Copertina
Autore Hans Magnus Enzensberger
Titolo Gli elisir della scienza
SottotitoloSguardi trasversali in poesia e in prosa
EdizioneEinaudi, Torino, 2004, Saggi 858 , pag. 246, cop.fle., dim. 158x213x15 mm , Isbn 978-88-06-16832-2
OriginaleDie Elixiere der Wissenschaft. Seitenblicke in Poesie und Prosa
EdizioneSuhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 2002
TraduttoreVittoria Alliata, Anna Maria Carpi, Umberto Gandini, Daniela Zuffellato
LettoreRenato di Stefano, 2004
Classe scienze naturali , poesia , poesia tedesca , matematica
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Indice


    Gli elisir della scienza


    I.

  5 Omaggio a Gödel
  7 Ponte levatoio fuori servizio ovvero
    La matematica nell'aldilà della cultura
 19 I matematici
 21 Gottfried Wilhelm Leibniz
 25 Antoine Caritat de Condorcet
 28 Charles Babbage
 32 Alan Mathison Turing
 35 John von Neumann
 37 Isotopo

    II.

 41 Giovanni de' Dondi
 44 Jacques de Vaucanson
 47 Étienne Jules Marey
 50 Frederick Winslow Taylor
 52 In memoria di Sir Hiram Maxim
 54 Progressi inquietanti
 63 Una lepre al centro di calcolo
 65 Il vangelo digitale

    III.

 87 Disegno in bianco e nero
 88 Scienza astrale
 89 La cattedrale sotterranea
106 Attrattore strano
107 Nozioni piú precise su un albero
108 Biforcazioni
109 Ipotesi sulla turbolenza
117 Macchina del clima
118 Astrolabio
119 Tycho Brahe
122 Charles Messier
124 Domande ai cosmologi
125 Teologia scientifica

    IV.

129 Bibliografia
131 Carlo Linneo
134 Lazzaro Spallanzani
136 Charles Robert Darwin
140 Il semplice che è difficile da inventare
141 Golpisti in laboratorio
157 Peso atomico 12,011

    V.

161 Rete neuronale
162 Sistema limbico
164 Apparato linguale
166 A
168 Cosa dicono i medici
169 Meditazione clinica
170 Sotto la pelle
172 Raimondo di Sangro
174 Ignaz Philipp Semmelweis
178 Ugo Cerletti
181 Wilhelm Reich

    VI.

187 Bernardino de Sahagun
190 Thomas Robert Malthus
192 Alexander von Humboldt
195 Comunità di ricerca
197 Discipline filosofiche
199 Lo studioso del Rinascimento
200 La pasta sfoglia del tempo.
    Una meditazione sull'anacronismo
217 Ammirazione
219 Perturbazioni temporalesche
    negli strati piú alti
221 Nell'album degli ospiti
    del vescovo Berkeley
222 Gli errori
224 Enigma del mondo
225 Nota definitiva sulla questione
    della certezza
226 Conversazioni sempre piú ridotte
227 Modello gnoseologico

    VII.

231 La poesia della scienza

244 Riferimenti bibliografici delle opere
    di H. M. Enzensberger

 

 

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Pagina 5

Omaggio a Gödel


Teorema di Münchhausen, cavallo, palude e codino,
è una delizia, ma non dimenticare:
Münchhausen era un bugiardo.

Il teorema di Gödel a prima vista appare
poco appariscente, ma rifletti:
Godel ha ragione.

«In ogni sistema sufficientemente complesso
si possono formulare frasi
che all'interno del sistema
non sono né dimostrabili né confutabili,
a meno che il sistema
non sia di per sé inconsistente».

Puoi descrivere la tua lingua
nella tua propria lingua:
ma non del tutto.
Puoi analizzare il tuo cervello
col tuo stesso cervello:
ma non del tutto.
Ecc.

Per giustificarsi
ogni sistema pensabile
deve trascendersi,
ossia distruggersi.

«Sufficientemente complesso» o no:
la libertà di contraddire
è un fenomeno di carenza
o una contraddizione.

(Certezza = inconsistenza).

Ogni pensabile uomo a cavallo,
quindi anche Münchhausen,
quindi anche tu, è un subsistema
di una palude piuttosto ricca di sostanze

E un sottosistema di questo sottosistema
è il proprio codino,
questa specie di leva
per riformisti e bugiardi.

In ogni sistema piuttosto ricco di sostanze
quindi anche in questa palude,
si possono formulare frasi
che all'interno del sistema
non sono né dimostrabili né confutabili.

Prendile in mano, queste frasi,
e tira!

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Pagina 7

Ponte levatoio fuori servizio ovvero La matematica nell'aldilà della cultura

Uno sguardo dall'esterno


I toni sono sempre gli stessi: «Ma per favore! Al diavolo la matematica». - «Una tortura, già a scuola. Non so proprio come sono riuscito a passare l'esame di maturità». - «Un incubo! Sono davvero completamente negato... ». - «L'IVA ancora ancora ce la faccio, con il calcolatore. Ma tutto il resto è troppo difficile». - «Formule matematiche? Veleno per me. Stacco semplicemente la spina».

