Autore Umberto Eco
Titolo Vertigine della lista
EdizioneBompiani, Milano, 2019 [2009] , pag. 408, ill., cop.fle., dim. 14,7x20x2,5 cm , Isbn 978-88-301-0059-6
OriginaleVertiges de la liste [2009]
LettoreGiorgio Crepe, 2021
Classe storia letteraria , storia dell'arte , storia sociale , collezionismo , giochi












 

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Indice


     Prefazione                            7


 1.  Lo scudo e la forma                   8

 2.  L'elenco o la lista                  14

 3.  L'elenco visivo                      36

 4.  L'indicibile                         48

 5.  Liste di cose                        66

 6.  Liste di luoghi                      80

 7.  C'è lista e lista                   112

 8.  Scambi tra lista e forma            130

 9.  Retorica dell'enumerazione          132

10.  Liste di mirabilia                  152

11.  Collezioni e tesori                 164

12.  La Wunderkammer                     200

13.  Definizione per proprietà           216
     e definizione per essenza

14.  Il cannocchiale aristotelico        230

15.  L'eccesso, da Rabelais in avanti    244

16.  L'eccesso coerente                  278

17.  L'enumerazione caotica              320

18.  Gli elenchi dei mass media          352

19.  Liste di vertigini                  362

20.  Scambi tra lista pratica            370
     e lista poetica

21.  Una lista non normale               394


     Apparati                            399


 

 

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Pagina 7

PREFAZIONE


Quando il Louvre mi ha offerto di organizzare per l'intero novembre 2009 una serie di conferenze, esposizioni, pubbliche letture, concerti, proiezioni e così via su un argomento di mia scelta, non ho esitato un momento e ho proposto come tema l'elenco, ovvero la lista (e come vedremo si potrà anche parlare di catalogo o di enumerazione). Perché mi è venuta alla mente questa idea?

Se qualcuno andasse a leggere i miei romanzi vedrebbe che in essi abbondo in liste, e le origini di questa predilezione sono due, entrambe dovute ai miei studi giovanili: certi testi medievali e molti testi joyciani (né si debbono trascurare gli influssi di riti e testi dell'Età Media nella formazione del giovane Joyce). Dalle litanie all'elenco delle cose contenute nel cassetto della cucina di Leopold Bloom nel penultimo capitolo dell' Ulisse passa però un buon numero di secoli, come più ancora ne passano tra le liste medievali e il modello di lista per eccellenza, e cioè il catalogo delle navi nell'Iliade di Omero, da cui infatti questo libro prende le mosse.

Ma proprio in Omero si trova celebrato anche un altro modello descrittivo, quello ordinato e ispirato a criteri di chiusura armonica e compiuta rappresentato dallo scudo di Achille. Insomma, già in Omero pare che si oscilli tra una poetica del "tutto è qui" a una poetica dello "eccetera".

Se questo mi era già chiaro, non mi ero mai messo a fare il regesto meticoloso degli infiniti casi in cui nella storia della letteratura (da Omero a Joyce sino ai giorni nostri) appaiono delle liste, anche se subito all'inizio venivano alla mente i nomi di Perec o di Prèvert, di Whitman o di Borges. Il risultato di questa caccia è stato prodigioso, tale da dar la vertigine, e già so che moltissime persone mi scriveranno chiedendomi perché in questo libro non appaiono tale o tal altro autore. È che non solo non sono onnisciente e non conosco una infinità di testi in cui appaiono delle liste, ma se pure avessi voluto inserire in antologia tutte le liste che via via incontravo nel corso della mia esplorazione, questo libro dovrebbe avere almeno mille pagine, e forse di più.

Non parliamo poi del decidere che cosa sia una lista figurativa. I pochi libri dedicati alla poetica della lista si limitano prudentemente alle liste verbali, perché è arduo dire in quale modo un quadro possa presentare delle cose eppure suggerire un "eccetera", come se ammettesse che i limiti della cornice lo obbligano a tacere di un resto immenso. La mia ricerca doveva servire anche a far vedere delle cose, sia al Louvre che in un volume come questo che si inserisce nella scia dei due precedenti Storia della bellezza e Storia della bruttezza. Di qui una ricerca meno ovvia che quelle fatte per bellezza e bruttezza, la ricerca degli eccetera visivi, che ha coinvolto come comprimari Anna Maria Lorusso e Mario Andreose.

In conclusione, la ricerca delle liste ha rappresentato una esperienza molto eccitante non tanto per quello che si è riusciti a mettere in questo volume quanto per tutto quello che si è dovuto trascurare. Voglio dire, ecco un libro che non può concludersi che con un eccetera.

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Pagina 67

5. LISTE DI COSE


Il timore di non potere dire tutto prende non solo di fronte a una infinità di nomi ma anche di fronte a una infinità di cose.

La storia della letteratura è piena di collezioni ossessive di oggetti. Talora esse sono fantastiche come quella dei reperti che (ci racconta Ariosto ) Astolfo trova sulla Luna dove è andato a recuperare il cervello di Orlando, talora inquietanti come nell'elenco di sostanze maligne usate dalle streghe del Macbeth di Shakespeare talora deliranti di profumi come la collezione di fiori che Marino descrive nel suo Adone, talora povere ed essenziali come la raccolta di detriti che permette a Robinson di sopravvivere nella sua isola, o il povero tesoretto che Mark Twain ci racconta accumulato da Tom Sawyer, talora vertiginosamente normale come l'immane raccolta di oggetti insignificanti che popolano il cassetto della cucina di Leopold Bloom nell' Ulisse di Joyce , talora nostalgicamente tenera, pur nella sua immobilità museale e quasi funerea, come la raccolta di strumenti musicali di cui ci dice Mann nel Doctor Faustus. Talora le cose sono semplicemente odori, ovvero puzze, come nella città descritta da Süskind.

