Autore Jorge Carrión
Titolo Librerie
SottotitoloUna storia di commercio & passioni
EdizioneGarzanti, Milano, 2015, Saggi , pag. 330, ill., cop.rig.sov., dim. 15x22,2x3 cm , Isbn 978-88-11-68918-8
OriginaleLibrerías [2013]
TraduttorePaolo Lucca
LettoreGiorgio Crepe, 2016
Classe libri , storia sociale , storia letteraria , scrittura-lettura












 

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Indice


Introduzione, prendendo le mosse
da un vecchio racconto di Stefan Zweig                    9

1.  Sempre il viaggio                                    21

2.  Atene: l'inizio possibile                            35

3.  Le librerie più antiche del mondo                    47

4.  Shakespeares and Companies                           63

5.  Librerie ineluttabilmente politiche                  83

6.  La libreria orientale?                              107

7.  America (1) : Coast to Coast                        125

8.  America (e 2): da nord a sud                        151

9.  Parigi senza miti                                   179

10. Catene di libri                                     199

11. Libri e librerie in capo al mondo                   215

12. Lo spettacolo deve continuare                       229

13. Librerie di tutti i giorni                          249

Epilogo. Librerie virtuali                              267

Sulle citazioni                                         289
    Sitografia                                          289
    Filmografia                                         290
    Bibliografia                                        291

Indice dei nomi di persona                              301
Indice delle librerie                                   311
Indice dei libri, dei periodici e delle riviste         317
Indice delle case editrici                              323
Indice dei film                                         325
Indice delle citazioni musicali                         327


 

 

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Pagina 9

INTRODUZIONE.
PRENDENDO LE MOSSE DA
UN VECCHIO RACCONTO DI STEFAN ZWEIG



            Scegli quel villaggio e distribuisci le pagine, dividendole tra i
            suoi abitanti. E quando la guerra sarà finita, uno di questi giorni,
            o uno di questi anni, si potranno riscrivere i libri, e la gente
            sarà chiamata, le persone verranno a una a una a recitare quello che
            sanno e noi ristamperemo ogni cosa, fino a quando le tenebre di un
            nuovo Medio Evo non ci costringeranno a ricominciare tutto da capo.
            Ma questa è la cosa meravigliosa dell'uomo: che non si scoraggia
            mai, l'uomo, o non si disgusta mai fino al punto di rinunciare a
            rifare tutto da capo, perché sa, l'uomo, quanto tutto ciò sia
            importante.
                                                   Ray Bradbury, Fahrenheit 451.



Tra un singolo racconto e tutta la letteratura universale si stabilisce un rapporto simile a quello che lega un'unica libreria a tutte le librerie che esistono e sono esistite e forse esisteranno. Sineddoche e analogia sono le figure retoriche per eccellenza del pensiero umano: comincerò parlando di tutte le librerie del presente, del passato e forse del futuro, partendo da Mendel dei libri , un racconto scritto nel 1929 da Stefan Zweig e ambientato nella Vienna di fine impero, per passare poi ad altri racconti che nel corso del tormentato XX secolo hanno parlato di lettori e di libri.

Come ambientazione, Zweig non sceglie uno di quei gloriosi caffè viennesi come il Frauenhuber o 1'Imperial che, come ricorda in Il mondo di ieri, erano «il miglior centro di cultura per ogni novità», bensì un locale di poca importanza. Il racconto si apre mentre il narratore si trova «nei quartieri fuori mano»: sorpreso dalla pioggia, si rifugia nel primo bar che incontra sulla propria strada e, dopo essersi seduto a un tavolino, è colto da un'improvvisa sensazione di familiarità. Posando lo sguardo sull'arredamento, sui tavoli, sui biliardi, sulla scacchiera, sulla cabina telefonica, intuisce di essere già stato lì in passato. E scava con determinazione nella sua memoria finché alla fine ricorda, brutalmente ricorda.

Si trova nel Caffè Gluck, e proprio lì davanti a lui, ogni giorno, tutti i giorni, il libraio Jakob Mendel se ne stava seduto dalle sette e mezza del mattino fino all'ora di chiusura, tra pile di cataloghi e di volumi. Mentre da dietro gli occhiali memorizzava quegli elenchi, quei dati, si tormentava la barba e i cernecchi seguendo il ritmo di una lettura che assomigliava molto a una preghiera. Era giunto a Vienna con l'intenzione di studiare da rabbino, ma i libri antichi lo avevano distolto da questo proposito, inducendolo a consacrarsi «al rutilante e sfaccettato politeismo dei libri» e trasformandolo nel Grande Mendel. Giacché Mendel era «un irripetibile prodigio della memoria», «un fenomeno da biblioteca», «il miraculum mundi, il magico archivio di tutti i libri», «un titano»: [...]

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Pagina 18

Dei libri come oggetti, come cose; delle librerie come vestigia archeologiche, mucchi di stracci o archivi che non intendono rivelarci la conoscenza che possiedono, che si negano per natura a occupare il luogo che spetterebbe loro nella storia della cultura; della loro condizione sovente non territoriale, che si contrappone a una gestione politica dello spazio in termini nazionali o statali; dell'importanza dell'eredità, dell'erosione del passato; del rapporto tra memoria e libri; del patrimonio immateriale che si concreta su materiali destinati a decomporsi; della libreria e della biblioteca come volti di Giano bifronte o come anime gemelle; della censura che è sempre oppressiva; degli spazi apolidi; della libreria come caffè e come luogo che travalica i punti cardinali – Est e Ovest, Oriente e Occidente –; delle vite e delle opere dei librai, stabili o ambulanti, isolati o ascrivibili a una tradizione comune; della tensione tra unicità e serialità; del potere dell'incontro in un contesto librario e del suo erotismo, della sua latente sensualità; della lettura come ossessione e come follia, ma anche come pulsione inconscia o come impresa commerciale, con i relativi problemi di gestione e forme di abuso sul lavoro; dei tanti centri e delle infinite periferie; del mondo come libreria e della libreria come mondo; dell'ironia e della solennità; della storia di tutti i libri e dei libri veri e propri, con nomi e cognomi in copertina, di carta e di pixel; delle librerie universali e delle mie librerie private: di tutto ciò parlerà questo libro, che non molto tempo fa se ne stava in una libreria, in una biblioteca o su uno scaffale di un amico e che ora, lettore, anche se forse soltanto temporaneamente, è entrato a far parte della tua personale biblioteca. Ovvero, è uscito da un'eterotopia per entrare in un'altra, con i conseguenti mutamenti di senso e alterazioni di significato.

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Pagina 26

La storia delle librerie è profondamente diversa da quella delle biblioteche. Prive del sostegno delle istituzioni, le prime mancano di continuità; in quanto risposte a problemi pubblici sorte da iniziative private, sono libere. Nondimeno, per la medesima ragione, esse non vengono studiate. Spesso non compaiono nemmeno nelle guide turistiche né divengono oggetto di tesi di dottorato finché il tempo non ha la meglio su di loro, trasformandole in miti. Miti come quello di rue de l'Odéon a Parigi, alimentato dalla Shakespeare and Company di Sylvia Beach,

e di Charing Cross Road, la strada intergalattica, via bibliofila di Londra per eccellenza, immortalata nel titolo del miglior romanzo che io abbia letto sulle librerie: 84, Charing Cross Road di Helene Hanff (in cui, come in ogni libreria, la passione bibliofaga s'intreccia con i sentimenti umani e il dramma convive con la commedia) ; o come la libreria già dei Marini, in seguito Casella, fondata a Napoli nel 1825 da Gennaro Casella e passata in eredità a suo figlio Francesco, nel cui locale tra Ottocento e Novecento s'incontravano personalità come Filippo T. Marinetti, Eduardo De Filippo, Paul Valéry, Luigi Einaudi, G. Bernard Shaw e Aratole France (che, pur alloggiando all'Hòtel Hassler al Chiatamone, la usava come fosse il salotto di casa sua); o, ancora, come la Libreria degli scrittori di Mosca che, tra la fine degli anni Dieci e gli inizi degli anni Venti del Novecento, approfittò della breve parentesi di libertà rivoluzionaria per offrire ai lettori un centro culturale animato da intellettuali. La storia delle biblioteche può essere illustrata con estrema precisione, strutturata per città, regioni e nazioni, rispettando le frontiere tracciate dai trattati internazionali, consultando la bibliografia specializzata e gli archivi delle stesse biblioteche, dove sono documentate l'evoluzione dei fondi librari e le tecniche di catalogazione utilizzate; dove si conservano atti, contratti, ritagli di giornale, liste di acquisizioni e altre carte che ci consentono di elaborare statistiche, stilare resoconti e delineare cronologie. La storia delle librerie, invece, può essere raccontata soltanto partendo da una collezione di cartoline e fotografie, da una mappa contingente, dal ponte traballante che unisce quei negozi che sono scomparsi a quelli ancora in attività, da frammenti letterari, dalla saggistica.