Sono affermazioni che si sentono fare tutti i giorni. Le pronunciano con disinvoltura persone sicuramente intelligenti, colte, con un singolare misto di arroganza e fierezza. Si aspettano ascoltatori comprensivi, e questi non mancano mai. Si è stabilito un consenso generale che determina tacitamente ma in modo massiccio l'atteggiamento verso la matematica. A nessuno sembra dar fastidio che la sua esclusione dalla sfera della cultura corrisponde a una specie di castrazione intellettuale. Chi giudica deplorevole questa situazione, chi mormora qualcosa sul fascino e l'importanza, sulla portata e la bellezza della matematica, è considerato un esperto e guardato con stupore; e se si fa riconoscere come un cultore dilettante, passa nel migliore dei casi per uno stravagante che si occupa di uno hobby insolito, come se allevasse tartarughe o collezionasse fermacarte vittoriani.

Molto piú raramente si incontrano persone che asseriscono con uguale enfasi che la sola idea di leggere un romanzo, di osservare un dipinto o di andare al cinema causa loro insuperabili tormenti; di aver scrupolosamente evitato dai tempi della maturità ogni contatto con le arti, di qualsiasi specie; che non vogliono che si rammentino loro le prime esperienze con la letteratura o con la pittura. E non capita praticamente mai di sentir pronunciare anatemi contro la musica. Certo, c'è gente che, probabilmente non a torto, sostiene di non avere orecchio per la musica. L'uno canta a voce tendenzialmente troppo alta e in modo stonato, l'altro non sa suonare uno strumento, e sono pochissimi gli ascoltatori che accorrono ai concerti con la partitura sotto il braccio. Ma chi sosterrebbe seriamente di non conoscere una canzone? Che si tratti delle Spice Girls o dell'inno nazionale, dei ritmi techno o di un corale gregoriano, nessuno è totalmente immune rispetto alla musica. E questo per una buona ragione. La capacità di fare e di ascoltare musica è insita geneticamente; fa parte degli universali antropologici. Ciò non significa naturalmente che saremmo tutti ugualmente portati alla musica. Come tutte le altre doti e qualità, anche questo aspetto del nostro corredo segue la normale distribuzione gaussiana. In una popolazione qualsiasi, il talento estremo è raro quanto la totale sordità musicale, e il massimo statistico è raggiunto dalla posizione intermedia.

Esattamente lo stesso accade ovviamente con le capacità matematiche. Anche loro sono insite geneticamente nel cervello umano, e anche loro si distribuiscono in ogni popolazione esattamente secondo il modello della curva a campana. È dunque una concezione superstiziosa quella secondo cui il pensiero matematico sarebbe un fenomeno raro, un esotico capriccio della natura.

Ci troviamo dinnanzi a un enigma. Da che cosa dipende che la matematica sia rimasta nella nostra civiltà qualcosa come un buco nero, un ambito extraterritoriale in cui si sono arroccati solo pochi iniziati?

Chi vuole semplificarsi la risposta dirà che la colpa è degli stessi matematici. Questa spiegazione ha il vantaggio della semplicità. Inoltre conferma il cliché che il mondo dei non addetti ai lavori si è sempre fatto dei rappresentanti professionali della disciplina. Ci si figura il matematico come un profano sommo sacerdote che custodisce con gelosia il suo particolare Graal. Che volge le spalle alle comuni cose di questo mondo. Preso esclusivamente dai suoi incomprensibili problemi, fatica a comunicare con il mondo esterno. Vive ritirato, considera le gioie e i dolori della collettività umana una fastidiosa seccatura e indulge piú in generale a una asocialità che confina con la misantropia. A sua volta, con la sua pedanteria logica, dà sui nervi al prossimo. E soprattutto tende a una forma di alterigia difficilmente sopportabile. Intelligente com'è - nessuno gli contesta questa qualità - guarda agli sprovveduti tentativi degli altri di concepire questo o quel pensiero con sprezzante condiscendenza. Non gli verrebbe perciò mai in mente di reclamizzare la sua causa.

Fin qui la caricatura, che è tuttavia presa fin troppo spesso per oro colato. Il che è ovviamente una sciocchezza. A prescindere dalla loro attività, è da presumere che i matematici si distinguano poco dalle altre persone, e conosco uomini e donne del mestiere che sono allegri, navigati, arguti e a volte perfino irragionevoli. Senonché, nel cliché, come al solito, c'è un nocciolo autentico. Ogni mestiere ha i suoi rischi, le sue patologie specifiche, la sua déformation professionelle. I minatori soffrono di silicosi, gli scrittori di disturbi narcisistici, i registi di megalomania. Tutti questi difetti si possono ricondurre alle condizioni di produzione in cui i pazienti lavorano.

