di fantascienza Ted Sturgeon, parlando al congresso mondiale di fantascienza che si tenne a Filadelfia nel settembre 1953, disse:

Quando le persone parlano di letteratura del mistero, citano Il falcone maltese e Il grande sonno. Se parlano di letteratura western, ricordano La via del West e Shane. Ma quando parlano di fantascienza, la chiamano "quella roba alla Buck Rogers" e dicono: "Il 90 per cento della fantascienza è pattume". Be', hanno ragione. Il 90 per cento della fantascienza è pattume. Ma il 90 per cento di qualsiasi cosa è pattume ed è il 10 per cento che non è pattume a essere importante; il 10 per cento della fantascienza che non è pattume ha lo stesso valore, o è migliore, di qualunque testo di qualunque genere.


Di solito, la legge di Sturgeon è espressa in modo meno decoroso: il 90 per cento di qualsiasi cosa è una stronzata. Significa che il 90 per cento degli esperimenti di biologia molecolare, delle poesie, dei libri di filosofia, degli articoli matematici pubblicati dalle riviste scientifiche ecc. è una stronzata. Θ proprio così? Be', forse è un'esagerazione, ma si può convenire che in tutti i campi ci sono molti lavori mediocri (i più polemici sostengono che probabilmente sono il 99 per cento, ma non voglio entrare in questo gioco). Una buona morale che si può trarre da questa osservazione è che quando volete criticare un settore di ricerca, un genere letterario, una disciplina, una forma d'arte... non perdete tempo, e non fatene perdere agli altri, fissandovi sulle stronzate! Occupatevi delle cose importanti oppure lasciate perdere. Questo consiglio viene spesso ignorato dagli ideologi decisi a minare la reputazione della filosofia analitica, della psicologia evoluzionistica, della sociologia, dell'antropologia culturale, della macroeconomia, della chirurgia plastica, del teatro d'improvvisazione, delle serie televisive, della teologia filosofica, della massoterapia, o di qualunque altra cosa.

Partiamo pure dal presupposto che in giro c'è molta robaccia deplorabile, scadente e stupida, di ogni genere. Quindi, per non sprecare il vostro tempo e non mettere alla prova la pazienza altrui, fate in modo di concentrarvi sul meglio che riuscite a trovare, sugli esempi ritenuti più significativi dai maggiori esponenti del settore, sulle idee che hanno ottenuto un riconoscimento, non sulle sciocchezze. Notate lo stretto collegamento con le regole di Rapoport: se non siete dei comici il cui scopo principale è far ridere la gente, risparmiateci le prese in giro. Queste considerazioni valgono in maniera particolare, a mio avviso, quando il bersaglio è un filosofo. Le migliori teorie e analisi di qualunque filosofo, dai grandi saggi dell'antica Grecia agli eroi intellettuali del passato recente (Bertrand Russell, Ludwig Wittgenstein, John Dewey e Jean-Paul Sartre – per citare quattro pensatori assai distanti l'uno dall'altro), possono essere fatte sembrare totali idiozie – o tediose ricerche di cavilli – con un paio di piccole e astute modifiche. Puah! Non fatelo. Gli unici che screditereste sareste voi stessi.

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19. LA DISTINZIONE TRA "PERSONALE" E "SUBPERSONALE"


A vedere non sono i vostri occhi, siete voi. A gustare la torta al cioccolato non è la vostra bocca, siete voi. A detestare la fitta alla spalla non è il vostro cervello, siete voi.

A firmare un contratto non è la vostra mano, siete voi. Il vostro corpo può essere eccitato, ma siete voi a innamorarvi. Non è una mera questione "grammaticale", come il fatto che quando c'è il temporale diciamo "Sta piovendo", non "Il temporale sta piovendo". A volte mi domandano, in tono sprezzante: "Θ solo una questione semantica, giusto?", con il che intendono che poco o niente dipende da come "definiamo i termini". E invece il modo in cui definiamo i termini spesso fa molta differenza, e questa è una di quelle volte. Il nostro modo di parlare delle persone e di ciò che possono fare e patire si basa su alcuni fatti importanti.

A prima vista sembra che una persona tutta intera possa fare cose che nessuna delle parti che la compongono può fare, e ciò è quasi corretto, ma un macabro esercizio di immaginazione lascia supporre che se la verità fosse questa, una persona sarebbe (approssimativamente) una parte vera e propria del corpo umano, cioè un cervello integro e funzionante. (Ho un cervello o sono un cervello? Non è facile rispondere.) Se mi amputate le braccia, posso ancora firmare un contratto (con un ordine orale o tenendo la penna con le dita dei piedi); ma se mi spegnete il cervello, nulla di ciò che possono fare le mie braccia e le mie mani è considerato equivalente a firmare un contratto. Se mi strappate gli occhi, non vedo più – a meno di non essere dotato di protesi dei bulbi oculari, che non sono una fantasia da fantascienza avveniristica. E se iniziate ad "amputare" qualche parte del mio cervello? Se rimuovete la corteccia occipitale lasciando intatti gli occhi e il nervo ottico, sono colpito da "cecità corticale", ma potrei comunque avere qualche competenza visiva residua (per esempio, la famosa condizione nota come "visione cieca"). Senza dubbio potreste amputare un altro pezzetto di cervello ed eliminare la visione cieca, e io potrei comunque continuare a vivere. Si è tentati di pensare che un tale processo di eliminazione, sopprimendo l'udito, il gusto, il tatto e l'olfatto, potrebbe ridurre gradualmente il cervello lasciando soltanto il quartier generale fondamentale della persona – è lì che sarebbe, ed è anche ciò che sarebbe, una persona. L'idea è allettante, però è sbagliata. Le innumerevoli competenze del cervello sono intrecciate e interagenti in misura tale che non esiste un luogo centrale nel cervello "dove tutto converge" nella coscienza. Se è per questo, molte delle competenze, inclinazioni, preferenze e stranezze di carattere che fanno sì che voi siate voi dipendono da percorsi che attraversano il vostro corpo al di fuori del cervello; il sempre popolare esperimento mentale filosofico del trapianto di cervello (che cosa preferireste: essere il "donatore" o il "destinatario"?) è permesso da un'idealizzazione molto fuorviante. Come scrissi tempo fa (Dennett, 1996a, pp. 89-90), "Non mi possono separare dal mio corpo lasciando un bel margine netto".