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Pagina 37

L'ombra della Biblioteca di Alessandria originale è tanto densa da aver oscurato tutte le biblioteche passate, presenti e future e aver cancellato dalla memoria collettiva le librerie che la rifornirono. Ma essa non nacque dal nulla: fu la principale cliente dei commercianti di libri del Mediterraneo orientale del III secolo a.C. La Biblioteca non sarebbe mai potuta esistere senza la libreria, legata a doppio filo, fin dal momento della sua nascita, alla casa editrice. Il mercato dei libri si era già sviluppato prima del V secolo a.C., così che due secoli più tardi – quando la scrittura si sarebbe definitivamente imposta sull'oralità nella cultura ellenica – in buona parte del Mediterraneo orientale erano note le opere dei principali filosofi, storici e poeti oggi annoverati tra i classici. Ateneo cita un'opera perduta di Alessi risalente al IV secolo a.C. e intitolata Lino, dove il protagonista rivolge al giovane Eracle il seguente invito:

Prendi uno di questi splendidi libri. Leggine i titoli e vedi se ce n'è qualcuno che ti interessa. Ci sono Orfeo, Esiodo, Cherilo, Omero, Epicarmo; ci sono tragedie e ogni altra opera tu possa desiderare. Dalla tua scelta si mostreranno i tuoi interessi e il tuo gusto.

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Pagina 39

Perché i ricchi romani potessero vantarsi delle proprie biblioteche, si diffuse non soltanto la compravendita di copie di pregio, ma anche l'acquisto di volumi a peso, per coprire intere pareti di cultura apparente. Le raccolte private, spesso gestite da bibliofili, si rifornivano direttamente dalle librerie e diventarono il modello delle collezioni pubbliche, ossia le biblioteche. Queste ultime furono un prodotto non della democrazia ma della tirannia: le due più antiche si fanno risalire a Policrate e Pisistrato, rispettivamente tiranni di Samo e di Atene. La biblioteca è potere: con il bottino della campagna in Dalmazia, il generale Asinio Pollione fondò nel 39 a.C. una delle pricipali biblioteche di Roma, dove per la prima volta il pubblico ebbe libero e comodo accesso a titoli greci e latini. Quattro secoli più tardi, nella capitale dell'impero esistevano ventotto biblioteche che, come quella di Pergamo o la Palatina, sono oggi ridotte a rovine.

Pare che la Biblioteca di Alessandria fosse ispirata a quella privata di Aristotele, probabilmente la prima nella storia a essere organizzata secondo un sistema di classificazione. Il dialogo tra raccolte private e pubbliche, tra libreria e biblioteca, è dunque tanto antico quanto la civiltà stessa. Ciononostante, la bilancia della Storia si è sempre espressa in favore della seconda. La libreria è leggera, la biblioteca pesante; la leggerezza del presente si oppone costantemente al peso della tradizione. Nessun concetto è tanto estraneo all'idea di libreria quanto quello di patrimonio. Mentre il bibliotecario accumula, tesaurizza e al massimo presta temporaneamente la propria merce – che cessa di esser tale o vede congelarsi il proprio valore economico –, il libraio acquista per liberarsi di quanto ha, compra e rivende, mette in circolo. La circolazione e il passaggio sono di sua pertinenza. La biblioteca è sempre un passo avanti, pur mantenendo lo sguardo rivolto al passato; la libreria, invece, è legata al presente, soffre insieme con lui, pur trovando sempre nuovi stimoli nella propria capacità di cogliere i mutamenti. Se la Storia assicura la continuità della biblioteca, il futuro è una costante minaccia all'esistenza della libreria. La biblioteca è solida, monumentale, associata al potere, ai governi cittadini, agli stati e ai loro eserciti. Come scrive Peter Burke nella sua Storia sociale della conoscenza, oltre a depredare il patrimonio dell'Egitto, per soddisfare le brame delle biblioteche francesi l'«esercito di Napoleone trafugò circa 1500 manoscritti dai Paesi Bassi Austriaci e altrettanti dall'Italia, specialmente da Bologna e dal Vaticano». La libreria è liquida, provvisoria, resiste finché è capace di mantenere nel tempo un'idea con cambiamenti minimi; la biblioteca è stabilità. La prima distribuisce, la seconda conserva.

La libreria è crisi perpetua, subordinata al conflitto tra novità e ambiente, e proprio per questo si situa al centro del dibattito sui canoni culturali. I grandi autori latini erano pienamente consapevoli che la loro influenza dipendeva dall'accesso del pubblico alla loro produzione intellettuale. La figura di Omero si colloca esattamente nei due secoli che precedono l'affermarsi del commercio dei libri e la sua centralità nel canone occidentale è dovuta al fatto che egli è uno degli autori greci della cui opera si sono conservati più frammenti; ciò significa che è uno degli scrittori più copiati, diffusi, venduti, regalati, rubati, comprati da collezionisti, lettori comuni, librai, bibliofili, amministratori di biblioteche. Dai rotoli di papiro e pergamena e dai codici delle librerie greche e romane, da tutto il patrimonio testuale posto in circolazione, confinato provvisoriamente in spazi privati e pubblici, la maggior parte del quale sarebbe andato distrutto nel corso di innumerevoli guerre, incendi e rivolgimenti, dipende la nostra idea di tradizione culturale, il nostro catalogo di autori e titoli di riferimento. La libreria riveste un ruolo fondamentale nella formazione di questi canoni. C'è stato un tempo in cui Atene o Roma erano i centri possibili di mondi possibili: partendo da questi baricentri perduti e indimostrabili abbiamo costruito tutta la cultura successiva.

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Pagina 54

Dalla medesima radice di poiéin, che significa «fare», deriva anche la parola «poesia», che nella Grecia classica stava per «letteratura». In L'uomo artigiano , il sociologo Richard Sennett esplora l'intima relazione tra mano e occhio: «Ogni bravo artigiano conduce un dialogo tra le pratiche concrete e il pensiero; questo dialogo si concretizza nell'acquisizione di abitudini di sostegno, le quali creano un movimento ritmico tra soluzione e individuazione dei problemi». Sennett parla soprattutto di falegnami, musicisti, cuochi, liutai, tutti individui che normalmente associamo all'idea di artigianato. Ciononostante, questa considerazione può essere applicata non solo all'infinita schiera di artigiani che da sempre prendono parte alla creazione di un libro (cartai, tipografi, stampatori, rilegatori, illustratori...) ma anche al corpo stesso di qualsiasi lettore, alla dilatazione delle sue pupille, alla sua capacità di concentrazione, alla postura che assume, alla sua memoria tattile (quella che ha sede sulla punta delle dita). La scrittura stessa, in quanto calligrafia – ossia opera di manifattura –, è soggetta alla disciplina della perfezione in culture come quella cinese o araba. E il passaggio dalla scrittura manuale a quella meccanica o digitale è molto recente nella storia intellettuale. Per quanto il libraio non intervenga direttamente nella creazione dell'oggetto, la sua figura può essere equiparata a quella del lettore artigiano il quale, dopo le diecimila ore che secondo numerosi studi sono necessarie a un individuo per conoscere a fondo e padroneggiare una disciplina, è in grado di coniugare lavoro ed eccellenza, pragmatismo e poesia.

Romano Montroni , che ha lavorato per decenni nella Feltrinelli di Piazza di Porta Ravegnana a Bologna e che nel suo «decalogo del libraio» scrive che «il cliente è la persona più importante dell'azienda», sostiene che la principale tra le attività quotidiane di una libreria sia spolverare: «Bisogna spolverare tutti i giorni e tutti devono spolverare!» afferma in Vendere l'anima. Il mestiere del libraio. «La polvere è un argomento di primaria importanza per un libraio. Si spolvera al mattino, durante la prima mezz'ora di apertura, dall'alto verso il basso, seguendo il senso orario. Spolverando, il libraio si trova a scoprire e memorizzare dove sono collocati i libri, li conosce fisicamente.»