Per quel che riguarda i matematici, la loro attività richiede soprattutto una estrema e protratta concentrazione. Sono macigni assai resistenti quelli che devono perforare. Non c'è da stupirsi quindi che qualsiasi irritazione proveniente dall'esterno sia colta come una mancanza di riguardo. D'altra parte sono finiti da molto i tempi dei matematici universali dello stampo di un Euler o di un Gauss. Nessuno ha oggi piú la padronanza di tutti gli ambiti della sua scienza. Questo significa però anche che, nella ricerca, la cerchia dei possibili destinatari si restringe. Lavori che siano veramente originali sono inizialmente capiti solo da pochi colleghi del mestiere; circolano via posta elettronica fra una dozzina di lettori che stanno a Princeton, a Bonn e a Tokyo. E ciò comporta in effetti un certo isolamento. Questi ricercatori hanno da tempo abbandonato il tentativo di rendersi comprensibili agli estranei, e può anche darsi che tale atteggiamento si ripercuota su altri, meno progrediti lavoratori nella vigna della matematica.

Significativo in questo senso è un modo di dire che già la matricola sente usare nel corso d'una qualsiasi lezione sulla teoria delle funzioni o sugli spazi vettoriali. Questa derivazione o quella attribuzione, si dice, è «banale», e con ciò si chiude il discorso. Ogni ulteriore spiegazione è superflua; sarebbe per cosi dire al di sotto della dignità del matematico. Ora è in effetti faticoso e noioso dover ogni volta dipanare da capo ogni singolo elemento di una concatenazione di prove. Per questo i matematici sono abituati a sorvolare sui passi intermedi ricorrenti, ovvero a dare semplicemente per scontata la loro esattezza mille volte verificata. Il che è indubbiamente economico. Senonché influenza il comportamento comunicativo in una direzione molto precisa. Fra gli addetti ai lavori è considerato un interlocutore accettabile solo colui per il quale il banale è banale, si capisce cioè da sé. Tutti coloro cui ciò non si attaglia, e quindi almeno il 99% dell'umanità, sono considerati sotto quest'aspetto dei casi disperati, intrattenersi coi quali non vale semplicemente la pena.

Si aggiunga poi che i matematici non solo si avvalgono, come altri scienziati, di un particolare gergo specialistico, ma anche di un sistema di notazione che si distingue dalla consueta scrittura ed è indispensabile per la comunicazione interna. (E anche qui si può parlare di un'analogia con la musica, la quale ha a sua volta sviluppato un suo proprio codice). Senonché la maggior parte della persone, non appena vede una formula, è presa dal panico. È difficile dire da dove derivi questo riflesso di fuga, che risulta a sua volta incomprensibile ai matematici. I quali sono infatti del parere che la loro notazione sia meravigliosamente chiara e molto superiore a qualsiasi linguaggio naturale. Per questo non capiscono nemmeno perché dovrebbero prendersi la briga di tradurre le loro idee in tedesco o in inglese o in italiano. Un simile tentativo equivarrebbe, ai loro occhi, a una grossolana e inammissibile semplificazione.

I matematici sarebbero dunque essi stessi responsabili dell'isolamento della loro scienza? Avrebbero essi stessi voltato le spalle alla società e alzato deliberatamente il ponte levatoio di raccordo con la loro disciplina? Solo chi sottovaluti il problema e la sua portata può semplificarsi a tal punto la risposta. Non è semplicemente ammissibile che si lasci la gatta da pelare a una minoranza di esperti mentre una schiacciante maggioranza rinuncia spontaneamente a far proprio un capitale culturale di immensa portata e di straordinario fascino.

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Pagina 124

Domande ai cosmologi
Se è nata prima la luce
o invece la tenebra;
se da qualche parte non c'è nulla,
oppure se, andando voi avanti cosí,
resta qualcosa,
della buona vecchia materia,
oltre un'overdose di matematica?

Mi sapete dire
se le 22 dimensioni
hanno un fondamento
o potrebbero essere anche di piú?
se l'aldilà è il buco di un tarlo
e a quanti universi paralleli
devo prepararmi a far fronte?

Con reverenza io sto a sentire
le vostre fiabe esatte,
voi sommi sacerdoti.
Quante domande. A chi,
se non a voi,
ultimi moicani
della metafisica,
devo rivolgerle ?

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Pagina 129

Bibliografia
Questo è scritto per te.
Circonvoluzioni sotto la corteccia,
lettere, segni che tremano dietro le tempie,
percorsi di formiche.

Non ci vuole arte.
Circuito stampato,
comunismo
dei polipeptidi,
primule elettroniche,
allodole, tutto programmato.

Prendi e leggi,
vecchio suicida.

Manifesti genetici,
permutazioni, gorgheggi.
Ogni cristallo un chef d'oeuvre.
A costruire occhi di libellula
non ci vuole arte,
ma gli imperi hanno una struttura piú semplice.

Queste ortiche
potrebbero essere di Proust:
un sistema con feed-back di secondo grado,
ultrastabile.

Prima che il libro arrivi nelle tue mani
forse per leggere
sarà già troppo buio.

Se le libellule
se la caveranno senza di noi
non sappiamo.

Getta via il libro
e leggi.