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Pagina 131

8. SCAMBI TRA LISTA E FORMA


Nella misura in cui una lista caratterizza una serie per quanto difforme di oggetti come appartenenti allo stesso contesto o visti dallo stesso punto di vista (per esempio Gesù, Cesare, Cicerone, Luigi IX, Gilles de Rais, Hitler, Raimundo Lullo, Mussolini, Lincoln, Kennedy, Saddam Hussein, Pietro Micca, Damiens costituiscono un insieme omogeneo se si considerano tutte le persone che non sono morte nel loro letto), essa conferisce ordine, e dunque un accenno di forma, a un insieme altrimenti disordinato. Ma ci sono modi più sottili di trasformare una lista in forma e l'esempio più tipico è Arcimboldo. Egli prende gli elementi d'una lista possibile (tutti i frutti o i legumi esistenti, o tutti quelli rappresentati in forma di elenco da tante nature morte) e ne compone una forma, che però non è quella attesa o dovuta. In un certo suo modo barocco, ci dice che si può artificiosamente passare da un elenco a una forma. La forma che ne riesce è difforme, sformata, e quello che prevale è la riunione di elementi diversi - che avrebbero goduto di una loro legalità sul piatto su di una tavola imbandita, ma che risultano incongrui in un volto umano, ma questa era la poetica barocca ("è del poeta il fin la maraviglia," diceva Marino ) e se quattro secoli non fossero troppi troveremmo una parentela con la poetica del pre-surrealismo: per citare Lautréamont "come l'incontro fortuito su un tavolo anatomico di una macchina da cucire e un parapioggia".

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Pagina 133

9. RETORICA DELL'ENUMERAZIONE


La retorica, sin dall'antichità, ha considerato liste ritmicamente scandite e scandibili, dove non tanto importava accennare a quantità inesauribili quanto piuttosto attribuire a qualcosa proprietà in modo ridondante, spesso per il puro amore dell'iterazione.

In genere le varie forme di lista rientrerebbero sotto quella figura di pensiero che è l' accumulazione, vale a dire la sequenza e accostamento di termini linguistici in qualche modo appartenenti alla stessa sfera concettuale. In tal senso è una forma di accumulazione la enumeratio, che appare con costanza nella letteratura medievale, anche quando i termini in lista non sembrano coerenti tra loro, perché si tratta di definire le proprietà di Dio, che per definizione non possono essere dette (teste lo pseudo Dionigi Areopagita) se non attraverso similitudini dissimili.

Così Ennodio (V secolo) dirà del Cristo che è "sorgente, via, destra, pietra, leone, lucifero, agnello - porta, speranza, virtù, parola, saggezza, profeta - vittima, virgulto, pastore, monte, reti, colomba - fiamma, gigante, aquila, sposo, pazienza, verme..." e Notker il Balbuziente (XI secolo) dirà di Dio che è "agnello, pecora, vitello, serpente, ariete, leone, verme - bocca, parola, splendore, sole, gloria, luce, immagine, - pane, fiore, vite, monte, porta, pietra e roccia", e poco più tardi Pietro di Corbeil dirà della Trinità "divinità, eterna unità - maestà, libertà, o pietà superiore - sole, fiamma, volontà, cima, sentiero - sasso, montagna, pietra, sorgente, torrente, ponte e vita, - salvatore, creatore, amante, redentore, sapiente, luce eterna... Vetta, abisso, re dei re, legge delle leggi, vendicatore, luce angelica... eroe, fiore ricchissimo, viva rugiada...". Si tratta in definitiva, anche in questi casi, di liste panegiriche o encomiastiche, come si è già visto per le litanie della Vergine.

Ma sono forme di enumerazione coerente quelle della Fedra di Racine (2.2: Mon arc, mes javelots, mon char, tout m'importune) e questo elenco predittivo di Calvino ne La luna come un fungo (La memoria del mondo): "Continuava a descrivere la vita come si sarebbe sviluppata sulle terre emerse, le città dalle fondamenta di pietra che sarebbero sorte, le strade percorse da cammelli e cavalli e cani e gatti, e carovane, e le miniere d'oro e d'argento, e le foreste di sandalo e di malacca, e gli elefanti, e le piramidi, e le torri e gli orologi, e i parafulmini, e i tramway, le gru, gli ascensori, i grattacieli, i festoni e le bandiere nei giorni delle feste nazionali, le scritte luminose d'ogni colore sulle facciate dei teatri e dei cinematografi che avrebbero riverberato sulle perle delle collane nelle notti di gran gala".

Una forma di accumulazione è la congerie, sequenza di parole o frasi che significano tutte la stessa cosa, dove si riproduce lo stesso pensiero sotto diversi aspetti. Risponde al principio della amplificazione oratoria, di cui sono esempi la metabole e la commoratio (o indugio, insistenza) e la stessa parafrasi. Prendiamo l'esempio della Prima Catilinaria: "Fino a che punto, Catilina, approfitterai della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora la tua pazzia si farà beffe di noi? A che limiti si spingerà una temerarietà che non conosce freno? Non ti hanno turbato il presidio notturno sul Palatino, le ronde che vigilano in città, la paura della gente, l'accorrere di tutti i buoni cittadini, né questa sede così ben fortificata per la seduta del Senato, né l'espressione del volto dei presenti? Non ti accorgi che le tue trame sono palesi?" Eccetera.

Un poco diversi sarebbero l' incrementum o climax o gradatio: anche se ci si riferisce sempre allo stesso campo concettuale a ogni passo si dice qualcosa di più, o in modo più intenso (il procedimento inverso è il decrementum o anticlimax). Un esempio si ha in una Catilinaria: "Non puoi fare nulla, nulla tramare, nulla immaginare, che non solo io lo capisca ma persino ch'io non lo veda, lo penetri a fondo, lo senta".

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Pagina 153

10. LISTE DI MIRABILIA

La Historia Naturalis di Plinio (prototipo di tutte le enciclopedie antiche e medievali) raccoglie circa 20.000 fatti e cita 500 fonti. A prima vista essa appare come una vera e propria congerie che naturalmente non è in ordine alfabetico ma neppure pare corrispondere a un disegno sistematico - e dunque sarebbe mero elenco se mai ve ne furono. Eppure, se si esamina l'indice con attenzione, si vede che in effetti l'opera parte dai cieli, poi si occupa di geografia, demografia ed etnografia, quindi di antropologia e fisiologia umana, di zoologia, botanica, agricoltura, giardinaggio, farmacopea naturale, medicina e magia, per poi passare a mineralogia, architettura, e arti plastiche - istituendo una sorta di gerarchia dall'originale al derivato, dal naturale all'artificiale.