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Pagina 90

Una volta salito al potere, Stalin mise in atto un complesso sistema di controllo dei testi, in parte anche grazie a queste sue esperienze personali che gli avevano mostrato come ogni forma di censura possedesse inevitabilmente dei punti deboli. Da sempre i libri sono stati fondamentali per il controllo del potere e i governi hanno creato meccanismi di censura libraria allo stesso modo in cui hanno edificato castelli, fortezze e bunker che – inevitabilmente – sono stati tutti conquistati o distrutti, ignorando quanto già aveva scritto Tacito: «Il talento perseguitato acquista prestigio, e i re stranieri e coloro che li imitano usando la stessa ferocia hanno procurato solo vergogna a sé stessi e gloria ai perseguitati». Fu sicuramente dopo l'introduzione della stampa che gli stati cominciarono a incontrare seri problemi nella lotta contro il traffico dei libri proibiti; ed è stato con le dittature moderne che dal rogo pubblico di libri si è tratto maggior credito politico, in un'epoca in cui le nazioni investivano enormi quantità di denaro pubblico negli organi di lettura.

Nei primi secoli dell'era moderna la Spagna fu pioniera tanto nella concezione di sistemi di controllo e di repressione di massa dei lettori (e che altro fu la Santa Inquisizione, se non questo?) quanto nella creazione di rotte d'importazione di schiavi, di campi di concentramento, di programmi di rieducazione e di strategie di sterminio. Non deve stupire che per Franco il modello retorico statale di riferimento fosse la Spagna imperiale, l'apparato ideologico nazional-cattolico della conquista delle Americhe. Il libraio di Malaga Francisco Puche ha parlato degli ideali che egli coltivò in opposizione a quelli franchisti:

Tutti noi librai che abbiamo sofferto la censura franchista, la persecuzione della polizia, gli attentati fascisti dopo la morte di Franco portiamo impresso il marchio di questa epoca e consideriamo da sempre quella della libreria qualcosa di più che una semplice attività commerciale. Avevamo raccolto la fiaccola dell'ultimo condannato a morte dell'Inquisizione, un libraio di Cordoba giustiziato nell'Ottocento per aver introdotto libri proibiti dalla chiesa. E questa epoca ha chiarito una volta per tutte che la tendenza innata delle dittature a bruciare libri non è un prodotto casuale ma il frutto dell'incompatibilità tra queste due realtà, come dicevamo all'inizio riguardo alla resistenza, e ha reso manifesta l'importanza delle librerie indipendenti quali strumenti di democrazia.

Ciononostante non è possibile riflettere sulla problematica relazione tra i regimi aristocratici, dittatoriali e fascisti e la circolazione della cultura scritta adottando una visione manichea che assolva completamente le democrazie parlamentari, per quanto in esse non siano per fortuna previste punizioni corporali o la pena di morte. Gli Stati Uniti costituiscono un esempio paradigmatico di come la libertà di espressione e di lettura sia stata perennemente circondata da organi di controllo e di censura.

[...]

Nelle proprie memorie intitolate Joseph Anton Salman Rushdie racconta i particolari del caso. Inizialmente la pubblicazione seguì le comuni procedure editoriali in Occidente: Rushdie presenziò com'è normale alle varie tappe del tour promozionale del libro e il romanzo entrò nella rosa dei finalisti del Booker Prize; in India, nel frattempo, si cominciò lentamente a ostacolarne la diffusione, in seguito a un estratto pubblicato su «India Today» («scatenerà inevitabilmente una valanga di proteste») e alla risoluzione di due parlamentari musulmani di lanciarsi all'attacco facendone una battaglia personale (senza aver letto il libro), finché non se ne decretò ufficialmente il bando. Come già era accaduto diverse altre volte negli Stati Uniti, una simile decisione spettò anche in India al dipartimento del Tesoro, che si appellò alla legge doganale. Rushdie rispose con una lettera aperta al primo ministro Rajiv Gandhi. I fanatici replicarono inviando minacce di morte agli uffici della casa editrice, la Viking Press, e presso l'istituzione in cui lo scrittore avrebbe dovuto tenere di lì a poco una conferenza pubblica. Successivamente il romanzo fu messo al bando anche in Sudafrica. E una lettera anonima giunse pure nella casa londinese dell'autore. E l'Arabia Saudita e molti altri paesi arabi proibirono il libro. E cominciarono le minacce telefoniche. E a Bradford furono bruciate pubblicamente alcune copie dei Versi satanici. E il giorno seguente «la W.H. Smith, la più grande catena britannica di librerie, ritirò il libro da tutti gli scaffali dei suoi 430 punti vendita», mentre in un comunicato ufficiale chiedeva di non essere considerata alla stregua di un «censore». E il romanzo vinse il Whitbread Prize. E una torma di fanatici assaltò l'Information Center statunitense di Islamabad, in Pakistan, e cinque persone morirono a causa degli spari esplosi nella calca mentre la folla gridava: «Rushdie, sei un uomo morto!». E l'ayatollah Khomeini, la sua fatwa, due guardie del corpo che presero a scortarlo giorno e notte, una fattoria sperduta in un angolo remoto del Galles, la minaccia di boicottaggio di tutte le pubblicazioni della Penguin Books da parte dell'intero mondo musulmano, il primo posto nella classifica dei libri più venduti del «New York Times», molte bombe minacciate e una vera che esplose nella libreria Cody's di Berkeley, i cui scaffali distrutti si conservano ancora oggi a perenne testimonianza di quella barbarie, molte minacce di morte agli editori e ai traduttori, la solidarietà dell'arcivescovo di Canterbury e del papa, i sentimenti feriti del mondo musulmano, l'appello mondiale degli scrittori in favore di Rushdie, l'Iran che interrompe le relazioni diplomatiche con la Gran Bretagna, il rifiuto di molte istituzioni a mostrare il proprio sostegno allo scrittore perseguitato per ragioni di sicurezza, le crescenti polemiche («quelle schermaglie tra studiosi gli sembravano autentiche tragedie, in un momento in cui la libertà stessa della letteratura era attaccata così violentemente»), i traslochi periodici, un nome falso («Joseph Anton»), le bombe incendiarie nella libreria londinese Collett's and Dillon, in quella australiana Abbey's e in quattro succursali della catena Penguin, il «Comitato internazionale per la difesa di Rushdie», la vita quotidiana condizionata, ostacolata, sconvolta dall'elettroshock costante dei mezzi di sicurezza, il primo anniversario del rogo dei libri a Bradford, la ratifica della fatwa e l'assassinio del traduttore giapponese Hitoshi Igarashi, la ratifica della fatwa e l'accoltellamento del traduttore italiano Ettore Capriolo, la ratifica della fatwa e il tentato omicidio dell'editore norvegese William Nygaard, la ratifica della fatwa e la morte di trentasette persone nel corso di un'altra protesta, e undici anni nascosto, undici anni senza poter camminare per strada, cenare in tutta tranquillità insieme con gli amici in un ristorante, controllare che i suoi libri fossero esposti come si deve in una libreria. E che i suoi libri, sugli scaffali di una libreria, sopportavano senza colpa tanti cadaveri. Tantissimi.

La serrata scansione degli avvenimenti così come sono narrati in Joseph Anton è guidata dalla consapevolezza dell'autore che la sua opera rientri nella tradizione dei libri perseguitati:

«Difendete il testo», rispondeva agli amici che chiedevano come potessero dargli una mano. Gli argomenti di chi lo attaccava erano infatti molto concreti, mentre quelli dei suoi difensori erano spesso generici, per lo più fondati sul pur poderoso principio della libertà di parola. Lui sperava invece in una linea difensiva più mirata, ne sentiva il bisogno; pensava ai criteri di qualità cui era stato fatto appello nei casi di altri libri condannati quali L'amante di Lady Chatterley, l' Ulisse, Lolita; perché quell'attacco violento non era sferrato contro il romanzo in generale, o contro la libertà d'espressione in sé e per sé, bensì contro una determinata sequenza di parole [...] e contro le intenzioni, l'integrità e la capacità dello scrittore che le aveva messe insieme.