La proprietà più importante di Internet probabilmente è la sua decentralizzazione; non esiste un centro o un quartier generale in un qualche luogo del mondo che si possa bombardare per distruggere l'intera rete. Le parti che la compongono hanno un alto grado di ridondanza e versatilità; perciò, se in qualche misura si deteriora quando una sua parte smette di funzionare, non lo fa di colpo, ma in maniera progressiva. Hal, il computer intelligente di 2001 Odissea nello spazio, ha un "centro della memoria logica", una stanza piena di banchi di memoria che Dave può disinserire uno alla volta, disattivando per sempre Hal. Internet non ha un centro simile e, benché la natura non ci abbia dotati di un livello altrettanto elevato di invulnerabilità distribuita, la nostra decentralizzazione nel corpo è comunque notevole, ed è notevole anche la versatilità delle nostre parti. L'organizzazione del cervello dimostra di essere considerevolmente plastica (capace di modificarsi dando luogo a nuove configurazioni), tanto che possiamo continuare a essere noi, a inseguire sogni, a confondere nemici, a inventare stratagemmi, a rivivere le nostre prove e i nostri trionfi, nonostante la rimozione di parti del corpo importanti ma non proprio "vitali". Questa è una delle ragioni per cui noi possiamo avere competenze che nessuna delle nostre parti ha. Possiamo anche ribaltare la questione: per comprendere o decifrare i poteri delle parti di un organismo vivente non si può fare altro che considerare il loro contributo al coordinamento di tutto lo splendido sistema.

Considerate qualche altro esempio. Non è il vostro cervello a capire le parole che leggete, siete voi. Non è il vostro cervello a trovare divertente una barzelletta, siete voi. Anche se sono le attività di strutture cerebrali competenti ad avere il ruolo causale più importante nelle vostre interpretazioni e nella vostra comprensione, queste strutture non potrebbero fare il proprio lavoro senza l'allenamento e il sostegno forniti, nel corso degli anni, da tutti gli organi di senso, dagli arti e da altri effettori.

Quindi non è solo per convenzione che presumiamo che una persona, l'agente razionale, cosciente, durevole il cui corpo vivente è questo, sia il soggetto accertato per la maggior parte delle attribuzioni della vita quotidiana: siete stati voi a compiere l'errore, a vincere la gara, ad avere una cotta per Leslie, a calunniare un vicino, siete voi a parlare francese discretamente bene, a voler andare in Brasile, a preferire le bionde (si veda anche il capitolo 62). Avete fame, siete stanchi e irritabili, tutto grazie alle vostre parti subpersonali – e a null'altro.

Ma che cosa possiamo dire di queste parti? Sono soltanto mattoni che formano un corpo umano vivo? La risposta è affermativa se consideriamo le parti più piccole, gli atomi. Ma è negativa per tutti gli altri livelli, dal livello molecolare a quello cellullare e a tutti i livelli superiori. Le proteine, l'instancabile forza lavoro all'interno delle cellule, sono minuscoli robot incredibilmente competenti e dotati di una grande capacità di discriminare – li potremmo chiamare nanobot. I neuroni responsabili della maggior parte delle operazioni di trasmissione, smistamento e regolazione che vengono realizzate nel cervello sono robot più versatili e competenti – potremmo chiamarli microbot. Formano coalizioni che competono e cooperano nell'ambito di strutture più grandi, comunicando in entrambe le direzioni, inibendosi l'un l'altro, analizzando il flusso di informazioni provenienti dai sensi, risvegliando strutture informative latenti "nella memoria" (che non è una parte distinta del cervello) e orchestrando le sottili cascate di segnali che muovono i nostri muscoli quando agiamo.

Tutti i livelli superiori a quello degli elementi costitutivi atomici manifestano un certo grado di facoltà di agire. In altre parole, sono interpretabili come sistemi intenzionali. Al livello molecolare (proteine motrici, enzimi che correggono gli errori di duplicazione del DNA, guardiani di milioni di milioni di vie d'accesso nelle membrane delle cellule e così via), le loro competenze sono decisamente "da robot", ma comunque impressionanti, come le schiere di scope in marcia nell' Apprendista stregone, o il diavoletto di Maxwell, per citare due esempi immaginari. Al livello cellulare, i singoli neuroni hanno un comportamento più esplorativo, sono sempre alla ricerca di connessioni migliori e modificano le configurazioni di scarica in funzione dell'esperienza recente. Somigliano a prigionieri o schiavi, più che a semplici macchine (come le proteine-nanobot); possiamo immaginarli come cellule nervose in celle di prigione, impegnate in modo miope in progetti collettivi di cui non hanno il minimo sentore, ma sempre desiderose di migliorare il proprio destino cambiando strategia. A livelli superiori, la miopia inizia a dissolversi, poiché gruppi di cellule – tratti, colonne, gangli, "nuclei" – assumono ruoli specializzati che reagiscono a condizioni sempre più ampie, comprese condizioni del mondo esterno. La sensazione della facoltà di agire qui è ancora più forte, poiché i "lavori svolti" richiedono un discernimento e una capacità decisionale notevoli.

Questi agenti somigliano a impiegati, analisti e dirigenti con responsabilità particolari, ma hanno anche, come gli impiegati di tutto il mondo, una sana dose di zelo competitivo e di prontezza ad appropriarsi di qualunque potere incontrino nel corso delle proprie attività, o anche ad assumere il controllo di qualunque attività non ben difesa in cui siano impegnati i vicini o altri in comunicazione con i vicini. Quando raggiungiamo agenti con questo livello di competenza, le parti subpersonali sono mattoni davvero intelligenti e possiamo iniziare a capire, quanto meno a grandi linee, come con questi elementi si potrebbe creare un'intera persona capace di comprendere. ("Qualche operazione di montaggio è necessaria", come si legge sulla scatola contenente tutte le parti di una bicicletta, ma almeno non dobbiamo tagliare e piegare il metallo e costruire gli ingranaggi.)

Questa idea – che si possa usare la strategia divide et impera per conquistare lo scoraggiante problema di immaginare come una persona possa essere composta di (null'altro che) molecole prive di una mente – può essere considerata procedendo dal basso verso l'alto, come abbiamo appena fatto, oppure dall'alto verso il basso, partendo dalla persona e domandandoci quale piccola collezione di intelligentissimi homunculi potrebbe svolgere tutti i compiti che devono essere svolti per mantenere in vita una persona. Platone fu il pioniere dell'approccio top-down. La sua scomposizione dell'anima in tre parti simili ad agenti – rappresentati per analogia da Guardiani (re/filosofi), Ausiliari (guerrieri) e Lavoratori (produttori) – ovvero la parte razionale, quella impulsiva e quella appetitiva, non fu un ottimo punto di partenza, per ragioni ben analizzate nel corso degli ultimi due millenni. L'Es, l'Io e il Super-io freudiani del secolo scorso hanno rappresentato un piccolo miglioramento, ma l'impresa di suddividere un'intera mente nei suoi elementi iniziò realmente a prendere forma con l'invenzione del computer e con la nascita del settore dell'Intelligenza Artificiale, che al principio aveva l'obiettivo esplicito di scomporre le competenze cognitive di una persona intera (un individuo adulto, cosciente, che si esprime con il linguaggio) in una vasta rete di specialisti subpersonali, quali il generatore di obiettivi, il cercatore di ricordi, il valutatore di piani, l'analizzatore di percezioni, l'analizzatore di enunciati e così via.