Sembra che anche le enciclopedie medievali abbiano criteri classificatori assai vaghi e rappresentino anch'esse una semplice lista di informazioni sconnesse. Isidoro di Siviglia nelle sue Etimologie considera le sette arti liberali, grammatica, retorica, dialettica, musica, aritmetica, geometria, astronomia, e poi medicina, le leggi, i libri e gli uffici ecclesiastici, le lingue le genti e gli eserciti, i vocaboli, l'uomo, gli animali, il mondo, gli edifici, le pietre e i metalli, l'agricoltura, le guerre, giochi, teatro, navi, vesti, casa e lavori domestici - e ci si chiede quale ordine sia sotteso a questo elenco, dove per esempio la parte sugli animali si divide in Bestie, Animali Piccoli, Serpenti, Vermi, Pesci, Uccelli e Piccoli Animali Alati, e il coccodrillo viene classificato tra i Pesci. Ma già ai tempi di Isidoro l'educazione primaria si articolava in Trivio e Quadrivio, e infatti Isidoro dedica i primi libri a questi argomenti, inserendovi anche la medicina. I capitoli che seguono, dedicati alle leggi e agli uffici ecclesiastici, sono presenti per il fatto che egli scriveva anche per dotti, giureconsulti e monaci. Subito dopo appare un altro ordine: si parte col libro VII da Dio, gli angeli e i santi per passare agli uomini, quindi agli animali e dal libro XIII si passa a considerare il mondo e le sue parti, venti, acque, montagne. Infine col libro XV si arriva alle cose inanimate ma artificiali e cioè alle varie arti. Sia pure giustapponendo sincretisticamente due criteri, Isidoro non accumula a caso e nella seconda parte segue un ordine di dignità decrescente, da Dio agli strumenti domestici.

Queste enciclopedie presupponevano dunque (o cercavano ancora) una forma, anche perché la loro organizzazione aveva funzione mnemonica: un dato ordine delle cose serviva a ricordarle, a ricordare il posto che esse assumevano nella immagine del mondo. Tuttavia questo avveniva, se avveniva, solo per i lettori molto specializzati. Per gli altri quello che affascinava (come affascina ancora noi) era probabilmente l'elenco di mirabilia, come quelle che apparivano per esempio in molte raccolte ellenistiche come il De Mirabilibus attribuito ad Aristotele (di cui in antologia si scelgono solo 14 prodigi tra i 178 elencati), l'elenco di portenti ed esseri mostruosi in Isidoro di Siviglia, il Liber monstrorum diversi generibus, i Viaggi di Mandeville , gli elenchi di gemme in Marbodo di Rennes o gli Otia Imperialia di Gervasio di Tilbury, dove tra l'altro si citano la calamita, il sale agrigentino, l'asbesto, il fico egizio, i frutti della Pentapoli, la pietra che segue il ciclo della luna, la carne imputrescibile di Napoli, i bagni di Pozzuoli, la fava inversa, le porte dell'inferno, il Sacro Volto di Edessa, il combattimento degli scarabei, le sabbie calde, le finestre dove appaiono delle dame, l'acqua che non bolle mai, la seta, i delfini, le sirene, la volpe, gli equinocefali, le donne barbute, la fenice, gli uomini con otto piedi, le larve notturne, l'uovo di corvo nel nido della cicogna, gli uccelli che nascono dagli alberi...

L'elenco di mirabilia assume funzione puramente poetica nell'autore moderno che riprende le notizie antiche sapendo che le liste non rinviano a nulla di esistente e sono puro catalogo dell'immaginario, godibile solo in quanto flatus vocis. Ed ecco che Borges nel Libro degli esseri immaginari elenca i pigmei, il drago, Abtu e Anet, l'elefante che preannunzió la nascita di Buddha, gli elfi, i silfi, la Banshee, Haokah, dio del tuono, gli gnomi, Lilith, la volpe cinese, Youwarkee, il gatto del Cheshire e i gatti di Kilkenny, le ninfe, il doppio, Fatistocalón, gli angeli e i demoni di Swedenborg, i Lamed Wufniks, gli yinn, i brownies, le Valchirie, le norne, i demoni dell'ebraismo, Hochigan, gli Eloi e i Morlocks , i troll, le fate, le lamie, i lemuri, i Kuyata, i satiri, il gallo celeste, l'uccello della pioggia e via dicendo.

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Pagina 244

15. L'ECCESSO, DA RABELAIS IN AVANTI

Sembra che nel periodo barocco da un lato ci si ingegni per trovare una definizione per essenza meno rigida di quelle della logica medievale, ma dall'altro il gusto del meraviglioso porti a trasformare ogni tassonomia in lista, ogni albero in labirinto.

In realtà già nel Rinascimento è attraverso l'elenco che si arrecano i primi colpi all'ordine del mondo sancito dalle grandi summae medievali. In effetti, e lo abbiamo detto per le enciclopedie, per tutta l'antichità e il Medioevo la lista è quasi un pis aller, e sotto di essa traspare sempre lo schema di un ordine possibile, il desiderio di una messa in forma. Col mondo moderno invece la lista viene concepita per il gusto di deformare.

Una silloge fantasmagorica di tutte le bruttezze diaboliche si trova nel Baldus (1517) scritto da Teofilo Folengo sotto lo pseudonimo di Merlin Cocai, poema eroicomico e grottesco, ridanciano e goliardico, insieme parodia della Commedia dantesca e anticipazione del Gargantua rabelaisiano. Tra le varie e picaresche avventure del protagonista e dei suoi amici vi è nella seconda parte (Libro 19) la battaglia con una grande schiera di diavoli, che appaiono in un collage di forme animali, pipistrello, cane, oca, serpente, bue, asino, caprone, con zanne, sangue che cola sul petto, bava puzzolente, zolfo emesso dallo sfintere. Alla fine Baldus e i suoi fanno i diavoli a pezzi così minuti che Belzebú, nel cercare di ricomporre i centosettantamila bocones in cui è stato smembrato, incolla volpi senza coda, orsi e porci con le corna, mastini a tre zampe, tori quadricorni, bocche di lupo su teste di gigante, uccelli dal rostro di gufo e gli arti di una rana... Non è difficile vedere in questo collage che potrebbe produrre infinite creature un equivalente verbale degli inferni visivi di Hieronymus Bosch - e come negli inferni di Bosch non si tratta di semplice gusto per il fantastico e il teratologico ma di allusione ai vizi del tempo, alla corruzione dei costumi, al disfarsi di un mondo.