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Pagina 96

Nella storia della Foyles, la prestigiosa libreria londinese, si ripresenta un triangolo i cui due altri vertici si trovano in Germania e in Russia, seguendo una dinamica che da sempre si ripete nella storia dei libri: le guerre, le rivoluzioni, i rivolgimenti politici come momenti propizi perché grandi quantità di libri cambino schieramento e proprietari. Quando negli anni Trenta Hitler cominciò con i roghi in massa di libri, William Foyle gli spedì subito un telegramma offrendogli un buon prezzo in cambio di tutte quelle tonnellate di materiale stampato e infiammabile. Poco prima, l'inglese aveva mandato nella Russia stalinista la figlia Christina, all'epoca ventenne, in cerca di buoni affari. Se la spedizione di Christina si rivelò un successo, lo stesso non accadde con l'iniziativa del padre, considerato che Hitler continuò a bruciare libri senza manifestare alcuna intenzione di venderli. Quando scoppiò la guerra e Londra fu vittima dei bombardamenti dell'aviazione nazista, i vecchi libri del seminterrato, mischiati a sabbia, riempirono i sacchi che il leggendario libraio usò per proteggere il proprio esercizio. Si dice che il tetto l'avesse invece coperto di copie del Mein Kampf

Sicuramente si trattava di esemplari di My Struggle, l'edizione inglese di Hurst & Blackett nella versione di Edgar Dugdale, attivista sionista che tradusse in inglese il testo con l'intenzione di denunciare i piani di Hitler. Purtroppo, sia l'edizione inglese sia quella americana (My Battle) accolsero le richieste della casa editrice tedesca del libro, la Eher-Verlag, che le obbligò a sopprimere molte delle affermazioni xenofobe e antisemite dell'originale. Come spiega Antoine Vitkine nel suo saggio sulla storia di questo libro , quando il titolo comparve in Inghilterra nel 1934 se ne vendettero 18.000 copie. Nel frattempo, tuttavia, Churchill aveva già avuto modo di leggerlo, come anche Roosevelt, Ben Gurion e Stalin, grazie alle traduzioni integrali approntate dai loro servizi segreti. Mein Kampf non solo fece di Adolf Hitler il principale autore di bestseller nella Germania degli anni Trenta, rendendolo milionario grazie ai diritti d'autore, ma contribuì anche a farlo sentire uno scrittore.

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Pagina 105

Mi sarebbe difficile trovare un'immagine altrettanto triste di una libreria quasi vuota o dei resti di un rogo dove sono stati arsi dei libri. Nel corso del XVI secolo la Sorbona condannò per eresia circa 500.000 opere. Negli ultimi anni del XVIII secolo si contavano 7400 titoli nell' Indice dei libri proibiti e, quando assaltarono la Bastiglia, i rivoluzionari trovarono un'enorme quantità di volumi pronti per essere ridotti in cenere. Negli anni Venti del Novecento il servizio postale degli Stati Uniti bruciò copie dell' Ulisse. Prima degli anni Sessanta, in Inghilterra e negli Stati Uniti non fu possibile pubblicare legalmente e senza essere accusati di oscenità L'amante di Lady Chatterley di D.H. Lawrence o Tropico del Cancro di Henry Miller. Nel 1930 in Unione Sovietica furono messe al bando le case editrici non statali e la censura ufficiale resistette fino agli anni della perestrojka. Eugenio Pacelli, prima di diventare papa con il nome di Pio XII, nel 1934 lesse Mein Kampf e convinse Pio XI a non inserirlo nell' Indice per non provocare le ire del Führer. Nel corso delle ultime dittature in Cile e in Argentina furono organizzati roghi pubblici di libri. I cannoni serbi tentarono di distruggere la Biblioteca Nazionale di Sarajevo. Periodicamente fanno la propria comparsa fanatici puritani, cristiani o musulmani, che bruciano libri e bandiere. Mentre sterminava milioni di esseri umani – ebrei, omosessuali, prigionieri politici, zingari o menomati –, il governo nazista distrusse anche milioni di volumi di scrittori ebrei. Alcuni, tuttavia, i più rari e preziosi, furono risparmiati, con l'intenzione di esporli in un museo dell'ebraismo che sarebbe stato inaugurato soltanto quando fosse stata portata a termine la soluzione finale. Si parla sempre molto della passione che i responsabili nazisti dei campi di concentramento nutrivano per la musica classica; quasi nessuno, invece, ricorda mai che quanti concepirono i maggiori sistemi di controllo, repressione e sterminio del mondo contemporaneo, gli individui che dimostrarono di essere i più efficaci censori di libri, furono anche studiosi della cultura, scrittori, grandi lettori. In definitiva: amanti delle librerie.

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Una libreria è una comunità di fedeli e nessun altro luogo mi pare rifletta meglio questa idea della Dog Eared Books, che dal 1992 vive in autentica simbiosi con i residenti del Mission District. Accanto alle riviste, ai libri, ai dischi e ai fumetti, nella sua vetrina troviamo la perfetta espressione di quel rapporto fatto di attenzione e rispetto che ogni libreria dovrebbe instaurare con i propri clienti lettori: un altare in onore dei defunti aggiornato con cadenza settimanale dall'artista Verónica de Jesús, dove convivono i volti di vicini anonimi, amici intimi, scrittori e star della musica pop. Lettori celebri o sconosciuti accomunati dalla morte e omaggiati in una libreria che più di ogni altra cosa si sente parte di un quartiere.

Su uno scaffale qualcuno ha appeso la fotografia di Marilyn Monroe immersa nella lettura dell' Ulisse. Il Corpo di Hollywood che legge la Mente di uno scrittore irlandese esule a Trieste o a Parigi. Gli Stati Uniti che leggono l'Europa. Variando sul tema di questa dicotomia, il vecchio musical Cenerentola a Parigi propone un interessante ribaltamento di prospettiva. Incaricato dalla direttrice della rivista per cui lavora, un fotografo di moda interpretato da Fred Astaire parte alla ricerca di una nuova modella in cui si combinino bellezza e intelligenza, una ragazza le cui idee «siano belle tanto quanto il suo aspetto». La libreria Embryo Concepts del Greenwich Village – creata ad hoc su un set hollywoodiano – è il luogo in cui riesce a portare a termine la propria ricerca. È lì infatti che conosce Jo Stockton, una bellissima appassionata di filosofia (niente meno che Audrey Hepburn), alla quale chiede che lo accompagni a Parigi a una kermesse di moda. Lei accetta, non perché attratta dalla possibilità di lavorare come modella ma per avere l'opportunità di assistere alle lezioni di un filosofo «empaticalista». È insolito un simile ribaltamento di ruoli in una pellicola del 1957: lui incarna la superficialità, lei la profondità. Alla fine, tuttavia, come si conviene a un musical, i due si scambiano un bacio che cancella tutti i precedenti contrasti. In Notting Hill i ruoli sono invertiti: lui (Hugh Grant) gestisce una libreria indipendente specializzata in viaggi; lei (Julia Roberts) è un'attrice di Hollywood. Mentre lei, dopo essere entrata per la prima volta nella sua libreria (la Travel Book Company del film è in realtà un negozio di scarpe che oggi si chiama Notting Hill), curiosa tra gli scaffali, lui coglie in flagrante un ladro di libri, al quale educatamente chiede di acquistare o restituire la copia che questi ha nascosto nei pantaloni. È il ladruncolo che riconosce la famosa attrice e le chiede un autografo. Il libraio, da parte sua, s'innamora di lei.

In quanto spazio erotico, ogni libreria è per eccellenza anche luogo d'incontro: tra librai e libri, tra lettori e libri, tra lettori e librai, tra lettori e lettori. L'atmosfera d'intimità che si respira in tutte le librerie del mondo, la loro natura di rifugio, di microcosmo protetto, aumenta più che in altri luoghi le possibilità di contatto. La strana sensazione di riconoscere dal titolo, dalla foto dell'autore o per un'altra forma d'intuizione che un libro, pubblicato in arabo o in giapponese, è di Tolstoj o di García Lorca; l'esperienza condivisa di reincontrarsi con qualcuno in una qualsiasi libreria del mondo. Per questo non deve stupire che l'innamoramento in una libreria sia un topos letterario e cinematografico consolidato. In Prima del tramonto, i due protagonisti di Prima dell'alba - pellicola in cui si raccontano le splendide ore che i due avevano passato insieme a Vienna nove anni prima, dopo essersi conosciuti per caso mentre viaggiavano in treno attraverso l'Europa - si incontrano nuovamente nella Shakespeare and Company. Hasard objectif: lui è diventato scrittore e quello è il luogo in cui tutti gli autori nordamericani scelgono di presentare i propri libri a Parigi. La scena in cui lui la riconosce possiede la magia della rappresentazione erotica classica: mentre racconta al pubblico l'argomento di una storia che vorrebbe scrivere, un libro fatto di pochissimo presente e moltissimi ricordi, che duri lo spazio di una canzone pop, tramite dei flashback vediamo la vera storia che quel romanzo vorrebbe raccontare - spezzoni del film precedente, di quella notte viennese. A questo punto lui si volta, lanciando un'occhiata alla propria destra, e la vede. La riconosce all'istante. Diventa nervoso. Per riannodare le fila di un discorso lasciato in sospeso quasi dieci anni prima avranno nuovamente a disposizione soltanto poche ore.