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Pagina 158

SOMMARIO

Per secoli abbiamo avuto una grande abbondanza di evidenze del fatto che il cervello è in qualche modo la sede dell'anima, ma fino alla metà del Novecento sarebbe stato quasi impossibile immaginare come ciò potesse essere vero. Era possibile osservare che il cervello è composto di molti organi diversi, dalle forme curiose, spesso in coppie, con un elemento a destra e uno a sinistra, battezzati in modo realistico dai primi anatomisti – ippocampo, amigdala (mandorla), corteccia – ma che diavolo facevano quelle parti? Non digerivano il cibo e non purificavano il sangue, giusto? Forse il cervello era semplicemente un organo per raffreddare il sangue, una specie di radiatore, come pensava Aristotele? Le parti erano collegate da fibre nervose, quindi forse comunicavano in qualche modo. Cartesio avanzò l'ipotesi che alcune fibre nervose fossero simili a cordoni di campanelli – tirando a un'estremità, succede qualcosa all'estremità opposta, ma che cosa, esattamente? Un campanello che suona non sembra aiutare a comprendere la relazione tra mente e cervello, ma nessuno aveva un'idea migliore.

Poi arrivò Turing che, sviluppando una tradizione che risaliva a Babbage , Pascal , Leibniz e altri, ipotizzò che il cervello potesse essere composto da parti che in ultima analisi erano semplicemente meccaniche (come una trappola per topi, un campanello, una serratura e una chiave, una sinapsi), ma che, se fossero state organizzate in modo da interagire in modi ingegnosi, avrebbero potuto realmente essere capaci di fare qualcosa di intelligente senza l'intervento umano, e senza la guida di qualche "fantasma nella macchina". Avrebbero potuto eseguire calcoli. Prima che Turing concepisse questa idea, la parola computer indicava una professione: l'industria e il governo assumevano migliaia di persone come computer, per calcolare vari tipi di tabelle numeriche che venivano usate nel commercio, nella navigazione, nell'artiglieria, nelle attività bancarie. Forse, suppose Turing, il cervello stesso è come un computer (umano); forse elabora le informazioni seguendo pedissequamente enormi elenchi di istruzioni semplicissime (come Inc e Deb). Appena i primi teorici della scienza cognitiva, Alan Turing e John von Neumann, il creatore della cibernetica Norbert Wiener , e il creatore della teoria dell'informazione Claude Shannon , insieme a molti altri, svilupparono l'idea, poteva persino sembrare evidente che fosse giusta – com'era possibile che non l'avessimo mai capito? Era chiaro che il cervello deve assimilare le informazioni provenienti dagli organi sensoriali ed elaborarle, facendo in qualche modo dei calcoli, fino a quando non ne ha estratto il minerale prezioso del significato, che poi, dopo altri calcoli, può classificare e memorizzare per poterlo usare in seguito al fine di guidare il comportamento del corpo, che gli fornisce l'energia e un contenitore protettivo. L'innovazione fondamentale della visione di Turing era l'eliminazione di un elemento imbarazzante fin troppo evidente nelle precedenti fantasie di elaborazione dell'informazione: le connessioni che richiedevano un impiegato, un traduttore o un bibliotecario, in breve un agente di qualche tipo capace di comprendere per valutare il significato dei segnali. Turing capì che in un certo senso era qualcosa di inevitabile: un processo intelligente avrebbe sempre avuto bisogno di scegliere tra diverse linee d'azione sulla base della discriminazione di qualche differenza nel segnale. Però si poteva ridurre questa comprensione al minimo indispensabile: il salto condizionato, il processo grazie al quale un congegno privo di mente decide (sorta decide) di andare a sinistra e non a destra perché percepisce (sorta percepisce) non 0, A e non B, x e non y. Questo, e le operazioni aritmetiche, era tutto ciò che occorreva. Con questi mezzi, si potevano costruire congegni capaci di qualsiasi livello di discernimento impilando una sull'altra una serie di macchine virtuali – detto in termini anacronistici. Θ stata una visione allettante per più di cinquant'anni, ma i suoi dettagli, come abbiamo già iniziato a vedere, non si stanno chiarendo più di tanto. Se il cervello è un computer, non somiglia granché ai computer che usiamo tutti i giorni. Dobbiamo tenere presenti le caratteristiche fondamentali dei computer per poter riuscire a considerare alternative biologicamente più realistiche delle architetture concrete che compaiono nei nostri stereotipi.

L'obiettivo di questo interludio era chiarire tale visione, aggiungendo una minima quantità di dettagli, per permettervi di usarla come strumento per pensare, come protesi dell'immaginazione che vi renderà più facile comprendere le questioni che stiamo per affrontare: in primo luogo qualcosa di più su come i significati possano dimorare nel cervello (e in altre macchine) e poi su come queste architetture intelligenti possano essere state create dall'evoluzione senza l'assistenza di un Maestro Programmatore, di un Progettista Intelligente. A quel punto sarete in condizione di usare gli strumenti che avete acquisito per riflettere in maniera proficua sulla coscienza e sul libero arbitrio, i due argomenti più insidiosi che io conosca.

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40. PRINCΜPI GIUSTIFICATIVI IN FLUTTUAZIONE LIBERA


La selezione naturale è un processo che automaticamente trova ragioni; "scopre", "approva" e "mette a fuoco" ragioni nel corso di molte generazioni. Le virgolette servono a ricordarci che la selezione naturale è priva di mente, non ha ragioni di per sé, ma ha nondimeno la competenza necessaria per svolgere questo "compito" di miglioramento progettuale. Θ proprio un esempio di competenza senza comprensione. Assicuriamoci di sapere come fare a eliminare le virgolette. Consideriamo una popolazione caratterizzata da una notevole variazione. Alcuni membri se la cavano bene (riescono a riprodursi), la maggior parte no. In entrambi i casi, possiamo domandarci perché. Perché questo è morto lasciando discendenti vivi e questi altri no? Spesso, nella maggioranza dei casi, non c'è alcuna ragione: è solo questione di fortuna, o di sfortuna. Tuttavia, se in un certo numero di casi, anche molto piccolo, c'è invece una differenza che conta, allora ciò che hanno in comune quei casi fornisce un germe di ragione. Ciò permette alla funzionalità di accumularsi grazie a un processo che insegue ciecamente le ragioni, creando cose che hanno scopi, ma non hanno bisogno di conoscerli. Nella biosfera regna il principio della "necessità di sapere" e la selezione naturale di per sé non ha bisogno di sapere che cosa sta facendo.