Ma l'autore i cui elenchi enormi sembrano fatti in spregio alle esigenze d'ordine che ispiravano i dotti sorbonardi del suo tempo è Rabelais. Non ci sono ovviamente ragioni per elencare tanti e inauditi modi di pulirsi il deretano, tante aggettivazioni del membro virile, tanti modi di scannare i nemici, tanti e inutili libri dell'abbazia di San Vittore, tanti tipi di serpenti, o tanti giochi che Gargantua sapeva giocare (e Dio sa dove trovasse il tempo per giocare a tutto), a goffo, a chi fa l'uno fa l'altro, a primiera, alla sequenza, a vola, a domino, a piglia piglia, al tarocco, al trionfo, a cocchinverde, chi vince perde, alla Piccarda, al belinato, al cento, alla penitenza, alla sfilata, alla riffa, a disgrazia, a glic, alla furba, agli onori, a passadieci, alla morra, al trentuno, agli scacchi, a pari e sequenza, alla volpe, ai trecento, a campana, alla sfortunata, alla bianca, alla condannata, alla buona ventura, a carta voltata, a tre dadi, al malcontento, alle tavole, al lanzichenecco, a nic noc, a cucù, alla lurca, a chi ce l'ha lo dica, alla rana, a piglia, nada, gioca, fori, al birignao, all'accoppiata, al trictrac, al nano, a tutte tavole, a dichiarare, a tavole voltate, a rinnegabìo, al forzato, alla dama, alla babbuina, a primus, secundus, a piè di coltello, alla mosca, a franco il quadri, a pari o caffo, a testa o croce, a marmotta, agli aliossi, alla biglia, a ciabatta, al gufo, a caccialepre, alla tirintintana, a scappa scappa porcellino, alle gazze, al corno, a bue cacciato, a civetta, a pizzicato, a beccasù, all'asino vola, a toni-mini, a trotta trotta somarello, a dàgli arrì, a buricchetto, a son seduto, alla barba d'oribus, alla boschina, a tira spiedo, a botte in fiera, a compare dammi il sacco, a coglionmontone, a buttafuori, alle fiche di Marsiglia, alle chiavi, alle guardie, a scuoiaconiglio, a ramazza, a uncino-madama, a vender l'avena, al tizzone, alle risposte, a giudice vivo e giudice morto, al fabbroferraio, a scappa villano, ai sassolini, al gobbo in corte, a San Trovato, a pizzica orecchio, al pero, a pimpompetto, al trallalà, al circolo, alla troia, a pancia-a-pancia, alle vallette, a verghetta, a spannina, a ci sto anch'io, a spegnimoccolo, ai birilli, al volano, a piastrelle, a far centro, a prendi Roma, a toccamerda, al Siam, a boccia corta, alla greca, a rimbalzino, alla pentolaccia, a così mi piace, al mulinello, alle giuncate, a baston corto, alla prillavola, a mosca cieca, a picchetto, a gallina bianca, al lupo, al truccino, al castelletto, all'infilata, a fossette, alla ronfa, alla tromba, al monaco, a capinascondere, all'incantato, alla palla, alla spola, a sculaccioni, al manico di scopa, a San Tommaso ficcanaso, alle lumachine, a sei senza verde!, a Quaresima, alla forcola, a saltacavallina, a tutti in fila, a peto in gola, a dammi la lancia Guglielmino, a brindello, ai tre covoni, alla betulla, a mosca pazza, a pesciolino mio diletto vieni, alle domande, a nove mani, a testa in gin, alla seggiolina, al cavallino, alla grulla, al gallo canta, a mosca cieca, a guardagli il muso, allo spione, al rospo, a pallamaglio, al pistone, al diabolo, alle regine, ai mestieri, a testa-a-testa o testa-a-piè, alla Pinotta, a mano morta, ai buffetti, a scuffia madama, a staccia buratta, al seminato, al ghiottone, al molinetto, a non si passa, alla giravolta, all'acculattata, al contadino, al gufo, a schioppetto matto, alla bestia morta, a monta monta la scaletta, al porcello morto, a cul per terra, a piccioncino, alla caccia al terzo, a scappellotto, a saltasiepe, a tagliar la strada, a scornabue, a maglia maglia batticulo, a è scappato l'uccellino, al passavanti, a far le fiche, alle pernacchie, a pestamostarda, allo zoppo, a chi ci casca, a salincerchio, a pigliatesta, alla gru, a taglia taglia, alla tecca, alle sberle, a buffettoni.

È l'inizio di una poetica della lista per la lista, stesa per amor di lista, della lista per eccesso.

Solo per gusto dell'eccesso un favolista barocco come Giambattista Basile ne Lo cunto de li cunti overo Lo trattenemiento de peccerille raccontando come sette fratelli siano stati trasformati in sette colombe per colpa della sorella, li fa esplodere in un rimprovero che altro non è che un profluvio di nomi di volatili (e vale la pena di riportare l'elenco nel napoletano originale): "E c'hai magnato cellevriello de gatta, o sore mia, che te hai fatto escire da mente 1'aviso nuostro? Eccoce deventate aucielle, soggette a le granfe de niglie, de sproviere e d'asture; eccoce fatte compagne de acquarule, de capofusche, de cardille, de cestarelle, de cardole, de coccovaie, de cole, de ciaole, de codeianche, de zenzelle, de capune sarvateche, de crastole, de covarelle, de gallinelle, de gallinearcere, de lecore, de golane, de froncille, de reille, de parrelle, de paglioneche, de capotortielle, de terragnole, de shiurole, de pappamosche, de paposce, de scellavattole, de sommozzarielle, de sperciasiepe, de rossielle, de monacelle, de marzarole, de morette, de paperchie, de lugane e de turzelupiche».