Gli anni al volgere del nostro secolo sarebbero stati segnati da un romanticismo che ruota attorno all'idea di libreria, diventata simbolo di comunicazione, amicizia e amore, com'è possibile constatare in altri prodotti della cultura popolare, dai romanzi L'ombra del vento e La libreria dei nuovi inizi fino alle commedie romantiche Remember Me e Julie & Julia - entrambe con scene girate alla Strand -, ma soprattutto in C'è posta per te. In quest'ultimo film, una libreria indipendente è minacciata dall'apertura di una succursale di una catena mentre la sua proprietaria (Meg Ryan) intrattiene una relazione epistolare proprio con l'uomo che di quella catena è il direttore (Tom Hanks), senza che i due sappiano chi è veramente il destinatario delle loro lettere.

L'eros platonico: l'amore della conoscenza. In una puntata della prima stagione di West Wing-Tutti gli uomini del Presidente si mette in scena il dispiegamento di forze dell'ordine necessario ogni volta che il presidente Bartlet va a comprare libri antichi, nei confronti dei quali nutre una vera e propria passione. La maggior parte dei volumi che s'intravedono sono dell'Ottocento o del principio del Novecento e abbastanza curiosi: sulla caccia all'orso, sullo sci alpino, Fedro, Lucrezio... Nella fiction contemporanea la libreria rappresenta lo spazio proprio di quel genere di conoscenza che non può darsi nelle istituzioni ufficiali (la biblioteca, l'università): in quanto attività privata, si sottrae a ogni regolamentazione, e i librai sono in genere più originali dei bibliotecari o dei professori universitari. Per questo la libreria gestita da un saggio sui generis, che custodisce informazioni preziose e proibite, è diventata una costante nel genere fantasy o horror, l'equivalente di una bottega antiquaria dotata di una stanza segreta o un sotterraneo nascosto. In questo nostro secolo è molto diffusa anche una letteratura a fumetti che insiste precisamente su questa immagine di libreria come archivio clandestino: la serie The Boys di Garth Ennis e Darick Robertson, dove nello scantinato di un negozio di fumetti è custodita la verità sul mondo dei supereroi, ne è un esempio; o Neonomicon di Alan Moore, la cui libreria offre ogni sorta di titoli di magia e sadomasochismo. In questo passo di Il combattimento che concluse il secolo, Lovecraft illustra alla perfezione questa idea di un canale alternativo per la circolazione di una sottocultura ai margini del sistema:

La cronaca del signor Talcum, impreziosita dalle illustrazioni del celebre artista Klarkash-Ton (che, seguendo la sua nota ispirazione eccentrica, aveva ritratto i due contendenti come due varietà di molluschi parassiti fungoidi), venne pubblicata — dopo ripetute ricusazioni da parte dell'illustre direttore Windy City Grab-Bag — da W. Peter Chef, come fascicolo a sé stante. Grazie all'interessamento di Otis Adelbert Kline, il fascicolo fu poi messo in vendita presso la libreria Lordume & Pianto; ne vennero smerciate tre copie e mezza, anche in seguito all'appassionata descrizione fattane in catalogo dal cavalier Samuelus Philantropus.

Ma nelle stanze più recondite e nei sotterranei delle librerie non si trovano soltanto libri di occultismo, magia e religione o i volumi proibiti dall'inquisizione o dalle dittature: in questa cripta straripante di reliquie e di tesori può trovare spazio qualsiasi titolo ammantato da un'aura di segreto, di malnoto, di accessibile soltanto agli happy few, a un'incalcolabile minoranza di connaisseurs e iniziati. Al momento della pubblicazione, quasi tutti i libri sono democratici, accessibili a tutti, e il loro costo viene calcolato in base a fattori contingenti. Con il trascorrere degli anni, secondo la fortuna loro o del loro autore, secondo la loro rarità o la loro aura, secondo il loro statuto di classico o la loro forza come miti, il prezzo o cresce vertiginosamente fino a raggiungere una dimensione aristocratica o cala fino a che essi non valgono più che stracci o immondizia. Un libro può essere perseguitato tanto per i suoi poteri magici quanto per il suo potere di mercato, e spesso per entrambi. Per esempio, quando George Steiner rievoca la sua scoperta dell'opera di Borges, la descrive nei seguenti termini:

Ricordo che uno dei primi conoscitori dell'opera di Borges mi mostrò nell'oscuro retrobottega di una libreria di Lisbona — e questo accadeva all'inizio degli anni Cinquanta — la traduzione di Borges di Orlando di Virginia Woolf, il suo prologo a un'edizione argentina di La metamorfosi di Kafka, il fondamentale saggio sulla lingua artificiale inventata da John Wilkins da lui pubblicato su «La Nación» dell'8 febbraio 1942 e La misura della mia speranza, il tesoro più raro, una raccolta di saggi brevi pubblicata originariamente nel 1926 e mai più ristampata per desiderio dello stesso Borges. Questi piccoli oggetti mi furono mostrati con un atteggiamento di scrupolosa alterigia. E a ragione. Ero arrivato tardi nel luogo del segreto.

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Mentre nelle librerie di libri nuovi è solito imperare l'ordine, in quelle di seconda mano domina il caos, l'accumulo disordinato del sapere. Sovente sono i nomi stessi delle librerie a rendere testimonianza di una simile condizione. In calle Donceles, a città del Messico, e nelle vie vicine incontriamo la Inframundo, la Laberinto o la Callejón de los Milagros, librerie non informatizzate dove per trovare un libro un visitatore si può affidare soltanto all'ambiguo sistema della catalogazione, alla propria fortuna o perizia e soprattutto alla memoria e all'intuito del libraio. Spazi che ricordano un antro o una caverna, come la libreria Zaratustra descritta da Valle-Inclàn – autore ispanoamericano e insieme universale d'intelligenza sopraffina – in Luci di Bohème: «Piloni di libri fanno macerie e coprono le pareti. Tappezzano i quattro vetri di una porta quattro orripilanti illustrazioni di un interminabile romanzo a fascicoli. Nell'antro fanno salotto il gatto, il pappagallo, il cane e il libraio». A Caracas si trova la Gran Pulpería del Libro Venezolano, che porta alle più estreme e sfrenate conseguenze l'idea di libreria sotterranea: i libri si accumulano a terra come se fossero caduti dai ripiani che negli anni hanno tentato di contenerli. Al proprietario, lo storico e giornalista Rafael Ramón Castellanos, che ha aperto l'attività nel 1976 combinando da quel momento il lavoro di scrittore con quello di libraio, nel corso di un'intervista fu chiesto qual era il sistema di catalogazione che usava per la libreria. Rispose che i tentativi di informatizzarla erano falliti e che aveva tutto quanto stampato «nella mia memoria e in quella dei miei assistenti e di mio figlio Rómulo».

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«Nel 1999, tornato dal Venezuela», scriveva Bolaño dopo essere stato insignito del Premio Rómulo Gallegos, «sognai che mi portavano nella casa in cui viveva Enrique Lihn, in un paese che avrebbe benissimo potuto essere il Cile, in una città che avrebbe benissimo potuto essere Santiago, considerato che il Cile e Santiago a volte sembrano l'inferno.» Dopo aver trascorso gli anni formativi dell'adolescenza a città del Messico, intraprendendo una rotta inversa a quella che vent'anni prima aveva seguito Ernesto Guevara, Bolaño viaggiò via terra verso sud, fino in Cile, con l'intento di sostenere la rivoluzione democratica di Salvador Allende. Fu arrestato pochi giorni prima del golpe di Pinochet e si salvò da una probabile morte perché una delle guardie che lo sorvegliavano era stato suo compagno di scuola. Rientrò in Messico viaggiando nuovamente via terra, vivendo esperienze che in seguito contribuirono alla nascita del suo primo capolavoro. Giunsi nella capitale cilena tre mesi dopo la sua morte. Nella libreria del Fondo de Cultura Económica comprai le edizioni Planeta, della Pista di ghiaccio e della Letteratura nazista in America. In quest'ultima le due biografie più articolate sono quelle dei «favolosi fratelli Schiaffino» (Italo e Argentino, detto «El Grasa») e di Carlos Ramírez Hoffman (detto «l'Infame»). Due argentini e un cileno.