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Pagina 136

Charles Robert Darwin

1809-1882

L'uomo che non volle mai.
La terra sotto ai piedi gli dava il mal di mare.
«Precursore», «sovvertitore», «geniale», «un titano»:
lui non volle, si oppose,
sin dall'inizio, con tutti i mezzi,
nausea, emicrania, ipocondria.

La scuola, nient'altro che un vacuo.
Fa lo scemo. Mediocre e pigro per beffa.
Lo studio ripugnante, un'insostenibile noia,
tempo perso. Nulla capisce di matematica,
dimentica i classici, rimane ignorante come un maiale
circa la politica, la storia e la filosofia.

Pretenderebbero che diventasse medico:
non può vedere il sangue.
Vorrebbero farne un curato:
non sa il latino.
Buono a nulla. Si astiene da tutto,
indugia, evita sempre di trarre conseguenze,
incapace di farsi avanti coi gomiti.

Il matrimonio: terribile spreco di tempo.
Bambini: tutto sommato meglio di un cane.
Da qualsiasi divertimento gira alla larga:
il divertimento è la peggior cosa.

Poi il famoso giro del mondo: quasi controvoglia,
quasi per svista. A bordo
giace ore intere sul tavolo di navigazione.
Vertigine, fiacchezza.
Raccoglie problemi, dati, preparati.
Le sue convinzioni le tiene per sé.

Un pomeriggio legge Malthus
(come passatempo): palpitazioni,
brividi violenti, e nel cervello
una tempesta elettrica. Da allora
fu perso. Il resto è evoluzione:

L'Origine delle specie nasce
e si sviluppa, «naturalmente», senza sosta
una nuova specie d'idee, in un processo
che sgretola colui che sgretola, gradualmente,
pian piano, e inesorabilmente.

Indietreggia, si sposa,
s'installa in un remoto villaggio,
evita viaggi, socialità,
si schermisce: pensionato a trentatre anni.

La mia testa si è tramutata in una specie di macchina,
destinata a macinare valanghe di fatti
per trasformarle in leggi generali.

Sette anni Sui banchi coralliferi, struttura e localizzazione.
Ventun anni Sulle abitudini e i movimenti
delle piante rampicanti.
Otto anni Sui cirripedi
(due volumi sulle specie viventi e due su quelle fossili).

Il guscio si trasforma in un robusto edificio
che protegge il corpo a guisa di corazza.

[...]

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Pagina 146

Il concetto di responsabilità, di cui già in politica si abusa gravemente, si riduce qui a una banale commedia. E ciò non vale solo per i ciarlatani e i millantori della categoria; a costoro è in ogni caso estranea l'idea di dover motivare o addirittura rispondere di qualcosa. E il problema non si può ridurre alla solita e molto citata pecora nera. Nemmeno gli scienziati che si attengono rigorosamente alle norme della loro corporazione sono infatti in grado di garantire per le conseguenze del loro operato. E ciò dipende dal fatto che queste conseguenze sono per principio imprevedibili. Benché nessuno possa piú rivendicare per sé l'innocenza storica del monaco agostiniano Gregor Mendel, qualsiasi matematico respingerebbe anche oggi, a ragione, la pretesa di verificare tutti i risultati della sua ricerca, prima di pubblicarli, in relazione alle applicazioni che potrebbero trovare in futuro da parte di servizi segreti, apparati militari o organizzazioni criminali. Permanendo le attuali forme di civiltà, ogni anche minima acquisizione di conoscenza scientifica risulta irrevocabile, e produce un'incontrollabile quantità di complicazioni. Viceversa, con ugual diritto, i difensori del connubio scientifico-industriale fanno notare la totale dipendenza di queste forme di civiltà e di progresso dai frutti della ricerca passata e odierna. Che nessuno all'infuori di alcuni settari sia disposto, quando il problema concretamente si pone, a rinunciare agli elicotteri da salvataggio, alla risonanza magnetica nucleare o agli antibiotici, rappresenta l'altra faccia di questa inevitabilità.

Già per tutti questi motivi i dibattiti correnti sulla politica biotecnologica, a prescindere dalle loro qualità scolastiche, dànno l'impressione di essere singolarmente ingenui e sprovveduti. Di tutti i comitati, le commissioni e i consigli d'esperti che spuntano un po' ovunque colpisce che, alla forza dei fatti che fissa quotidianamente le sue norme, non hanno da opporre altro che le loro opinioni. Mentre gli uni si profilano come meri lobbysti dei rispettivi gruppi d'interesse, gli altri tentano, con motivazioni alterne, di salvare il salvabile. Anche il legislatore, incerto fra riserve radicate e imperativi della concorrenza globale, è capace solo di decisioni ad hoc che, nel momento stesso in cui sono annunciate, sono già travolte da nuove possibilità d'intromissione della scienza.