Vale a dire: "E che? Hai mangiato cervello di gatto, o sorella, che ti sei lasciata scappare dalla memoria l'avvertimento nostro? Per te siamo diventati uccelli, soggetti agli artigli dei nibbi, degli sparvieri e degli astori; per te siamo fatti compagni di meropi, di capinere, di cardellini, di strigi, di gufi, di piche, di gazze, di colbianchi, di fanelli, di tarabusi, di verte, di allodole, di sciabiche, di beccacce, di lucherini, di fringuelli, di regole, di cinciallegre, di capirossi, di collitorti, di strisciaroli, di balie, di tuffetti, di forasiepi, di ranocchiaie, di ballerine, di marzaiole, di bubbole".

[...]

Ma a questo punto ci troviamo di fronte a due tendenze, entrambe presenti nella storia delle liste ma a maggior ragione nella letteratura moderna e post-moderna. C'è una lista per eccesso coerente che tuttavia mette insieme entità che hanno una qualche forma di parentela; e ci sono liste, che in linea di principio potrebbero anche essere di lunghezza non eccessiva, che sono assemblaggio di cose volutamente prive di apparente rapporto reciproco, a tal segno che si è parlato in questi casi di enumerazione caotica.

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Pagina 278

16. L'ECCESSO COERENTE


L'eccesso di visioni impressionanti nell'episodio della streghe del Simplizissimus di Grimmelshausen o nella notte di Valpurga del Primo Faust di Goethe o l'elenco di entità stregonesche e diaboliche nell' Albertus di Gautier ci elencano per sovrabbondanza quello che però potremmo attenderci nel corso di un sabba. Del tutto delirante pare in Pernety l'elenco minuzioso di tutti i modi in cui gli alchimisti hanno chiamato la Materia Prima, così che saremmo tentati di ascrivere queste pagine alla rubrica delle liste caotiche: ma l'alchimista settecentesco si limitava a riportare una terminologia esistente e quindi aveva una ragione per mettere insieme tutti quegli appellativi. Certo non è possibile ignorare il sospetto che nel farlo provasse un gusto che diremo "letterario" ed esagerasse per il piacere dell'incontinenza - altrimenti la sua sarebbe stata solo una lista pratica, impraticabile per esuberanza. In sintesi, forse era abbastanza caotica la mente di quello scombussolato occultista, ma per quanto eccessiva non era caotica la sua lista.

Forse il caso in cui si sposano in modo veramente esemplare incontinenza e coerenza è la descrizione dei fiori nel giardino del Paradou in Il fallo dell'abate Mouret di Zola. Più caotica sembra l'enumerazione di Lautréamont riportata in antologia, salvo che l'elenco sembra dominato da un tono disforico che conferisce unità, sebbene alquanto paranoica, a quanto all'autore dispiace. Tanto quanto nel brano di Barthes l'elenco acquista coerenza perché riguarda tutto ció che all'autore piace.

Qualcuno ha voluto vedere un rapporto tra enumerazione caotica e monologo interiore o stream of consciousness: in effetti gli esempi di monologo interiore, massimamente quelli di Joyce, sarebbero puro assembramento di elementi del tutto eterocliti se non fosse che, a farne un insieme coerente, si assume che essi emergano alla coscienza del medesimo personaggio, l'uno appresso all'altro, e per associazioni di cui non sempre l'autore è tenuto a render conto. È caotico questo esempio di monologo interiore dal quarto capitolo dell'Ulisse?

Guardò il bestiame, sfocato nell'argentea calura. Incipriati olivi argentei. Lunghe giornate tranquille: potare, maturare. Le olive si mettono negli orci, vero? Me ne sono rimaste alcune di Andrews. Molly le sputava di bocca. Ora sa che sapore hanno. Le arance avvolte in carta velina in casse. Anche i cedri. Chissà se il povero Citron è ancora vivo in viale Saint Kevin. E Mastiansky con la vecchia cetra. Che belle serate si passavano allora. Molly nella sedia di vimini di Citron. Piacevole a tenersi in mano, il fresco frutto cereo tenerlo in mano, portarlo alle narici e odorarne il profumo. Così; profumo greve, dolce, selvaggio. Sempre lo stesso, per anni e anni. E i prezzi erano alti anche, mi diceva Moisel. Piazza Arbuto: via delle Belle: i bei tempi che furono. Devono essere senza nemmeno un difetto, diceva. Venuti di così lontano: Spagna, Gibilterra, Mediterraneo, il Levante. Cassette in fila sul molo a Giaffa, un tale che le spunta una a una nel suo libriccino, scaricatori dalle tute sporche a maneggiarle. Ecco come si chiama che esce da. Come va? Non mi vede. Tizio che si conosce quel tanto da salutarlo un seccatore. Visto di spalle somiglia a quel capitano norvegese. Chissà se lo incontro oggi. L'annaffiatrice. Fa piovere. Così in cielo come in terra.

L'impressione "locale" di caos scompare se si considera il monologo nella sua totalità: siamo di fronte alla sequenza di pensieri che si affollano alla mente di Bloom in una data mattina reagendo a una serie di stimoli esterni. Diverso, sempre riferendoci a Joyce è il caso già citato del cassetto di Bloom nell' Ulisse di Joyce: in fondo la lista è di un realismo puntiglioso, e registra quello che verosimilmente potrebbe esserci in un cassetto. Salvo che non si vede perché l'autore avesse dovuto intrattenersi così a lungo su quelle cianfrusaglie se non per gustare e far gustare l'incoerenza dell'insieme. Ecco la ragione per cui questo elenco dovrebbe apparire nella sezione antologica dedicata all'enumerazione caotica, di cui è divenuto esempio canonico. In compenso considereremo più coerente il brano di Pynchon, che si limita a chiudere il cassetto di Bloom per esaminare la superficie di una scrivania.

Contro ogni apparenza un bell'esempio di eccesso per nulla caotico sono le trentadue pagine di Marabout di Claude Closky: egli infatti altro non fa che allineare termini o brevi sintagmi ciascuno dei quali inizia con la sillaba con cui finisce il precedente: non c'è che da concludere che c'è del metodo in questa follia e che la lista, caotica dal punto di vista dei significati, non lo è dal punto di vista dei significanti. È dubbio se sia eccesso coerente o eccesso caotico quello rappresentato dall'elenco di tutte le cose che Perec vede in un solo giorno appostandosi in Place Saint Sulpice a Parigi, catastalmente annotando ora, evento e punto della piazza da cui lo vede.