Sono quindi esistite ragioni prima che esistessero rappresentatori di ragioni. Ho chiamato le ragioni inseguite dall'evoluzione "princìpi giustificativi in fluttuazione libera", un'espressione che a quanto pare ha irritato non pochi pensatori, sospettosi che io evochi fantasmi di qualche genere, strane idee immateriali che non hanno motivo di comparire nella descrizione della realtà di un materialista serio. Sono sospetti infondati. I princìpi giustificativi in fluttuazione libera non sono più fantasmatici o problematici dei numeri o dei centri di gravità.

Esistevano nove pianeti prima che gli esseri umani inventassero un sistema per esprimere chiaramente l'aritmetica e gli asteroidi avevano un centro di gravità prima che esistessero i fisici che concepirono l'idea. Θ un errore confondere i numeri con i numerali (arabi, romani o di altro genere) che usiamo come loro nomi. I numerali sono invenzioni umane, i numeri no. Le ragioni, nel senso in cui uso il termine qui, sono come i numeri, non come i numerali. Dovremmo essere tutti contenti di parlare delle ragioni scoperte dall'evoluzione prima che venissero espresse o rappresentate da investigatori umani o da altre menti. Consideriamo la straordinaria somiglianza tra le due costruzioni riprodotte nella tavola 1 (di fronte a p. 256).

Il termitaio e la Sagrada Familia di Antoni Gaudí hanno una forma molto simile, ma sono completamente diversi quanto alla genesi e alla costruzione. Esistono delle ragioni per le strutture e le forme del termitaio, però non vengono rappresentate da nessuna termite. Non esiste un Architetto Termite che ha pianificato la struttura e nessuna termite ha la più pallida idea di che cosa motivi il loro modo di costruire. Competenza senza comprensione. Esistono delle ragioni anche per le strutture e le forme del capolavoro di Gaudí, ma sono (nel complesso) ragioni di Gaudí. Gaudí aveva delle ragioni per le forme che ordinò di creare; esistono ragioni per le forme create dalle termiti, ma le termiti non hanno quelle ragioni. Esistono delle ragioni per cui gli alberi protendono i rami, ma in nessun senso forte sono le ragioni degli alberi. Ciò che fanno le spugne ha una ragione; ciò che fanno i batteri ha una ragione; persino ciò che fanno i virus ha una ragione. Ma le spugne, i batteri e i virus non hanno quelle ragioni; non hanno bisogno di averle.

Esistono ragioni in abbondanza per questi comportamenti, ma in generale gli organismi non hanno bisogno di capirle. Sono dotati di comportamenti che sono modellati dall'evoluzione e beneficiano di questi progetti senza aver bisogno di saperne alcunché. Si tratta di una caratteristica che si può osservare dappertutto in natura, ma che spesso è mascherata dalla nostra tendenza, adottando l' atteggiamento intenzionale, a interpretare il comportamento come qualcosa di più cosciente e razionale di quanto sia in realtà. Che brave le termiti, che dotano di aria condizionata il loro nido piazzando nella posizione giusta alcuni condotti di ventilazione! Che sagaci gli scoiattoli, che mettono da parte il cibo per l'inverno! Che astuti i lucci, che restano immobili quando la preda si avvicina! Sono davvero ottime strategie di successo nel mondo implacabilmente competitivo della natura, ma i loro beneficiari non hanno alcun bisogno di rendersi conto di ciò di cui ci rendiamo conto noi quando riusciamo a capirle. Noi siamo le prime menti che rappresentano le ragioni che rendono conto del successo di queste organizzazioni.

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Pagina 301

SOMMARIO


In questa parte ho cercato di dimostrare che il pensiero darwiniano è all'altezza delle aspettative come acido universale: capovolge tutto il mondo tradizionale, mettendo in dubbio l'immagine della generazione dall'alto verso il basso dei progetti, che derivano dal genio dei geni, il Progettista Intelligente, e sostituendola con l'immagine della generazione dal basso, in cui processi ciclici senza una mente e senza un motivo sfornano combinazioni sempre più robuste fino a quando queste iniziano a riprodursi da sole, accelerando il processo di progettazione riutilizzando più e più volte tutti i pezzettini migliori. Alcuni di questi primi discendenti finiscono per unire le forze (una gru importante, la simbiosi), il che porta alla multicellularità (un'altra gru fondamentale), il che conduce ai veicoli di esplorazione più efficienti resi possibili dalla riproduzione sessuale (un'altra gru importante), che alla fine portano in una specie al linguaggio e all'evoluzione culturale (altre gru), che forniscono il mezzo per la letteratura, la scienza e l'ingegneria (le ultime gru emerse), il che a sua volta ci permette di go meta, cioè di passare a un livello superiore di astrazione, come nessun'altra specie può fare, riflettendo in modi diversi su chi e che cosa siamo e come siamo arrivati fin qui, modellando questi processi in opere teatrali e letterarie, teorie e simulazioni al computer, e nuovi strumenti per pensare da aggiungere alla nostra splendida dotazione.

Questa prospettiva è tanto unificante e al contempo tanto prodiga di intuizioni dettagliate che potremmo considerarla di per sé uno strumento di potere. Chi ancora è stranamente disgustato dal pensiero darwiniano deve considerare che, se cercherà di procedere da solo con gli strumenti manuali della tradizione, probabilmente si ritroverà a lavorare lontano dalle ricerche di punta su fenomeni importanti di natura assai diversa quali le epidemie e l'epistemologia, i biocarburanti e l'architettura del cervello, la genetica molecolare, la musica e la morale.

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54. L'IMPRESSIONE ZOMBICA


Molti hanno l'impressione – nulla di più, in realtà – che nessun robot (fatto di silicio, metallo, plastica ecc.) potrà mai essere cosciente come lo siamo noi esseri umani. C'è qualcosa nel nostro essere vivi e respirare, nei nostri corpi e cervelli organici che è necessario per la coscienza. Θ un'intuizione tanto comune che non ha certo bisogno di essere pompata, e forse queste persone hanno ragione. Ma ora che abbiamo iniziato a capire come anche il corpo e il cervello possano essere considerati composti di robot composti di robot composti di robot, a tutti i livelli fino al di sotto del livello neurale dove i motori proteici e altri nanobot arrancano facendo funzionare tutto il sistema, possiamo capire che forse quell'impressione è soltanto un artefatto di una scarsa immaginazione: le persone hanno pensato a robot troppo semplici, per molti ordini di grandezza. Una volta un amico reagì a questo mio gambetto d'apertura cercando di stroncarlo sul nascere: "Per me un robot cosciente è inconcepibile!". Sciocchezze, gli risposi. Ciò che intendeva era che non era disposto a concepire un robot cosciente. Cercare di prendere sul serio l'idea gli pareva sciocco e ridicolo. In realtà, però, è un gioco da ragazzi concepire un robot cosciente o, se è per questo, un trenino cosciente (come in The Little Engine That Could) o un albero di Natale cosciente (come nelle tante favole sdolcinate sui piccoli abeti tutti soli che anelano a una casa). Chiunque abbia visto Guerre stellari ha immaginato per più di un'ora che R2-D2 e C-3PO fossero coscienti. Θ qualcosa che facciamo sin da piccoli, per lo più "senza pensarci". Non è solo facile, è quasi irresistibile quando ci troviamo di fronte a qualcosa che agisce – e, in particolare, che parla – come un essere umano.