Pur avendo passato la maggior parte della vita in Messico e in Spagna – i due principali sfondi geografici e vitali della sua opera –, Bolaño costruì il proprio canone di riferimento muovendosi soprattutto nel Cono Sud. Come latinoamericanista lesse a fondo la produzione di tutto il continente, come catalano e spagnolo d'adozione lesse i propri contemporanei, come appassionato di poesia francese imparò dai suoi grandi maestri, come lettore compulsivo divorò tutti i titoli della letteratura universale su cui riuscì a mettere mano. Negli anni della gioventù messicana combatté contro la figura di Octavio Paz, contro ciò che questo personaggio significava in termini di politica culturale; da adulto si scontrò varie volte con altri nemici, trasposizioni letterarie di quegli eserciti contro i quali si batteva a Blanes quando s'incontrava con gli altri appassionati di giochi di guerra e di strategia. Ma soprattutto si sentiva parte della tradizione del Cono meridionale – ammesso che questa tradizione esista davvero –, che nel suo ambizioso cervello di scrittore egli divideva in due filoni: poetico e narrativo, cileno e argentino. Come poeta, Bolaño si sentiva vicino a Lihn e Nicanor Parra. E insieme vicino e lontano da Pablo Neruda , che per la poesia cilena rappresenta l'equivalente di Borges per la letteratura argentina. Sono entrambi Mostri sacri, Padri, Saturni divoratori dei propri figli. Resta un mistero perché anche Rulfo non sia stato percepito come tale dagli scrittori messicani della seconda metà del secolo scorso, mentre sia toccato alla figura di Paz (e a quella di Carlos Fuentes ) assumere questi contorni mitologici e castranti. Spesso mi domando che cosa sarebbe accaduto se Rulfo fosse diventato il modello degli scrittori ispanoamericani del nostro secolo, occupando lo stesso posto che la storia ha riservato a Borges. Juan Rulfo, il rustico, l'anacronistico, il minimalista, colui che guardava al passato, che credeva nella Storia, che disse di no, di contro a Jorge Luis Borges , il cittadino, il moderno, il preciso, quello che guardava al futuro, che disprezzava la Storia, che disse di sì. In Carnet di ballo, Bolaño narra la storia della sua copia di Venti poesie d'amore e una canzone disperata e del suo lungo viaggio «in diverse località del Sud del Cile, poi in varie case di Città del Messico, poi in tre città della Spagna». E racconta che a diciotto anni lesse i grandi poeti latinoamericani e che i suoi amici si dividevano tra valleiani e nerudiani, mentre lui era «parriano nel vuoto, senza il minimo dubbio», e che «bisogna uccidere i padri, il poeta è un orfano nato». In questo racconto le correnti della poesia cilena sono presentate come coppie di ballerini: «[...] i nerudiani nella geometria con gli huidobriani nella crudeltà, i mistraliani nell'umorismo con i rokhiani nell'umiltà, i parriani nelle ossa con i lihniani nell'occhio». La sua devozione a Parra e Lihn non può tuttavia prescindere dalla cesura rappresentata da Neruda, dal filtro attraverso il quale trasuda l'immensità nerudiana, questa influenza alla quale nessun poeta che scriva in spagnolo può sottrarsi. In Carnet di ballo la constatazione delle contraddizioni politiche di Neruda diventa l'occasione per un allucinato excursus su Hitler, Stalin e sullo stesso poeta cileno e un passaggio squisitamente bolañiano sulla repressione di stato, le fosse comuni, le brigate internazionali e gli strumenti di tortura:

58. Quando avrò una certa età voglio essere nerudiano nella sinergia. 59. Domande prima di andare a letto. Perché a Neruda non piaceva Kafka? Perché a Neruda non piaceva Rilke? Perché a Neruda non piaceva de Rokha? 60. Barbusse gli piaceva? Tutto fa pensare di sì. E Solochov. E Alberti. E Octavio Paz. Strana compagnia per viaggiare nel Purgatorio. 61. Ma gli piaceva anche Eluard, che scriveva poesie d'amore. 62. Se Neruda fosse stato cocainomane, eroinomane, se fosse morto sotto le macerie nella Madrid assediata del 1936, se fosse stato amante di Lorca e si fosse suicidato dopo la morte di quest'ultimo, la storia sarebbe diversa. Se Neruda fosse lo sconosciuto che in fondo veramente è!

Quando la sorella gli regalò il libro di Neruda, Bolaño stava leggendo l'opera omnia di Manuel Puig. Nei racconti è in Sensini (contenuto nella raccolta Chiamate telefoniche ) che avrebbe tracciato con maggior precisione i suoi rapporti con la letteratura engagée, di sinistra e artistica argentina servendosi della figura di Antonio Di Benedetto. Nella saggistica è in Derive della mala che il cileno prende posizione rispetto alla tradizione letteraria argentina, affrontando apertamente la questione del canone. Bolaño riconobbe più volte il proprio debito nei riguardi di Borges e Cortázar, senza i quali sarebbe difficile capire l'ambizione enciclopedica della sua opera, il suo interesse per l'autofiction e il racconto breve o la struttura – seguendo il percorso tracciato da Il gioco del mondo – dei Detective selvaggi e di 2666. Ed è proprio in Derive della mala che, per rivendicare il proprio ruolo quale massimo erede di Borges, si sarebbe lanciato in una feroce critica dei propri contemporanei argentini, descrivendo le scorciatoie e le deviazioni che questi avevano trovato per evitare l'ingombrante centralità borgesiana: quelli che avevano seguito Osvaldo Soriano , quelli che avevano visto in Roberto Arlt l'Antiborges, quelli che avevano deciso di rivalutare Osvaldo Lamborghini. Vale a dire: molti scrittori che non vale la pena menzionare, Ricardo Piglia e César Aira.

Nei tre o quattro anni trascorsi a Santiago decisi – senz'altro precipitosamente – che la libreria cittadina che più mi interessava era la Libros Prólogo. Ecco cosa mi appuntai all'epoca:

Non è grande come la Libreria Universitaria di Alameda (con la sua moquette e il suo stile anni Settanta) né come la catena Feria Chilena del Libro, e nemmeno possiede il fascino delle librerie dell'usato di calle San Diego. Ma la Prólogo ha un buon catalogo e si trova in calle Merced, accanto a un cinema, un teatro e un caffè, e vicino agli antiquari e alle librerie di seconda mano di calle Lastarria.

Non ho altri appunti. Nella mia memoria è uno spazio di resistenza, un centro che aveva alimentato la vita culturale negli anni della dittatura. Ma non ho nessun elemento per provarlo e di conseguenza per saperlo: sui motori di ricerca, nemmeno una traccia. Forse si è trattato del delirio di un viaggiatore sedotto da Notturno cileno , il romanzo in cui Bolaño costruisce l'allucinante discorso del sacerdote Sebastián Urrutia Lacroix che in Stella distante, con lo pseudonimo di Ibacache, esalta la poesia reazionaria e selvaggia di Ramírez Hoffman, e che nella parte conclusiva del romanzo rievoca le lezioni di teoria politica alla Giunta militare e i salotti letterari nella casa di Mariana Callejas. Il personaggio è ispirato al sacerdote dell'Opus Dei José Miguel Ibáñez Langlois, che su «El Mercurio» si firmava con lo pseudonimo di Ignacio Valente, autore di libri di filosofia e teologia (El Marxismo: visión crítica, La dottrina sociale della Chiesa), di critica letteraria (Rilke, Pound, Neruda: tres claves de la poesia contemporanea, Para leer a Parra, Josemaría Escrivá como escritor) e di poesia con titoli spesso ossimorici (Poemas Dogmáticos). Non soltanto fu il critico letterario più importante durante la dittatura e la transizione ma tenne anche un seminario sul marxismo alla Giunta militare. Ossia ebbe Pinochet tra i propri studenti. Pinochet: lettore, scrittore, amante delle librerie. Ricardo Cuadros ha scritto:

Ibáñez Langlois non ha mai ammesso né negato la propria presenza alle soirée letterarie di Mariana Callejas nel casermone del Barrio alto di Santiago in cui questa viveva con il marito, l'agente della DINA Michael Townley. Ma quegli incontri si verificarono realmente e negli scantinati dell'edificio fu torturato a morte, tra gli altri, Carmelo Soria, funzionario spagnolo dell'ONU.