L'elenco non può essere che casuale e disordinato, dato che con ogni verosimiglianza centomila altri eventi si sono verificati quel giorno in quella piazza che Perec non ha notato e annotato; ma d'altro canto il fatto che la lista contenga appunto solo ciò che ha notato la rende stranitamente omogenea. Alla stessa categoria liminare possiamo ascrivere, sempre di Perec, Je me souviens, dato che il caos è regolato dal fatto che tutto ciò che è elencato è ciò di cui l'autore ci fa la grazia di ricordarsi.

Tra le liste per eccesso coerente porremmo anche la descrizione del mattatoio in Berlin Alexanderplatz di Döblin: in linea di principio dovrebbe essere la descrizione ordinata di un luogo e delle operazioni che vi si svolgono, ma è difficile percepire la forma del luogo e la sequenza logica delle operazioni in quell'addensarsi di particolari, dati numerici, fiotti di sangue, bande di maialini spauriti... Il mattatoio di Doblin è orrido proprio perché ammassa particolari orribili sino allo stordimento e dissolve ogni ordine possibile nel disordine della matta bestialità - profeticamente alludendo a mattatoi futuri.

Non si possono non definire coerenti, ancorché eccessivi, gli elenchi stesi da Boltanski degli svizzeri morti nel cantone del Valais nel 1991, o degli artisti che hanno partecipato alla Biennale di Venezia tra 1885 e 1995. E stranitamente coerenti sono anche certi elenchi di Annette Messager.

C'è poi la lista che si fa caotica per eccesso d'ira, odio, rancore e accumula insulti a cascata. Tipo il caso di Céline che prorompe in una marea di vituperi una volta tanto non contro gli ebrei bensì contro la Russia sovietica: "Din! Paradin! Crepino! S'imbubbonino! Dio ventre!... 487 milioni! d'impalaficati cosacologhi! Quid? Quid? Quod? In tutti i cancheri di Slavia! Quid? dal Baltico slavigota alla Bianca Altramer nera? Quam? Balkan! Viscido! Ratagan! di citrulli!... Caproni! nitratori! di ratamerda! Me ne strasbatto... Me ne strafotto! Gigantescamente! Spicco il volo! zucca! ... Barbuche? immensamente! Volgaronov!... mongomollicci Tartaroneschi!... Stachanoviziani!... Culodovic!... Quattrocentomila verste miriametri... di steppe di crostamerda, di pelli di Zébis-Laridon!... Pinco Ventre! Tutti i Vesuvi mi gratto!... Diluvi!... fungosi di margamerda!... Per tutti i vostri sporchi culi invertiti d'inzarinivati!... Stabilin! Vorokcessi! Avanzi spompati!... Transberia!...".

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Pagina 288

HANS VON GRIMMELSHAUSEN

L'AVVENTUROSO SIMPLICISSIMUS, II, 16 (1669)

Dopo che tutti se ne furono andati, entrai anch'io nella camera, pensando che cosa dovessi prendere e dove cercare. Assorto in questi pensieri, mi misi a cavalcioni di una panca: mi ero appena seduto, che immediatamente volai per la finestra insieme con la panca, lasciando come compenso per l'unguento prodigioso la bisaccia ed il fucile che avevo deposti. Sedere, prendere il volo, scendere, tutto questo accadde in un batter d'occhio: mi trovai immediatamente, o almeno così mi parve, in mezzo ad una grande folla, a meno che lo spavento non mi abbia impedito di misurare la durata del viaggio. Le persone riunite in quel luogo ballavano una ridda strana, di cui in tutta la mia vita non vidi mai l'uguale: si tenevano per mano, e formavano molti cerchi concentrici, col dorso rivolto verso l'interno, come si sogliono rappresentare le tre Grazie, in modo da volgere in fuori il viso.

[...]

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Pagina 290

WOLFGANG GOETHE

LA NOTTE DI VALPURGA, IL PRIMO FAUST (1773-1774)

Faust, Mefistofele e il Fuoco Fatuo
(Alternandosi nel canto)

Siamo entrati, a quanto pare,
dove regnan sogni e incanti.
Bravo, sappici guidare,
che in brev'ora andiamo avanti
nelle nude, immense lande!

[...]

Uhu! uhu! canta il chiù
E s'appressa ognor di più.
Le ghiandaie e pavoncelle
tutte sveglie ancor son elle?
Salamandre tra le macchie!
Lunghe gambe, grosse pance!
Le radici, al par di bisce
da sabbiose rupi uscendo,
gittan lunghe e strane strisce
per pigliarci, far spavento;
dalle nocchie vive e forti
del viandante al piede attorti
gittan polipi. Ed i topi
variopinti, a folte schiere
van pei muschi e le brughiere!
E le lucciole, col volo
del lor fitto errante stuolo
fan da guide menzognere.
Mi sai dire se ristiamo
o se pure camminiamo?
Tutto pare andar ruotando,
piante e rocce sbeffeggianti
ed i fatui fuochi erranti
che si gonfian brulicando!

[...]

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Pagina 292

DOM ANTOINE-JOSEPH PERNETY

I NOMI DELLA MATERIA PRIMA, IN DICTIONNAIRE MYTHO-HÉRMETIQUE (1758)

Lo zolfo agisce sul sale, agglutinandolo e dandogli la forma; il sale agisce sullo zolfo, dissolvendolo e putrefacendolo; e l'uno unito all'altro in quantità proporzionata formano un'acqua viscosa e vitriolica, che è la prima materia della natura e dell'arte.

Ed ecco una parte dei nomi che i filosofi ermetici hanno donato alla loro materia. La maggior parte di essi sono spiegati in questo dizionario perché, dicono Morieno e Raimondo Lullo, è nell'intelligenza di questi nomi così diversi, riferiti a un'unica cosa, che consiste tutto il segreto dell'arte. Alcuni vengono dal greco, altri dall'ebraico, alcuni dalla lingua araba, ma la maggior parte sono latini o francesi.