È un dato di fatto che non esiste piu un consenso etico attorno ai problemi fondamentali che riguardano l'esistenza umana. Le discussioni sulla cosiddetta morte attivamente assistita e sulle possibilità della selezione genetica dovrebbero aver convinto di questa diagnosi anche i piu ingenui. Di conseguenza, ognuno si vede relegato in una posizione sprovvista di ogni conforto morale. Non può piú delegare tutta una serie di decisioni esistenziali ad alcuna istanza vincolante. Nei momenti in cui sono in ballo i suoi interessi vitali elementari, non può fare affidamento né sulla politica né sulle religioni consolidate. Ciò implica un aggravio di responsabilità al quale la maggior parte degli uomini non potrà probabilmente far fronte.

In ogni caso, fino a quando il singolo sarà libero di scegliere di non fare uso delle conquiste che il complesso scientifico-industriale gli promette, quindi in una fase di trapasso, gli rimarrà se non altro la possibilità di dire: fate pure, ma senza di me. Finora almeno è ancora consentito cavarsela senza uteri in affitto, trapianti eterologhi, doni, selezione prenatale e impianto di chip cerebrali. Chiunque scelga questa strada di legittima difesa deve tuttavia essere consapevole del prezzo da pagare per tale rifiuto, e anche questo è probabilmente piu facile da dire che da fare.

Chi tuttavia si illude che queste scelte individuali sfocino nella tolleranza reciproca, e chi crede che le idee utopiche di molti scienziati e dei loro alleati economici possano imporsi senza attriti e senza violenza, soggiace a un'illusione. Tutte le esperienze storiche dicono il contrario. Non solo le inevitabili delusioni, che seguono come un'ombra l'euforia d'ogni fase maniacale, porranno limiti al fatalismo progressista. Anche là dove la ricerca industriale registra successi effettivi, sono da prevedere gravi conflitti. Al piú tardi quando emergeranno i primi danni collaterali del processo scientifico e verranno a galla i grandi e imprevisti rischi, la minoranza ridotta al silenzio si ribellerà. Ed è strano che i protagonisti del processo non vi siano minimamente preparati. Non occorre in fondo molta fantasia per prevedere che i primi contraccolpi provocheranno una mobilitazione militante, di cui gli episodi di Wackersdorf e del Wendland non sono che pallide anticipazioni. Se già gli animalisti sono capaci di reazioni terroristiche, che forme assumerà la resistenza quando non saranno piu in ballo solo rischi astratti e conflitti per interposta persona, ma la propria pelle, la capacità di generare, la nascita e la morte? È sicuramente ipotizzabile che certe ricerche diverranno allora possibili solo in ambiti di massima sicurezza e che ci sarà un ragguardevole numero di scienziati che, asserragliati in fortificazioni armate, dovranno temere per la propria vita.

Con ciò non è ovviamente detto che una minoranza pronta a tutto potrebbe fermare il processo o addirittura invertirlo. Alla fin fine l'utopia della totale padronanza della natura e dell'uomo fallirà, come tutte le passate utopie, non per opera dei suoi avversari ma a causa delle proprie contraddizioni e della propria megalomania. Finora l'umanità non ha mai detto volontariamente addio alle sue fantasie d'onnipotenza. Solo quando la presunzione avrà fatto il suo corso, la presa d'atto dei propri limiti prenderà necessariamente, e presumibilmente a un prezzo catastrofico, il sopravvento. E allora avrà di nuovo un'opportunità anche una scienza che potremo rispettare e con cui potremo convivere.

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Pagina 161

Rete neuronale
Pensa a un baobab,
un gigante tutto rami,
e popolalo, mentalmente,
di migliaia di piccolissime scimmie;
immaginati come s'arrampicano,
penzolano, come, aggrappate fra loro,
volteggiano di ramo in ramo;
finché non si lasciano cadere,
fiutano il vento, s'accoppiano, s'assopiscono -
pensa, o povero pensatore!

Poi di nuovo saltano,
a folle rapidità, schizzano come scintille,
caracollano e precipitano;
o stanno lí buone, cosí,
fiacche, trasognate, a grattarsi,
fino al prossimo attacco. - Guai a chi
volesse descrivere tutto ciò!

Ridi, spaventati, stupisciti,
ma smetti, prima di diventare pazzo,
di stare lí a pensare sul pensare.

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Pagina 178

Ugo Cedetti

1877-1963


I.

E mi recai al mattatoio (ed ero Direttore dell'Ist. Neurobiol. di Milano) e vidi i crani dei maiali tra le pesanti morse di metallo (e il mio studio in via Savoia) e la leva dell'interruttore (e i miei bronzi antichi sullo scrittoio) e osservai come gli animali crollassero privi di coscienza e s'irrigidissero (e Prof. di Neuropsichiatria Univ. Bari Univ. Genova Univ. Roma) e come dopo un paio di secondi fossero colti da convulsioni (e inventore di un detonatore ad accensione ritardata per l'artiglieria e l'aereonautica) e pensai di disporre qui di un materiale estremamente prezioso per i miei esperimenti (e le mie onorificenze e medaglie d'oro) e decisi di identificare la dose la tensione e il metodo adatti a procurare la morte dei maiali (e Pres. Soc. It. Psich.) e diedi loro delle scariche elettriche nel cranio da diverse parti (e Membro Onor. della Comm. di Biol. e Med. del C.N.R.) e nel tronco per parecchi minuti (e candidato al Premio Nobel) e mi accorsi che raramente gli animali soccombevano quando la corrente traversava loro la testa (e la mia governante di casa e il mio accendisigari da tavolo in cristallo di Murano) e che dopo uno spasimo violento giacevano immobili per alcuni minuti (e Dr. h. c. Sorbonne, Parigi) e che poi si rialzavano con estrema fatica (e Dr. h. c. Rio de Janeiro e San Paolo e Montreal per ricerche d'avanguardia sul gozzo e sul cretinismo) e tentavano infine di scappare