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Spero che non abbiate giudicato con troppa severità il mio abuso del corsivo all'inizio del paragrafo precedente, ma mi premeva sottolineare proprio questi tre concetti: spettacolarità, autenticità e cultura. Se nel corso del Novecento la costruzione di opere, teatri, auditori, complessi culturali, musei, stadi sportivi, centri commerciali e biblioteche si ispirava al modello della cattedrale contemporanea, è negli anni Duemila che questa tendenza si è affermata con particolare forza anche per quanto riguarda le librerie. La prima – in testa alla maggior parte delle classifiche fino all'inaugurazione della Boekhandel Selexyz e oggi in seconda posizione – è stata l'Ateneo Grand Splendid, aperta nel 2000 in un cineteatro su avenida Santa Fe, a Buenos Aires. L'edificio originale, inaugurato nel 1919, conserva ancora la sua volta affrescata, i balconi, i palchi, le ringhiere e il palcoscenico con tanto di sipario in velluto rosso. L'illuminazione è incredibilmente scenografica: i faretti che corrono in circolo lungo i tre ordini di palchi trasmettono la sensazione di trovarsi all'interno di un monumento e al contempo di assistere a uno spettacolo. Uno spettacolo ininterrotto, in cui non sono i clienti o i librai a essere i protagonisti ma il contenitore stesso che li ospita. La libreria è parte della catena Yenny e non possiede un catalogo particolarmente interessante; tuttavia, offre un'esperienza turistica sia ai visitatori occasionali sia ai lettori locali che la frequentano con maggior assiduità. Trasmette l'impressione di trovarsi in un luogo unico, nonostante la sua offerta sia identica a quella di tutti gli altri punti vendita della catena. Mentre la Fnac replica sé stessa all'interno di qualsiasi edificio storico, rendendo gli spazi del Palazzo della Borsa di Nantes assolutamente identici a quelli dei sotterranei del centro commerciale Arenas di Barcellona – che esteriormente continuano a mantenere il loro aspetto rispettivamente di edificio neoclassico e di un'arena -, l'Ateneo Grand Splendid è la prova del grande valore assegnato all'unicità dal mercato simbolico del turismo virtuale (l'immagine) o fisico (la visita).

Sono assolutamente certo che l'Eterna Cadencia, che sorge sul limitare del quartiere Palermo, sempre a Buenos Aires, sia una libreria migliore e forse anche più bella: pavimenti di legno, eleganti tavolini e raffinate poltrone, ottimo catalogo distribuito in scaffali che ricoprono completamente le pareti, un incantevole caffè in un patio ristrutturato dove si organizzano eventi letterari di ogni sorta, l'attività editoriale della casa editrice omonima, le lampade che ricordano quelle delle librerie che si vedono nei film... Classica e moderna, come la libreria su avenida Callao – Clásica y Moderna, appunto –, come la Guadalquivir, che si trova a pochi passi ed è specializzata in case editrici spagnole, entrambe con uno stile che ricorda quello che l'Eterna Cadencia ripropone oggi in pieno XXI secolo. Tutte e tre queste librerie si contraddistinguono per una sobrietà, un'attenzione al particolare e un rispetto per la tradizione tipici di alcune grandi librerie nate negli anni Ottanta e Novanta come la Laie, la Robinson Crusoe o la Autorenbuchhandlung. E di altre che avrebbero aperto i battenti nel decennio successivo, come la Book Lounge, perché tutti i gusti sono gusti e la nostra epoca si caratterizza per la sua molteplicità.

Il progetto della libreria La Central di Barcellona può intendersi come una possibile migrazione delle tendenze più significative dell'ultimo quarto del XX secolo verso quelle del XXI secolo, sempre che non ci si dimentichi dell'importanza dell' unicità. La sua prima sede, inaugurata in calle Mallorca nel 1996, possedeva uno stile simile a quello delle librerie menzionate poco sopra: intimo, a misura d'uomo (del corpo del lettore). La seconda, La Central del Raval, aperta nel 2003, ricorda invece più da vicino la Boekhandel Selexyz e l'Ateneo Grand Splendid: riconvertiva infatti in spazio librario la settecentesca capilla de la Misericordia, pur rispettandone l'architettura originale e pertanto la monumentalità (i suoi soffitti altissimi fanno sentire minuscolo il visitatore). Nondimeno, il luogo conserva una sorta di sobrietà monacale e di senso della misura, scomparsi invece in quella che potrebbe considerarsi la terza fase di un progetto non premeditato: La Central de Callao, inaugurata a Madrid nel 2012, che ha rimodernato un intero palazzo degli inizi del secolo scorso conservandone le scale di legno, le pareti in mattoni, i soffitti in ceramica e legno, i mosaici del pavimento e perfino la cappella affrescata, aggiungendo oltre agli scaffali e a migliaia di libri anche un ristorante, un bar e un'esposizione permanente di ogni sorta di oggetti legati direttamente o indirettamente alla lettura, come quaderni, lampade, borse e tazze. Nonostante i soffitti dei tre piani siano piuttosto bassi, l'altissimo cortile interno, sulle cui pareti campeggia un monumentale crucipuzzle, inserisce di diritto questo luogo in una delle tendenze principali del nostro secolo: una grandeur che consente alla libreria di competere con il resto delle icone culturali dell'architettura contemporanea.

Dopo la sua apertura, uno dei proprietari - il libraio Antonio Ramírez, che incarna la tradizione del libraio nomade (la storia della sua vita ricorda quella di Bolaño: di origine colombiana, prima di aprire la propria attività ha cominciato lavorando in alcune librerie di città del Messico e si è perfezionato alla Hune di Parigi e alla Laie di Barcellona) - pubblicò con Marta Ramoneda e Maribel Guirao un articolo intitolato Immaginare la libreria del futuro, dove affermava:

Sarebbe possibile soltanto partendo da ciò che la rende insostituibile: la densità culturale contenuta nella materialità del libro; o meglio, pensando la libreria come uno spazio reale in cui persone in carne e ossa possono incontrare oggetti materiali dotati di un aspetto peculiare, di un peso e di una forma unici, in un momento ben preciso.

L'articolo proseguiva elencando le caratteristiche di questo spazio futuro che necessariamente - per quanto ancora soltanto in parte - dev'essere già presente. Ramírez parla di un'architettura che trasmetta piacere ed emozione, che abbatta ogni barriera tra il lettore e il libro e che sappia organizzare l'offerta in modo conveniente, in cui il libraio sia coreografo, meteorologo, iperlettore o mediatore, e disponga efficacemente ed emotivamente gli elementi per stimolare la memoria del lettore e catalizzare la sua scelta - l'acquisto - nella direzione che più potrebbe trasmettergli piacere. L'enfasi posta sulla libreria come somma di esperienze fisiche è coerente con lo stile architettonico e di design della Central de Callao, dove la spettacolarità comunica con l'intimità, la novità si aggiunge a un solido catalogo, le sensazioni trasmesse al tatto dalla carta e dal cartone sono in dialogo con quelle sperimentate dal gusto nel ristorante o nel bar.

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Le nostre abitudini di lettura, legate a schermo e tastiera, sarebbero un potenziamento – dopo secoli di letture moltiplicate e in costante accelerazione – di questo modello estensivo su piattaforme d'informazione e conoscenza sempre più audiovisive. Tutto questo ha delle implicazioni di carattere politico: perdere la capacità di concentrarsi su un unico testo significa guadagnare in visione d'insieme, in distacco ironico e critico, in capacità di collegare e interpretare fenomeni simultanei; e pertanto significa emanciparsi dalle autorità che mirano a limitare le letture, desacralizzare un'attività che a questo livello dell'evoluzione umana dovrebbe ormai essere naturale. Leggere è come camminare, come respirare, qualcosa che facciamo senza bisogno di pensarci.

Mentre i millenaristi riproponevano argomenti logori a tutela di mondi ormai estinti invece di accettare il perpetuo cambiamento che alimenta l'immutabile motore della Storia, le succursali della Fnac si riempivano di videogiochi e di serie televisive e le librerie più blasonate iniziavano a vendere saggi su videogiochi e serie televisive, oltre che e-reader ed e-book. Giacché quando un linguaggio cessa di essere di nicchia o di tendenza e si converte in mainstream, la cosa più probabile è che sia interessato da un processo di sofisticazione artistica che lo proietta sugli scaffali di librerie e biblioteche e nelle sale dei musei come prodotto culturale, come opera d'arte, come merce. Il disprezzo per i linguaggi emergenti e mainstream è piuttosto diffuso nel mondo della cultura, ambito che – come tutti – è dominato dalla moda, dall'ego e dall'economia. La maggior parte delle librerie di cui ho parlato in questo libro, nel circuito internazionale delle quali mi sono inserito come turista e come viaggiatore, offrono una finzione di classe cui per nostra fortuna oggi possono accedere sempre più milioni di esseri umani ma che tuttavia rimane ancora appannaggio di una minoranza. Rappresentiamo l'estensione quantitativa di quegli «uomini distinti» incontrati da Goethe nella sua visita alla libreria italiana. È una finzione di classe preminentemente economica (come sempre accade), per quanto ammantata del prestigio di una cultura più o meno raffinata. Giacché non dobbiamo ingannarci: è vero che le librerie sono centri culturali, miti, spazi di conversazione, di dibattito, di amicizia e perfino d'amore originati in parte dal loro stesso corredo pseudoromantico, cui molte volte sono lettori artigiani che amano il proprio lavoro a dare forma letteraria – o gli intellettuali, gli editori e gli scrittori che sanno di essere parte della storia della cultura. Ma prima di tutto sono imprese, e i loro proprietari, sovente librai carismatici, sono anche capi, responsabili degli stipendi dei loro dipendenti dei quali devono rispettare i diritti, gestori, direttori, commercianti, esperti nei cavilli della legislazione sul lavoro.