Absemir, Acciaio, Aceto, Aceto asperrimo, Aceto dei filosofi, Acqua bruciante, Acqua d'azoto, Acqua d'urina, Acqua del caos, Acqua dell'arte, Acqua dello Stige, Acqua di fonte, Acqua di sangue, Acqua di talco, Acqua di vita, Acqua fogliata, Acqua pesante, Acqua ponderosa, Acqua prima, Acqua purificante, Acqua secca, Acqua semplice, Acqua stellata, Acqua viscosa, Adamo, Adarnet, Adrop, Affrop, Agnello, Agresta, Aibathest, Alartar, Albar del rame, Albero, Albero filosofico, Albero lunare, Albero metallico, Albero solare, Albira, Alborach, Alchaest, Alcharit, Alcophil, Alembroth, Alkufal, Allume, Almagra, Alocines, Aloeam, Aludel, Alus, Alzernad, Alzon, Amalgra, Amizadir, Anachron, Anathron e Anatron, Anathuel, Androgino, Anima, Anima degli elementi, Anima del mondo, Anima di Saturno, Antimonio, Antimonio delle parti di Saturno, Antybar, Aqua ardente, Aquila,

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Pagina 296

EMILE ZOLA

UNA LISTA DI FIORI, DA IL FALLO DELL'ABATE MOURET (1875)

In fondo a un folto di pioppi e di salici, era stata scavata una grotta, come sprofondata, fatta con blocchi di rocce immersi in una vasca e fili d'acqua attraverso le sue pietre. La grotta scompariva sotto l'assalto delle foglie. In basso, strati di malvarose pareva sbarrassero l'ingresso con una cancellata di fiori rossi, gialli, malva, bianchi, i cui fusti si perdevano fra ortiche colossali, d'un verde bronzo, sudando quietamente il loro veleno bruciante.

Poi, uno slancio prodigioso, di qualche balzo: i gelsomini, stellati dai loro fiori soavi; i glicini, dalle foglie di tenera trina; le edere folte, tagliate così da sembrare una superficie metallica; i caprifogli morbidi, crivellati dei loro frutti di corallo pallido; le clematidi amorose, con le loro braccia allungate, adorne di pennacchi bianchi. Ed altre piante, più fragili, s'allacciavano a queste, le legavano di più, le tessevano d'una trama odorosa. I nasturzi, dalle carni verdognole e nude, aprivano bocche d'oro rosso. I fagioli di Spagna, forti come esili cordicelle, accendevano qua e là l'incendio delle loro vive scintille. Dei rampicanti allargavano il cuore spezzato delle loro foglie, suonavano con le migliaia di campanelle che avevano un silenzioso motivo dai colori squisiti. La cicerchia, come uno sciame di farfalle posate, ripiegava le sue ali fulve, le sue ali rosee, pronta a lasciarsi portare più lontano, dal primo soffio di vento. Immensa capigliatura di verzura, cosparsa d'una pioggia di fiori, le cui ciocche traboccavano da ogni parte, sfuggiva in un folle disordine, facendo pensare a qualche gigantesca fanciulla, abbandonata sul dorso, con la testa rovesciata in uno spasimo di passione, in uno spandersi di crini superbi, spiegati come uno lago di profumi.

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Pagina 304

THOMAS PYNCHON

LA SCRIVANIA DI SLOTHROP, IN

L'ARCOBALENO DELLA GRAVITÀ (1973)

Il teatro delle operazioni europeo dev'essere pieno di uffici come quello, séparé formati da tre miseri pannelli di fibre color crema tutti graffiati, senza un soffitto vero e proprio. Tantivy condivide quello spazio con un collega americano, il tenente Tyrone Slothrop. Le loro scrivanie sono sistemate ad angolo retto, di modo che i due non si possono vedere se non ruotando di circa novanta gradi. La scrivania di Tantivy è tutta ordinata, su quella di Slothrop c'è una confusione spaventosa. Il ripiano in legno praticamente non vede la luce dal 1942. I vari oggetti si sono depositati sulla sua scrivania più o meno a strati regolari, sopra una base di smegma burocratico che si infiltra scivolando continuamente verso il fondo, composto di milioni di minuscole spirali rosse e marroni di gomma per cancellare, trucioli di matita, macchie di tè e di caffè, tracce di zucchero e di latte in polvere, cenere di sigaretta a profusione, frammenti finissimi di nastro nero delle macchine per scrivere, colla d'amido in decomposizione, frantumi di pastiglie d'aspirina ridotti in polvere. Poi, sparsa qua e là, viene una piccola quantità di graffette, pietrine per lo Zippo, elastici, punti metallici per la pinzatrice, mozziconi di sigaretta e pacchetti vuoti accartocciati, fiammiferi sparsi, puntine da disegno, cappucci di penne, mozziconi di matite di tutti i colori, compreso l'eliotropio e la terra d'ombra naturale, difficilissimi da trovare, cucchiaini da caffè di legno, pasticche per la gola - le Thayer's Slippery Elm Throat Lozenges che Nalline, la madre di Slothrop, aveva mandato a suo figlio dal Massachusetts - pezzetti di nastro adesivo, di spago, di gesso...

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Pagina 306

GEORGES PEREC

PLACE ST.-SULPICE, PRIMA GIORNATA, IN TENTATIVO DI ESAURIRE UN LUOGO PARIGINO (1982)

La data: 18 ottobre 1974

L'ora: 10 h 30

Il luogo: Bar Tabacchi Saint-Sulpice

Il tempo: Freddo secco. Cielo grigio.

Qualche schiarita.

Abbozzo d'inventario per qualcuna delle cose strettamente visibili;

- Alcune lettere dell'alfabeto, alcune parole: "KLM" (sulla busta di un passante), una "P" maiuscola che significa "parcheggio"; "Hôtel Récamier", "St-Raphaël", "l'épargne à la dérive" 1, "Taxis tête de station" 2, "Rue du Vieux-Colombier", "Brasserie-bar La Fontaine Saint-Sulpice", "PELF", "Part Saint-Sulpice".

- Alcuni simboli convenzionali: frecce, sotto la "P" dei parcheggi, una leggermente puntata verso terra, l'altra orientata in direzione di rue Bonaparte (lato Luxembourg), almeno quattro cartelli di divieto d'accesso (un quinto è riflesso su uno degli specchi del caffè).