Ecco un fatto interessante: a partire dal lavoro pionieristico del neuroscienziato Wilder Penfield a Montréal, nei lontani anni Cinquanta, sono stati effettuati molti interventi chirurgici sul cervello di pazienti completamente svegli in grado di descrivere le sensazioni provate al momento della stimolazione del loro cervello in un dato punto. Non credo che un partecipante o un osservatore abbia mai pensato: "Oh, caspita! Questa non è una persona. Θ uno zombi, per forza, perché quando guardiamo al suo interno, non troviamo altro che materia grigia". No, è fin troppo evidente che il paziente è cosciente – basta vederlo muoversi o sentirlo parlare. E sarebbe davvero altrettanto ovvio se aprissimo il cranio di una persona che sta conversando con noi e trovassimo la cavità craniale piena di microchip. Scopriremmo, forse con nostra grande sorpresa, che un robot cosciente non è soltanto facile da concepire o immaginare, ma è qualcosa di reale.

Alcuni filosofi pensano che solo per un tiro giocato dall'immaginazione ci si potrebbe cascare facendosi convincere da questa prova "meramente comportamentale" della coscienza e si potrebbe saltare a quella conclusione. Il loro motto forse è: "Non cascateci! Non saltate!". Dimostrare che un'altra persona è cosciente non è affatto così facile, poiché quella persona potrebbe essere uno "zombi" – è logicamente possibile, quanto meno. Non uno zombi in stile vudu come quelli che si vedono nei film o si incontrano a Halloween. I morti che camminano sono facilmente distinguibili dalle persone normali per il comportamento (e per l'aspetto orrendo). Gli zombi dei filosofi, per contro, possono essere una compagnia piacevole, l'anima della festa, affettuosi, allegri e spontanei come chiunque conosciate. Alcuni dei vostri migliori amici potrebbero essere zombi. Gli zombi dei filosofi sono (per definizione) indistinguibili dai normali esseri umani coscienti quanto al comportamento, ma dentro "non c'è nessuno" – mancano completamente di vita interiore, di esperienza cosciente. Θ solo dall'esterno che sembrano coscienti. Se giudicate come questi filosofi che si tratti di un problema serio, se vi domandate – data la possibilità logica degli zombi della filosofia – come potrà mai esistere una teoria scientifica, materialistica, della coscienza, siete in preda all' Impressione Zombica.

Θ mio dovere riconoscere di poter provare una netta Impressione Zombica esattamente come chiunque altro. Se socchiudo gli occhi, in qualche modo mi sembra proprio che la coscienza debba essere qualcos'altro oltre a tutto ciò che fa per noi e a noi, uno speciale scintillio privato di qualche genere, una sensazione di "esserci" che in qualsiasi robot sarebbe assente, e che è quasi impossibile immaginare come una "mera" attività fisica del cervello. Ma ho imparato a non credere a questa impressione. Sono convinto che sia completamente sbagliata: è una mancanza di immaginazione, non l'intuizione di una necessità. Convincere altri, tuttavia, si dimostra un compito per nulla facile. Avremo bisogno di molte pompe dell'intuizione per allentare la presa dell'Impressione Zombica.

Per cominciare, potremmo orientarci riguardo a questa possibilità logica mettendola a confronto con altre. Θ logicamente possibile che voi viviate nella Matrice e che tutta la vita che vedete attorno a voi e alla quale apparentemente partecipate si svolga in una realtà virtuale progettata per farvi stare tranquilli mentre il vostro corpo giace in una capsula hi-tech. Θ logicamente possibile che in realtà non esista alcun atomo di carbonio; quelli che appaiono agli scienziati come atomi di carbonio in realtà sono fantastiliardi di minuscole navicelle spaziali pilotate da alieni il cui lavoro è fare finta di essere atomi di carbonio. Θ logicamente possibile che l'intero universo sia stato creato pressappoco seimila anni or sono, con tutti i cosiddetti fossili al loro posto e i fotoni in arrivo apparentemente provenienti da galassie lontane anni luce. (Θ logicamente possibile che dalla creazione del mondo siano passati dieci minuti e che tutti i presunti ricordi del vostro passato siano stati installati nel vostro cervello.)

Queste possibilità logiche ci possono sembrare premesse divertenti per un romanzo, ma non le prendiamo sul serio come segni del fatto che la fisica, la chimica e la biologia devono essere modificate o abbandonate. C'è qualcosa che rende l'Impressione Zombica più fondata, più degna di considerazione? Per molti pensatori seri, sì.

Forse l'antenata di tutte le pompe dell'intuizione ideate per produrre qualcosa di simile all'Impressione Zombica fu concepita secoli or sono da Gottfried Wilhelm Leibniz, il filosofo e matematico che condivide con Isaac Newton il merito di avere inventato il calcolo infinitesimale. Leibniz era uno dei più geniali pensatori dell'epoca e tuttavia si lasciò ingannare da questa pompa dell'intuizione che ideò egli stesso.

Se immaginiamo una macchina costruita in modo che pensi, senta, percepisca, si potrà concepire che venga ingrandita conservando le medesime proporzioni, in modo che vi si possa entrare come in un mulino. Ciò fatto, nel visitarla internamente non si troverà altro che pezzi, i quali si spingono scambievolmente e mai alcuna cosa che possa spiegare una percezione. Cosicché questa bisogna cercarla nella sostanza semplice e non nel composto, o nella macchina. (Leibniz, 1714, par. 17, corsivo mio)