II

E avvertii i miei assistenti di non lasciarsi sfuggire le persone adatte all'esperimento (e W il Duce) e il 15.4.1938 il prefetto di Roma mi fece consegnare un individuo da tenere in osservazione (e il Fascismo s'è innalzato sopra le spoglie putride della Dea Libertà) e cito ora dalla sua lettera d'accompagnamento (e Italiani! Camerati! Legionari!); «S. E., di professione ingegnere e di anni 39 e fermato alla stazione centrale e sprovvisto di biglietto valido e evidentemente non in possesso delle sue piene facoltà mentali» (e inestinguibili ovazioni) e scelsi questo individuo per il mio primo esperimento umano


III.

E gli applicai due elettrodi alle tempie (e le principali indicazioni sono schizofrenia e paranoia) e decisi di cominciare con una corrente alternata di 80 volt e 0,2 secondi (e alcolismo e tossicomania e depressione e malinconia) e i suoi muscoli s'irrigidirono (e i principali effetti collaterali sono amnesia e nausea e panico) ed egli s'inalberò (e questa è la tipica «posa del burattino» descritta da von Braunmühl) e s'accasciò ma senza perdere conoscenza (e le principali complicazioni sono fratture del femore del braccio della mascella e della colonna vertebrale) e si mise a cantare a voce altissima (e disturbi cardiaci ed emorragie interne) e poi tacque e non si mosse piú


IV.

E naturalmente tutto ciò rappresentava per me un notevole peso emotivo (e secondo Reil [1803] la tortura non dannosa è una necessità per l'arte medica) e conferii con i miei assistenti circa l'opportunità di una pausa (e secondo Squire [1973] si ignora la durata dell'amnesia) e l'uomo ci ascoltò e improvvisamente con voce alta e solenne disse: «Non fatelo un'altra volta. È la morte» (e secondo Sogliano [1943] il trattamento può essere ripetuto senza problema alcuno sino a cinque volte nello spazio di dieci minuti) e confesso che il coraggio mi venne meno (e secondo Kalinowski et al. [1946] occorre sempre tener pronti cinture e legacci per i casi in cui il paziente diventa violento e pericoloso) e dovetti farmi forza per non cedere a quel sentimento superstizioso (e secondo Sakel et al. [1965] manca purtroppo tuttora una giustificazione scientifica dell'elettroshock) e poi presi animo e gli diedi ancora una scarica di 110 volt


V.

E da allora nei loro reparti isolati con indosso i loro pigiama si arrampicano sui loro lettini di ferro bianco smaltato (e non potremo mai dimenticare la sua impresa pionieristica) e si beccano un'iniezione e se resistono un'altra iniezione (e il suo contributo al progresso scientifico) e quattro infermieri afferrano loro mani e piedi (e il suo ardore creativo) e tappano loro la bocca con un tubo di gomma e calcano le fredde placche cromate sulle tempie (e la sua inappagabile sete di sapere) e nei mattatoi non si odono piú mugolii e muggiti e squittii (e il suo autentico umanesimo) e poi il capo dà loro una bella scossa (e una giustificazione scientifica di tutto ciò manca purtroppo tuttora) e poi vengono meno e poi si ridestano e poi sono obliterati

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Pagina 231

La poesia della scienza

Un poscritto


                             La matematica è una poesia di idee.
                                                    ARMAND BOREL


1.

Chacun devient idiot à sa façon - ognuno diventa idiota a suo modo. Questa massima è di Peter Esterhazy, rampollo d'una principesca famiglia, il quale ha illustrato la sua affermazione in modo brillante, trasformandosi inizialmente in un matematico, poi in un giocatore di calcio e alla fine in un famoso romanziere. Può darsi che, nel formulare quell' asserzione, si sia rifatto a un'ingiuria classica del diciottesimo secolo. Allora gli accademici si insolentivano definendosi l'un l'altro idiot savant. Anche oggi a ogni studioso dovrebbe venire in mente l'uno o l'altro collega cui questa caratterizzazione si attaglierebbe. La comparsa in massa degli idioti specializzati è probabilmente una conseguenza inevitabile della specializzazione nelle scienze. Perfino all'interno d'ogni singola disciplina sono aumentate le difficoltà di comprensione. Nessuno osa affermare di avere una visione precisa della situazione della ricerca in tutti i campi delle scienze esatte. E il pur diffuso discorso sull'interdisciplinarietà non potrà nascondere il nesso fra accumulo di sapere e ottusità.