- Alcune cifre: 86 (posto In testa ad un autobus della linea n° 86, sopra l'indicazione del luogo verso cui sta andando: Saint-Germain-des-Près), 1 (targa del n° 1 di rue du Vieux-Colombier), 6 (sulla piazza che indica che ci troviamo nel 6° arrondissement di Parigi).

- Alcuni fugaci slogan: "De l'autobus, je regarde Paris".

- Un po' di terra: ghiaia ammucchiata e sabbia.

- Un po' di pietre: il bordo dei marciapiedi, una fontana, una chiesa, delle case...

- Un po d'asfalto

- Alcuni alberi: (con foglie, spesso ingialliti)

- Una porzione abbastanza grande di cielo (1/6 forse del mio campo visivo).

- Uno stormo di piccioni che all'improvviso si precipita sullo spartitraffico centrale, tra la chiesa e la fontana.

- Alcune vetture (resta da fare il loro inventario)

- Alcuni esseri umani.

- Una specie di bassotto.

- Un po' di pane (baguette).

- Un po' d'insalata (riccia?) che in parte fuoriesce da una sporta.

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Pagina 308

GEORGES PEREC

MI RICORDO (1978)

Mi ricordo che tutti i numeri la cui somma dà un totale di nove sono divisibili per nove (a volte passavo interi pomeriggi controllare...)

Mi ricordo l'epoca in cui era rarissimo vedere pantaloni senza risvolto.

Mi ricordo Profirio Rubirosa (genero di Trujillo?).

Mi ricordo che "Caran d'Ache" è una trascrizione francesizzata della parola russa (Karandach?) che vuol dire "matita".

Mi ricordo i due cabaret della Contrescarpe, Le cheval d'or e Le cheval vert.

Mi ricordo Ché ne je t'aime, chérie je t'adore (nota anche come Moustapha), nell'interpretazione di Bob Azzam e della sua orchestra.

Mi ricordo che il primo film di Jerry Lewis e Dean Martin che ho visto si chiamava Attente ai marinai!

Mi ricordo le ore passate, in quarta ginnasio credo, tentando di rifornire - acqua, gas ed elettricità - tre case, senza far incrociare i tubi (non esiste soluzione fintantoché si resta in uno spazio a due dimensioni; uno degli esempi elementari della topologia, come i ponti di Koenigsberg o la coloritura delle carte).

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Pagina 311

ROLAND BARTHES

PAR ROLAND BARTHES (1975)


Io amo: l'insalata, la cannella, il formaggio, i pimenti, la pasta di mandorle, l'odore del fieno tagliato (vorrei che fabbricassero un profumo del genere), le rose, le peonie, la lavanda, lo champagne, le posizioni leggere in politica, Glenn Gould, la birra eccessivamente ghiacciata, le orecchie piatte, il pane abbrustolito, i sigari Avana, Haendel, le passeggiate moderate, le pere, le pesche bianche o di vigna, le ciliegie, i colori, gli orologi, le stilografiche, penne e pennini, i dessert, il sale grezzo, i romanzi realisti, il piano, il caffè, Pollock, Twombly, tutta la musica romantica, Sartre, Brecht, Verne, Fourier, Eisenstein, i treni, il médoc, il bouzy, aver della moneta, Bouvard et Pécuchet, camminare in sandali la sera sulle piccole strade del Sud Ovest, l'ansa dell'Adour vista dalla casa del dottor L., i fratelli Marx, la foresta alle sette del mattino uscendo da Salamanca, eccetera.

Io non amo: i volpini bianchi, le donne in pantaloni, i gerani, le fragole, il clavicembalo, Miro, le tautologie, i cartoni animati, Arthur Rubinstein, le ville, i pomeriggi, Satie, Bartok, Vivaldi, telefonare, i cori di bambini, i concerti di Chopin, le branles borgognone, le raccolte di danze rinascimentali, l'organo, M. A. Charpentier con le sue trombe e i suoi timpani, il politicosessuale, le scene, le iniziative, la fedeltà, la spontaneità, le serate con gente che non conosco, eccetera.

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Pagina 312

ALFRED DÖBLIN

IL MATTATOIO A BERLINO, IN

BERLIN ALEXANDERPLATZ (1929)

A nord-est della città fra la Eldenaer Strasse oltre la Thaerstrasse e la Landsberger Allee fino alla Cotheniusstrasse lungo la ferrovia circolare, si stendono le case, i depositi, le stalle del mattatoio. Esso ricopre una superficie di 47,88 ha, pari a 187,50 jugeri, e senza tener conto delle costruzioni al di là della Landsberger Allee, esso ha ingoiato 27.083.492 marchi, di cui 7 milioni e 682.844 cadono sul grande deposito centrale e 19 milioni e 400.648 sul mattatoio vero e proprio. Deposito, mattatoio, mercato all'ingrosso della carne formano un tutto economicamente inseparabile. L'organo amministrativo è costituito dalla deputazione del mattatoio che si compone di due membri del magistrato, un membro dell'ufficio distrettuale, 11 consiglieri comunali e 3 deputati cittadini. Nell'azienda sono occupate 258 persone, tra cui veterinari, ispettori, bollatori, aiuto veterinari, aiuto ispettori, impiegati in pianta stabile, operai. Ordine per il funzionamento del 4 ottobre 1900, prescrizioni generali, regole per il movimento bestiame, fornitura dei foraggi. Tariffario delle tasse: tasse di mercato, tasse di deposito, tasse di macellazione, tasse per la pulizia dei trogoli nelle stalle dei maiali. Lungo la Eldenaer Strasse si stendono i muri grigio-sporchi ricoperti in alto di fil di ferro spinato. Gli alberi sono spogli, è inverno, gli alberi hanno mandato i loro succhi nelle radici e attendono la primavera. Carrettoni di macellai traballano in un rapido galoppo, ruote rosse, e gialle, davanti cavalli leggeri. Dietro un carro trotta un cavallo magro, dal marciapiede qualcuno grida Emil; contrattano il cavallo, 50 marchi e una mancia per noi otto, il cavallo si volta, trema, rode al tronco di un albero, il cocchiere lo tira indietro, 50 marchi e la mancia, Otto, se no ce ne andiamo. Quello a piedi tasta a manate il cavallo: fatto.

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