Quel "cosicché" è uno dei più lampanti non sequitur di tutta la filosofia. Leibniz non fornisce argomenti a sostegno della sua conclusione; pensa che sia troppo ovvia per averne bisogno. Come abbiamo visto, ai primi del Novecento il genetista William Bateson non riusciva a immaginare che i geni potessero essere entità materiali (si veda p. 108). Così come Bateson non poteva prendere sul serio l'idea stravagante di tre miliardi di coppie di basi in una doppia elica all'interno di ogni cellula (assurdo!), Leibniz non poteva prendere sul serio l'idea di un "mulino" con migliaia di miliardi di parti mobili. Avrebbe sostenuto, senza dubbio, che "la semplice aggiunta di altre parti" non avrebbe potuto portare dai meccanismi alla mente, ma sarebbe stata soltanto una sua impressione e non qualcosa che avrebbe potuto sostenere di aver dimostrato. Ma se Darwin, Crick e Watson hanno svelato la mancanza di immaginazione di Bateson, Turing ha reso obsoleta la pompa dell'intuizione di Leibniz. In realtà, non l'ha fatto. Non ancora. A tempo debito, ne sono convinto, l'Impressione Zombica diventerà sempre più fievole, diventando una curiosa reliquia del nostro passato infestato dagli spiriti; però, dubito che finisca per scomparire del tutto. Non sopravvivrà nella sua attuale forma fuorviante, ma come mutazione meno virulenta, ancora psicologicamente potente, ma priva di autorità. Sappiamo che è già successo. Ci sembra ancora che la Terra stia ferma e il Sole e la Luna le girino intorno, ma abbiamo imparato a non tenerne conto, poiché è una mera apparenza. Ci sembra ancora che esista una differenza tra un corpo in quiete assoluta e un corpo che non è accelerato rispetto a un sistema inerziale, ma abbiamo imparato a non prestare fede a questa sensazione. Prevedo che un giorno i filosofi, gli scienziati e i profani rideranno delle tracce fossili del nostro sconcerto riguardo alla coscienza: "Ci sembra ancora che queste teorie meccanicistiche della coscienza trascurino qualcosa, ma naturalmente oggi capiamo che è un'illusione. In realtà, queste teorie spiegano tutto ciò che dev'essere spiegato della coscienza".

La prolungata fedeltà all'Impressione Zombica, in realtà, è favorita dagli esperimenti mentali di molti filosofi, come la famosa Stanza Cinese di John Searle, che mi ha ispirato l'espressione "pompa dell'intuizione". Tra poco sarà demolita davanti ai vostri occhi, ma prima desidero esplorare in maniera un po' più accurata il concetto di zombi filosofici.

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62. IL SΙ COME CENTRO DI GRAVITΐ NARRATIVA


Che cos'è un sé? I filosofi sono alle prese con questo problema da secoli. Il concetto cristiano di un'anima immortale, immateriale e inesplicabile, ha affascinato i pensatori e sviato le indagini serie per secoli, ma perde aderenti ogni giorno che passa. L'idea di un "qualcosa di mentale" che va in paradiso quando qualcuno muore diventa ogni giorno più incoerente. La pia illusione che ci impedisce di scartarla, insieme ai folletti e alle streghe, è fin troppo evidente. Pertanto, quelli di noi che sono materialisti, e sono certi che la mente sia il cervello (interpretato nel modo corretto), devono cercare di spiegare perché sembra che ciascuno di noi abbia "qualcosa di mentale" o, meglio, perché sembra che ciascuno di noi sia questo "qualcosa di mentale" che dimora in un corpo e più specificamente in un cervello. Quando ci guardiamo dentro, troviamo semplicemente noi stessi?

David Hume, com'è noto, liquidò quest'idea (1739, I, IV, sez. 6):

Per parte mia, quando più profondamente mi addentro in ciò che chiamo me stesso, sempre m'imbatto in una particolare percezione: di caldo o di freddo, di luce o di oscurità, di amore o di odio, di dolore o di piacere. Non riesco mai a sorprendere me stesso senza una percezione [...]. Se qualcuno, dopo una seria e spregiudicata riflessione, crede di avere una nozione differente di se stesso, dichiaro che non posso seguitar a ragionare con lui. Tutt'al più, gli potrei concedere che può aver ragione come l'ho io, e che in questo punto siamo essenzialmente differenti: egli forse percepisce qualcosa di semplice e di continuo, che chiama se stesso, mentre io son certo che in me un tale principio non esiste.


L'ironico riconoscimento da parte di Hume del fatto che gli altri possono essere diversi riecheggia ancora oggi tra quanti si domandano se io, per esempio, sia uno zombi (uno zimbo, naturalmente) che estrapola innocentemente dalla sua misera esperienza e ne ipotizza l'esperienza altrui. Una congettura divertente, ma non credo che qualcuno la prenda sul serio.

Che cosa non è un sé è chiaro. Non è una parte del cervello, come l'amigdala o l'ippocampo. I lobi frontali hanno un ruolo determinante nella valutazione delle situazioni, delle intenzioni, delle percezioni e simili, ma non credo che qualcuno abbia commesso l'errore di localizzare il sé nei lobi frontali. (La lobotomia prefrontale è un intervento chirurgico terribile, da cui emerge qualcuno che è davvero "l'ombra del suo sé precedente", ma non è un'asportazione del sé. Per citare una famosa battuta, meglio scolarsi una bottiglia che subire una lobotomia prefrontale, ma in entrambi i casi io sarei presente e proverei quell'esperienza.) Allora, che cosa potrebbe essere il sé? La mia proposta è che faccia parte di quel genere di cose a cui appartiene un centro di gravità, un'astrazione che, a dispetto della sua astrattezza, è strettamente associata al mondo fisico. Voi, come qualsiasi altro oggetto materiale, avete un centro di gravità (o, più propriamente, un centro di massa, ma qui ignoreremo questa sottigliezza). Se la parte superiore del vostro corpo è più pesante della parte inferiore, il vostro centro di gravità è più alto della media per persone della vostra altezza e dovrete lavorare di più per stare in piedi ecc. Vi sono molti modi per individuare il centro di gravità, che si sposta all'interno di una piccola area al centro del corpo, in base a fattori quali le scarpe indossate e il tempo trascorso dall'ultimo pasto. Θ un punto che ha una definizione matematica, non un atomo o una molecola. Il centro di gravità di un pezzo di tubo d'acciaio non è fatto di acciaio e, in realtà, non è fatto di nulla. Θ un punto nello spazio, il punto sulla linea mediana passante al centro del tubo che è equidistante dalle estremità (approssimativamente, a seconda delle imperfezioni ecc.).

Il concetto di centro di gravità è di per sé uno strumento utilissimo per pensare. In realtà, è una media di tutte le attrazioni gravitazionali tra ogni particella di materia di un oggetto e ogni particella di materia sul pianeta, e ci dice che possiamo ridurre il tutto a due punti – il centro della Terra (il suo centro di gravità) e il centro di gravità dell'oggetto – e calcolare il comportamento dell'oggetto in condizioni diverse. Per esempio, se in un qualsiasi momento il centro di gravità di un oggetto cade al di fuori di tutti i punti della sua base di sostegno, l'oggetto cade. Naturalmente, avevamo una comprensione intuitiva dei centri di gravità molto tempo prima che Newton concepisse la gravità ("Siediti! Stai facendo oscillare la barca"). Oggi sappiamo spiegare nei dettagli come e perché il concetto funziona, e se progettiamo veicoli o lampade a stelo, per esempio, l'obiettivo di abbassare un centro di gravità, o di spostarlo in una posizione migliore, mostra che in molte nostre attività il concetto è quasi indispensabile. Può essere un'"invenzione dei teorici", ma è un'invenzione preziosissima che permette di formulare molte previsioni corrette. Una simile entità astratta, che non ha un'esistenza materiale, può davvero causare qualcosa? Non direttamente, ma le spiegazioni che citano un centro di gravità competono con spiegazioni chiaramente causali. Perché quel tazzone di caffè non si è rovesciato quando la barca si è inclinata? "Perché ha un centro di gravità insolitamente basso" compete con "Perché è incollato al ponte".