Tanto meno può sorprendere che da lungo tempo ormai non si possa piú parlare, a proposito delle discipline umanistiche e delle scienze naturali, per non dire delle arti, di un comune orizzonte culturale. La famosa tesi di P. C. Snow sulle due culture è stata superata dalla realtà. Di fronte al progredire delle differenziazioni, si potrebbe oggi parimenti parlare di tre, cinque oppure cento culture. Sotto questo profilo, la diagnosi formulata nel 1959 dal fisico e romanziere inglese si è rilevata, nel regime del pluralismo babilonico, troppo ottimistica.


2.

La figura dell' idiot savant, dello «scienziato idiota», è impensabile senza il suo pendant, che s'incontra sicuramente anche piu spesso: l' idiot lettré, una specie che alligna fra i cultori delle scienze dello spirito, gli artisti e gli scrittori, e che si sente forse anche piú a suo agio, nella sua limitatezza, della sua immagine speculare. Ognuno di noi è notoriamente uno straniero quasi ovunque sulla terra; allo stesso modo ognuno di noi è quasi in tutti gli ambiti dello scibile un mezzo o un totale analfabeta. Però ammetterlo è una cosa, un'altra è essere fieri dello status di ignorante. Lo studioso di Shakespeare che non ha mai letto una pagina di Darwin, il pittore cui gira la testa nel sentir anche solo parlare di numeri complessi, lo psicoanalista che non sa nulla dei risultati cui è pervenuto l'entomologo, e il poeta che non è capace di stare ad ascoltare un neurologo senza addormentarsi, sono altrettante figure involontariamente comiche, non molto lontane dall'istupidimento per propria scelta e colpa.


3.

Ovviamente non è sempre stato cosí. Per convenirne, non occorrono conoscenze storiche particolarmente profonde. Non è un segreto che la filosofia, la poesia e la scienza, alle origini, procedevano tenendosi per mano. La loro radice comune è il mito. L'astronomia, ai suoi inizi, era una pratica magica, inscindibilmente legata all'astrologia. Furono i filosofi presocratici a fondare la fisica in Europa. Empedocle è l'autore di una cosmologia poetica; e Pitagora di Samo, al quale la matematica deve leggendari teoremi, era un mistico.

Considerazioni molto simili valgono anche per gli inizi del pensiero scientifico in India. La matematica sacrale dei Sulvasutra risale al primo millennio avanti Cristo. Anche in Mesopotamia, Egitto e Cina la religione, la filosofia, la scienza e la poesia erano inseparabili.


4.

Nel suo grande poema De rerum natura, Lucrezio percorre l'intero orizzonte scientifico del suo tempo. «Vuole», si legge in Italo Calvino, «scrivere il poema della materia ma ci avverte subito che la vera realtà di questa materia è fatta di corpuscoli invisibili. E il poeta della concretezza fisica, vista nella sua sostanza permanente e immutabile, ma per prima cosa ci dice che il vuoto è altrettanto concreto che i corpi solidi. [...] Al momento di stabilire le rigorose leggi della meccanica che determinano ogni evento, egli sente il bisogno di permettere agli atomi delle deviazioni imprevedibili dalla linea retta, tali da garantire la libertà tanto alla materia quanto agli esseri umani. La poesia dell'invisibile, la poesia delle infinite potenzialità imprevedibili, cosi come la poesia del nulla nascono da un poeta che non ha dubbi sulla fisicità del mondo».


5.

La tradizione della poesia didascalica, fondata dagli antichi, è sopravvissuta al Medioevo ed è tornata a rifiorire nel Rinascimento. I poeti, i pittori, gli architetti e i filosofi di quel tempo hanno ripreso avidamente le ricerche scientifiche dei loro contemporanei. Spesso, come in Cardano, Dürer e Leonardo, quest'interesse è andato di pari passo con la produzione artistica. Giordano Bruno e Cyrano de Bergerac non tracciavano confini fra poesia e scienza. Fin ben dentro il diciottesimo secolo non si può di fatto parlare di una separazione di queste due sfere. Per la sua monumentale Enciclopedia, Diderot allacciò una fruttuosa alleanza con il matematico d'Alembert. Lichtenberg - al quale dobbiamo, fra l'altro, l'invenzione della fotocopia - era un fisico di vaglia, e Goethe era appassionato di problemi geologici, botanici e fisiologici, per non parlare di quella sua singolare e grande impresa che è la Teoria dei colori. Una delle sue ultime significative poesie didascaliche è la Metamorfosi delle piante, un progetto incompiuto. Perfino ai romantici era estranea la netta separazione fra l'ambito scientifico e quello letterario. Autori come Ritter, Carus e Chamisso hanno lavorato essi stessi come naturalisti, e l' Allgemeines Brouillon testimonia degli ampi studi matematici, chimici, fisici e biologici di quel Friedrich von Hardenberg a noi comunemente noto come Novalis.


6.