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[...] La letteratura è magia e scambio e per secoli ha condiviso con il denaro il supporto della carta. Per questo è stata vittima di così tanti incendi. Le librerie sono attività che operano su due livelli simultanei e interdipendenti, quello economico e quello simbolico: la vendita di copie e la creazione e la distruzione di carriere; l'affermazione del gusto dominante o l'invenzione di un gusto nuovo; depositi e crediti. Da sempre, le librerie sono state un sabba di canoni e dunque centri fondamentali della geopolitica culturale. Il luogo dove la letteratura acquista consistenza fisica e diviene, pertanto, più manipolabile. Lo spazio in cui, quartiere dopo quartiere, villaggio dopo villaggio, città dopo città, si decidono le letture cui le persone avranno accesso, quali testi si diffonderanno e avranno dunque la possibilità di essere assorbiti, obliterati, riciclati, copiati, plagiati, parodiati, ammirati, adattati, tradotti. È nelle librerie, in buona sostanza, che si decide se un'opera potrà essere influente. Non a caso, il primo titolo scelto da Diderot per la sua lettera Sulla libertà di stampa era Lettera storica e politica a un magistrato sul commercio dei libri, il suo stato nel passato e oggi, i suoi regolamenti, i privilegi, i permessi taciti, i censori, i distributori, il passaggio dei ponti e altri temi relativi alla politica letteraria.

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Noi che siamo cercatori nati nel mondo fisico – la disavventura della libreria inesistente di Barranquilla è solo uno tra i mille esempi possibili – non possiamo evitare di diventarlo anche in quello virtuale. La storia del libro elettronico è avvincente quanto un thriller. Comincia negli anni Quaranta e subisce un'accelerazione negli anni Settanta con i sistemi di edizione ipertestuale; trova il proprio formato per mano di Michael S. Hart il decennio successivo e un nome (electronic book) alla metà degli anni Ottanta grazie al professor Andries van Dam. Quando nel 1992 Sony lancia sul mercato il suo lettore di libri su CD Data Discman si serve dello slogan «La biblioteca del futuro». Kim Blagg ottiene il primo codice ISBN per un libro elettronico nel 1998. Questi i dati, la cronologia possibile, le tracce che raccolte insieme ci danno la sensazione di trovarci a cavallo tra due mondi (com'era anche per i contemporanei di Cervantes nel XVI secolo, per quelli di Stefan Zweig agli inizi del Novecento o per gli abitanti dell'Europa orientale alla fine degli anni Ottanta), in una lenta apocalisse in cui le librerie sono al contempo oracoli, osservatori privilegiati, campi di battaglia e orizzonti crepuscolari in costante e inarrestabile cambiamento. Come scrive Alessandro Baricco nel saggio I barbari:

[...] è una mutazione. Una cosa che riguarda tutti, nessuno escluso. Perfino gli ingegneri, là, sui torrioni della muraglia, hanno già i tratti somatici dei nomadi che in teoria stanno combattendo: e hanno in tasca denaro barbaro, e polvere della steppa sui loro colletti inamidati.

È una mutazione. Non un leggero cambiamento, non un'inspiegabile degenerazione, non una malattia misteriosa: una mutazione compiuta per sopravvivere. La collettiva scelta di un habitat mentale diverso e salvifico. Sappiamo anche solo vagamente cosa l'ha potuta generare? Mi vengono in mente di sicuro alcune innovazioni tecnologiche, decisive: quelle che hanno compresso spazio e tempo, strizzando il mondo. Ma probabilmente non sarebbero bastate se non fossero coincise con un evento che ha spalancato lo scenario sociale: la caduta di barriere che fin qui avevano tenuto lontana una buona parte degli umani dalla prassi del desiderio e del consumo.


Di nuovo compare in queste pagine la parola desiderio, energia spirituale e chimica che ci attrae verso determinati corpi od oggetti che diventano veicoli di una conoscenza molteplice. Nel mondo post 1989, in cui il neoliberismo ha tratto nuova forza dal crollo dell'Unione Sovietica, sempre più digitale e digitalizzato, questo desiderio si è materializzato nel consumo di pixel, l'unità minima di significato su cui si basano i nostri scritti, le nostre fotografie, le nostre conversazioni, i nostri video, le mappe che ci indicano le strade su cui sudiamo, guidiamo, voliamo o leggiamo. Per questo le librerie hanno una pagina web: per venderci libri di pixel, per spingerci al consumo di immagini, di racconti, di novità, per lanciarci delle esche. E tutto questo è sostanza, non semplice accidente: i nostri cervelli stanno cambiando; il modo in cui comunichiamo e socializziamo sta cambiando. Siamo identici a prima e siamo al contempo diversissimi. Come osserva Baricco, negli ultimi decenni sono cambiati il tessuto della nostra esistenza, l'idea di cosa sia l'esperienza. Ed ecco le conseguenze di tale mutazione: «la superficie al posto della profondità, la velocità al posto della riflessione, le sequenze al posto dell'analisi, il surf al posto dell'approfondimento, la comunicazione al posto dell'espressione, il multitasking al posto della specializzazione, il piacere al posto della fatica». Uno smantellamento sistematico di tutto l'armamentario del pensiero borghese ottocentesco, la lenta sparizione delle ultime tracce del divino nella vita quotidiana, il trionfo politico dell'ironia sulla sacralità. Difficile che le poche divinità scampate alle due guerre mondiali grazie alla carta stampata continuino a governarci dal tenue fulgore dello schermo di un computer.

Senza memoria le culture non esisterebbero; ma lo stesso accadrebbe anche senza oblio. Mentre la biblioteca si ostina a ricordare ogni cosa, la libreria seleziona, scarta, si adatta al presente esercitando un oblio necessario. Il futuro si costruisce sull'obsolescenza: dobbiamo sbarazzarci delle convinzioni del passato, false od ormai superate, delle narrazioni e dei discorsi che non gettano più alcuna luce. Come scrive Peter Burke, «rimuovere conoscenze in questo modo può essere desiderabile o perfino necessario, perlomeno fino a un certo punto; ma non dovremmo dimenticare che il processo comporta perdite, oltre che guadagni». Per questo, dopo l'inevitabile processo di selezione e rimozione, è necessario «studiare quanto è stato rottamato nei secoli, la spazzatura intellettuale», dove gli uomini potrebbero essersi sbagliati, dove anche ciò che di più prezioso esiste potrebbe essere stato condannato per errore all'oblio, gettato insieme con molte altre informazioni e convinzioni che meritavano di scomparire. Dopo un'esistenza che perdura da così tanti secoli, con il supporto elettronico il libro incontra la logica dell'obsolescenza programmata, della data di scadenza. Questo cambierà ancora più profondamente il nostro rapporto con i testi, che potremo tradurre, modificare e personalizzare in modi ancora tutti da scoprire. E il culmine provvisorio del percorso iniziato dall'umanesimo, quando la filologia mise in discussione autorità ormai superflue e scontate e la Bibbia cominciò a essere tradotta nelle lingue correnti seguendo criteri razionalisti e non in ossequio ai dettami della superstizione.

Se il numero di noi collezionisti di inutili timbri sul futile passaporto delle librerie del mondo è tanto alto è perché in esse percepiamo le ultime tracce delle divinità culturali che hanno soppiantato quelle religiose. Giacché fin dal periodo romantico le librerie, come i cimiteri e le rovine archeologiche, come certi caffè e tante biblioteche, come in seguito anche i cinema e i musei d'arte contemporanea, sono state e continuano a essere spazi rituali – spesso segnalati per la loro importanza dai circuiti turistici o da altre istituzioni per comprendere la storia della cultura moderna –, topografie eterodosse, ambiti stimolanti in cui nutrirci di materiali per fabbricarci il nostro posto nel mondo. Se con la morte di Jakob Mendel o con l'ipertesto borgesiano questi luoghi fisici ai quali aggrapparsi si erano fatti più fragili, meno trascendenti, con l'avvento di Internet essi sono divenuti molto più virtuali di quanto potessimo immaginare, obbligandoci a costruire ogni volta nuovi strumenti mentali, a leggere sempre più critica e a farlo da una prospettiva sempre più politica, a immaginare e a socializzare come mai prima d'ora, analizzando e navigando, approfondendo e accelerando, convertendo il privilegio di una straordinaria possibilità d'accesso all'informazione in nuove forme di conoscenza.

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