[...]

Che cos'è allora un centro di gravità narrativa? Θ anch'esso un'invenzione dei teorici, che lo ipotizzano al fine di unificare e decifrare una collezione complessa e altrimenti sconcertante di azioni, parole pronunciate, irrequietezze, lamentele, promesse ecc. che costituiscono una persona. Θ l'organizzatore del livello personale di spiegazione. Non è stata la vostra mano a firmare il contratto, siete stati voi. Non è stata la vostra bocca a dire una bugia, siete stati voi. Siete voi a ricordare Parigi, non il vostro cervello. Voi siete il "proprietario accertato" del corpo vivente da tutti riconosciuto come voi. (Come si dice, il corpo è mio e ne faccio quel che voglio.) Nello stesso modo in cui possiamo semplificare tutte le attrazioni gravitazionali tra tutte le parti del mondo e un obelisco ritto in mezzo a una piazza riducendo il tutto a due punti, il centro della Terra e il centro di gravità dell'obelisco, possiamo semplificare tutte le interazioni – le strette di mano, i dialoghi, gli scarabocchi di inchiostro e molto di più – tra due sé, il venditore e il compratore, che hanno appena portato a termine una trattativa. Ogni sé è una persona, con una biografia, un insieme di "antefatti" e molti progetti in corso. A differenza dei centri di gravità, i sé non hanno una traiettoria nello spazio e nel tempo; si formano via via, accumulando ricordi, e concependo progetti e aspettative.

[...]

Ciò che siamo è quella somma mobile di esperienze e talenti, intenzioni solenni e sogni a occhi aperti, uniti in un cervello e in un corpo, che si chiama con un dato nome. L'idea che esista, in aggiunta, uno speciale, indissolubile, frammento di noi, ego, spirito o anima, è una fantasia attraente, ma nulla che sia indispensabile per capire le persone, i loro sogni e le loro speranze, il loro eroismo e i loro peccati.

Questo centro di gravità narrativa potrebbe non essere un misterioso frammento di sostanza mentale, ma se è soltanto un'astrazione, può essere studiata scientificamente? La risposta è: sì.

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SOMMARIO


Alle persone sta molto a cuore essere dotate di libero arbitrio, ma sembrano anche nutrire idee fuorvianti su che cosa è o potrebbe essere il libero arbitrio (così come hanno idee fuorvianti sui colori e sulla coscienza). Le nostre decisioni non sono piccoli miracoli cerebrali che violano la fisica e la chimica capaci di rendere conto di tutti gli altri processi del corpo, anche se molti pensano che così debba essere affinché le nostre decisioni siano veramente libere. Non ne possiamo concludere, tuttavia, che allora non siamo dotati di libero arbitrio, poiché il libero arbitrio in questo senso folle non è l'unico concetto di libero arbitrio. La legge, in accordo col buon senso, distingue tra firmare un contratto "di propria spontanea volontà" e firmare sotto minaccia oppure in uno stato di allucinazione o in presenza di qualche altro squilibrio mentale. Ecco un senso ben noto di libero arbitrio, una distinzione presupposta da gran parte delle pratiche e degli atteggiamenti che compongono la nostra immagine manifesta, che non ha una dimostrata dipendenza dal senso folle.

Nei secoli sono sempre esistiti filosofi fermamente convinti che questa accezione di libero arbitrio sia quella importante, quella di cui dovremmo preoccuparci, e che sia compatibile con il determinismo, con il materialismo, con il dominio incontestato della fisica e della chimica. Le pompe dell'intuizione e gli altri strumenti del pensiero presentati in questa parte sono stati studiati per sostenere e promuovere la comprensione di tale prospettiva, il compatibilismo. Ha avuto molte versioni nel corso degli anni e, probabilmente, è l'opinione prevalente non solo tra i filosofi, ma anche tra i giudici, gli avvocati e altri che devono distinguere tra chi è responsabile di qualcosa e chi è da perdonare perché quando ha agito era privo di libero arbitrio. Oggi alcuni scienziati contestano questa opinione e, com'è ovvio, può darsi che facciano bene. Esaminiamo con cura i loro argomenti.

Forse la scienza ci sta insegnando qualcosa di radicale, anzi rivoluzionario, cioè che nessuno è mai responsabile di ciò che fa e che non esistono ragioni valide per distinguere certe azioni come encomiabili e altre come riprovevoli. Ma questa conclusione rivoluzionaria richiede un'attenzione ai dettagli molto più scrupolosa di quella ricevuta finora dagli scienziati che la giudicano corretta. Il neurochirurgo scellerato rende inabile il paziente con nient'altro che un'idea falsa; una visione erronea diffusa da scienziati autorevoli potrebbe derubare le persone di una varietà di libero arbitrio legittima e che migliora la vita. Θ necessaria molta prudenza, da parte di tutti.

Il compatibilismo, nonostante tutta la sua popolarità tra i filosofi, ha sempre destato sospetti. Com'è noto, Immanuel Kant lo definì un "miserevole sotterfugio" e oggi molti autori esprimono dubbi sulla sincerità di quanti tra noi lo difendono. In realtà, è giusto che sia così. La scienza ci insegna a stare particolarmente in guardia nei confronti delle pie illusioni e molte regole dell'indagine scientifica sono specificamente ideate per impedirci di lasciarci ingannare dalle nostre speranze quando pensiamo di essere stati convinti dai dati. Immaginate che alcuni astronomi annuncino che entro dieci anni un gigantesco asteroide colpirà il nostro pianeta, distruggendo ogni forma di vita, e che poi un altro gruppo di astronomi dichiari che secondo una nuova analisi dei dati possiamo tutti tirare un sospiro di sollievo: l'asteroide mancherà la Terra di poco. Θ una buona notizia, ma come fate a sapere che il secondo gruppo di astronomi non si inganna – o non inganna voi con una bugia pietosa? Controllate e ricontrollate i loro calcoli; provate ad analizzare i dati originari in maniera indipendente; non accettate con gratitudine la loro conclusione perché non contiene errori evidenti ed è di vostro gradimento. Però, non dimenticate mai che è possibile che abbiano ragione. Non fate l'errore opposto di scartare – sulla base di "princìpi generali" – qualcosa che sembra "troppo bello per essere vero".