Tutto induce a ritenere che il grande scisma fra le scienze naturali da una parte, e le arti e le discipline umanistiche dall'altro sia stata una tipica invenzione del diciannovesimo secolo. La progressiva specializzazione del sapere e il suo isolarsi nell'attività universitaria, lo svilupparsi del gergo scientifico e la vittoria del positivismo sono cause e insieme sintomi di quest'evoluzione. La tendenza al riduzionismo di molti studiosi delle scienze naturali, accoppiata spesso con una certa presunzione, può aver contribuito a far insorgere reazioni allergiche nell'ambito delle arti e delle discipline umanistiche. Questo dissidio fra fratelli in casa dell'intellighentsia si è protratto fin troppo a lungo e, come sempre in casi analoghi, gli atteggiamenti ostili dei partecipanti a simili tenzoni si condizionano a vicenda. L' idiot savant e l' idiot lettré si assomigliano piú di quanto non sospettino.


7.

Stando cosi le cose, non c'è da stupirsi che l'antica poesia didascalica, forse a scapito della letteratura, si sia praticamente estinta nel diciannovesimo secolo. Il suo epitaffio è stato scritto da Flaubert. È intitolato Bouvard e Pécuchet. In questo progetto profondamente ironico di prosa enciclopedica è esposto in modo impietoso lo scisma della cultura. Il risultato è una figuraccia che non risparmia nessuno, nel senso che i deplorevoli eroi di Flaubert impersonano gli idioti complementari delle due parti: «E cosi tutto gli si è spezzato fra le mani». L'increscioso affare Sokal, degli anni novanta del secolo appena concluso, appare come un'eco lontana del loro concitato indaffararsi, una figuraccia di paragonabile levatura che ha fruttato al teatrino della decostruzione non poche sdegnate pernacchie.


8.

Potrebbe tuttavia darsi che il secolo diciannovesimo stia per concludersi anche sotto quest'aspetto. Inavvertitamente prima, poi però sempre piú evidentemente, sembra che si sia voltata pagina. Si profilano nuovi sconfinamenti. Forse la letteratura è in procinto di affrancarsi dalla minorità scientifica di cui è essa stessa responsabile. Uno dei primi che non ha voluto rassegnarsi al ruolo di idiot lettré è stato Raymond Queneau. Non solo ha curato, per la Pléiade, la pubblicazione di un'enciclopedia scientifica e ha scritto un libro sulla piú recente matematica (Bords), ma esistono di lui anche una Piccola cosmogonia portatile (1950) e una poesia che si basa su un modello combinatorio (Centmille milliards de poèmes). Nell'opera di Primo Levi, che di professione era un chimico, la scienza ha un ruolo centrale. Dalla Summa technologiae di Stanislav Lem si desumono non solo ampie conoscenze degli ambiti dell'informatica e della cosmologia, ma l'opera dà saggio anche di stupefacenti intuizioni prognostiche. L'arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon è impensabile senza un'ambizione polistorica che comprenda anche lo stato della ricerca scientifica.

[...]


15.

Nell'astronomia, nella cosmologia e nella fisica incontriamo facole e sciami, corone, venti solari, la luce zodiacale, il rumore cosmico di fondo, radiazioni frenate, la singolarità iniziale, campi, buchi neri (un'espressione di cui siamo debitori a J. A. Wheeler), nubi cosmiche, orizzonti, giganti rosse, nani bianche, raggi cosmici, pulsar, galassie nane, ammassi, nebulose a spirale, cunicoli spazio-temporali, radiazioni di corpo nero, il rumore bianco, stringhe e superstringhe, lo spazio curvo, dimensioni arrotolate, rotture di simmetria, famiglie di particelle, annichilazioni, particelle confinate, strangeness, effetti tunnel, schiuma quantica e quark (cosi denominati da Murray Gell-Mann che ha ripreso il termine dal Finnegans Wake di James Joyce: e si distinguono in strange, top, bottom, up, down e charm, oltre che in quark rossi, verdi e blu).

La matematica conosce radici, fibre, germi, fasci, schiere, inviluppi, nodi, lacci, curve, raggi, bandiere, tracce, intersezioni, corpi e sottocorpi, generi, scheletri, ideali massimali, principali e nulli, anelli, punti isolati, gruppi semplici, cammini aleatori, il punto di fuga, gruppi liberi finitamente liberati, varietà, insiemi vuoti, modelli ombelicali, cuspidi di ponti, la coda di rondine, filtri, nodi infiniti, trecce, la polvere di Cantor, il diamante di Hodge, gli stukas, farfalle e tori...

[...]


18.

La poesia della scienza non è palese. Scaturisce da strati piu profondi. È una questione aperta se la letteratura sia in grado di praticarla alla stessa altezza. Alla fin fine, al mondo può essere indifferente dove si manifesti la forza d'immaginazione della specie, purché continui a restare viva. Quanto ai poeti, possano questi brevi cenni dimostrare che non si può fare a meno della loro arte. Invisibile come l'isotopo che serve alla diagnosi e alla misurazione del tempo, inappariscente eppure difficilmente rinunciabile come un microelemento, la poesia è all'opera anche là dove nessuno l'immagina.

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