Il compatibilismo è "troppo bello per essere vero"? Secondo me, no; penso che sia vero e che possiamo respingere tranquillamente e fondatamente gli allarmisti, procedendo nel contempo a riesaminare e modificare la nostra comprensione di ciò che sta alla base del nostro concetto di responsabilità morale. Ma questo è un compito per il futuro – e dovrebbe essere opera di molti. Per quanto posso capire, è il problema filosofico più difficile e più importante che ci troviamo ad affrontare oggi. La posta in palio è alta, i problemi spinosi e le emozioni tendono a offuscare il nostro giudizio. Avremo bisogno di tutti i nostri strumenti per pensare e di altri ancora, che dovremo costruire lungo la strada.

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74. UN PATTO FAUSTIANO


Per anni ho prospettato ai miei colleghi questa scelta: se Mefistofele vi offrisse queste due possibilità, quale scegliereste?

A. Risolvete un importante problema filosofico di vostra scelta in maniera tanto conclusiva che non rimane più nulla da dire (grazie a voi, una parte del settore chiude per sempre e voi sarete ricordati soltanto in qualche nota a piè di pagina).

B. Scrivete un libro che suscita tante perplessità e controversie da restare nell'elenco delle letture raccomandate per tutti i secoli a venire.


Alcuni filosofi ammettono con riluttanza che preferirebbero l'alternativa (B). Potendo scegliere, preferiscono essere letti che avere ragione. Come i compositori, i poeti, i romanzieri e altri creatori nel campo dell'arte, tendono a volere che la propria opera entri a far parte dell'esperienza di milioni (miliardi, se possibile!) di persone. Ma sono anche trascinati nella direzione dell'autentica ricerca scientifica. Dopotutto, i filosofi dovrebbero cercare di raggiungere la verità.

Quando presento il medesimo patto faustiano a degli scienziati, tendono a scegliere senza esitazioni l'alternativa (A) — per loro è una decisione semplicissima. E poi scuotono la testa stupiti (o disgustati?) quando vengono a sapere che per molti filosofi è, invece, una scelta difficile e che alcuni optano, con qualche imbarazzo, per (B). Questa reazione degli scienziati, tuttavia, non coglie il punto importante fatto notare da Nicholas Humphrey (1987) (si veda il capitolo 48):

In Le due culture Charles Percy Snow decantò le grandi scoperte scientifiche come l'"equivalente scientifico delle opere di Shakespeare", ma in un certo senso era fondamentalmente in errore. Le opere di Shakespeare erano le opere di Shakespeare e di nessun altro; le scoperte scientifiche, per contro, non appartengono – in definitiva – a nessuno in particolare.


Se Shakespeare non fosse esistito, nessun altro avrebbe scritto Amleto, Romeo e Giulietta o Re Lear. Se van Gogh non fosse esistito, nessun altro avrebbe dipinto Notte stellata. Forse è un po' esagerato, ma c'è qualcosa di vero. I contributi dei grandi artisti hanno un'individualità che nella scienza sembra non solo rara, ma del tutto non pertinente. Le famose dispute sulla priorità nella scienza, e le competizioni per arrivare a qualche argomento decisivo per vincere un Nobel, sono feroci proprio perché qualcun altro potrebbe offrire esattamente lo stesso contributo che vi state sforzando di realizzare voi – e non vi assegneranno punti per lo stile, se arrivate secondi. Queste gare non hanno qualcosa di analogo nell'arte, dove prevale un insieme diverso di obiettivi.

Alcuni scienziati aspirano ad avere un grande pubblico di lettori, e a deliziare quelli che riescono a raggiungere, e i migliori scrivono opere di straordinario valore letterario. Vengono in mente i libri di Darwin. Ma l'obiettivo di non commettere errori, di persuadere i lettori della verità scoperta, viene comunque per primo, come si può capire immediatamente confrontando Il viaggio di un naturalista intorno al mondo di Darwin e Moby Dick di Melville. Possiamo imparare molto sulle balene e sulla caccia alle balene da Moby Dick, ma Melville non lo concepì come un eccellente e persuasivo compendio di fatti sulle balene.

Tenendo conto della differenza tra gli obiettivi della scienza e quelli dell'arte, ecco una domanda per gli scienziati analoga al dilemma che pongo ai miei colleghi filosofi: se Mefistofele vi offrisse queste due alternative, quale scegliereste?

1. Vincete la gara (e il Nobel in palio) per determinare una scoperta che diventa la base per un'enorme espansione della conoscenza scientifica, ma che, a posteriori, come indicato da Humphrey, non appartiene a nessuno in particolare. (Vengono in mente Crick e Watson ; è quasi indubbio che se non fossero arrivati al traguardo, di lì a poco la gara sarebbe stata vinta da Linus Pauling o da qualcun altro.)

2. Proponete una teoria così originale, nemmeno immaginata prima del vostro lavoro, che il vostro cognome entra a far parte del linguaggio; però, la vostra teoria si rivela per lo più sbagliata, anche se continua a generare controversie di grande valore per anni – o per secoli. (Penso al dualismo cartesiano tra mente e materia, alle teorie lamarckiane dell'evoluzione, al comportamentismo di Skinner e alle visioni freudiane di qualunque cosa, dalla sessualità infantile alla nevrosi, dall'arte alla musica e alla letteratura.)


Un esempio migliore, seppur meno noto, della scelta (2) potrebbe essere l'ambizioso trattato di fisica di Cartesio, tanto autorevole e sbagliato in maniera tanto intelligente da essere uno stimolo importante per Isaac Newton; Philosophiae naturalis principia mathematica, il titolo dell'opera destinata a cambiare il mondo (scritta nel 1687), riecheggiava intenzionalmente il titolo del lavoro di Cartesio, Principia philosophiae (del 1644), perché fosse chiaro quale visione del mondo Newton intendeva sostituire. Un altro esempio è dato dalla linguistica di Chomsky, che senza dubbio supera il test di originalità. Come la vittoria della goletta America nella gara che poi fu chiamata America's Cup, non era in palio un secondo posto quando Chomsky irruppe sulla scena. Negli anni che seguirono, il seme teorico originario – la teoria "trasformazionale" delle Strutture della sintassi di Chomsky (pubblicato nel 1957) – è stato in gran parte abbandonato, sostituito da teorie discendenti, di specie diverse dall'antenato comune tanto quanto gli struzzi, i colibrì e gli albatri sono diversi dai dinosauri da cui si sono evoluti. Nel 1957 Chomsky commise un errore proficuo, o piuttosto (drin!) scoprì una grande verità? Una risposta abbastanza buona è: "Sì".

Onoriamo gli scienziati che sbagliano in maniera utile – pensate al disprezzo di Wolfgang Pauli per un lavoro teorico che non era "neanche sbagliato". Ma se foste obbligati a scegliere, rinuncereste ad arrivare primi e avere ragione, per essere originali e provocanti? Non è tanto facile decidere, vero?

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